Lectio
divina di Mt 2,1-12 - domenica 06.01.2002 – Epifania del Signore
[1] Gesù nacque a Betlemme
di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a
Gerusalemme e domandavano: [2] "Dov'è il re dei Giudei che è stato
partorito? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per prostrarci
davanti a lui". [3] All'udire queste parole, il re Erode restò
turbato e con lui tutta Gerusalemme. [4] Riuniti tutti i sommi
sacerdoti e gli scribi del popolo, indagava da loro: “Dov’ è generato
il Cristo?”. [5] Gli risposero: "A Betlemme di Giudea, perché così
è scritto per mezzo del profeta: [6]E tu, Betlemme,
terra di Giuda, [7] Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella [8] e li inviò a Betlemme esortandoli: "Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga a prostrarmi davanti a lui". [9] Udite le parole del
re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel
suo sorgere, li precedeva, finché giunse e stette sopra il luogo dove
si trovava il bambino. [10] Al vedere la stella, essi provarono una
grandissima gioia. [11] Entrati nella casa, videro il bambino
con Maria sua madre, e si prostrarono davanti a lui. Poi aprirono i
loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. [12] Avvertiti
poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra via si ritirarono
nel loro paese. |
*Le parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio
Lectio
Questa
è la narrazione di un viaggio alla ricerca di Dio. E’ una narrazione che Matteo
costruisce sotto forma di haggadah,
che nell’esegesi giudaica costituisce quella modalità di rilettura delle
Scritture – detta anche midrashica - che mira al rafforzamento della fede
comunitaria. La comunità cristiana cui fa riferimento l’Evangelo di Matteo
medita sulla misericordia di Dio, che ha consentito ai pagani, servendosi
dell’incredulità di Israele, di accedere alla fede in Gesù di Nazareth. Il suo
terreno di riflessione pertanto è quello dei cc. 9-11 della Lettera ai Romani
(in particolare Rm 9,30-32; 11, 11-36).
Poiché
l’AT aveva previsto la conversione dei gentili (cfr. Gn 12,3; Is 2,2-5; 19,
16-25; 45, 14-17. 20-25; 66, 18-21; Sal 47; ecc.), all’evangelista non doveva
risultare difficile mostrare come il popolo d’Israele avesse fallito proprio là
dove ai pagani non era stato concesso di giungere: la fede nell’adempimento
delle Scritture. Il centro del nostro brano infatti ci mostra un gran consulto
di specialisti dei testi sacri, radunati da Erode, alle prese con le profezie
che indicavano il Messia nascituro a Betlemme. A far loro aprire le Scritture
sono i pagani, questi magoi non ben
identificati comparsi dall’ Oriente a Gerusalemme per attingere informazioni
utili all’interpretazione del fenomeno astrale. Questo rapporto ambiguo,
connotato da turbamento e durezza di cuore, con le Scritture costituisce lo
scandalo che ispira l’ haggadah
matteana. E non può stupire neppure la scelta, nella costruzione del testo, di
questi maghi, esperti della divinazione, astrologhi, scrutatori della volontà
divina attraverso i dati della creazione (cfr. a questo proposito Dt 4, 15-20;
Sap 13, 1-9; Sal 19, 2-7), se si riaprono le Scritture e si rileggono i cc.
22-24 del libro dei Numeri. Sono i capitoli che narrano la storia di un re
straniero come Erode, Balak, e di un indovino venuto da lontano, Balaam,
chiamato da Balak per maledire il popolo di Israele. Ebbene, Balaam si rivela
incapace di maledire Israele dichiarando di poter soltando parlare secondo
quanto Dio gli suggerirà (Nm 22,18). La sua religiosità, pagana, gli ispira,
forse suo malgrado, parole di benedizione per quel popolo che lui non conosce.
Israele, qui, è protetto da Dio per mezzo di un pagano. In un passo Balaam
profetizza addirittura la nascita di un grande re per Israele (allusione a
David) utilizzando l’immagine della stella, che in Oriente era il segno degli
dèi e dei re che nascevano: “una stella
spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele” (Nm 24,17). La cultura e il
linguaggio dei pagani si fanno Parola per Israele. E’ il paradosso di Dio che
sceglie Israele per rivelarsi ai pagani, ma talvolta ricorre ai pagani per
rivelarsi ad Israele.
