For How Much Longer

 

 

Miniguida al consumo critico e al boicottaggio - testo integrale

 

oggi tutti affermano che occorre difendere la pace, la giustizia, la libertà,

la civiltà, la democrazia, la solidarietà.

Mi guardo attorno per un attimo e nel mondo vedo guerra, intolleranza,

odio, razzismo, ingiustizia, fame e terribili malattie.

Non è vero che il genere umano deve difendere questi ideali; li deve ancora realizzare.

(15.9.2001)

 

CONSUMATORI  D'INGIUSTIZIA

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FOR HOW MUCH LONGER DO WE TOLERATE

MASS MURDER?

 

Questa pagina riporta un articolo (1) dedicato ad una nota bevanda analcolica pubblicato sul n. 1 di "Underground", luglio 1978; parte del testo (2) pubblicato su un giornalino denominato "Consumatori d'ingiustizia - pensieri e informazioni sui rapporti tra nord e sud del mondo", aprile 2001; alcuni passi (3) tratti da una pubblicazione contro lo sfruttamento infantile, 2001. I nomi delle aziende e dei prodotti citati sono sostituiti con casuali lettere (in maiuscolo) dell'alfabeto.

 

"el-oh-el-aye Lola la-la-la-la Lola" (Ray Davies, 1970)

(1)

Tutta la pubblicità in genere punta molto sulla gioventù, facendo credere di ritrovarla a chi l'ha già persa, facendo apparire più dinamico e più giovane chi effettivamente non lo è, tramite l'acquisto di determinati vestiti, il consumo di una certa acqua minerale o l'uso di un particolare ciclomotore. La CC, rispetto a questa mercificazione del giovane, non è certo da meno. "E' tempo di CC, di vacanza, di svago, di spuntini ecc.", sono solo alcune delle più comuni associazioni adottate dalla pubblicità della CC nella creazione del binomio giovani-prodotto. Abbiamo voluto allora chiederci ed indagare su cosa di giovane e dinamico ci fosse nella CC. Anzitutto dovrebbe contenere, come da denominazione secondo la legge, C brasiliana e C Acuminata (sono piante sudamericane); dalla C brasiliana si estrae la cocaina, notissima sostanza stupefacente. A questo punto ci è sorto un primo interrogativo: se la CC contiene la C è fuorilegge perché come è noto le sostanze stupefacenti non sono bene accette dalla legislazione italiana; se invece non contiene C è fuorilegge perché secondo la legislazione italiana una bibita deve contenere le essenze del frutto della pianta con cui è denominata. Stavamo già per rinunciare a saperne di più con un pilatesco...ai posteri l'ardua sentenza...quando è venuta in nostro soccorso una legge del 1963, legge firmata tra gli altri da alcuni personaggi assolutamente "insoliti" nell'azione politica italiana: Fanfani, Rumor, Colombo. Questa all'art. 19 dice: "L'Autorità Sanitaria Provinciale, gli ispettori sanitari, i segretari tecnici, le guardie di sanità, devono (...) conservare il segreto sui processi di preparazione e conservazione delle sostanze alimentari e delle bevande che vengono a loro conoscenza per ragioni d'ufficio, sotto le sanzioni del Codice Penale".

Non potendo quindi cercare nell'ambito della legislazione italiana la possibilità di sapere cosa ci viene dato da bere, siamo stati costretti a cercare che cosa avevano trovato i ricercatori di altre nazioni. In un saggio del 1962 il Dr. McCay dell'istituto di ricerche mediche del Texas diceva che "i molari dei topi si sono dissolti sino alla linea della gengiva nel caso in cui i topi erano stati alimentati bene, ma non avevano bevuto che CC per sei mesi". E i denti umani posti in un recipiente contenente la stessa sostanza, divennero molli e si disfarono in breve tempo. Il motivo di questa azione di corrosione era dovuto all'alta acidità della bevanda stessa. Per mascherare questo alto tasso di acidità che risulterebbe molto sgradevole al palato sono poi contenute nella CC alte quantità di zucchero; le ricerche più recenti rilevano, a causa dello zucchero, fattori di rischio per l'insorgere di malattie come il diabete e le coronaropatie. Da notare che l'alta pericolosità del contenuto acido della CC non è dovuta all'acido in sé, contenuto anche in altre bibite, ma soprattutto al fatto che questo acido è costruito in laboratorio ed è in un rapporto assolutamente squilibrato con gli altri elementi contenuti nella sostanza. Per questi motivi la bevanda sarà definita da un altro ricercatore americano (Dr. Boronson): "La CC è il liquido imbottigliato più velenoso che non porta un teschio sulla bottiglia". Un altro elemento che a certe condizioni può diventare estremamente pericoloso ed è contenuto in alte quantità nella CC, è la caffeina. Mentre il caffè, in certi ambienti (scuole, ospedali, sanatori) viene scarsamente somministrato, la CC è presente ovunque. Il caffè generalmente viene ingerito caldo e a stomaco pieno, due condizioni che attenuano molto l'effetto della caffeina, la CC al contrario viene ingerita quasi sempre fredda e a stomaco vuoto, moltiplicandone gli effetti dannosi; se si aggiunge a questo il fatto che, anzichè prodotta dai chicchi di caffè, potrebbe essere prodotta dalla sintesi dell'acido urico, abbiamo un'idea dei livelli di pericolosità che possono essere raggiunti da questa bevanda.

