La
risposta di Norberto Bottani
Cara
Alessandra,
parecchie
settimane fa mi hai chiesto un commento sulla vicenda Moratti. Eravamo
a fine gennaio, alla vigilia dell'approvazione finale della legge
delega sulla scuola da parte del consiglio dei ministri, avvenuta il
1° febbraio.
Volevi
conoscere il mio parere su quel che stava succedendo, sul testo della
legge delega, sulla riforma Moratti. Poiché avevo fatto parte del
Gruppo ristretto di lavoro creato dal ministro il 18 luglio dello
scorso anno per "svolgere una complessiva riflessione
sull'intero sistema di istruzione", per "fornire
concreti riscontri per un nuovo piano di attuazione della riforma
degli ordinamenti scolastici", per proporre "eventuali
modifiche da apportare alla legge n.30 del 10 febbraio 2000",
la tua curiosità era più che legittima e la tua richiesta mi
onorava.
Cosa
ne penso ora della riforma della scuola, dopo gli stati generali, dopo
il forcing del ministro che ha preso le decisioni di sua competenza
sul piano politico?
Per
sgomberare subito il campo ...
Per
sgomberare subito il campo da qualsiasi malinteso ci tengo a dire che
il Gruppo ristretto di lavoro non è stato incaricato di preparare
nessuna riforma e che come membro di questo gruppo non ho mai pensato
un attimo di essere un consigliere del ministro. Per altro, il
ministro ha sempre ribadito, sin dall'inizio, che avrebbe esaminato le
nostre riflessioni e deciso in piena indipendenza sul da farsi, dopo
gli Stati generali. E' quanto è successo e bisogna almeno dare atto
alla signora Moratti d'avere rispettato l'impegno preso. Dopo gli
Stati generali si è messa al lavoro sul materiale che il gruppo di
lavoro le ha sottomesso; ha certamente lavorato anche su altro
materiale che non conosco; suppongo che si sia documentata anche
altrove, soprattutto all’interno del Ministero; ha consultato altre
persone, spero; ed alla fine , passate le feste , ha tirato fuori la
prima bozza della sua riforma.
Il
Gruppo di lavoro non ha più incontrato il ministro dopo gli stati
generali che si sono tenuti il 19 e 20 dicembre. Anzi, agli Stati
generali il ministro l'abbiamo solo visto ; non abbiamo discusso con
lei del nostro rapporto. Sui contenuti della nostra riflessione, sulla
sua impostazione, sugli indirizzi delle raccomandazioni non abbiamo
avuto nessuna discussione con il ministro dopo avere concluso in
maniera rocambolesca la stesura delle raccomandazioni. Per questa
ragione, mi sembra di dovere smentire l'interpretazione dominante
secondo la quale il Gruppo ristretto di lavoro avrebbe preparato la
proposta di riforma. Questa interpretazione è del tutto errata. La
tesi della continuità tra gruppo di lavoro, riforma e legge delega è
smentita da molti segnali. Sono piuttosto propenso a difendere la tesi
opposta di una sostanziale discontinuità tra gruppo di lavoro,
riforma e legge delega. La procedura di preparazione della legge
delega è contraddistinta da una netta soluzione di continuità tra il
gruppo di lavoro e la riforma. Dico questo non per sdoganarmi, ma
perché sono convinto della validità di questa interpretazione.
Purtroppo non sono in possesso di tutti gli elementi che mi potrebbero
permettere di documentare questa affermazione con prove alla mano,
anche perché non sono sul posto, non ho addentellati dentro il
ministero, ho altre gatte da pelare ( con tutto il rispetto che posso
avere per la scuola italiana), per cui non ho fatto uno sforzo per
raccogliere prove come si dovrebbe, ma penso proprio che la mia tesi
non sia sbagliata; vale per lo meno come la tesi opposta che ha
prevalso per tutta la durata dei nostri lavori, fino agli Stati
generali. Se dunque, la mia tesi della discontinuità è corretta,
allora non vale proprio la pena di tentare di comparare e giustificare
la legge delega del 1° febbraio con i lavori e le raccomandazioni del
Gruppo di lavoro, perché siamo di fronte a due sistemi eterogenei. La
legge delega è una cosa; le conclusioni del Gruppo di lavoro, per
altro redatte in fretta e furia, ne sono un'altra, molto diversa.
La
riforma Moratti ha una vita a se stante….
