L'EMPIRISMO LOGICO
da Cioffi.., Corso di filosofia.., cit., p.773

Nell'agosto del 1929, a Vienna, viene pubblicato un opuscolo di circa sessanta pagine dal titolo La concezione scientifica del mondo, a firma di Hans Hahn, Otto Neurath e Rudolf Carnap (vedi Testi , Unità 29 - testo 1).
Edito dall'Associazione Ernst Mach, presieduta da Moritz Schlick, l'opuscolo si propone di indicare le linee fondamentali del programma del gruppo di scienziati e filosofi noto in Europa con il nome di Circolo di Vienna (vedi APPROFONDIMENTI Il Circolo di Vienna e il Circolo di Berlino). Obiettivo della società viennese è quello di favorire e diffondere una "visione scientifica del mondo" e di dare luogo a una "scienza unificata", in grado di comprendere tutte le conoscenze intorno alla realtà conquistate dall'uomo nei secoli, senza dividerle in discipline particolari, separate e fra loro sconnesse. "Le discussioni del Circolo - come ricorda Herbert Feigl, uno dei suoi più giovani partecipanti - vertevano intorno ai fondamenti della logica e della matematica, alla logica della conoscenza empirica, e solo incidentalmente entravano nel campo della filosofia delle scienze sociali e dell'etica."
La maggior parte dei membri del Circolo e del movimento che ne scaturisce, l'empirismo logico, si era formata nell'ambito delle discipline scientifiche, specie della fisica e della matematica (risentendo dell'influenza di Helmholtz, Boltzmann, Planck, Einstein) e aveva partecipato alle discussioni metodologiche che si erano sviluppate in questi campi ai primi del secolo (per esempio, sul significato della teoria della relatività). Per questo, essi hanno l'ambizione di presentare le proprie concezioni come l'unica forma di filosofia davvero rispondente ai problemi metodologici della scienza del tempo.
I diversi ambiti della scienza possono ricevere un fondamento unitario? Esiste un criterio per discernere le proposizioni dotate di contenuto empirico da quelle che ne sono sprovviste? Che significato hanno, nel linguaggio scientifico, i cosiddetti termini teorici, ossia quei termini che non si riferiscono ad alcunché di direttamente osservabile? Fino a che punto le teorie possono fondarsi su procedimenti di tipo induttivo? Esiste una distinzione fra verità logiche e verità di fatto, fra proposizioni sintetiche e analitiche, oppure la scienza si risolve interamente nel suo contenuto empirico? Qual è la definizione di legge scientifica? Nella discussione di queste e di altre importanti questioni metodologiche e gnoseologiche - questioni che abbiamo già visto affermarsi nell'ambito delle teorie della conoscenza ottocentesche (vedi PROFILO STORICO Psicologismo e realismo: Fries, Beneke, Herbart; Le trasformazioni delle scienze) - l'intento degli empiristi logici è in primo luogo quello di porre in evidenza il carattere problematico dei risultati e dei metodi della scienza moderna, senza che ciò conduca tuttavia a una svalutazione della portata conoscitiva della scienza stessa.
Gli strumenti logici e sperimentali di cui si serve la scienza rimangono, a loro parere, gli unici strumenti di conoscenza effettiva. Non esistono, infatti, conoscenze conseguibili con metodi differenti da quelli delle scienze: la razionalità umana coincide con la razionalità scientifica; la "teoria della conoscenza" si risolve integralmente nell'ambito dei problemi filosofici da quest'ultima sollevati.
Si comprende così come, fin dalle sue origini, il Circolo di Vienna ponga a fondamento del proprio programma l'eliminazione della metafisica, termine nel quale si viene a comprendere gran parte della filosofia tradizionale. Nel 1935, in un breve scritto di Neurath dedi allo Sviluppo del Circolo di Vienna e l'avvenire l'empirismo logico, i fondamenti del movimento gono fissati schematicamente in quattro punti: 1) concezione antimetafisica; 2) l'empirismo come riferimento gnoseologico generale; 3) l'uso della logica come metodo di analisi; 4) la tendenziale matematizzione di tutte le scienze.
A parere di Neurath, questi elementi caratterizzano, in modo completo la nuova "filosofia scientifica", tanto che la mancanza di uno di essi è sufficiente a comprometterne la coerenza.