Un mercato che consente di vendere ogni giorno 175.000.000 di bottiglie di questa bibita, poco dissetante perché troppo dolce, esempio macroscopico di condizionamento psicologico attento ad accostare un prodotto ai simboli della moda, del colonialismo americano, dei ragazzi spensierati ed anonimi, della falsa dinamicità, del tempo libero programmato in ogni consumo. Per decine di anni la CC è stata un emblema dell'America dell'opulenza, della cartamoneta con la scritta "noi confidiamo in Dio", del mito dell'invulnerabilità, del coraggio. Ma non è sulla moda che si fonda un colosso industriale, il fine ultimo è l'abitudine, il gesto familiare, il capriccio del figlio, il tifoso allo stadio, il lavoratore in weekend. (luglio 1978)

 

 

"L'esistenza è molto più di produrre e consumare; io non credo nella reincarnazione o nei premi/castighi divini, ma penso che ciascuno dovrebbe guardarsi dentro, lasciar emergere i sentimenti e imparare a fare del proprio meglio. La presa di consapevolezza individuale è essenziale in una realtà dove la politica è una falsa democrazia atta a tutelare gli interessi di grandi colossi che di noi possono decidere quasi tutto. Il voto non conta nulla perché non può cambiare il gioco dei blocchi di potere, allora l'unica nostra possibilità resta quella di scegliere ogni giorno: leggo o non leggo quel giornale, accendo o non accendo la TV? In un'epoca di totale controllo mass-mediatico questi sono atti politici. Soltanto la conoscenza ci può permettere di essere liberi nel piccolo delle nostre esistenze ... la violenza è quella perpetrata ogni giorno dalle multinazionali e dalle lobby di potere che impongono le regole del gioco e ti tarpano la libertà di scelta peggiorandoti l'esistenza quotidiana; è lo sfruttamento a svantaggio dei più deboli; è il prolificare dell'arroganza e dell'ignoranza." (Tom McRae, marzo 2001)

(2)

Un miliardo di piccoli contadini, di senza terra, di braccianti delle città vive in condizioni di povertà assoluta. Ciò significa che non hanno una casa degna di questo nome, che non hanno vestiti di ricambio, che non hanno scarpe, né sapone per lavarsi; che non sanno né leggere né scrivere, che non hanno assistenza medica, né dispongono di acqua potabile; che non hanno la garanzia di un piatto di minestra tutti i giorni. Se vuoi aiutare questa gente non consumare più con tanta disinvoltura prodotti tropicali come il caffè, il cacao, le banane, gli ananas ecc.

Le cause

Certo questa gente ha bisogno di dollari, di lire...per l'acquisto di tecnologia, di prodotti industriali, di macchine per la produzione, e se i profitti dei loro prodotti fossero utilizzati per lo sviluppo della povera gente di questi popoli non solo sarebbe lecito comprare questi prodotti, anzi bisognerebbe consumarne più che si può. Ma di questo non siamo sicuri, anzi abbiamo le prove dei danni che subiscono i poveri dall'esportazione. La produzione agricola in questi paesi è in mano alle multinazionali e ai pochi latifondisti che sono legati alle multinazionali e quindi alla produzione per l'esportazione. Essi consumano anche l'80% della ricchezza prodotta. In India, ad esempio, la parte più ricca della popolazione consuma 8 volte di più della parte più povera. In Messico questo rapporto è di 20 a 1 e in Brasile è di 33 a 1.

Non è vero che la loro povertà dipende dall'eccesso di popolazione, dal clima avverso o dall'arretratezza tecnologica, come spesso ci fanno intendere. La povertà dilaga anche in nazioni scarsamente popolate, con clima regolare, mezzi tecnologici all'avanguardia, produzione agricola in costante aumento. Tipico è il caso del Brasile. Pur essendo l'ottava potenza economica del mondo, ha 33 milioni di poveri assoluti, oltre un milione di bambini sotto i cinque anni sono denutriti, 18 milioni di adulti sono analfabeti; quasi 4 milioni di bambini non vanno a scuola. Chi la povertà la vive di persona, sa che essa non è un caso. La povertà dipende dal fatto che i governi non sono abbastanza attenti alle necessità dei deboli e più spesso agiscono contro di loro. Dipende dal fatto che nel sud le terre, le miniere, le banche, le industrie sono concentrate nelle mani di pochi proprietari locali o stranieri, che usano questo loro dominio economico per arricchire se stessi. In nome del profitto, essi non esitano a strappare le terre ai piccoli contadini, a mantenere i lavoratori a livelli salariali da fame, ad introdurre macchinari che aumentano la disoccupazione, a devastare foreste e campi, a produrre beni di lusso per chi ha denaro invece che cibo per chi ha fame. Inoltre, il sistema economico mondiale ha indebitato gli stati poveri nei confronti di quelli occidentali. Il debito, che spesso è molto superiore alle entrate delle nazioni più deboli, le costringe a sottostare alle politiche economiche dei paesi ricchi. Dato che all'occidente conviene far produrre agli stati poveri derrate alimentari destinate verso i propri mercati, alle nazioni sottosviluppate non rimangono fondi per l'istruzione e la sanità. Gli stessi proprietari locali impongono produzioni che rispondano ai bisogni dei paesi ricchi: frutta tropicale, caffè, cacao, té, tabacco, animali da macello ecc. Il commercio con l'estero dà loro grossi profitti derivanti soprattutto da una produzione a basso costo. Giocano sulla pelle dei poveri e se i poveri vogliono sopravvivere devono comprare i prodotti alimentari importati dai paesi ricchi, ai prezzi dei loro mercati; prodotti che già le terre dei poveri potrebbero fornire.

