DA TRAPANI AD AGRIGENTO: CASTELVETRANO

 

Da Via Campobello e Via Garibaldi, si arriva a Piazza Garibaldi nella quale si erge la Chiesa Madre (XVI secolo) con un ricco portale sulla facciata. All'interno, stucchi di Ferraro e di Serpotta e nell'abside di sinistra, una statua della Madonna della scuola dei Gagini. Sul fianco sinistro della chiesa, il campanile davanti al quale si vede un'elegante fontana dell 615. Sulla stessa piazza si trova il Municipio (ingresso da Piazza Umberto, 4) che accoglie un piccolo museo (aperto soltanto il giovedì dalle ore 9.00 alle ore 13.00). Esso è stato privato del suo pezzo torte: l'Efebo dl Selinunte. Quest'opera eccezionale, riesumata all'epoca dei primi scavi e affidata al comune di Castelvetrano, è stata rubata nell 962. Ritrovata è stata depositata nelle casseforti dei Banco di Sicilia. Ci auguriamo che essa riprenda al più presto il suo posto, poiché questo bronzo del V secolo a.c., figura tra i capolavori di quest'epoca. Sul lato destro della Chiesa Madre imboccate Via Bonsignore che vi conduce alla Chiesa di 5. Domenico (1470), più volte ri-maneggiata. All'interno, ricca decorazione di stucchi. A destra dell'edificio, in Piazza Regina Margherita, la Chiesa di 5. Giovanni, rifatta nel periodo barocco, contiene alcune pitture del XVII secolo ed una statua di 5. Giovanni Battista di A. Gagini (1522). Molto più interessante è la visita della Chiesa della 5. Trinità di Della, a 3,5 Km. dal centro della città. Come la Martorana di Palermo, è un edificio a croce greca con tre absidi. La sua massa quadrata è sormontata da una cupola di tipo arabo poggiante su quattro colonne. Questa costruzione normanna del Xli secolo è stata restaurata alla fine del secolo scorso. Nei pressi della casa del guardiano, belvedere sul Lago Trinità.

MARINELLA

Per raggiungere Selinunte, uscite da Castelvetrano per Via Selinunte e seguite la statale n. 115. A 8,4Km., al bivio di Selinunte lasciate a sinistra la statale n. lì 5, che continua verso Agrigento per prendere la stessa strada, ma a destra, che conduce in 5 Km. a Marinella ed alla zona Archeologica di Selinunte. Marinella non è che una piccola stazione balneare attorno ad un roodesto villaggio di pescatori, ma la vicinanza delle rovine ed una bella spiaggia hanno contribuito da poco al suo sviluppo turistico.

SELINUNTE

La visita di Selinunte è certamente una delle più commoventi di tutta la Sicilia. L'abbondanza delle rovine, la maestà del luogo e la bellezza del paesaggio, fanno in modo che qui tutto ricordi la Grecia. Qccorre almeno mezza giornata per visitare bene le tre zone archeologiche, ma è possibile, se non disponete che di poco tempo, visitare l'Acropoli e l'Altopiano di Marinella in due ore.

SELINUNTE NELLA STORIA

Selinunte, come uno dei fiumi che la bagna, trae il suo nome dalla pianta sellnon, una specie di prezzemolo selvaggio o di sedano, scelto come emblema della città e inciso sulle monete. La città sarebbe stata fondata attorno al 650 a.c. dagli abitanti di Megara Hyblaea che, stretti fra le colonie calcidinesi e Siracusa, cercavano un rifugio per vivere in pace. Selinunte diventò molto prospera rapidamente e la sua popolazione cerco di sottomettere gli Elimi, sopra~utto quelli di Segesta, per acquistare nuovi possedimenti ed estendersi fino al Mar Tirreno. Le sue pretese territoriali avrebbero, però, provocato l'intervento dei Cartaginesi e degli Ateniesi. Nel 409 a.c. Annibale assedia Selinunte che resiste eroicamente per nove giorni; ma infine la città è presa e saccheggiata con singolare crudeltà, se si presta fede a Diodoro Siculo: "i barbari saccheggiavano le ricchezze delle case e abbandonavano alle fiamme le persone che vi erano rimaste; altri, addentrandosi nelle strade, sgozzavano spietatamente, senza distinzione di età e di sesso, i bambini, i neonati, le donne e i vecchi. Secondo l'uso della loro patria, i cartaginesi mutilavano i cadaveri: alcuni portavano una cintura di mani alla vita, altri portavano teste sulla punta delle loro picche...". 16.000 persone perirono così' e si contarono 5.000 prigionieri circa. I templi furono saccheggiati e abbattuti; la città non era che un cumulo di rovine. lì proscritto siracusano Ermocrate tentò, di ridarle vita ricostruendone le mura. I Cartaginesi se ne impadronirono nuovamente nel 250 a.c., al tempo della prima guerra punica, e la distrussero dopo averne trasferito gli abitanti a Liiibeo. Poi questa fiorente città, divenuta un misero villaggio, fu invasa da acque paludose e decimata dalla malaria. Un terremoto distrusse gli ultimi templi ed essa cadde nell'oblio; il suo nome scomparve poiché gli Arabi la chiamarono il "villaggio dai pilastri" o ancora "sobborgo degli idoli". L'antica Selinunte è formata da tre zone archeologiche ben distinte: l'aftopiano di Marinella, l'Acropoll e il Santuario di Malophoros, ad ovest di Selinos.