Il Circolo di Vienna
da Cioffi.., Corso di filosofia.., cit., p. 774

Ne La concezione scientifica del mondo Hahn, Neurath e Carnap disegnano la mappa dei precursori dell'empirimo logico.
Quest'ultimo si caratterizza innanzitutto per il proprio atteggiamento "neoempirista": la critica humeana della metafisica e la distinzione che il filosofo scozzese introduce, all'interno delle forme della conoscenza, tra l'ambito degli enunciati fattuali e quello dei ragionamenti deduttivi sono temi che vengono assunti integralmente. La metafisica tradizionale - affermano Schlick e i suoi seguaci - si fonda su concetti indeterminati e su argomentazioni inconcludenti, dando luogo a discussioni sterili su pseudoproblerni. Essa adopera enunciati privi di contenuto empirico e, in quanto tali, né veri né falsi. La metafisica, in particolare, sorge quando vengono accettati come significanti termini che non han-no alcun riferimento nell'esperienza ("cosa in sé", "idea", "essere"); con essi poi vengono costruiti enunciati che pretendono di parlare della realtà, mentre invece - al massimo - sono in grado di esprimere stati d'animo, sentimenti (vedi TESTI, Unità 29 - testo 3).
L'istanza antirnetafisica avvicina il movimento viennese anche al positivismo ottocentesco di Comte: per questo viene chiamato anche "neopositivismo" o "positivismo logico". Tra quest'ultimo e il positivismo classico corre tuttavia un'importante differenza: per Comte gli enunciati metafisici sono ipotesi le quali, una volta sopravvissute al loro periodo di utilità, vanno rigettate (il riferimento qui è alla nota legge comtiana dei tre stadi di sviluppo); per il Circolo di Vienna, invece, tali enunciati non sono inutili, ma semplicemente privi di senso.
Inoltre, per Comte una funzione preminente viene assunta dall'analisi storica delle forme della conoscenza (la metafisica ha avuto, in una certa fase dello sviluppo umano, una funzione significativa); agli empiristi logici, al contrario, almeno nella fase iniziale della loro riflessione, la prospettiva storica rimane sostanzialmente estranea.
Assai più significativo, per il Circolo di Vienna, è il riferimento all'opera e al pensiero di Ernst Mach (vedi PROFILO STORICO Epistemologia e critica della scienza). Mentre per Comte, come si ricorderà, l'avvento della scienza segna la fine della metafisica, per Mach il pericolo metafisico è sempre presente, in quanto si nasconde all interno delle teorie scientifiche, anche di quelle più accreditate (come la stessa meccanica classica galileiano-newtoniana). In questa prospettiva, la critica della metafisica diventa in primo luogo un'istanza metodologica interna alla scienza, volta a impedire generalizzazioni non fondate empiricamente. La validità conoscitiva della scienza, di conseguenza, risulta giustificata sulla base della riducibilità o meno dei propri asserti a proposizioni concernenti sensazioni. Proprio a questi elementi "empiristi" e "critici" guarda il Circolo di Vienna nel tentativo di definire un rigoroso "criterio di demarcazione" tra enunciati metafisici e proposizioni "genuinamente scientifiche".

L'ISTANZA ANTIMETAFISICA
Al fine di costruire un "empirismo senza metafisica", il neoempirismo ricorre all'uso degli strumenti offerti dalla logica formale. Con questa espressione, si intende la disciplina che formula le regole di inferenza richieste per la costruzione di una teoria scientifica e il complesso di condizioni che ne permette un'esatta determinazione. Già Leibniz, come si ricorderà, aveva affermato la necessità della logica per l'esatta costruzione della scienza. Ora, attraverso gli strumenti logici perfezionati da autori come Peano, Frege, Russell e soprattutto Wittgenstein, il Circolo di Vienna si propone la costituzione di un linguaggio scientifico logicamente perfetto, strumento essenziale per l'eliminazione della metafisica dal corpo della scienza. Tratto distintivo nei confronti sia dell'empirismo classico, sia del positivismo comtiano, l'uso del metodo logico di analisi consente di eliminare come privi di significato problemi ed enunciati metafisici e di chiarire il significato di concetti e proposizioni della scienza empirica, mostrando il loro contenuto osservativo. Conosciamo già le condizioni che Wittgenstein, nel Tractatus, pone circa la relazione che deve intercorrere, affinché un linguaggio possa dirsi rigoroso, fra la proposizione e il fatto. Essi devono avere la stessa forma logica: ossia, a ogni elemento di quest'ultimo deve corrispondere uno e un solo elemento dell'altra, secondo una "legge di proiezione" analoga a quella che si applica, per esempio, fra una sinfonia e lo spartito che la raffigura.

