Breve meditazione su Mt 2, 1-12 (Gennaio 2002)

 

 

“Veniva nel mondo

la luce vera,

quella che illumina ogni uomo.”

(Gv 1,9)

 

 

L’accesso alla verità di Dio non è preclusa a nessuno; al di là di ogni differenza di cultura, razza o nazionalità, a tutti è offerta la possibilità di cercare e conoscere Dio. Nella lettera agli Efesini, Paolo insiste a più riprese su questo concetto della universalità dell’intervento e del progetto di Dio: “…i Gentili…sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo……” (Ef 3,6).

Dunque, la salvezza non è appannaggio esclusivo del popolo eletto o della Chiesa, ma è un dono che Dio offre a tutti in maniera indiscriminata; siamo tutti suoi figli ed Egli, in Cristo, è venuto per donare a tutti la sapienza della buona novella evangelica. Il Vangelo è, infatti, patrimonio universale.

Nel nostro brano, questo dato emerge in maniera evidente. I Magi, provenienti dal mondo pagano, illuminati dalla luce di Dio si mettono alla ricerca affannosa del Messia fino a trovarlo; e, una volta trovatolo, lo adorano prostrandosi davanti ad un bambino in una mangiatoia.

Da un lato c’è l’offerta universale di Dio, dall’altro c’è la risposta dell’uomo, intesa nel senso dell’accoglienza e della ricerca.

Purtroppo, però, la questione non è così semplice: se è vero, infatti, che Dio fa splendere il sole su tutti e che la sua promessa è unica ed eterna, è altrettanto vero che la risposta dell’uomo è multiforme e contraddittoria, potendosi esprimere sinteticamente in due modi possibili: l’accoglienza e il rifiuto. Il problema sta nel fatto che non sempre è facile capire dove finisce l’una e inizia l’altro e viceversa.

Del resto, Gesù ce lo ha detto chiaramente: “Non sono venuto a portare pace, ma una spada.” (Mt 10,34); Gesù Cristo, col suo messaggio di pace, di salvezza e di vita, è e resta sempre motivo di scandalo, pietra di inciampo, fonte di contrasto, dissenso e contraddittorietà. Il suo proclamarsi re e la rivoluzionaria originalità del suo messaggio suscitano necessariamente la reazione dell’uomo. C’è da vedere, a questo punto, che reazione provoca, a livello personale, la venuta di Cristo.

In sostanza, bisognerebbe chiedersi che tipo di accoglienza riserviamo al Signore e con che animo ci accostiamo a Lui; dovremmo discernere attentamente per cercare di capire bene quali sono le motivazioni della nostra ricerca di Dio. Lo cerchiamo per sconfiggerlo o per adorarlo? E poi, come lo cerchiamo?

L’esempio offertoci dai Magi è illuminante: noi non sappiamo niente di loro, tranne il fatto che dovevano essere certamente degli uomini colti, degli scienziati. Però sappiamo che, a un certo punto della loro vita, questi tre uomini, diversi per razza e per provenienza, “inquietati” dalla luce di Dio, si mettono in viaggio per non perdere quella luce. Essi, cioè, non mortificano quella sana inquietudine, ma lasciano che essa viva nei loro cuori, pensando di soddisfarla e “sedarla” attraverso la ricerca della fonte di essa; e non si fermano dinanzi a niente pur di trovare quella stella che illuminava il loro cammino. E così, una volta smarrita la strada, chiedono lumi a chi certamente doveva saperne di più, alle autorità del luogo le quali, turbate per la richiesta dei magi, danno la giusta indicazione cercandola nella Parola di Dio.

Siamo quindi di fronte ad un’inquietudine, ad un turbamento dell’uomo di fronte alla presenza del Messia; il problema è vedere quali sono le motivazioni di questo turbamento e dove esso conduce: se i Magi cercano il Signore per adorarlo, Erode e le autorità religiose lo cercano per distruggerlo. Mentre i Magi cercano Dio con coraggio e abnegazione, disposti a mettersi in viaggio su una strada misteriosa e investendo la loro vita, il loro tempo e i loro beni per questa ricerca, Erode non rischia, non si mette in cammino, ma delega, prima i sacerdoti e gli scribi, poi i Magi stessi; mentre ”l’inquietudine” dei Magi suscita l’amore, il turbamento di Erode e di Gerusalemme provoca la paura.

Il risultato è, ovviamente, diverso ed opposto: i Magi trovano Dio e possono adorarlo, Erode e Gerusalemme no, e dunque non possono annientarlo.

Il senso di questo brano è il senso stesso della venuta di Dio nel mondo in Cristo: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori.” (Lc 2, 34-35). D’altra parte, in Cristo Gesù, i lontani diventano vicini e dei due Egli ha fatto un popolo solo (cfr. Ef 2, 13-14) perché così “per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito.” (Ef 2, 18).

Così come Gesù Cristo è venuto e viene per la salvezza di tutti gli uomini, ogni uomo sa, nel suo intimo, di questa presenza di Dio, o quanto meno, ne ha il sospetto.

E allora il problema è solo un problema di ascolto, di docilità, di accoglienza, di disponibilità; una volta inquietati e turbati dalla chiamata del Signore che viene nella nostra vita, non abbiamo più possibilità di nasconderci: la verità del nostro cuore è ormai svelata a noi stessi e a Lui. A questo punto, solo attraverso un cammino di conversione potremo essere oggetto della salvezza di Dio; solo se ci porremo alla ricerca del Figlio, attraverso l’ascolto della voce di Dio che ci parla attraverso la Parola, potremo trovare verità e pace.

Dunque, la ricerca di Dio, condotta nella fede e per amore, avrà il suo risultato solo se passa attraverso Cristo e la Parola; il clamoroso errore di Gerusalemme è stato quello di disgiungere le due realtà, disconoscendo il Figlio di Dio quale adempimento e realizzazione delle promesse della Parola.

Noi, cristiani di oggi, non possiamo commettere un simile errore: la nostra sapienza consiste nel fatto che quella luce di Dio, quella stella che illumina la nostra fede, è Gesù stesso, il Figlio di Dio, che può essere compreso e trovato solo attraverso la ricerca nelle Scritture. Ed ogni volta che smarriremo la luce avremo il diritto-dovere di ricercarla nel confronto con l’altro e in special modo con chi ha il dovere di indicare la giusta strada. E’ questo, in fondo, il dovere della Chiesa: indicare a tutti la via che porta al Padre, annunciando Gesù Cristo attraverso la Parola, con l’unico e sovrano scopo di glorificare Dio attraverso l’annuncio universale della buona novella evangelica.

Se la luce di Dio splende per la salvezza di tutti i popoli, la Chiesa non può permettersi il lusso di oscurarla per i propri fini.

E alla fine, una volta trovata la strada, una volta conosciuto Dio nell’amore del Figlio, nasce la responsabilità del cristiano, di ogni uomo che si definisce cristiano: come i Magi che, conosciuto Gesù ed invitati dall’angelo del Signore a proteggerlo da Erode, tornano a casa per un’altra strada, così noi dovremo aver cura della verità evangelica compresa, proteggendola ed annunciandola a gran voce. In poche parole, rendendo quel bambino, Gesù, il Figlio di Dio, sempre presente nel mondo attraverso la nostra vita.

 

 

                                                                          Giovanni, Comunità Kairòs