La
riforma Moratti, chiamiamola così per comodo, ha una vita a se
stante, ed in quanto tale va giudicata. Personalmente non mi perderei
nel giuoco della ricerca delle varianti e delle affinità rispetto
alle riflessioni ed alle raccomandazioni del Gruppo di lavoro. La
legge delega si basa su un impianto teorico e politico che non
conosco, che non ho decifrato, che non è spiegato da nessuna parte.
Il Gruppo di lavoro ha per conto proprio prodotto un testo dignitoso,
nel quale si esplicitano chiaramente gli indirizzi teorici perseguiti.
Alludo qui al testo firmato dal gruppo in corpore e non al lungo
documento prodotto dal presidente del gruppo.
Potrei
anche dire che il documento del gruppo di lavoro avrebbe potuto essere
migliore di quel che è: sono mancati il tempo, la calma, la
disponibilità, la serenità, il sostegno per compiere un lavoro più
decente, ma penso che chi sa leggere ha colto la novità del discorso
che il Gruppo di lavoro, con fatica, in mezzo a molta incomprensione,
ha tentato di svolgere per rispettare la missione iniziale. Detto
questo quindi non intendo affatto perdermi in un lavoro filologico sul
testo della legge delega, nè svolgere un'esegesi di questa legge che
è ormai sul terreno politico. Lascerei ad altri l'onere di leggerla
ed interpretarla. Mi pare che tu e i tuoi amici dell'ADI stiate
facendo molto bene questo lavoro. Non c'è nulla da insegnarvi.
Mi
sembra utile fare due appunti
A
questo punto invece mi sembra che sarebbe alquanto utile fare due
appunti che poi potrebbero confluire in una proposta: il primo
riguarda la possibilità di elaborare una riforma complessiva della
scuola in Italia; il secondo riguarda il percorso professionalizzante
che come giustamente dici costituisce il perno di qualsiasi riforma
della scuola. La proposta finale sarebbe un invito a cambiare
radicalmente rotta ed a concepire un progetto per la scuola italiana
secondo le regole dell'arte, come si fa con un progetto d'architettura
o d'urbanistica.
In
questo messaggio non sono in grado, più per mancanza di tempo che per
altro, di trattare questi punti. Mi limito quindi ad accennarli ,
anche perché mi sembra che dovremo riprenderli, perché sollevano
questioni che la legge delega non affronta e che nemmeno affrontava la
legge 30 sul riordino dei cicli di Berlinguer.
La
questione della fattibilità di una riforma globale
La
questione della fattibilità di una riforma globale del sistema
scolastico italiano:
per
il momento non ci sono le premesse per una riforma globale della
scuola in Italia. Non ci sono dati a sufficienza per cui si lavora
senza rete di sicurezza; non ci sono sperimentazioni rigorose; non ci
sono ipotesi alternative; non ci sono simulazioni attendibili; non
c'è una ricerca scientifica sulla scuola; la valutazione sistemica è
poco più che balbuziente e il ministero non è attrezzato per
concepire, programmare e condurre una riforma. Al posto delle
maxi-riforme lasciamo piuttosto spazio alle cosiddette sperimentazioni
o alle mini-riforme che hanno fin qui avuto il pregio di evitare
l'artrosi del sistema scolastico italiano.
La
formazione professionale: l’esempio francese
questa
è proprio una battaglia da condurre senza tregua. Se l'Italia non
riesce a valorizzare l'apprendistato e a creare una modalità di
formazione qualificante che passa dal tirocinio in azienda per
sfociare, se si vuole, in una formazione professionale superiore,
tutte le battaglie scolastiche sono destinate a fallire. Proprio
mentre veniva presentata la legge delega, la camera
dei mestieri in Francia proponeva un piano di rivalorizzazione
dell'apprendistato nei mestieri dell'artigianato. Il settore forma in
Francia ogni anno 160.000 apprendisti. Troppo pochi. Per il 2002,
l'obiettivo è di reclutarne 175.000, ma per riuscirci si deve
modificare la rappresentazione spesso errata che hanno i giovani e le
famiglie dei mestieri dell'artigianato. Nel 2001, il numero globale
degli apprendisti in formazione era di 370.000, con una crescita
dell'1,5 per cento rispetto all'anno precedente. Il numero degli
apprendisti è raddoppiato in quattro anni, dal 1996 al 2000. Questo
è il risultato di una politica deliberata decisa agli inizi degli
anni Novanta per combattere sia la disocccupazione giovanile che il
fallimento scolastico alla fine della scuola media. Nonostante questo
spettacolare cambiamento di rotta, in Francia si ritiene che questo
aumento sia insufficiente per fronteggiare la carenza di manodopera.