La necessità dell'analisi logica del linguaggio
Nel linguaggio naturale, questa corrispondenza è quasi nascosta dai molteplici e imperfetti usi che il linguaggio stesso subisce. Questo è il motivo, per Russell come per Wittgenstein, per il quale il linguaggio quotidiano suscita di continuo malintesi e questioni insolubili. Ciò vale tuttavia anche in filosofia, dove - come leggiamo nel Tractatus - "la maggior parte delle proposizioni e dei problemi non è falsa, ma è priva di senso". Wittgenstein apre in questo modo la strada al gruppo viennese, il quale mette al centro della propria ricerca la definizione di una rigorosa teoria del significato. Scrivono Hahn, Neurath e Carnap: "Esiste un confine preciso fra due tipi di asserzioni. All'uno appartengono gli asserti formulati nella scienza empirica: il loro senso si può stabilire mediante l'analisi logica; più esattamente col ridurli ad asserzioni elementari sui dati sensibili.
Gli altri asserti si rivelano affatto privi di significato, assumendoli come li intende il metafisico" (vedi TESTI, Unità 29 - testo 1). Ritroviamo qui, con grande chiarezza, la concezione wittgensteiniana per cui le proposizioni sono funzioni di verità di proposizioni elementari, che hanno un contenuto empirico in quanto esprimono fatti elementari atomici.

Il criterio di significanza empirica
La primitiva teoria del significato dell'empirismo logico viene elaborata da Moritz Schlick, in parte autonomamente, in parte sotto l'influsso delle tesi wittgensteiniane. Il testo più organico in cui la teoria riceve esposizione è tut-tavia la Costruzione logica del mondo di Carnap, del 1928, la cui versione iniziale risale però già agli anni tra il 1922 e il 1925.
In una posteriore "confutazione" del punto di vista neoempirista, il filosofo austriaco Karl Popper intende questa teoria come una concezione "naturalistica" del significato: in essa, infatti, ogni espressione linguistica è dotata o no di significato per sua natura, "allo stesso modo che una pianta è o non è verde di fatto e per natura e non in base a certe regole convenzionali". Tale teoria mette capo a un criterio di significanza formulabile in questi termini: una determinata espressione linguistica è una proposizione dotata di significato se, e solo se, soddisfa le seguenti due condizioni:
I. tutte le parole che vi ricorrono hanno significato;
2. tutte le parole inoltre si "combinano" l'un l'altra in maniera logicamente coerente.

La costruzione dei concetti e le regole d'uso dei termini
La prima delle due clausole afferma che una successione di parole non ha significato se una qualsiasi di esse non ha significato. Già secondo l'empirismo classico, il solo modo di dare significato a una parola è quello di associarla a particolari esperienze osservative (fenomeni). Il punto di vista carnapiano dunque è fenomenista: egli intende mostrare come tutti i concetti adoperati dalle scienze devono essere definiti sulla base di esperienze percettivo-osservative. Il filosofo tedesco chiama questa definizione di un concetto la sua "costituzione". A suo parere, i concetti della metafisica non possono essere costituiti. La prima condizione non è tuttavia sufficiente.
Consideriamo infatti il seguente enunciato (l'esempio è di Schlick): "Vado in un paese il cui cielo è tre volte più azzurro del cielo di Inghilterra". In questa frase, ogni parola ha un significato: la condizione i è soddisfatta. Tuttavia, le parole sono "combinate" in modo non corretto: infatti, i termini "azzurro e tre sono associati in un modo non previsto dalle regole del linguaggio usato. Pertanto l'enunciato in questione non ha significato. Potrebbe averlo, invece, qualora fossero introdotte regole linguistiche diverse, in cui l'associazione di un termine indicante un numero e di un termine indicante un colore esprimesse determinate situazioni naturali osservabili, come per esempio una determinata gradazione di serenità del cielo. La clausola 2, per questo, afferma che perché una proposizione sia significante, essa deve rispettare le regole d'uso (la "grammatica" direbbe Wittgenstein) dei termini che la compongono (vedi Testi, Unità 29 - testo 2). Agli occhi degli empiristi logici, il rispetto di questa seconda condizione appare tanto più importante in quanto la sua violazione è alla base delle pseudo-proposizioni della metafisica.