L'ALTOPIANO DI MARINELLA

Arrivando a Marinella Sellnunte, la strada costeggia la ferr~ via. Bisogna attraversarla dal passaggio a livello sulla destra, per raggiungere la zona detta dei templi orientali. Questo "sobborgo sacro" si compone di tre templi separati dalla strada e disposti parallelamente all'ingresso della zona archeologica. I templi di Selinunte sono indicati tradizionalmente con lettere dell'alfabeto. Sulla sinistra i templi E ed F; sulla destra, il tempio G. Il Tempio E, il più lontano, si distingue chiaramente, essendo state le sue colonne ricostruite. Costruito nel V secolo a.c. nel più puro stile dorico, questo edificio era senza dubbio dedicato a Era (Giunone) secondo l'iscrizione di una stele votiva scoperta nel 1865. Misura 68 m x 25. Le sue 38 colonne (6 sulle facciate e 15 sui lati) sostengono ancora una parte della trabeazione. Una scala di otto gradini conduce al peristilio ed alla cella sopraelevata i cui muri erano ornati di una cornice dorica. Da questo tempio provengono le quattro metope del museo di Palermo. Ritornando sui propri passi, verso la strada, si vedono sulla destra i resti del Tempio F, il più piccolo e il più danneggiato dei tre. Di stile arcaico, fu costruito probabilmente tra il 560 e il 540 a.c. Questo periptero, di 62 m. x 24, era circondato da 36 colonne (6 sulle facciate e 14 sui lati) che si innalzano per più di 9 metri. Il vestibolo aveva una seconda fila di colonne e il peristilio era chiuso, nella sua parte inferiore, da un muro. Il Tempio G, dall'altro lato della strada, si presenta come un gigantesco ammasso di pietre, al centro del quale emerge una colonna restaurata nel 1832. Questo tempio, senza dubbio consacrato~ad Apollo, era annoverato con quello di Agrigento dedicato a Zeus Olimpico, tra i più grandi del mondo antico. Iniziato verso il 550 a.c. la sua costruzione continuò fino al 480, ma non fu mai portata a termine. L'edificio, con il suo basamento, copre una superficie di oltre 6.000 m2. Si innalzava per più di 30 m. dal suolo, dominando cosi tutti gli altri, era lungo 113 m. e largo 54 ed era circondato da 46 colonne (8 sulle facciate e 17 sui lati). Queste colonne, il cui diametro medio alla base era di 3,41 m., raggiungevano 16,27 m. di altezza e sostenevano capitelli aventi una superficie dii 6m2. I tamburi di queste colonne pesano circa 100 t. ciascuno. Alcuni, incompiuti e senza scalanature, dimostrano cosi' che la costruzione del tempio fu interrotta durante la distruzione di Selinunte. Questi blocchi di pietra provenienti dalle rocche di Cusa erano ricoperti di stucchi colorati i cui resti sono stati ritrova-ti. La cella del tempio era preceduta da un vasto peristilio con la facciata sostenuta da quattro colonne, mentre i lati non ne comprendevano che due. La cella, di forma oblunga si componeva di tre parti: il pronao, la cella propriamente detta e l'Adito o Santuario. Si può avere un'idea della grandiosità di questo monumento arrampicandosi sui blocchi di pietra per penetrare all'interno di questo ammasso di rovine titaniche, dove ogni elemento stupisce per le sue dimensioni. La strada detta "dei Templl" circonda il Tempio E e scende verso il mare per risalire in seguito verso l'acropoli, sulla collina occidentale.

