Lectio divina di Gv 14,15-21 - domenica 5 maggio 2002
VI^ di Pasqua
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Il brano va letto all’interno
della profonda unità del c. 14 e quest’ultimo all’interno della più grande
unità del discorso di addio che Gesù, in Giovanni, rivolge ai discepoli nei cc.
13-17.
L’apertura del nostro brano
rinvia al Deuteronomio. La coppia amare/osservare, infatti, rappresenta lo
schema fondamentale dell’Alleanza ed è una coppia indissolubile. Osservare i
comandamenti, infatti, è possibile a partire da una relazione di profonda
intimità col Signore. Un’interpretazione dell’osservanza dei comandamenti a
prescindere dall’unico comandamento dell’amore porterebbe fatalmente ad un’interpretazione
del cristianesimo in senso morale, ciò che è escluso dall’impostazione
giovannea.
Si tratta di un’energia d’amore
donata. E’ evidente, qui come in
altri passi di Gv, che il credente è abilitato ad amare da un’iniziativa di
Gesù stesso, che è un’iniziativa di preghiera: io pregherò il Padre (v.16). E’
la preghiera di Gesù che incorpora il credente in un contesto d’amore
trinitario, dal momento che immette nella comunità dei discepoli una presenza
particolare che il testo definisce Paraclito, ovvero colui che “sta accanto”
per difendere.
Quest’azione di difesa
operata dal Paraclito è un’azione possibile da un lato perché la vita del
credente si situa in un contesto in cui sono forti le tendenze umane all’autosufficienza.
Gli uomini tendono a fare a meno di Dio, a ritenere che non ci sia nulla da
salvare. Gli uomini tendono a ritenere che la loro vita sia una vita di
progetto e di autorealizzazione. Sostanzialmente quindi una vita che rinuncia
alla profondità. Che rinuncia a prendere atto del profondissimo bisogno di
essere amati, perdonati e salvati che c’è in ogni uomo. Questa tendenza all’autosufficienza
Gv la chiama “mondo”. Questa “mondanità” esistenziale non può ricevere lo
Spirito perché non è in grado di trarne beneficio: il mondo non lo vede e non
lo conosce. Il mondo tende a convincere i credenti che non c’è nulla da
salvare. Da questa tentazione fondamentale il Paraclito difende il credente.
Ma quest’azione di difesa,
si diceva, è anche possibile perché il credente è disponibile a farsi abitare dal Paraclito: dimora presso di
voi e sarà in voi (v.17). Com’è possibile ciò?
La risposta a questa domanda rinvia ancora una volta a Gesù, vero motore di questa dinamica trinitaria. Il Paraclito, infatti, è individuato come “un altro” (v.16), proprio in riferimento a Gesù. E’ cioè la relazione con Gesù, scandita dalla coppia amare/osservare – che infatti ritorna al v.21 -, che rende possibile una continuità di presenza dello stesso Gesù nella comunità dei credenti. Il Paraclito è proprio questa continuità di presenza, di vicinanza, di inabitazione.
Questa presenza interiore
non è strumentale rispetto all’amore del Padre, non è “in vista” dell’amore del
Padre, come se fosse preparatoria ad una relazione col Padre che deve ancora
venire, secondo la prospettiva suggerita dalla domanda di Filippo al v.8 (“Mostraci
il Padre e ci basta”). Questa presenza interiore – la presenza dello Spirito -,
presenza che fa aprire le Scritture, che innesta la vita interiore in Cristo,
che radica il credente nella Parola di Gesù, questa presenza interiore è già amore del Padre per il discepolo.
Il discepolo può solo
prenderne atto, in quel “voi saprete” (v.20). Cosa c’è da “sapere”? C’è da
sapere che il baricentro della vita di un credente é fuori da sé. Dire “io sono
nel Padre e voi in me e io in voi” (v.20) - e quindi ribadire un “in voi” che
si era già visto al v.17 - vuol dire essenzialmente che la vita interiore
profonda di un credente è vita abitata.
Abitata da un’energia d’amore pronta ad esplodere in orizzontale (Gv 13,34-35)
e in verticale nella consapevolezza, tipicamente giovannea, che solo amare è vivere. L’ultimo elemento
concettuale da evidenziare, infatti, in aggiunta all’amare, al vedere e al sapere che percorrono il nostro brano, è
proprio quello del “vivere”: io vivo e voi vivrete (v.19). La vita del credente
è vita nello Spirito non perché prende le distanze dalla storia, ma, al
contrario, perché prende talmente sul serio la storia da non farsi sedurre
dalla tentazione di una religiosità spiritualista.
Non c’è nessuna
legittimazione giovannea dello spiritualismo, perché dire Paraclito significa
dire Gesù vivo e ben presente nella storia di ogni credente.
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Amare e osservare: Dt 5,10; 6,4-9; 10,12-13; 11,13.22; Sap 6,18-19.
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Lo Spirito: Gv 16,7-15; Mt 10,19-20; Rm 8,26-27; 1Gv 4,1-6; 2Gv 1,1-2.
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Essere amati dal Padre: Sir 4,14; Gv 16,26-27; 17,26.
da ora e per le prossime domeniche pasquali questa lectio sarà relativa ad una delle letture dell'antica alleanza lette durante la veglia di Pasqua |