Introduzione alla Lectio divina su Mt 2, 13-15.19-23

I domenica dopo Natale - 30 Dicembre 2001

 

13 Essi si erano appena ritirati (lett. “anachoresanton”), quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati (lett. “eghertheis”, risorto), prendi con te il bambino e la madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non te lo dirò, perché Erode sta cercando il bambino per farlo perire».

14 Giuseppe, alzatosi, prese con sé  di notte il bambino e sua madre e si ritirò in Egitto, 15 dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio. (Os 11,1)

[vv. 16-18].

19 Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20 e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e vai nella terra d'Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino». (Es 4,19)

21 Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nella terra d'Israele. 22 Avendo, però, udito che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi.

Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea 23 e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: «Sarà chiamato Nazoreo».

 

Parole chiave sottolineate per la meditatio

 

Il brano evangelico, che il lezionario domenicale della prima domenica dopo il Natale ci propone, permette di approfondire alcuni aspetti dell’infanzia di Gesù, così come viene resa nella particolare prospettiva di Matteo.

Il tema della infanzia di Gesù, infatti, benché posto all’inizio dei libri evangelici, è emerso nelle comunità cristiane solo in un momento successivo ai racconti della passione, morte e resurrezione del Cristo, i quali rivestono un ruolo centrale nell’annuncio della Buona Novella. Costituiscono, quindi, una riflessione di secondo livello, più accurata e ricca di particolari teologici sulla figura di Gesù, che non tutte le comunità cristiane dell’epoca avevano affrontato (solo in Luca e Matteo è, infatti, raccontata l’infanzia del Signore ed in modo del tutto peculiare), riflessione che porta con sé la prospettiva - tutta particolare - di ciascuna comunità nel leggere la buona notizia nella storia.

All’evangelista Matteo, infatti, a differenza di Luca che mette in primo piano la gioia universale della venuta del Cristo, preme sottolineare, in continuità con quanto letto e celebrato nel corso della ultima domenica dell’Avvento (Mt 1, 18-25), che l’infanzia di Gesù è una prefigurazione della natura e della missione divina dell’uomo Gesù e si propone fin dall’inizio di evidenziare in essa il compimento delle Scritture nella storia.

Per far questo lo scriba Matteo trova opportuno seguire il metodo della citazione a commento per segnare le tappe della rivelazione dell’identità del Bambino Gesù. Ed il brano che leggiamo è proprio segnato da due di queste citazioni (forse anche tre) nelle cui pieghe possiamo cogliere il messaggio evangelico sul Cristo matteano.

La struttura del brano, che nella parte (vv. 16-18) che non verrà letta in assemblea riporta la strage degli innocenti, si articola peraltro in modo identico: Parola rivolta in sogno, spiegazione, obbedienza alla Parola, rilettura dell’evento alla luce delle Scritture.

Il protagonista di questo percorso ermeneutico, dopo l’incontro con i Magi, è ancora il “giusto” Giuseppe il quale, dopo aver riconosciuto l’azione dello Spirito nella sua sposa e dopo aver superato i suoi timori, aveva accettato di collaborare al piano di Dio, consentendo l’inserimento del bambino nella stirpe di David.

Ora a Giuseppe viene dato un avvertimento analogo a quello dato ai Magi: tenersi a distanza dal re Erode in Gerusalemme, dal potere che insidia la vita del Nuovo Re, e fuggire in Egitto. Alla sua obbedienza (proprio nel senso etimologico di ob-audio: resta là finché non te lo dirò) è ora affidata la realizzazione della profezia di Osea 11, 1: “Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio”.

Ed è proprio in questa citazione che troviamo il senso teologico del brano: vi è la rivelazione sull’identità del Figlio, che si presenta come vero Israele (nel brano di Osea, infatti, il popolo di Israele è posto in relazione filiale con il Padre – v. anche Es.4, 22- ; ma era un popolo duro a convertirsi perché ”chiamato a guardare in alto, nessuno sa [peva] sollevare lo sguardo”; Os 11,7), come Colui che incarna, rende attuale la relazione filiale del popolo di Israele con il Padre, affermandosi pertanto quale l’atteso Messia che ricapitola l’intera storia d’Israele, poiché, come un nuovo Mosè, sfugge al faraone (che, stavolta, è impersonificato proprio da un capo dello stesso popolo eletto) e torna dopo aver attraversato il deserto.

Ma forse vi è di più, perché questo viaggio della Parola avviene grazie a Giuseppe, esponente della stirpe davidica, simbolo del “giusto“ ebraico, rendendo così il popolo eletto simbolicamente collaboratore del Cristo nel suo piano di salvezza.

Anche in Egitto si ripete il contatto con la Parola. Ed anche in Egitto l’ascolto costante di Giuseppe permette un accostamento ideale alla vicenda pontificale di Mosè (v. Es. 4, 19; il plurale del nostro brano non coincide con la causa delle minacce, cioè Erode, ma si può ricondurre proprio al versetto dell’Esodo), che anche qui è preannuncio della missione di Gesù che realizzerà il vero ritorno alla terra promessa, da identificarsi nel nuovo Regno di Dio.

Morto Erode, Giuseppe avendo udito che il re dei Giudei è il figlio di Erode, non si fida della spiegazione dell’angelo sul venire meno delle insidie alla vita del bambino e teme ancora Gerusalemme e la Giudea. In questo senso anche la paura di Giuseppe è forse strumentale alla realizzazione del piano di salvezza. La terra di Israele per Giuseppe diventa la Galilea delle genti, terra di frontiera, di mescolanze culturali e religiose, ove Gesù passerà il tempo della sua formazione (v. Lc 2, 39-40).

Il compimento delle parole dei profeti, che avviene nell’essere chiamato Nazireo (Is, 49,6: sopravvissuto; Is, 11,1: germoglio; Gdc  13, 3-7:consacrato), è infine oggi oscuro, anche se  può essere genericamente riconducibile al piano di una vita vissuta da Gesù secondo criteri di radicalità e autenticità diversi da quelli comuni alla ortodossia ebraica di quei tempi (il termine - che non è equivalente di Nazareno - assumeva connotazioni spregiative).

Eccezionale è il ruolo assegnato dall’evangelista a Giuseppe, che in tutta questa vicenda dell’infanzia  di Gesù assume un ruolo di vero e proprio precursore, come il Battista: “se Giovanni annuncia e indica il Messia, Giuseppe accoglie il Salvatore d’Israele” (X. L. Dufour) gettando un ponte tra i due Testamenti; egli è il vero ebreo che crede nella venuta del Messia .

Meditazione su Mt 2,13-15