L'ACROPOLI

L'acropoli (aperta dalle ore 9.00 alle 19.00; ingresso a pagamento) occupa un altopiano ripido a strapiombo sul mare tra due corsi d'acqua: a ovest il Selinos ed a est, il Gorgo Cotone, i cui sbocchi formavano i due porti della città, oggi insabbiati. L'Acropoli (450 m. x 350) era circondata da una cerchia le cui mura formate da blocchi quadrati e da piccole pietre, raggiungevano quasi 3 m. di spessore. Si vede una parte ben conservata sul lato destro della strada, dopo il cancello d'ingresso. L'interno dell'acropoli era diviso in quartieri da due grandi arterie perpendicolari, larghe 9 m., nelle quali sboccavano numerose strade. La strada sbocca nel parcheggio dietro la casa del guardiano. Seguendo il viale principale che attraversa gli scavi in direzione del solo colonnato esistente, si vede sulla destra il Tempio O di cui non restano che la base e i tamburi scanalati. La sua struttura è identica a quella del Tempio A che si trova proprio dopo. Questi due edifici appartenenti allo stesso periodo del Tempio E, sono i più recenti dell'acropoli. Furono costruiti tra il 490 e il 480 a.c., nell'età d'oro dello stile dorico, secondo un progetto classico. Misurano 40 m. x 16 e comprendono 36 colonne (6 sulle facciate e 14 sui lati) di un'altezza di 6,23 m. A una quarantina di metri circa, sulla destra, sono ancora visibili i resti di un piccolo edificio, probabilmente un propileo costruito inseguito. Dopo il crocevia, sempre sulla destra, si trova il Tempio C, il più grande e il più antico dell'Acropoli, innalzato sul punto più elevato. Dodici colonne complete con capitelli e due incomplete sono state ricostruite nel 1925. Questo edificio, della metà del VI secolo a.c. era consacrato a Demetra. Misurava 64 m. x 24 e comprendeva una cella con pronao, senza colonne e, sul fondo, un santuario. 17 colonne si innalzavano sui lati e sei sulle facciate. Esse misurano 1,94 di diametro alla base. Da questo tempio provengono le tre metope esposte nel museo di Palermo. Tutto il cornicione era rivestito di terrecotte policrome di cui restano ancora alcune tracce. Davanti al tempio, si trovava un piccolo mageron destinato a ricevere le offerte di minore importanza. La terrazza, a destra, era limitata da un portico di ordine dorico che sormontava il bastione a scalinata. Tra il portico e il tempio sussistono le basi di un grande aftare di 20,40 mx 7,85.11 Tempio B si trova a dieci metri sulla destra, davanti al Tempio C. Ellenistico, 8,45 m. x 4,60, vi si accedeva da una scala di otto gradini. La sua costruzione è attribuita ad Empedocle. Il TempIo D, il più settentrionale dell'Acropoli, costruito tra il 570 e il ~ a.c., comprendeva 6 colonne frontali e 13 sui lati, di un'altezza di 7,51 m. Lo stilobate misura 56 m. x 24. Questo tempio si componeva di un pronao, di una cella e di un santuario. Intorno ai templi C e D, si possono vedere le rovine di un villaggio bizantino del V secolo le cui case erano state ricostruite con materiali antichi. L'arteria principale attraversa i resti della città ricostruita da Ermocrate dopo la distruzione del 409 a.c. All'epoca del suo apogeo, tra il VI e il V secolo a.c., Selinunte si estendeva molto più a nord sull'altopiano di Manuzza, ma in seguito al disastro essa si ritirò daccapo sull'Acropoli. La via termina all'estremità nord dell'Acropoli, alla porta principale e alle rovine delle fortificazioni. In questa parte, si può vedere una lunga galleria, dapprima coperta, e una trincea sormontata da un ponte e protetta all'estremità da due torri semicircolari.