Alla
luce di questo sottofondo scritturistico, Matteo ripropone un itinerario che
dal sorgere di una stella nel cielo intende giungere al faccia a faccia con
Dio. Storicamente, è possibile che questi personaggi fossero entrati in
contatto col messianismo ebraico e che pertanto conoscessero l’attesa del
Cristo. Questi non poteva che essere un re, secondo la cultura dei Magi, ed i
re andavano onorati, nell’uso orientale, con la proscinesi, il prostrarsi in ginocchio con la fronte a terra che
indica sottomissione totale. Ma com’era possibile che fosse generato un re in
Israele, se c’era già un regnante, Erode il grande? Matteo utilizza tale
ambiguità come occasione di confronto culturale tra il mondo dei pagani ed il
contesto ebraico. La domanda “dov’è il re
dei giudei che è stato partorito?”, infatti, viene “tradotta” dal
semigiudeo Erode con “dov’è generato il Cristo?”. Ma “re dei giudei” non è
espressione neutra, per Matteo. Ha inizio nel Vangelo dell’infanzia il grande
processo che condannerà Gesù, e sarà proprio “re dei giudei” il suo capo
d’imputazione e l’etichetta affissa sulla sua croce (Mt 27, 11.29.37). Gesù,
infatti, non rifiuterà tale appellativo, ma lo rivestirà di un senso che
sfuggirà per sempre alle autorità ufficiali di Israele.
Ma
il re dei giudei indicato ai Magi dalla stella pare non esser lo stesso
indicato dalle Scritture, se il gran consiglio dei sommi sacerdoti e degli
scribi del popolo non riesce a vedere, nella profezia di Mic 5,1, integrata da
2 Sam 5,2, il discendente di David che l’AT preannunciava. Betlemme diventa la
meta dei magi, ma non un solo Giudeo li seguirà. Betlemme è invece interessante
per Erode, ma solo in ordine alla conservazione del suo potere. Che la Parola
parli e che si faccia non importa per
lui: quel che importa è che quell’indicazione sia confermata “con esattezza”
(Mt 2,8) dai Magi e che lui sia messo in condizione di neutralizzare l’insidia.
Il suo dio è il potere, ma il Dio dei magi è un altro, ed è capace di trovar
per loro un’altra via per il ritorno.
L’intervento di Dio e la beffa che ne consegue rivelerà l’istinto omicida del
cuore di Erode (Mt 2,16).
La
stella, dunque, non poteva guidare i magi direttamente
a Betlemme. L’incontro con Gesù di Nazaret non può avvenire senza la Scrittura.
E la Scrittura sta a Gerusalemme. Il cuore di Israele è sordo alla Parola, ma
le Scritture vanno aperte lì, e solo da lì può ripartire il viaggio dei Magi,
solo dopo l’ascolto della Parola può
ricomparire la stella. La stella muove alla Parola, ma è la Parola che vivifica
la stella. Il rapporto tra cultura e fede ha forti radici in questo testo.
Quella stella che li aveva mossi al suo sorgere adesso, corroborata dalla
Parola, può generarli alla gioia (2,10), al dono e all’adorazione (2,11). Il
culmine “lirico” del brano è proprio l’ingresso nella casa in cui il bambino
risiede: l’incontro con il Dio nascosto assume i connotati di una vera e
propria liturgia che vede adempiuto
quanto le Scritture avevano prefigurato in Is 60,6; Sal 72; 1Re 10,1-13.
L’intervento finale del Signore, che inducendo i magi a ritirarsi per altra via (cf. Mt 2,22) scatenerà l’ira di Erode,
rientra nel contesto degli interventi presso Giuseppe, nel c.2: il bambino è
protetto da coloro che avrebbero dovuto custodirlo. Chi poteva aprire le
Scritture infatti ha chiuso il proprio cuore, lasciando ad altri, ascoltatori
ubbidienti, lo spazio dell’adorazione.
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