Per questo, ogni volta che tu compri un chilo di caffè, un chilo di banane, una porta in mogano, non dai una mano ai poveri per migliorare la loro condizione, ma una mano ai ricchi per aumentare i loro profitti. Ogni volta che tu compri un prodotto tropicale ti rendi complice di un sistema che sfrutta, che degrada l'ambiente, che sottrae terra alla produzione alimentare. Ma rischi di fare anche di peggio. Rischi di condannare i poveri alla povertà perenne per una via più subdola dello sfruttamento: la via dell'emarginazione.

I ricchi del nord rappresentano il 23 % della popolazione mondiale e consumano l'80% della ricchezza mondiale.

Per non essere più complici

Consumare e fare la spesa ci sembrano solo fatti privati, che riguardano esclusivamente noi, il nostro portafoglio. In realtà, il CONSUMO è tutt'altro che un gesto privato: riguarda TUTTA L'UMANITA', perchè dietro a questo gesto si nascondono problemi sociali, politici e ambientali. Il dramma è che facciamo pagare un prezzo molto salato anche ai popoli che non partecipano al nostro "banchetto". Il nostro stile di vita è in risalto rispetto a quello della gente del sud, che ha bisogno di più cibo, più vestiti, più mezzi di trasporto, più alloggi e più strutture sanitarie. Tutto ciò richiede una grande crescita produttiva da parte del sud, ma che sarà possibile solo se il nord rinuncerà a fare la "parte del leone" nell'uso delle risorse e produrrà meno rifiuti. Non si può arrivare ad un equilibrio tra nord e sud portando tutta la popolazione terrestre al nostro tenore di vita, perché se tutti consumassero come noi ci vorrebbero altri 6 pianeti da utilizzare come fonti di materie prime e come discarica per i rifiuti.

A questo punto si tratta solo di scegliere:

-se vogliamo sostenere il pericolo di guerra, distruzione del pianeta, sfruttamento, corruzione, oppressione, allora continuiamo a consumare alla cieca come facciamo oggi;

-se, invece, vogliamo salvare il pianeta, far crescere la giustizia, la partecipazione, la non-violenza, allora dobbiamo consumare e sprecare di meno, e prendere le distanze dalle imprese che si comportano male.

Dobbiamo quindi imboccare la strada del CONSUMO CRITICO e DELL'ESSENZIALITA'

Vivere solo con l'essenziale. E' uno stile di vita che sa distinguere i bisogni reali da quelli che ci vengono presentati come un sogno dai mass media. Si organizza a livello di Comunità e serve a garantire a tutti il soddisfacimento dei bisogni principali con un minimo dispendio di energie. Questo stile di vita da molta importanza alle esigenze del corpo, senza dimenticare però i bisogni spirituali, affettivi, intellettuali e sociali delle persone.

Perché vivere solo con l'essenziale? Perché non solo consumiamo la maggior parte della ricchezza disponibile, ma anche perché siamo sommersi dai rifiuti e dall'inquinamento, lasciando ai nostri figli un pianeta invivibile, perché ci troviamo addosso malattie da sovralimentazione, perché siamo affetti da centomila nevrosi a causa delle insoddisfazioni e della vita frenetica che conduciamo.

C'è una soluzione a tutto questo. Si tratta di RIDURRE, cioè badare all'essenziale. Quando compriamo dobbiamo chiederci: "ho davvero bisogno di questo prodotto o mi sono fatto condizionare dalla pubblicità?" Si tratta di RECUPERARE, cioè utilizzare lo stesso oggetto finchè è servibile e riclicare tutto ciò che può essere rigenerato (carta, vetro, plastica ecc...). Si tratta di RIPARARE, cioè di non gettare gli oggetti al primo danno (auto, bici, vestiti, scarpe, sedie...); era normale per i nostri nonni, come lo è nel sud del mondo, riparare gli oggetti che si rompono. Rispettare i nostri oggetti e averne cura, affinchè possano durare di più nel tempo senza bisogno di buttarli via. Ma abbiamo paura di vivere solo del necessario? Ci siamo adagiati nell'abbondanza e l'idea di diventare meno ricchi ci spaventa. Forse abbiamo il terrore della mediocrità e facciamo dietro front verso "l'isola del di più".