SANTUARIO DI MOLOPHOROS

La maggior parte dei turisti trascura questa terza zona archeologica, situata a 800 m. circa dall'Acropoli. Per quanto essa non possieda monumenti notevoli, la sua visita è tuttavia interessante. Il Santuario si erge in un luogo selvaggio in mezzo alle dune di sabbia che lo avevano ricoperto fin dall'antichità. Per accedervi, dalla porta principale, bisogna ritornare sui propri passi e prendere, sulla destra proprio dopo il Tempio C, l'arteria trasversale che si snoda da est ad ovest. Percorrete il sentiero che conduce ad una passerella attraverso la quale si oltrepassa il Modione, l'antica Selinos, vicino all'ex porto occidentale. Una cinquantina di metri più lontano, girate a destra per giungere all'arca sacra, vasto quadrilatero di 60 m. x 50, a fianco della collina. Si entra attraverso dei proprilei, del V secolo a.c., che davano accesso alla via sacra fiancheggiata di cipressi. Si passa in seguito davanti ad un piccolo altare arcaico ed ad un grande altare sacrificale (16,30 m. x 3,15>, prima di arrivare al Tempio dedicato a Malophoros, divinità che può essere identificata con la Demetra dei Greci. Questo santuario, sprowisto di colonne e di basi, è un megaron diviso in pronaos, naos e adyton. Conteneva una statua per il culto e serviva da stazione per i cortei funebri diretti alla necmpoll di Manicalunga, situata a 3 Km., in cui sono stati ritrovati più di 12.000 terrecotte del VI e V secolo a.c., raffiguranti soprattutto la dea. Ritornando al ponte e seguendo il corso del Modione, si giunge ad una bellissima spiaggia sabbiosa. Si raggiunge a 5,2 Km. la statale n. 115 D, che attraversa una regione fertile e ondulata, si passa per Menfi, a 100 Km. e si arriva a Sciacca (120 Km.).

SCIACCA

Questa città animata, di 31.000 abitanti, situata su un altopiano digradante verso il mare, è il più importante centro termale della Sicilia ed una stazione balneare dotata di un porticciuolo turistico. Sciacca già celebre ai tempi dei Romani che la chiamavano Ex Aqua (da cui il suo nome attuale), possiede parecchi stabilimenti di cura che utilizzano un'acqua solforosa (56° ipertonica e radioattiva, un'acqua bromoiodica (36°) ed un'acqua salina alcalina detta Acqua Santa utilizzata come bibita.

VISITARE SCIACCA

La strada statale n. 115 conduce alla Porta S. Salvatore (XVI secolo), all'ingresso della Via F. Incisa dove si innalzano due chiese: S. Margherita a destra, e la Chiesa del Carmine a sinistra. 5. Margherita, del XIV secolo è stata rinnovata nel XVI secolo. Il bel portale gotico della facciata risale alla costruzione primitiva; quello del lato sinistro, di stile gotico-rinascimentale attribuito al Laurana, rappresenta sul timpano, S. Margherita tra gli angeli, e sui montanti, da un lato S. Gabriele e l'Annunciazione, dall'altro S. Calogero e Santa Maddalena. L'interno è ornato con stucchi di Ferraro (1623). La Chiesa del Carmine possiede una cupola in maiolica. Sulla facciata incompiuta, resta un bel rosone gotico che risale alla chiesa originale dedicata a 5. Salvatore. Un po' più lontano, al n. 48 di Via Incisa, si trova Casa Arone con tre finestre gotiche e una scalinata interna del XV secolo. Ritornate alla Chiesa del Carmine per imboccare sulla destra, Via Gerardi che conduce al Palazzo Steripinto. Questa singolare costruzione del XV secolo di stile catalano, presenta una facciata bugnosa a punte di diamanti con tre bifore, dei merli e un elegante portale del Rinascimento. Non si può visitare l'interno. Seguite il lungo Corso Vittorio Emanuele che conduce a Piazza Scandallato, centro della città. A sinistra, facciata del Municipio, che occupa l'edificio di un ex collegio di gesuiti dell 615. All'interno, bel cortile ad arcate. A destra, terrazza che domina la città bassa e il porto. Continuando sempre dritto, si giunge al Duomo del XII secolo, trasformato nel XVIII, ma che ha conservato, all'esterno, le tre absidi originali. Le statue della facciata sono dei Gagini. Si può completare questa visita seguendo l'itinerario seguente: continuate per Via Vittorio Emanuele sino a Piazza Friscia (giardino pubblico con veduta sul mare). Prendete subito a sinistra per Via Licata che conduce a Piazza Lazzarini dove Via S. Caterina, a destra, sale verso la chiesetta di 5. Nicolò, di stile normanno, costruita all'inizio del XII secolo e incastrata fra le case. Dietro la chiesa, Via Castello conduce ai resti del Castello Luna (1380), in restauro. Questa fortezza apparteneva alla famiglia Luna che contendeva alla famiglia Perollo l'amministrazione della città. La tragica storia delle loro lotte non è che un succedersi di duelli, delitti e vendette. L'ultimo atto di questa rivalità sanguinosa ebbe luogo nel 1529, quando Sigismondo Luna e i suoi 300 mercenari massacrarono, dentro il Duomo, Giacomo Perollo e i suoi amici, dopo essersi impadroniti del loro castello. Al di là di Via Castello, la via Ciaccio conduce a Piazza G. Noceto dove si ergono la Badia grande e la Chiesa di 5. Michele con i resti di un campanile isolato. Un po' lontano, a destra, si giunge alla Porta 5. Calogero, al di là della quale si possono vedere i resti delle mura del XVI secolo. I dintorni dl Sciacca permettono di effettuare due escursioni: una a S. Calogero e l'altra a Caltabellotta.