IL PRINCIPIO DI VERIFICAZIONE
da Cioffi, cit, p. 776
Il significato di una proposizione è dato dunque dalle condizioni della sua verificazione (vedi VERIFICAZIONE): hanno significato solo le proposizioni passibili di verifica fattuale (in campo scientifico, gli asserti delle cosiddette scienze empiriche). Una proposizione è significante se, e solo se, è riducibile a proposizioni atomiche, ossia a proposizioni che esprimono fatti elementari; dalla verità ditali enunciati osservativi segue la verità della proposizione di partenza. Perché ciò sia possibile tuttavia:
a) devono essere date le relazioni di derivabilità delle proposizioni in questione dalle proposizioni atomiche;
b) il significato di queste ultime deve risultare in maniera diretta, attraverso il riferimento immediato ai dati dell'esperienza: la verifica consiste appunto nel controllare se determinati stati di cose si verificano oppure no nelle situazioni indicate dalla proposizione. Scrive, a questo proposito, Schlick: "Il criterio per la verità o la falsità di una proposizione consiste nel fatto che, sotto determinate condizioni, alcuni eventi si danno oppure no. Se si è stabilito ciò, si è stabilito tutto quello di cui nella proposizione si parla, e con ciò si conosce il suo significato".
Gli empiristi logici convengono, al riguardo, che perché una proposizione sia significante basta che essa sia verificabile in linea di principio, ossia basta che esistano circostanze logicamente possibili, non obbligatoriamente attuali, che, verificandosi, ne determinino in modo definitivo la verità. Ciò consente di escludere - nell'esempio che veniva fatto fino agli anni sessanta - che proposizioni concernenti le montagne dell'altro lato della luna siano ritenute prive di significato, ossia prive di contenuto conoscitivo.

La non significanza delle proposizioni senza base empirica
In conclusione, per essere significanti le proposizioni devono fondarsi su una base empirica; proposizioni e Concetti non fondati sono "vuotio". Il criterio di significanza risulta definito in questo modo in termini strettamente emp iristici. Scrive Carnap: "Si può sapere se una proposizione ha significato prima di sapere se è vera o falsa E...]. Per farlo è necessario e sufficiente indicare le si-tuazioni sperimentali (solo pensabili) in cui si potrebbe chiamare vera e quelle in cui si potrebbe chiamare falsa". Al di fuori delle proposizioni della logica e della matematica, che hanno uno stattito analitico e come tali non dicono alcunché sul mondo, le proposizioni hanno senso solo se rappresentano un possibile stato di cose (e al loro interno i singoli termini hanno significato solo in quanto indicano oggetti di fatto).
Ritroviamo, in questa argomentazione, una tematica di chiara matrice witt-genstetmana e, sullo sfondo, la concezione di Mach per cui tutte le proposizioni delle scienze naturali sono definibili (e come tali possono essere controllate nella loro verità o falsità) in termini di "esperienze elementari".