Boicottaggio e consumo critico

Ogni volta che andiamo a fare la spesa abbiamo un potere, e le imprese sono profondamente dipendenti dal nostro comportamento di consumatori. Noi possiamo far salire o scendere i loro profitti. Proprio prechè le imprese hanno tanta paura di noi, cercano di dominare la nostra volontà spendendo miliardi in pubblicità. Dobbiamo riappropriarci della nostra volontà decisionale e rivalutare il potere che abbiamo fra le mani, un potere che preso singolarmente è certamente piccolo, ma che moltiplicato per milioni di persone può condizionare le più grosse multinazionali. Gli strumenti che abbiamo a disposizione sono:

-BOICOTTAGGIO: è un'azione che consiste nell'interruzione organizzata e temporanea dell'acquisto di uno o più prodotti per forzare le società produttrici ad abbandonare certi comportamenti. Si concentra su un'impresa o su un prodotto. I più importanti boicottaggi in corso sono contro NE e MIT. NE perchè vende il latte in polvere nei paesi poveri dicendo che aiuta la crescita dei bambini, invece è solo dannoso perchè l'acqua è malsana. MIT perchè abbatte 24 ore su 24 foreste asiatiche e sudamericane, distruggendo per esempio in Malesia 300.000 ettari di foreste all'anno.

-CONSUMO CRITICO: è un atteggiamento di scelta permanente che si attua su tutto ciò che compriamo ogni volta che andiamo a fare la spesa. Consiste nella scelta dei prodotti in base al prezzo e alla qualità, ma anche in base alla storia dei prodotti stessi e al comportamento delle imprese che ce li offrono. Scegliendo cosa comprare e cosa scartare, segnaliamo alle imprese i comportamenti che approviamo e quelli che condanniamo, sosteniamo le forme produttive corrette e condanniamo le altre. Insomma, è come se andassimo a votare ogni volta che facciamo la spesa. Il consumo critico funziona. L'esperienza lo dimostra; dove i consumatori si sono fatti sentire le imprese sono state disposte a cambiare. Negli Stati Uniti, ad esempio, RE e LE hanno modificato il loro comportamento.

Riportiamo il comportamento di alcune multinazionali oggetto di boicottaggi.

-CC: multinazionale statunitense nata nel 1891. Ottavo gruppo alimentare del mondo, ha filiali in più di trenta paesi. Fattura circa 60.000 miliardi e impiega 29.500 persone. Il 9.12.1999 a Manila, 600 lavoratori della società di imbottigliamento CC sono stati licenziati in tronco, senza preavviso. In Belize (America Centrale) contribuisce alla distruzione della foresta tropicale. Collabora intensamente con la NE, la quale non rispetta il codice OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e Unicef per il latte in polvere. Uno studio di Codacons, un'associazione di consumatori italiana, ha dimostrato che alcuni prodotti "dietetici", come le bevande CC light, contengono aspartame. Questa sostanza, se assunta in grandi quantità, può causare danni al cervello, particolarmente gravi nei bambini. Ancor più forti gli effetti sul feto, se è la madre a consumare frequentemente questi prodotti. In Guatemala non rispetta i diritti sindacali dei lavoratori. Negli impianti di imbottigliamento in India fa uso di lavoro minorile.

-EXM: la EXM è presente in Indonesia nell'isola di Aceh, dove si è resa complice delle atrocità commesse dall'esercito indonesiano nei confronti della popolazione locale, per poter operare indisturbata nell'estrazione del gas naturale, fornendo alle autorità governative del regime dittatoriale di Jakarta una delle fonti di guadagno più importanti senza che alcun beneficio ne venisse alla popolazione locale. Precisamente, la EXM è accusata di aver fornito supporto logistico presso le proprie basi dove venivano torturati o uccisi gli abitanti, e di aver fornito all'esercito le ruspe per scavare le fosse comuni dove seppellire le persone trucidate. Inoltre in Perù alcune popolazioni indigene, fra cui gli Harakmbut, si stanno organizzando per difendere le loro terre dall'occupazione della EXM, che cerca di impadronirsene per l'attività di estrazione petrolifera.

-DMR: dal 1998 la DMR, società sudafricana, è di proprietà per il 70% del gruppo CI. In Kenya e nelle Filippine la DMR produce ananas con coltivazioni intensive, facendo un intenso uso di pesticidi e fertilizzanti che oltre a poter provocare nel tempo tumori, sterilità e malformazioni fetali, possono provocare intossicazioni acute con danni ai polmoni, fegato, reni e sistema nervoso. Molti lavoratori inoltre sono stati licenziati e riassunti come precari, con riduzione del salario del 45% e nessun diritto sindacale. Le abitazioni assegnate ai braccianti da DMR sono fatiscenti, antigieniche e malsane. Non c'è l'assistenza ospedaliera e medica obbligatoria per legge, che prevede che ogni datore di lavoro debba farsi carico delle spese sanitarie.

