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IL VANGELO DELLA DOMENICA

V^ DOMENICA DI PASQUA 

(Gv 15,1-8)     

      

  

   Già domenica scorsa, avevo avuto modo di parlarvi del modo di pensare degli ebrei, che corrisponde più o meno a quello di tutti i Semiti, che sono i popoli appartenenti alla famiglia linguistica semitica. Le affinità tra i popoli semiti sono in gran parte di origine linguistica e culturale, poiché dal punto di vista fisico sono costituiti da un insieme alquanto eterogeneo di tipi razziali. I principali popoli semiti attuali e storici sono: gli Assiro-Babilonesi, gli Aramei, i Cananei e gli Arabi. Oltre, naturalmente, agli ebrei.

   Appartenendo ai popoli semiti, per pensare a della realtà profonde intellettuali e spirituali, gli ebrei  ricorrono a immagini concrete, non astratte, come noi figli della cultura ellenistica.  

   Quindi per rappresentare l'amore e la tenerezza di Dio per l'uomo, gli ebrei  vanno con la mente all'immagine del Pastore che vuole bene alle sue pecore.

 

    Per farci capire che Dio ci ama come figli, la Bibbia usa, per esempio, l’immagine dell'Aquila che custodisce i suoi piccoli, in modo che nessuno faccia loro del male.

   Tutta la Storia sacra è intessuta  di continui riferimenti a Dio e alla sua tenerezza per l’uomo. Per rappresentare questo grande amore l’autore biblico ricorre, quindi, ad  immagini simboliche, tratte dalla natura e dal mondo Palestinese.

   E Gesù, l’ebreo Gesù, fa un grande uso di parabole e similitudini per rappresentare il rapporto tra Dio e l’uomo.  Lo possiamo percepire ascoltando il il Vangelo di questa domenica: 

    

   “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo.  Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto.  Voi siete gia mondi, per la parola che vi ho annunziato.  Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me.  Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.  Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano”.

 

   Nella Bibbia c’è una ricca simbologia   in riguardo alla vigna ed all’albero della Vite.  Ma in questo ambito mi interessa ricordare che la vigna è soprattutto il simbolo del popolo di Dio, Israele. E quindi è anche il simbolo del nuovo popolo di Dio, la Chiesa.

   Occorre partire da questo riferimento se si vuole comprendere il significato delle parole di Gesù che conferisce a Dio l’immagine del vignaiuolo, mentre lui stesso si considera come la vera Vite e definisce i suoi discepoli come tralci, rami di questa Vite.

   ”Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo”.  Gesù si presenta come l'albero della vite, quello che dà l'uva e attraverso la spremitura del frutto produce il vino.  Il Padre Celeste è Colui che ha piantato questa Vite nel terreno del mondo. Gesù si manifesta come l'inviato del Padre Celeste; anzi  come la

"Vite" piantata dal Padre nel terreno della Storia umana. Poi, riferendosi a noi, aggiunge che il tralcio, cioè il ramo che "in Lui" non porta frutto il Padre lo toglie, mentre il ramo che porta frutto viene potato, perché porti più frutto.

 

   Così Egli ci dice che tutti noi, per portare frutto, dobbiamo sentirci come rami attaccati a lui, uniti a lui, innestati in Lui. Questo perché la sua linfa, la sua stessa vita, da Lui che è il ceppo, il tronco, scorra dentro il nostro ramo, dentro la nostra vita.

   E' comprensibile, allora, come Gesù chieda, a noi cristiani, non solo di ascoltare la sua voce, la sua Parola, i suoi insegnamenti; e questo è già un incarnare in noi la sua vita, il suo stile. Ma soprattutto ci chiede di vivere un rapporto sacramentale con Lui. Il che significa che Lui vuole comunicare a noi la sua stessa vita in pienezza.  E questo lo fa attraverso il dono dei Sacramenti, particolarmente con il sacramento per antonomasia che è la Santissima Eucaristia.

   Noi sappiamo che nell'Ostia consacrata è presente Gesù vivo e vero. E dandoci questo pane vivo, disceso dal cielo, Gesù ci comunica la sua stessa vita, unendoci a Lui in un medesimo destino di Gioia e di Amore Trinitario.

 

   “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato.  In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”.

 

   Gesù ci chiede di rimanere in lui e di far incarnare in noi le sue parole di vita. E se noi viviamo questo invito, possiamo addirittura fare breccia nel suo cuore ed ottenere tutte le grazie che vogliamo.  Ma soprattutto è importante portare molto frutto e divenire veri discepoli, e cioè ALTER CRISTUS, altro Cristo.  Ciò vuol dire che dobbiamo fare un'opzione fondamentale nella nostra vita. Decidersi per Dio, per Cristo e per un ideale di vita che parte da una constatazione: “C'è più gioia nel dare che nel ricevere”. Questa frase attribuita a Gesù, e riportata negli Atti degli Apostoli, ci dà il senso vero della nostra umanità. Ci fa capire che siamo fatti per gli altri e non per noi stessi. Che la nostra vita deve essere, come quella di Cristo, irradiazione di Amore verso gli altri. E portare frutto, secondo le parole di Gesù, significa proprio irradiare intorno a noi: nella famiglia, tra gli amici, nel nostro prossimo - anche nei lontani - la gioia, la serenità, l'amore di vivere per Cristo, con Cristo ed in Cristo.

 

 

             

Il commento al Vangelo della Domenica è svolto da Donato Calabrese , responsabile del Programma religioso "Vivere la Speranza", irradiato su TVSette Benevento e curatore dello spazio biblico "Incontro con la Parola" della stessa trasmissione

 

Donato Calabrese

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che più volte ha incontrato Padre Pio

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