Da Cupra Maritima a Grocta

La scomparsa di Cupra Maritima

Il crollo dell’impero romano d’occidente (476 d.C.) fece sprofondare tutto il Piceno in uno dei periodi più bui della sua storia. La regione fu sconvolta dalla devastante guerra Goto–Bizantina (535-553 d.C.) e la situazione non migliorò certamente con la successiva invasione longobarda (a partire dal 569 d.C.). Questo continuo susseguirsi di conflitti, con conseguenti carestie e pestilenze, determinò ineluttabilmente la scomparsa della tranquilla e florida Cupra Maritima: all’antico splendore di un tempo subentrò, tra il sesto e l’ottavo secolo, un totale stato di distruzione ed abbandono. Tuttavia la vasca per battesimo paleocristiana ed il bassorilievo in stile bizantino che si trovano nella Chiesa di S. Martino rappresentano un sia pur flebile segnale di vitalità riconducibile a quel cupo periodo. Evidentemente sulle rovine del tempio di Cupra era sorta una pieve frequentata dalla sparuta popolazione della zona non più per festeggiamenti pagani bensì per adempiere ai riti della nuova e trionfante religione cristiana. Tra l’ottavo ed il nono secolo, nell’antico luogo di culto giunsero i monaci farfensi: essi, utilizzando i materiali da costruzione di epoca romana, edificarono il monastero di S. Martino impadronendosi al contempo di tutti i beni gravitanti attorno all’area sacra picena. Anche qui come altrove compito dei religiosi furono la bonifica, il presidio del territorio (non va dimenticata la presenza del porto, anche se in stato di abbandono) e l’assistenza sia materiale che spirituale degli abitanti del posto.

Le curtes

L’incertezza e l’anarchia comunque continuarono anche nel X che nell’XI secolo: i primi documenti, risalenti proprio a questo fase storica, evidenziano un notevole frazionamento della zona. Non essendosi ancora instaurata una rigida gerarchia feudale i tanti signorotti locali si suddivisero il controllo del territorio. Sorsero così varie "curtes" fra le quali vanno ricordate quelle del castello d’Ischia, del castello di Stablo, di S. Vincenzo (dislocate tutte a Sud del Tesino) e quella ben più importante di S. Paterniano (con il castello di Carrello ed il porto). Tante pergamene, datate tutte tra il 1030 ed il 1040, dimostrano come i due poteri forti del tempo, e cioè il vescovo-conte di Fermo e l’influente abbazia di Farfa, si disputarono vanamente il controllo della zona. Al centro della contesa fu principalmente il più ricco dei possedimenti: il monastero di S. Martino con tutte le sue proprietà. Dal primo documento del 1030 si apprende che un certo Trasmondo, figlio di Teselgardo, donò la "curtem Sancti Martini" al vescovo di Fermo Uberto e tale volontà sembra riaffermata in un altro atto del 1033. In realtà però nel 1038 un tale Longino, figlio di Azone, donò il convento, ovviamente con tutti i poderi annessi, all’Abbazia di Farfa. Infine una pergamena del 1039 riferisce la cessione della corte di "S. Angelo in Villa Maina" da parte di Trasmondo ai potenti monaci laziali in cambio di S. Martino. Da questa serie di carte appare del tutto evidente che sia il Vescovo che l’Abbazia tentarono, inducendo donazioni a loro favore e pretendendo gesti di sottomissione, di allargare le proprie sfere di influenza nella zona. Gli atti di vassallaggio da parte dei signorotti locali appaiono comunque decisamente più formali che sostanziali: schierandosi ora con l’uno ora con l’altro contendente, a seconda delle convenienze, essi rimasero i veri padroni del territorio.

I monaci ed il castello

La situazione si stabilizzò solo nel XII secolo quando finalmente i monaci farfensi riuscirono a prendere il sopravvento. In una importante pergamena del 1103 compare per la prima volta il termine Gructa con il quale, da questo momento in poi, si iniziò ad indicare il castello costruito, molto probabilmente dai religiosi stessi, sull’alto del colle di Grottammare (successivamente si usarono per individuare la rocca anche i termini Crypta o Grocta ad Mare). La rocca, edificata in un punto strategico (il monte era ancora a picco sul mare), richiamò intorno a se la popolazione del luogo che abbandonò gli altri preesistenti, ma meno sicuri fortilizi. Si formò così un piccolo stato monacale e guerriero tutto gravitante intorno al cenobio ed al castello che, resistendo ai pericoli ed alle insidie di quel tempo, mantenne la sua autonomia per oltre cento anni. Due furono i nemici principali del feudo farfense: i pirati saraceni, che già avevano iniziato le loro scorribande in Adriatico, ed il partito guelfo capitanato dal Vescovo fermano. E’ noto che durante la lotta per le investiture, il monastero di Farfa si schierò apertamente dalla parte degli imperatori, almeno fino al Concordato di Worms del 1122, cosicché in quegli anni l’astio di vecchia data fra i monaci ed il Vescovo ebbe modo di accrescersi per sfociare, come si vedrà in seguito, negli scontri aperti di inizio XIII secolo.

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