-NE: l'allattamento al seno è il miglior nutrimento per i neonati; Unicef e Organizzazione Mondiale della Sanità hanno un codice internazionale che proibisce la promozione di latte in polvere per bambini. La NE viola questo codice, per esempio con forniture gratuite agli ospedali, provocando la diminuzione dell'uso del latte materno, rendendo indispensabile il ricorso al latte artificiale. Secondo l'Unicef UN NILIONE E MEZZO DI BAMBINI MUORE OGNI ANNO NEI PAESI POVERI DEL MONDO PERCHE' NON VIENE NUTRITO CON IL LATTE MATERNO, E ALTRI MILIONI SI AMMALANO. Gli alti costi, la diluizione con acqua non pulita, la scarsa igiene dei biberon causano alti rischi per i bambini. Per convincere questa multinazionale che la vita dei bambini vale più dei profitti commerciali è stato indetto un nuovo boicottaggio internazionale oltre a quelli subiti dalla NE nell'84 e nell'88. La NE è la principale produttrice di latte in polvere, controllando una quota che va dal 35 al 50% circa del mercato mondiale. E' la maggior società agroalimentare del mondo e una delle più importanti nel commercio di cacao e caffè, di conseguenza è uno dei maggiori responsabili delle pessime condizioni in cui si trovano milioni di contadini del sud del mondo, a seguito della logica del mercato e del profitto. Anche in Italia la NE con i suoi comportamenti ispirati totalmente alla logica del profitto si è resa responsabile di licenziamenti nelle ditte che operano nel campo delle acque minerali.

 

 

"I know we've come a long way, we're changing day to day. But tell me, where do the children play?" (Cat Stevens, 1972)

(3)

LIBERI DI CRESCERE, LIBERI DI GIOCARE

Agricoltura, piantagioni, cave, miniere, fornaci, vetrerie, lavoro domestico, industrie, raccolta di rifiuti, eserciti in guerra e, in fondo a tutto, il crimine dello sfruttamento sessuale: ecco oggi il destino di un bambino su quattro nei paesi poveri. Concentrati in Asia (61%), Africa (32%) e America (7%) circa 120 milioni di bambini fra i 5 e i 15 anni lavorano tutto il giorno, secondo le stime dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro. Si alzano presto, mangiano un pò di zuppa della sera prima e partono ad affrontare una giornata di lavoro spesso malsana, pericolosa. Difficile o impossibile per loro frequentare la scuola dell'obbligo. Lavorano sotto padrone o per intermediari, o con la famiglia in "autosfruttamento". Per altri 130 milioni il lavoro è una seconda attività, a tempo parziale, dopo la scuola. Le stime totali arrivano a 250 milioni!

Lo sfruttamento dei bambini è presente in tutto il mondo, ma è più diffuso nei Paesi del sud, gravati dal debito estero, impoveriti da un sistema commerciale che funziona a vantaggio dei Paesi più forti, costretti ad adottare misure di risanamento economico che tagliano la spesa pubblica per la sanità e l'istruzione, danneggiati dal comportamento delle imprese multinazionali che non rispettano i diritti dei lavoratori e le risorse ambientali. Senza scuole e sanità gratuite, senza sicurezza sociale, per soddisfare i bisogni di base le famiglie, lasciate sole ad affrontare la loro povertà, devono chiedere a tutti i componenti di darsi da fare per sopravvivere. In queste situazioni il reddito sia pure limitato derivante dal lavoro dei bambini, diventa indispensabile. Ma le società che sfruttano i loro bambini sono impoverite per sempre: la conseguenza del lavoro infantile sono intere generazioni di lavoratori adulti a basso reddito, senza professionalità specifiche, analfabeti, spesso debilitati fisicamente o psicologicamente, addirittura invalidi.

Lo sfruttamento dei bambini trova il suo ambiente favorevole nell'economia informale, nel lavoro nero, che in molti Paesi è realtà rilevantissima (nella stessa Italia, potenza economica mondiale). In effetti, pressoché ovunque le leggi vietano l'impiego degli under 14 in attività di lavoro dipendente, salvo eccezioni per attività leggere. Ma nelle campagne e nelle bidonville succede di tutto. Ecco una carrellata, non certo esaustiva, dei beni e servizi prodotti dalle mani e dalle spalle dei bambini. Non di soli palloni, anzi!, è fatto lo sfruttamento infantile.

Mini-braccianti: i braccianti sono fra i lavoratori più poveri e meno considerati al mondo. Inevitabile che anche i loro bambini lavorino per sopravvivere. Quanti ragazzi muoiono ogni anno manipolando pesticidi nell'agricoltura commerciale, nelle piantagioni? Non si sa. Certo non si sa quanti bambini pregiudicano la propria crescita e salute lavorando duramente come braccianti in situazioni dove è scarso l'apporto di mezzi meccanici e lo sfruttamento di bambini e adulti è elevatissimo. Secondo un recente rapporto dell'OIL, in alcuni Paesi in via di sviluppo quasi un terzo della forza lavoro agricola è composto da bambini. In Bangladesh, l'80% dei 6 milioni di bambini economicamente attivi è occupato nel settore agricolo, spesso sotto padrone. E ben 3 milioni di minori fra i 10 e i 14 anni lavorano nelle piantagioni di sisal, té, canna e tabacco in Brasile. Anche le piantagioni di té asiatiche incorporano lavoro infantile. Orari insostenibili, paghe minime. Ciò consente i profitti altissimi delle multinazionali del té e delle loro associate locali.

