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    Andrea Scanzi "Il piccolo aviatore" Edizione Limina
    Recensione di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
      
      
    Molti hanno vinto più di lui. Molti hanno avuto una carriera più lunga. Molti sono apparsi, al loro esordio, destinati più di lui al successo e alla fama. Ma è stato, invece, Gilles Villeneuve uno dei piloti più amati della Formula 1 di tutti i tempi. Piccolo, schivo, con quel sorriso un po’ triste, a vent’anni dalla sua morte, continua ad essere uno dei grandi personaggi non soltanto dell’automobilismo ma di tutto il mondo lo sport. 
    Era stato Enzo Ferrari a volerlo sulla “rossa”, a perdonargli sconfitte e capricci, perché in lui aveva ritrovato un figlio da amare e coccolare e che, in cambio, sapeva dargli l’immagine che lui amava in un pilota. 
    Nel 1978, racconta Anfrea “Rui” Scanzi in “Il piccolo aviatore” edito da Limina, “Andretti e Villeneuve provarono lo stesso giorno a Fiorano. Andretti non sbagliò nulla, Villeneuve tutto. Andretti si presentò con una Rolls Royce e un anello di diamanti al dito, Villeneuve con una Fiat 131 a nolo e un paio di jeans. Tutti avrebbero scelto Andretti. Infatti Ferrari scelse Villeneuve”. 
    Figlio d un musicista itinerante che “provò a trasmettere al figlio maggiore la passione per la musica e gli trasmise piuttosto il fascino di una vita da artista zingaro”, prima di approdare alla F1 il pilota franco-canadese fu campione di motoslitta, in Formula Ford, in Formula Atlantic. Dal padre aveva ereditato anche l’amore per la velocità ma ad essa unì una rara capacità di “vedere” la gara e il percorso, di rischiare, di dare sempre il massimo, al di là del risultato. Avrebbe potuto vincere molto di più, se fosse stato più attento, più ragioniere, meno artista. Ma lo avremmo già dimenticato, sarebbe stato travolto dai nomi nuovi che ogni anno si affacciano sul palciscenico dell’automobilismo. 
    Big Bertha, uno scuolabus giallo che nella parte anteriore serviva per dormire e in quella posteriore per trasportare le motoslitte e come officina e il Globestar, un’evoluzione di Big Bertha con la quale si presentò come pilota Ferrari, sono l’immagine di Villeneuve. Che, a chi lo accreditava di screditare “l’immagine dell’ambiente automobilistico”, rispondeva che questo era il suo modo per stare vicino alla famiglia. 
    Velocità e rischio, tristezza e ironia, poche vittorie e tantissimi incidenti, spese e capricci, una moglie, due figli, l’odio per lo smoking e le convenzioni. Zingaro e impacciato, soprattutto quando vinceva: “Gli rimaneva di traverso, l’alloro. Pendeva asimmetricamente, non conforme al protocollo. Pure la corona, se indossata da lui, tendeva al testacoda”. 
    Quel sorriso triste, quella corona un po’ storta, quel modo di guidare che ha incantato e che non possiamo dimenticare: Gilles Villeneuve, un artista. 
      
    gabriella bona 
   
 
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