SAN CALOGERO

A 8 Km., uscite dalla città per Via Palermo e poi girate a destra. La strada passa in prossimità di un cimitero in cui si trova il Monumento ai Morti del dirigibile francese Dixmude, affondato il 24-12-1923. Questa stele commemorativa, alta 25 m., è stata scoperta il 28 Giugno 1964. Percorso accidentato per raggiungere la cima del Monte Kronio a 397 m. di altezza. La strada di destra sbocca su uno spiazzo, davanti al santuario di 5. Calogero. Nell'interno statua del santo di Gagini (1538). La strada di sinistra conduce allo stabilimento termale costruito su grotte naturali dette stufe di 5. Calogero, in cui la temperatura è mantenuta a 38 da una esalazione di acqua calda. In queste grotte si sono recentemente trovati resti preistorici e ciò prova che esse, in quell'epoca erano già utilizzate a finiterapeutici.

CALTABELLOTTA

Si trova a 20 Km., per una bella strada sinuosa. Uscite da Sciacca per Via dei Cappuccini e per la statale n. 188 B in direzione di Palermo, poi a 2 Km., girate a destra per seguire una strada secondaria che sale e passa ai piedi di Rossa Ficuzza (901).

A Caltabellotta non ci si passa, ci si va. Adagiata su una lieve montagna, che durante certi rigidi inverni con la neve schiude al visitatore l'immagine di un lindo fazzoletto di case-presepe, lo storico paesino era avvolto, un tempo, da una selva di lecci e di querce assieme a macchie di alberi di carrubo che annotò anche Goethe nel suo Viaggio in Sicilia considerando quella pianta come uno dei simboli d'una parte della campagna di quaggiù. In seguito s'è fatta rigogliosa una vegetazione di mandorli, ulivi, agrumi e vigneti. L'antico nome arabo Kalat-al-Ballut, ossia rocca delle querce, richiama invece memorie e suggestioni di un diverso paesaggio. Una natura certamente benigna e prospera se alla "Decima giornata" del Decamerone Giovanni Boccaccio narrava di "Pietro d'Aragona, di sua moglie Costanza, di un nobile e di Elisa assai amata dai sovrani cui il re, oltre a molte gioje e care che egli e la reina alla giovane donarono, donò pure Ceffalù e Caltabellotta, due bonissime terre e di gran frutto". Situato a 750 metri d'altezza che diventano mille se, compiendo una salutare arrampicata, si vuol raggiungere la vetta conosciuta come Pizzo Castello, l'aereo paesino evoca per intero le caratteristiche inconfondibili di quello che dovette essere un borgo nobile e potente. Una significativa testimonianza è l'eremo che, con l'annesso convento e la chiesa, prende il nome di San Pellegrino: questi, in epoca remotissima, fu a capo della prima sede vescovile dell'isola e, in seguito, elevato agli onori degli altari, divenne patrono del luogo, assai venerato dai suoi abitanti che ogni anno, a metà agosto, lo festeggiano con un devoto pellegrinaggio. Natura, religione e storia costituiscono da secoli la cifra socio-culturale di questo piccolo comune in provincia di Agrigento dove si sono costantemente intrecciate e sciolte varie vicende che nel tempo ne hanno rappresentato il segno distintivo. Pur situata in un luogo pressoché appartato, che per larga parte l'ha preservata da scempi e contaminazioni, Caltabellotta non dista dal mare più di una ventina di chilometri. Dalla sua cresta montana, ripopolata in anni piuttosto recenti da macchie di pini ed eucalipti, il panorama infonde un senso di pace al visitatore il cui occhio può spaziare, da una parte, sino alle coste occidentali trapanesi e, dall'altra, verso il bianco cono dell'Etna. Famosa per le ricchezze delle acque e la fertilità delle terre, come ricorda l'etimologia del nome Triokala datole in epoca assai precedente alla presenza musulmana, Caltabellotta ha da sempre puntato sulle risorse agricole e pastorali tramandate sino ai giorni nostri attraverso la grande produzione di olio e di miele, oltre agli allevamenti curati in aziende a carattere familiare. Ma a ripercorrere la storia delle origini di questo paese resta la disputa scientifica se realmente Caltabellotta sia stata la primitiva Kamikos. Più di 150 anni fa l'archeologo tedesco Schumbring compì un'indagine pervenendo, sulla base di alcuni reperti e sull'esistenza di numerose necropoli sicane, alla conclusione che