Tanto
per mettere i puntini sulle "i" ricordo che il contratto
d'apprendistato è un contratto di lavoro a durata determinata – in
Francia di solito di due anni-- che procura gli stessi diritti che
hanno tutti i salariati. In Francia, il contratto d'apprendistato
prevede 400 ore di scuola all'anno in un centro di formazione degli
apprendisti durante le quali si imparano le basi teoriche del mestiere
e si approfondiscono i saperi fondamentali del bagaglio culturale
essenziale per vivere in società democratiche complesse come le
nostre. Le conoscenze tecniche vengono messe in pratica nelle aziende
allo scopo di ottenere una qualifica, un diploma, una maturità
professionale, un diploma d'ingegnere o un titolo omologato dagli albi
professionali.
L'apprendista
in azienda è seguito da un maestro di tirocinio che deve essere
qualificato per svolgere questo compito. L'azienda è esonerata dai
contributi sociali e riceve un premio di 1500-1800 euro come aiuto
alla formazione, nonché un sussidio di 915 euro per il reclutamento
di ogni apprendista da parte di un'azienda di almeno 20 operai.
L'apprendista è pagato con un salario che varia a seconda dell'età e
dell'anzianità, tra il 25% e il 78% dello SMIC ( il salario
minimo).La Francia, che dieci anni fa non aveva quasi apprendisti ci
dimostra che se si vuole si può creare un servizio statale o pubblico
di formazione di qualità . In Italia, il campo della formazione
professionale è occupato dalle regioni e dai privati ( i centri
professionali in mano ai Salesiani). Questo non è un argomento per
rinunciare a risolvere il problema o peggio ancora per liberarsene. La
responsabilità dello stato trascende queste quisquilie partigiane,
perché lo stato ha una responsabilità enorme nei confronti dei
giovani che lasciano la scuola dell'obbligo impreparati, disgustati,
senza nessuna motivazione. Bel risultato per la scuola. Inoltre, non
scordiamocelo, lo stato è un attore principale della vita economica,
deve interpretare e difendere gli interessi collettivi della nazione e
soprattutto quelli degli individui più deboli e più fragili.
L'assenza dello stato dalla riflessione sul riordino, la
modernizzazione, la ristrutturazione, il rilancio della formazione
professionale non è scusabile ed è inaccettabile.
Sarebbe
buona cosa accettare il principio del federalismo scolastico senza
più riserve mentali
La
scuola e la " devolution "
Per
finire, dopo avere constatato l'evoluzione del quadro amministrativo
italiano con la "devolution" delle competenze alle regioni (
mi sembra che si tratti dell'articolo 117 della costituzione), sarebbe
buona cosa accettare una volta per tutte il principio del federalismo
scolastico senza più nessuna riserva mentale, senza calcoli meschini
e considerazioni fumose che mascherano malcelati interessi corporativi
e studiare un piano serio, dettagliato, completo di decentramento
completo del sistema scolastico italiano. Nessuno può pretendere di
realizzare un piano del genere dall'oggi al domani, anche perché lo
si deve preparare con grande professionalismo, studiarlo nei dettagli
e pianificarlo rigorosamente senza avventure stile "onda
anomala". Ci vorranno dieci-quindici anni per trasformare la
scuola. Il progetto quindi non potrà essere che bi-partisan, come si
suol dire ora, perché nessuno ha la certezza che una stessa
maggioranza possa governare così a lungo. Per questa ragione,
l'influsso principale lo eserciterà il gruppo che saprà prepararsi
meglio. Inviterei quindi chi crede ancora che valga la pena fare
qualcosa per migliorare la scuola a riunirsi, a chiedere una moratoria
sulle riforme , ed a ritirarsi su qualche collina romagnola per
lavorare alla preparazione della scuola del 2015 o del 2020. Ci vuole
molto tempo e molta perseveranza per farlo. Forse ci vogliono anche
soldi. E' una sfida, ma chi ha fede -- quella laica nella razionalità
pragmatica -- potrebbe anche vincerla.
Norberto
Bottani
Ginevra
11 Marzo 2002
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