Miniere, cave, vetrerie, fornaci: scenari ottocenteschi se ci si affaccia ai bordi di una miniera d'oro peruviana, dove il 20% dei lavoratori ha fra gli 11 e i 18 anni e le condizioni sono durissime. O se si accompagna un piccolo carbonaio brasiliano in mezzo alla fuliggine. O uno spaccapietre, sovente schiavo per debiti, di dieci anni in una cava indiana, che rischia di diventare cieco per la polvere e il riverbero. O se si osservano le mani da vecchio di un piccolo fabbricante di mattoni a Bogotà. O se si cerca di respirare nei 50 gradi di una vetreria indonesiana dove i bambini lavorano ai forni senza protezione.

Schiavi per debiti: in India, Paskitan, Brasile, Perù, Haiti una famiglia povera che si indebita rischia forte: prende un prestito da un usuraio e si ritrova a lavorare finché non ha ripagato il debito. Ma gli interessi sono troppo alti e la condizione di schiavitù si tramanda di padre in figlio, in agricoltura, nelle cave, nelle fornaci e nelle miniere, sui tappeti, nelle vetrerie, o nelle fabbriche di fiammiferi. Il tutto a dispetto dei divieti previsti dalla legge. In Pakistan si stima che siano 8 milioni i bambini in schiavitù, su 20 milioni di adulti.

Prostituzione: è tristemente noto il fenomeno della prostituzione minorile e dell'uso dei bambini a fini pornografici. Bambine e bambini abbandonati o rapiti dalle proprie famiglie vengono portati nei bordelli o mandati sulla strada. Essi vengono costretti a soddisfare tutte le richieste del cliente e se si rifiutano vengono loro inflitte atroci torture: stupri, bruciature di sigaretta, percosse. 500.000 in Brasile (secondo il Ministero degli Affari Sociali), 300.000 in Thailandia, 100.000 nelle Filippine, 300.000 in India, 50.000 in Vietnam, 40.000 in Pakistan. Negli USA si stima che i babyprostituti siano 100.000. Un fenomeno, quello della prostituzione minorile, che chiama direttamente in causa le responsabilità del mondo occidentale attraverso quei "viaggi del sesso" che dai Paesi ricchi vengono intrapresi da persone a caccia di piaceri a poco prezzo.

Invisibili servi nelle famiglie medio-ricche: non li vede nessuno ma sono a milioni i piccoli domestici, dai 6 anni in poi, nove su dieci bambine, molto spesso pagati solo con il cibo - poco e diverso da quello dei padroni - e maltrattati. Ad esempio sono 100.000 i "resteaveck" (resta con) under 14 ad Haiti, che le famiglie rurali povere affittano ai cittadini. Le bambine sono esposte anche ad abusi sessuali. Il loro numero è in aumento in Asia, Africa, America Latina, Medio Oriente e in alcune zone dell'Europa. Le loro condizioni sono caratterizzate da lunghi orari di lavoro, paga vicina allo zero, cibo da avanzi, nessuna scolarità. Rimarranno lavoratori marginali per tutta la vita. In Bangladesh li chiamano "gli incatenati"; in Repubblica Dominicana "porta chiusa". A volte questi piccoli servitori vengono portati all'estero dai padroni. Questo fenomeno è stato rilevato nel 1994 dall'associazione AntiSlavery International che ha denunciato famiglie di diplomatici di stanza in Svizzera e Francia.

Raccolta rifiuti e trasporto pesi: si tratta di due attività accomunate dall'estrema nocività, dall'assoluta marginalità e dal luogo di lavoro: la strada. 80 milioni di bambini lavorano per strada, anche se i più hanno una "casa". Alla periferia di Manila sono in decine di migliaia a scalare la montagna "fumanete" (di rifiuti) per selezionare il minimo residuo utile. Lo stesso avviene nelle vie e nelle discariche di tutte le città dei Paesi poveri del mondo. Un lavoro ad estremo rischio sanitario che attira il disprezzo su chi lo svolge. Altri fanno i giornalai, i lavavetri, i lustrascarpe. Particolarmente penosa la condizione degli "asini": bambini gracili che trasportano esseri umani e merci sul risciò, sfruttati dal proprietario del medesimo.

Conciati per le feste: nelle concerie lavora una parte dell'1,4 milioni di piccoli egiziani fra i 6 e i 14 anni. Le condizioni di lavoro sono le stesse da sempre: ma si sono aggiunti molti prodotti chimici e i bambini continuano a lavorare a mani e piedi nudi. In India, Brasile o nel Sud Est asiatico lo spettacolo è più o meno lo stesso.

