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"Per via di levare". Psicoanalisi e Sculturadi Luca TrabuccoPresentazione dell'opera di Alfonso M. Gialdini "We cannot say at what point tecnique begins or where it ends" Naturalmente l'opera del Mo. Gialdini mi emoziona. Mi emoziona il materiale che
costituisce il substrato del suo stile scultoreo, che non è chiaramente
casuale e ininfluente nella realizzazione dell'idea che si materializza,
non rappresentando un arricchimento esteriore e/o compensatorio di una
insufficienza artistica. Cercherò di tracciare un breve percorso attraverso il pensiero psicoanalitico per dare le coordinate della mia personale "estetica". La primitiva concezione freudiana lega
la creatività artistica al concetto di "sublimazione" delle
mete pulsionali parziali. In particolare la scultura rappresenterebbe
una sublimazione della fase coprofilica dello sviluppo del bambino.
Tuttavia la stima in cui Freud tiene l'artista per la capacità di
descrivere le leggi e le modalità di funzionamento dell'inconscio, che
solo a costo di grandi sforzi egli riuscì ad individuare e formulare,
fa pensare ad un'idea di fondo sulla creatività artistica più
"creativa" e meno legata alla meccanica pulsionale. Elliot Jaques (1965) ha individuato,
tra l'altro, questo momento riparatorio nella "crisi di mezza
età", legata alla elaborazione depressiva del lutto per la propria
esistenza, e per le proprie fantasie di eternità ... Nel mezzo di
cammin di nostra vita ... Sebbene il sadismo primario e gli
aspetti persecutori e proiettivi rappresentino sicuramente elementi
essenziali nello sviluppo psichico, non può essere considerato che come
uno degli elementi in causa, essendo l'altro per l'appunto l'oggetto
nella sua realtà materiale. E' dal gioco e col gioco che l'uomo impara a creare, dapprima grazie alla capacità della madre di creare un'illusione di onnipotenza attraverso la "presentazione dell'oggetto", ovvero offrendo al bambino l'oggetto desiderato quasi ad anticipare il bisogno, lasciandogli l'illusione di essere stato lui stesso, con l'onnipotenza del suo pensiero, a crearlo; quindi attraverso una graduale disillusione a conquistare l'oggetto, attraverso il suo uso, primo possesso non-me, dove il bambino ritrova sia se stesso che la madre. E' propriamente in questo oggetto intermedio che ritroviamo la forma dell'opera d'arte, espressione al contempo della più profonda soggettività, così come del legame con l'oggetto. E' questo legame, l'ombra dell'oggetto che si protende nell'Io, secondo l'immagine freudiana ripresa ed elaborata da Bollas (1987), che lega l'espressione della creatività individuale alla matrice culturale in cui si sviluppa, ed è da questo legame che l'opera d'arte trae la sua essenza comunicativa. Tuttavia, a mio avviso, bisogna andare
ancora al di là di Winnicott per entrare più a fondo nel mistero della
creatività, e in particolare per concepire lo strutturarsi di uno
spazio in cui si fondono spontaneità emozionale e pensiero espressivo. Faccio qui riferimento a un concetto presente nella formulazione di Bion in "Una teoria del pensiero" (1962), dove viene evidenziata la necessità della congiunzione tra preconcezione e frustrazione perché possa formarsi il pensiero, l'area simbolica della mente. Mentre la congiunzione tra preconcezione e soddisfazione genera un concetto: la creatività artistica ha sicuramente a che fare con pensieri e simboli e non con concetti. La frustrazione è introdotta dalla presenza sulla scena del legame primario dalla figura del padre, che interdice la fantasia di possesso illimitato dell'oggetto, sia nel senso del bambino verso la madre, che viceversa. In questa "preconcezione edipica" (Di Chiara e coll., 1985) il terzo è sempre sullo sfondo come elemento capace di creare uno spazio mentale, di dare quella profondità alla relazione per cui gli oggetti, sfuggendo al controllo onnipotente dell'Io, debbono essere introiettati andando a costituire il mondo interno. Nell'ambito della creatività artistica è in base a questo modello che si può concepire lo "stile". E' attraverso il proprio stile che l'artista manifesta se stesso nella maniera più profonda, ma nel contempo non investe il fruitore della sua opera con un fluire caotico di manifestazioni (quasi) dirette del proprio inconscio -il processo primario allo stato puro non è dato di percepirlo-, come capita quando ci troviamo di fronte a forme di cattiva arte o pseudo arte. Con lo stile, espressione della mediazione tra inconscio e pensiero, egli offre un prodotto che, in quanto permeato di "cultura" -i fenomenologi forse direbbero di intersoggettività- riesce a far vibrare delle "corde" che all'interno di ogni uomo trovano un qualche tipo di risonanza. In questi casi siamo di fronte ad un artista che riesce ad essere comunicativo, a non rimanere chiuso in un universo individuale dove regna l'onnipotenza e la sterilità. Come osserva Ferrari (1994) lo stile rappresenta la risultante di una "corrispondenza strutturale tra il bisogno di ogni individuo di ordinare e controllare il proprio caos interno e certe norme e principi estetici" (p. 33). Andando al di là del discorso di Ferrari, che basa le sue considerazioni su di un modello freudiano-kleiniano, e quindi la corrispondenza di cui parla fa riferimento al principio di costanza, possiamo pensare a questa corrispondenza in base al principio della ricerca dell'oggetto, e quindi rispondente ad un fondamentale bisogno comunicativo, che ha il suo modello nella identificazione proiettiva e nella rèverie materna di cui parla Bion, teso alla comprensione di Sé attraverso l'altro. Credo che questa esigenza comprensiva
sia alla base dell'opera artistica, in cui l'artista tende a risolvere
il problema della pensabilità e della vivibilità della propria
condizione umana. Sicuramente ciò è presente nell'opera di Gialdini. Il primo e più evidente è dato dalla
ricerca di forme e linee che costantemente accolgono lo sguardo in una
serie di rimandi che definirei "prospettici", catturando
l'attenzione in questa tensione verso il centro di un movimento costante
verso quella che mi sembra l'essenza della scultura di Gialdini:
l'accoglimento di una realtà sfuggente, o, complementarmente, lo
sfuggire dell'elemento accogliente rispetto alla realtà che le si
propone. In ogni pezzo troviamo questo
contraddirsi del sentimento. Sia attraverso il contenuto, quando per
esempio compare un elemento "maschile" a rompere l'unione che
sembra realizzarsi, sia attraverso il rapporto col materiale, di cui
parlerò più avanti. L'elemento maschile, che può apparire
esplicitamente o simbolicamente, come figure che traspaiono nella figura
femminile, asce o incudini o armi, o nella struttura androide che
talvolta in certi particolari contraddistingue l'elemento femminile,
rappresenta proprio l'elemento separante nel senso che dicevo più
sopra. E' quell'elemento che separando però permette anche di
realizzare il rapporto, evitando una fusione conglutinante, che, nella
scultura, sarebbe la fine della comprensibilità finendo forse per
creare unicamente una massa informe. Tendere al contenimento del sentimento
rappresenta propriamente a mio avviso il nucleo dell'esperienza del
"bello", dell'esperienza estetica. Il sentimento contenuto
apre alla creazione in quanto non si ha a che fare solo con l'esperienza
rimossa, cioè già in qualche modo vissuta, ma con la rivelazione di
aree della mente che devono essere ancora simbolizzate (v. anche
Magherini, 1992, 1997), che hanno a che fare con esperienze mentali che
devono trovare ancora la loro pensabilità (Tagliacozzo, 1982). Nelle sculture di Gialdini questa
trasformatività viceversa si percepisce costantemente: si percepisce
come l'equilibrio delle forme e delle linee, e di queste con la natura
del materiale, abbia comportato un lavoro lungo di reciproca interazione
trasformativa. E si percepisce come la figura risultante sia stata
"estratta" dal materiale di cui è fatta, con ispirazione
michelangiolesca, ma rispondendo ad un bisogno di confrontarsi con una
realtà che al contempo contiene l'idea e si oppone al realizzarla. Nel materiale sembra essere ricercata
la sua profonda sostanza emozionale, la fibra del legno, il colore e la
trama della roccia, quasi a volerla "tirar fuori" a fronte di
una resistenza ineludibile. Il corpo è elemento costitutivamente
ambiguo proprio in ordine alla esigenza di integrazione: esso infatti
rappresenta l'elemento intorno al quale si costituisce l'identità del
Sé, come nel contempo rappresenta ciò che ne fonda la dissoluzione. Freud riprese la formula leonardesca
"Per via di levare", che contraddistingue il modo di procedere
della scultura contrapposto a quello della pittura, "Per via di
porre", per distinguere il procedere analitico rispetto ai metodi
suggestivi. L'analisi, eliminando tutto ciò che cela la verità
profonda dell'uomo, tende a raggiungere la sua più intima essenza
individuale e nel contempo a rivelarne la sua "umanità" più
universale, pur dovendosi prima o poi scontrare con lo "strato
roccioso" di ciò che non può essere detto, e che purtuttavia e
proprio ciò che stimola più profondamente la nostra curiosità. Riferimenti bibliografici Barale F.; Ucelli S. (1997) Il corpo e
la psichiatria, La via del sale, I,1, pp. 51-65.
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