Il tentativo di controllare i libri scolastici: un nuovo «indice» dei testi proibiti?

STORIA, LA RAGIONE NON LE REGIONI

di CESARE SEGRE


La mozione approvata dalla Regione Lazio e quelle proposte in Lombardia, Puglia, Sicilia e Piemonte sui libri di testo di storia sono state giudicate, epigrammaticamente, «sciocchezze pericolose» da Paolo Franchi sul Corriere di ieri. Basterebbe fermarsi qui, anche se la scioccaggine può essere messa alla berlina pure con simulazioni applicative. Per esempio, perché prendersela solo con i libri di storia? Anche nelle storie della letteratura le propensioni dei curatori sono spesso evidenti. E persino le opere letterarie messe nelle mani degli studenti, non sono anche quelle animate da passioni e rifiuti?

 

Ci saranno ukase (gli ordini degli zar) sulle scelte da operare? Non si dice, ma s’intende che le Commissioni di censura (le mozioni cercano di legittimarle con termini più dignitosi) dovrebbero esaminare, condannare, riscrivere, appunto come si fa sotto i governi autoritari. Certo, non possono limitarsi a un giudizio imparziale di correttezza: perché quello lo può dare soltanto, e non è nemmeno certo, un’altra ricerca storiografica, più approfondita di quella incriminata. E non dovrebbe toccare al riverito Mercato di far emergere i libri migliori e di mettere nell’ombra gli altri? In ogni caso, vedremo quale persona seria avrà la faccia di entrare in queste Commissioni. Sul merito delle mozioni, c’è poco da aggiungere a quanto è già stato osservato dalla maggioranza degli storici interpellati. C’è anzitutto da ricordare l’articolo 33 della Costituzione: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento»; poi ci sono i vari interventi dei costituzionalisti sulla libertà d’insegnamento, e perciò sulla libertà del docente di adottare i libri che gli sembrano più efficaci come supporto alla propria attività didattica.
Però queste benedette mozioni cadono giuste per dare spunto a un dibattito più ampio, di cui c’è bisogno. Il mondo moderno ha, ed esercita, infiniti modi per strozzare la libertà di espressione, anche quando costituzionalmente riconosciuta. E stupisce che il tema, cruciale per il nostro avvenire, sia ancora poco dibattuto. Pensando poi alle sedi da cui sono emerse le mozioni, mi pare che queste mozioni si aggiungano a infiniti segnali anche recenti (per esempio le delibere a difesa degli scempi edilizi in Sicilia) che dovrebbero far riflettere sui pericoli di iniziative e capricci pseudoculturali locali, proni a precisi interessi.
Ritornando al piccolo ma esplosivo problema dei libri di testo, andrebbero ricordati agli aspiranti censori alcuni particolari tecnici che forse ignorano. Prima di tutto va detto che non c’è un rapporto studente-libro di testo, ma un rapporto a tre, in cui il docente ha un notevole peso. Il docente può spiegare, discutere, contestare, integrare ciò che dice il libro; così come deve anche rispondere a curiosità od obiezioni dello studente. E’ proprio questa dialettica che favorisce la maturazione dello spirito critico, il cui sviluppo è ignorato dai nuovi censori. Si aggiunga che a un libro rispondente a una data propensione politica si accostano spesso, per altre materie, altri libri con altre propensioni, e il confronto sarà ancora più proficuo. Solo in scuole ideologicamente orientate (ma quella statale non può e non deve esserlo) ci sarà la piena, ottundente, ipnotica coincidenza di opinioni che forse qualcuno sogna, o meglio rimpiange.
Gli autori delle mozioni paiono poi ignorare che c’è, da sempre, un dibattito sulla storia: visto che si può fare storia privilegiando una o un’altra serie di dati, svolgendo ragionamenti di diverso tipo e su diversa scala. Ogni prospettiva ha vantaggi e limiti, perché la realtà storica è troppo complessa per avere risposte univoche. Il manuale che si presenta agli studenti non è un’opera specialistica con tutta la documentazione necessaria e con le motivazioni di ogni passaggio dimostrativo. E’ un disegno che cerca di seguire e connettere con cura le situazioni, gli eventi, i personaggi che paiono all’autore più significativi per ogni epoca. Succede allora che episodi su cui si sono scritti volumi e volumi devono essere esposti magari in mezza pagina, in dieci righe. L’esperienza e la capacità di sintesi degli autori sono continuamente sollecitati, ma non possono dare risultati esaustivi, per i quali necessariamente si rinvia alla bibliografia. Chiarire questo punto è uno dei molti compiti del docente.
Fino a qualche anno fa, i libri di storia, come quelli di storia letteraria, si fermavano molto prima della contemporaneità. Oggi la contemporaneità è favorita forse troppo, anche là dove un giudizio ponderato è proprio impossibile.
Quello che è sicuro è che sul contemporaneo le affermazioni sono necessariamente affrettate, personali: e ciò non nuoce, purché lo studente ne sia reso consapevole, e soprattutto non sia spinto a opporre una soggettività a un’altra, una a un’altra passione. Se ora qualche partito, incoraggiato dalle Regioni, vorrà preparare libri di storia nella propria prospettiva, avrà un buon modello nella storiografia sovietica, che non solo produceva storia ad usum delphini , ma cambiava la storia via via che le posizioni ufficiali mutavano o si capovolgevano, o che i personaggi cadevano in disgrazia. Se questo è il piano dei firmatari delle nostre mozioni, ci sarà da ridere. O da piangere.

 

Cesare Segre

 

Domenica 12 Novembre 2000

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