Abiti, seta e scarpe: sono i prodotti di bassa tecnologia e largo consumo quelli con la cui produzione per l'esportazione Paesi come Thailandia, Cina, Indonesia e India stanno tentando la scalata dello sviluppo industriale. Di mezzo ci sono le multinazionali che in genere appaltano il lavoro a ditte locali, le quali a loro volta lo subappaltano a ditte più piccole. In questo "giro" si annida il lavoro dei bambini, difficilissimo da scovare. In Indonesia il lavoro minorile è legalizzato (ma solo per 4 ore al giorno) e le piccole tute blu dell'industria manifatturiera sono almeno 300.000. Per salari bassissimi bambini e bambine lavoratori di 10-12 anni, assunti al posto dei genitori, vivono lontani dalle famiglie, poverissime e rurali.

Palloni e tappeti: un milione di bambini tessono tappeti su decine di migliaia di telai sparsi fra il Pakistan, l'India e il Nepal. Antiche ditte di esportazione si rivolgono a intermediari locali che a loro volta girano l'ordine ai proprietari di telai. Questi poi affidano il compito a tessitori che producono con l'aiuto di salariati, spesso bambini: preferiti non solo per via delle piccole dita molto adatte al lavoro, ma anche perché gli adulti non sono disposti a farsi sfruttare proprio fino all'osso. Non di rado i bambini sono "ostaggi": devono pagare un debito di famiglia. Sono migliaia i bambini che cuciono palloni nella regione di Sialkot in Pakistan dove si concentra l'80% della produzione. Altri lavorano nel Punjab indiano. Talvolta aiutano la famiglia a cucire a cottimo per poche rupie; talaltra sono direttamente impiegati in laboratori semiclandestini nei villaggi. In fondo questi due prodotti riguardano una minoranza, rispetto al totale dei bambini sfruttati: c'è di peggio, in quantità e qualità. Ma sono due settori più "facili": il lavoro è finalizzato all'esportazione nel nord del mondo e si presta meglio all'indignazione.

Bambini in divisa: più di 300.000 minori sono impegnati in conflitti nel mondo. La maggioranza di questi hanno tra i 15 e i 18 anni, ma ci sono reclute anche di 10 anni e la tendenza è verso un abbassamento della soglia di età. Alcuni sono soldati a tutti gli effetti, altri sono usati come portatori di munizioni, vettovaglie ecc. Anche le ragazze, sebbene in misura minore, sono reclutate e soggette a ogni tipo di violenze sessuali. Il problema è più grave in Africa dove i bambini soldato con meno di 18 anni sono circa 120.000. Una situazione inaccettabile se si pensa che l'esperienza della guerra è per coloro che sopravvivono psicologicamente devastante.

Faticare in famiglia: fra tutti i lavori svolti dai bambini, il più comune rimane quello agricolo o domestico all'interno della famiglia: quando la famiglia ha terra o altri mezzi di produzione a disposizione (ad esempio nell'artigianato). Andare a prendere l'acqua, lavorare nei campi, accudire il bestiame al pascolo, curare i bambini più piccoli sono attività quotidiane per moltissimi bambini. Questo genere di attività può avere risultati positivi: i bambini traggono insegnamento da una partecipazione ragionevole ai lavori abituali di casa, alla coltivazione di prodotti necessari alla sussistenza e alle attività che generano reddito. Ma il lavoro in famiglia, pur non rientrando nella tipologia dello sfruttamento, può essere gravoso quando costringe i bambini a lavorare per molte ore, allontanandoli dalla scuola e imponendo un sacrificio troppo pesante al loro corpo.

Bambini sulla strada: il fenomeno dell'accattonaggio non è più solo una questione dei Paesi poveri; anche nelle nostre città è cresciuto il numero di bambini mandati ad elemosinare ai semafori con addosso pochi stracci. Bambini stranieri preda di organizzazioni criminali, i piccoli schiavi del nostro continente. Passano ore sulla strada e se non riescono a "guadagnare" abbastanza vengono picchiati dai loro aguzzini. E tutto avviene alla luce del sole.

Povertà - sfruttamento - povertà: una spirale da rompere.

QUALCHE CIFRA: con l'equivalente del cachet pubblicitario che una società multinazionale assegna a un grande campione sportivo - diciamo dieci miliardi - si potrebbero sottrarre al lavoro e mandare a scuola per un anno almeno 20.000 bambine e bambini in aree povere del pianeta senza impoverire le famiglie; oppure, nelle stesse aree, potrebbero essere raddoppiati i salari di migliaia di lavoratori che producono per la multinazionale stessa. Con l'equivalente di un anno di tassazione dei movimenti speculativi di capitale si potrebbero sottrarre dal lavoro e avviare a scuola tutti i bambini impiegati in attività pericolose, nocive e comunque inaccettabili, fornendo loro un reddito compensativo o alle loro famiglie più vantaggiose opportunità economiche. Con 25 miliardi di dollari - il costo di una breve guerra moderna - in dieci anni si potrebbero dotare tutti i bambini del sud del mondo di acqua potabile, sanità e istruzione di base. Un bel colpo alla fatica infantile nei settori di sussistenza.