proprio in quei luoghi, nell'era pre-ellenica, dovesse sorgere Kamikos fondata dal mitico re Kocalos. In epoca romana il borgo fu per lungo tempo teatro della guerra servile allorché gli schiavi ribelli si asserragliarono all'interno della cinta resistendo all'esercito di Roma sino al 99 avanti Cristo, capeggiati da Trifone, un uomo che pare leggesse negli astri e che qui, in seguito, prese dimora con la sua gente. Alle spalle del paese si ergono ancora i resti di un arcigno castello normanno, in posizione strategica per scrutare l'orizzonte africano, e talmente protetto dalla natura da risultare imprendibile. Nella rocca gli storici sostengono si rifugiasse, nel 1194, la regina Sibilla con il figlioletto Guglielmo III per sfuggire ad Enrico VI di Svevia. Il quale soltanto con un diabolico espediente riuscì a farla uscire da quell'invincibile fortezza. Una volta visitata, Caltabellotta non è più una delle mille città del mondo, ma un vero luogo dello spirito, se volete anche il rifugio della fantasia. Lo storico Vittorio Giustolisi nel suo "Vescovo e il drago" scrive: "Nessuno sa dire in verità cosa aleggi in questo strano e misterioso paese. Certo è che, anche nella luce abbagliante di una giornata di sole, l'anima si sente avvolta da un velo di tenebra. Nel formidabile scenario di forche giganti, sospese su orrendi precipizi, essa vaga tra vasti silenzi e rovine incantate; l'opprimente, doloroso, l'arcano linguaggio delle pietre. La mente ritorna ai sortilegi di Klinscher ed a Salvio Trifone. Ma fu forse il potente e fosco spirito del luogo la vera origine del sacro timore, del fascino indicibile, che generò nella caverna del monastero il drago sanguinario, e che attrasse maghi e sacerdoti, la cui fama si sparse per il mondo". Fu da Caltabellotta che, al termine della sanguinosa guerra del Vespro, prese il nome la pace tra Angioini e Aragonesi qui firmata il 31 agosto 1302, e i preliminari della quale erano ordinati nel paesino palermitano di Caltavuturo e a Sciacca. Roberto, figlio di Carlo II d'Angiò, da una parte, e Federico d'Aragona dall'altra, convennero che quest'ultimo si sarebbe tenuto, col titolo di re di Trinacria, la Sicilia e le isole circostanti, e avrebbe sposato la sorella di Roberto d'Angiò; ai figli nascituri sarebbe toccato il regno di Gerusalemme: la Sicilia in quel caso sarebbe ritornata agli Angioini. Trattativa davvero complicata, che infatti conteneva i germi di una nuova guerra. Per questo fu in seguito considerata più una tregua che non una vera pace. Per un certo periodo, comunque, la questione siciliana fu considerata chiusa. Con il vasto mare africano negli occhi si sale verso l'interno sulla strada che da Sciacca porta a Caltabellotta, Chiusa Sclafani e oltre. Il mare non ti lascia mai totalmente e più si inerpica la strada (a tratti stretta a disagevole) più si fa incredibilmente vasto l'orizzonte e quel mare. Alla fine ti sembra quasi di volare, tant'è l'altezza e la vista mozzafiato su picchi di montagne, rocche e altipiani coltivati con ulivi e mandorli. Alle prime case di Caltabellotta bisogna già fare la prima fermata: sulla roccia, che si trova a sinistra della strada, si aprono una serie di grotticelle funebri scavate nella pietra, rimanenza del periodo sicano. L'abbondanza di queste tombe attorno Caltabellotta fa supporre l'insediamento di una numerosa comunità fin dalla preistoria. Appena superate le tombe sicane, sulla destra fra le prime case si apre la vista su Caltabellotta, raccolta attorno la rocca del Castello - un arrampicarsi di case, tetti, torri e campanili attorno a questa rupe che si alza verso il cielo come una scultura con i resti di un castello, di origine normanna, in cima. Prima di entrare nel centro della città giriamo a sinistra per visitare uno dei monumenti più interessanti - un posto denso di storia e di solitaria bellezza. Una strada panoramica ti porta su verso la monte Pellegrino con il convento e la chiesa di San Pellegrino. Passiamo accanto uno sperone chiamato Calvario che domina la città e dove ogni anno, a Pasqua, viene commemorata la crocifissione di Gesù Cristo. Poco più avanti ci sono le rovine della chiesa e del convento di