Esiste una base empirica per le proposizioni universali?
Consideriamo ora l'enunciato "X è caldo": sulla base di quanto abbiamo detto fin qui, non può essere inteso come una proposizione significante. Infatti. di esso non si può ragionevolinente dire se sia vero o falso. E chiaro, tuttavia, che basta sostituire alla variabile una costante qualsiasi per ottenere una proposizione dotata di significato. Consideriamo, ancora, la proposizione "Tutti gli oggetti di questo laboratorio in questo istante sono riscaldati". Essa è, intuitivamente, significante; si tratterà di vedere, nel nostro laboratorio, se in questo istante tutti i corpi soiio effettivamente riscaldati, oppure no. E evidente che, in questo secondo esempio, abbiamo a che fare con una proposizione che fa riferimento a un insieme finito di oggetti, il che richiede un numero finito di prove. Consideriamo, infine, la proposizione "Tutti i corpi, che vengono riscaldati, si dilatano". Sembra qui emergere una difficoltà: si tratta, infatti, di un comune enunciato concernente il mondo empirico, espresso tuttavia nella forma di una proposizione universale (Tutti...). Intuitivamente, è difficile negare a questo enunciato un significato: sarà magari falso, ma non certo "vuoto". Eppure, quante verifiche dobbiamo fare per questa proposizione? Evidentemente, infinite; il che è però, di fatto, impossibile. Ma allora, se accettiamo il criterio di significanza empirica, dobbiamo forse escludere questo enunciato come privo di significato, in quanto, in linea di principio, non può essere verificato in tutti i casi?

Schlick: le leggi naturali come regole per il lavoro scientifico
La questione non è di secondaria importanza: in gioco vi è la pretesa universalità delle "leggi naturali". Per accettare queste ultime come proposizioni dotate di significato - come il senso comune indurrebbe a fare, nonostante di esse non si possa mai essere assolutamente certi - occorre "liberalizzare" il criterio di significanza, non basandolo più su un principio di verificazione così stretto, come quello che abbiamo definito in precedenza. Viceversa, non accettarle come significanti vorrebbe dire metterle sullo stesso piano delle espressioni della metafisica. Nel 1931, Schlick dà al problema la soluzione per cui le "leggi naturali" non sono proposizioni, in quanto non possono essere verificate per tutti i casi. Esse sono invece "regole" che lo scienziato segue nel suo lavoro per prevedere gli eventi e che consentono il passaggio da una proposizione singolare a un'altra proposizione singolare. Esse, dunque. hanno una portata conoscitiva, pur senza essere proposizioni: in particolare, formano il sistema regolativo con cui il ricercatore affronta il futuro. Per esempio. "Tutti i corpi riscaldati si dilatano" dice che ogni volta che scaldiamo un corpo, dobbiamo aspettarci che si dilati. La posizione di Sch1ick, che non modificava nella sostanza la posizione originaria del Circolo di Vienna, non mancò tuttavia di dare origine a numerose perplessità e di sollecitare un superamento della formulazione primitiva del principio di verificazione. Primo passo per una nuova teoria del significato sarà il rifiuto della prospettiva del fenomenismo, che aveva caratterizzato fin qui l'empirismo logico, è il passaggio al cosiddetto fisicalismo.

Dal fenomenismo al fisicalismo
da Cioffi, cit, p. 779
La controversia che si accende, in seno al movimento viennese, fra il punto di vista fenomenjsta - difeso da Schlick - e quello fisicalista non va interpretato come uno scontro tra ontologie differenti.
Nel gruppo degli empiristi logici, le tesi tradizionali realistica e idealistica, circa l'esistenza o la non esistenza del mondo esterno indipendentemente dalla nostra esperienza, vengono generalmente interpretate come pseudo-enunciati privi di significato. Se nei primi anni del movi-mento, autori come Schlick e Reichenbach avevano palesato una certa inclinazione a individuare nel realismo la concezione ontologica di riferimento, successivamente, grazie a Neurath e Camap, prevale la convinzione secondo la quale l'affermazione della realtà del mondo esterno è epistemologicamente inutile, per cui all'indagine filoso-fica va attribuito essenzialmente un carattere non ontolo-gico, ma linguistico: non si tratta di scegliere tra "metafisiche" differenti, ma tra linguaggi diversi, più precisamente tra interpretazioni differenti di quegli enunciati-base a cui è riducibile l'intero sistema concettuale della scienza.

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