Ma come sempre, la logica del profitto ha il sopravvento su ogni cosa. La bibbia della competitività internazionale si basa sulla delocalizzazione, nuovo fenomeno della lotta del capitale contro il lavoro. Se per risparmiare sui costi le imprese di alcuni settori sostituiscono i lavoratori con le macchine, in altre produzioni è più conveniente spostare la produzione laddove il costo del lavoro è nettamente minore per ragioni macroeconomiche, perché i lavoratori sono meno esigenti e i Governi più condiscendenti. Purtroppo le multinazionali vanno a inserirsi in realtà molto povere dove è facile trovare persone che, pur di uscire dal settore di sussistenza e dal lavoro informale che non riesce a sfamarli, volentieri accettano di lavorare per 80 ore la settimana e per un pugno di centesimi di dollaro all'ora. Lo scandalo è che le stesse multinazionali, considerandosi benefattrici perché direttamente o attraverso il subappalto pagano ai lavoratori qualcosa in più di quanto otterrebbero in attività per il mercato locale, poi spendono cifre enormi in pubblicità per contendersi un mercato limitato di consumatori - non più di un miliardo e mezzo - dato che per certi prodotti l'immagine fa vendere più del prezzo basso.

L'ITALIA, MEMBRO DEI SETTE "GRANDI", E I SUOI PICCOLI

Nel nostro Paese il lavoro infantile è oggi scomparso dalle statistiche ufficiali perché illegale, mentre tutte le stime concordano sul fatto che siano circa 500.000 i bambini che lavorano. Ecco alcuni titoli di giornali italiani che si susseguono in maniera sempre più ravvicinata: "Baby schiavi in sartoria a Rende (un laboratorio tessile che produceva per grandi firme impiegando anche bambine di 11 anni); "Centinaia di piccoli lavavetri schiavizzati a Modena: i genitori dal Marocco hanno pagato per offrire loro una chance in Italia...ma sono finiti nelle mani del racket"; "Piccoli cinesi incatenati: situazioni comuni in diverse regioni, questi laboratori - scantinati - abitazioni in cui intere famiglie lavorano sotto padrone a ritmi infernali"; "I 500 mestieri dei bambini di Napoli"; "La criminalità sul triciclo: soprattutto nelle regioni dove è forte la malavita organizzata i minorenni coinvolti in attività illegali (contabbando) o criminali sono decine di migliaia".

Ma che vuol dire baylavoratori? Al di sotto di quale età lo si è? Per sgombrare il campo da equivoci che risultano a volte paradossali citiamo la legge. La 977 del 1967 ha fissato l'età minima ammissibile al lavoro a 15 anni, 14 per il lavoro agricolo e i servizi familiari. Fra i 15 anni e la maggiore età si può lavorare, ma non in attività pericolose, faticose e insalubri. E' dunque proibito dalla Legge 977 il "lavoro dei fanciulli", mentre il "lavoro degli adolescenti" è regolamentato, non proibito. Uno studio della CGIL ha calcolato che in pochi anni sono state incredibilmente presentate all'INAIL migliaia di denunce per infortuni sul lavoro di minori di 15 anni. Esistono in effetti, nelle grandi città e nelle zone rurali del Sud, rilevanti sacche di lavoro infantile legato talvolta a un'economia familiare di sopravvivenza, talaltra a meccanismi di sfruttamento di manodopera a buon mercato, in agricoltura, nell'artigianato, nel terziario e nella famosa industria del "falso". A rinsaldare le economie illegali vi sono poi nuove vittime. Bambini stranieri, trascinati dalla povertà e gettati con qualche straccio ai semafori delle nostre grandi città ad elemosinare per ore e ore, o costretti a prostituirsi. Si stima che in Campania lavorano illegalmente 90.000 bambini, di cui 35.000 nella sola Napoli; la Confcoltivatori di Reggio Calabria denunciava nel 1994 la presenza di 15.000 bay-braccianti impiegati stabilmente al nero nella provincia, in aziende che ricorrono al lavoro minorile anche per non pagare i contributi. Parallelamente in diverse province il tasso di evasione scolastica o di abbandono della scuola raggiunge percentuali a due cifre. La crisi economica e quella dello stato sociale hanno fatto lievitare i casi di lavoro infantile. Aumenta la disoccupazione dei genitori, che finiscono ad arrangiarsi nel lavoro informale, ci vogliono i bambini a compensare la caduta del reddito familiare. Anche loro lavoratori in "nero", ovviamente.

Paese membro del G7, l'Italia può davvero vergognarsi non solo della quantità di bambini al lavoro o comunque fuori dalla scuola, ma anche della tipologia di queste attività. Rendiamoci conto: la convenzione dell'OIL n. 182, approvata nel giugno del 1999, si concentra sulle "forme peggiori di lavoro minorile" (minorile: riguarda infatti i ragazzi al di sotto dei 18 anni). Ebbene, fra queste forme estreme in bella evidenza c'è "l'uso dei minori in attività illegali"...E un Paese dei G7 non ha nemmeno la scusante di essere ridotto in povertà.

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