S. Benedetto che fu abitato fino al XII secolo. La strada si inerpica in ripidi ma comodi tornanti fino allo spiazzo antistante il complesso. Da qui l'ultimo tratto va fatto a piedi su per una vecchia strada acciottolata. Su questa rupe abitava San Pellegrino, venerato e leggendario vescovo di Triocala, che liberò la città dal terribile drago che ogni giorno chiedeva in pasto un bambino. Oggi con il suo miracoloso bastone, che "chiuse" la bocca al drago, vigila dall'alto dell'altare nella bella chiesa restaurata. Per una porta laterale si accede alle due grotte; la prima che ospita un piccolo suggestivo altare, dove pregava e dormiva il santo, era nella leggenda originariamente la tana del drago; la seconda più piccola ed adiacente al convento ha degli affreschi del '700 ormai molto sbiaditi. Oggi non si può accedere al convento stesso per lo stato di abbandono che rende pericoloso l'accesso. Guardiamo da fuori l'imponente edificio dello stesso colore della roccia che circonda Caltabellotta e ci auguriamo che un intervento repentino possa salvare questo monumento dalla totale rovina. Con spirito più prammatico pensiamo a quale sede magnifica potrebbe essere per un albergo o una fondazione artistica con il silenzio rotto soltanto dal richiamo degli uccelli e l'aria solenne che veglia sopra questo luogo con la sua ricca storia. Con la macchina giriamo dietro il complesso di San Pellegrino e ci fermiamo vicino ad una ripida stradina sulla destra che porta al "Malpertuso" un'apertura naturale nella roccia che anticamente era l'unico ingresso alla città, talmente stretta che rendeva la città inespugnabile. Per questa strada si arriva alla piccola chiesa della Pietà, edificata sopra una grotta e nella sua semplicità una suggestiva fermata in un percorso rupestre che si apre lungo la strada sottostante. In un'ampia grotta a sei vani si trova oggi il museo etno-antropologico, anche questo una fermata obbligata con i resti di civiltà contadina ormai quasi scomparsa. Il quartiere attorno la chiesa con le strette, tortuose vie ospita ogni anno un bel presepe vivente, un'occasione per visitare tutta la città. Sulla cresta poco distante si aprono una serie di piccole grotte alle quali si accede da scale scavate nella roccia, possibilmente utilizzate come abitazioni. Tornando alla macchina si procede oltre e si arriva all'imponente piano della vecchia matrice che da luglio di quest'anno è stata riaperta al pubblico dopo un accurato restauro. La chiesa fu fondata attorno a 1100 dal conte Ruggero dopo la vittoria sugli arabi. La semplice facciata in pietra viva, interrotta soltanto dagli ornamenti delicati del portale ogivale d'ingresso, crea insieme al Pizzo Castello delle quinte naturali suggestive a questa immensa piazza. La torre campanaria squadrata, detta il "Mortorio", è forse di epoca anteriore e isolata rispetto alla chiesa, che fu intitolata all'Assunta. Sulla sinistra scorre una fontana con acqua fresca, deliziosa dopo tanto camminare. La chiesa, che nel tempo ha subito vari interventi strutturali si apre oggi a tre navate con grandi archi ogivali su colonne che in origine dovevano essere tutti affrescate. Sulla sinistra, in contrasto con la semplicità del resto della chiesa, si trova una capella intitolata alla Madonna della Catena con una ricchezza policroma di stucchi e pitture, realizzata da Antonino Ferraro nel '500. Al centro la fine statua della Madonna della Catena di Giacomo Gagini. Nelle cappelle successive si possono ammirare altre delicate statue di Madonna con Bambino dei famosi Gagini, padre e figlio. All'imbocco del piano della matrice vecchia da via Madrice troviamo la chiesa SS. Salvatore edificata anch'essa in epoca normanna in bella pietra viva, di semplice architettura e una porta ogivale in stile chiaramontano. Alle sue spalle l'ingresso al possente Castello normanno del quale rimane soltanto parte di una torre con ingresso ogivale e due cameroni sotterranei che probabilmente servivano come contenitori di derrate alimentari, pietosamente coperti da alti pini. Riscendiamo in città e passando davanti alla verde villa comunale ci dirigiamo alle chiese di San'Agostino e di San Lorenzo - un unico edificio con una torre campanaria medievale. La chiesa originaria è del 1300 ma successivi interventi l'hanno in parte modificata, come la facciata che è stato arrichito con un bel portale barocco. All'interno è custodito un gruppo raffigurante la Deposizione. L'opera imponente del '500 di Antonino Ferraro è realizzata in ceramica e le otto figure sono a grandezza naturale. Qui si custodisce anche la Madonna dei Miracoli che viene festeggiata l'ultima domenica di luglioassieme al SS. Crocifisso. Oggi la Chiesa di San Lorenzo con un sobrio portale di ingresso è sconsacrata, e viene utilizzata per fini religiosi-culturali e sociali. A piedi fra stradine in tortuoso saliscendi si arriva fino alla chiesa della Madonna dell'Itria con un bel portale barocco e all'interno il simulacro della Madonna dell'Itria col Bambino. Risaliamo sempre a piedi verso il cuore di Caltabellotta, piazza Umberto I, dove si trova il Municipio di recente costruzione e la Matrice nuova, la Chiesa del Carmine, anch'essa recentemente restaurata, che si trova a un livello leggermente inferiore (insieme alla biblioteca nella ex-chiesa di San Michele). Nella Chiesa del Carmine si può ammirare la Madonna delle Grazie di Antonello Gagini (1534). Prima di uscire dalla città, in periferia, facciamo una visita alla piccola chiesa dei Capuccini, S. Francesco d'Assisi. La chiesa apparteneva al convento del quale esiste oggi soltanto una camera all'ingresso con alcune nicchie che fanno supporre l'esistenza di catacombe come nel convento dei Capuccini a Savoca. All'interno si costodisce il crocifisso chiamato "Dio Vivo", festeggiato la domenica più vicina al 14 settembre. Si racconta che la statua venne trovata nella cripta del convento dopo che una donna del paese per tre volte lo aveva sognato che implorava: "Tiratemi fuori da questo luogo dove mi tengono racchiuso tra le ragnatele. Se mi festeggerete, prometto che vi faccio la grazia della pioggia." Chi ha visitato la Sicilia a fine estate, con la campagna arsa da mesi di siccità, può comprendere con quale sollecitudine il crocifisso venisse tirato fuori e portato in processione per la città. Al ritorno il cielo si rabbuiò e scoppiò un temporale. Da allora il paese lo venera e più volte negli anni al grido "l'acqua e lu pane vulemu" la folla è stata esaudita. In questa chiesa, in una teca, si trovano anche i resti di S. Onorato, sotto un altare ligneo finemente scolpito. Nella capella di fronte, una pala di fra' Felice da Sambuca del XVIII secolo raffigurante una Madonna col Bambino. Alla fine scendiamo qualche chilometro a valle lungo la S.P. 115 per visitare la frazione S. Anna. Fra la città e questa frazione (che si dice sia l'antica Triocala) c'è una strana rivalità che si presume abbia antiche radici per i soprannomi di origine greco-latina. Gli abitanti di Caltabellotta chiamano la gente di S. Anna "chitubbi" da Citus Urbis (abitanti della città); a S. Anna gli abitanti di Caltabellotta sono "catapani" da Kata Paini (capitano tiranno). Il centro abitativo fu fondato nel 1622 sotto Francesco Alliata, principe di Villafranca, e 200 anni dopo aggregato a Caltabellotta. Il sito ha comunque una stora ben più antica perchè qui è stata appunto localizzata città sicula di Triocala, che fu distrutta dai romani durante le guerre servili e qui il normanno Ruggero edificò un monastero basiliano di S. Giorgio di Triocala, anch'esso oggi scomparso. Rimane invece intatta, un poco fuori dall'abitato, la chiesa di S. Maria di Montevergine, edificato in periodo normanno e diretta dai padri agostiniani. In pietra viva con portale gotico sta in solitaria bellezza contro il cielo rosato che dopo una giornata intensa di visite volge al tramonto. La chiesa custodisce all'interno la venerata Croce di Montevergine che in autunno passa nella Matrice del '600, dedicata a S. Anna, e che si trova nella piazza della Matrice. Poco oltre c'è il Collegio di Maria, sempre in calda pietra viva, con la piccola chiesa di S. Maria del Fervore. Qui ai piedi dell'altare (spostando un tappeto che lo protegge) è possibile vedere un frammento di mosaico romano del III secolo d.C.

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