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    Neil Postman "Divertirsi da morire - Il discorso pubblico dell'era delle spettacolo" Edizione Marsilio
    Recensione di Gabriella Bona
     
      
    Abbiamo visto tutti, in questi giorni, sulle pagine dei giornali nazionali, la fotografia della pedana truccata  che è servita per sollevare di alcuni centimetri il presidente del Consiglio Berlusconi, perché non apparisse troppo basso di fianco la primo ministro inglese Blair. Al di là dell’ormai assodato narcisismo del premier italiano, il trucco serviva sicuramente anche perché in televisione, chiunque sia ripreso, l’omogeneità dell’immagine ha una grande importanza. 
    Prima dell’avvento della TV, l’aspetto fisico delle persone, dei personaggi politici prima di tutto, non aveva nessun peso: erano i loro programmi, le loro azioni, i loro comportamenti e le loro parole che venivano giudicati e in base ai quali aumentava o diminuiva la loro popolarità e il conseguente consenso. 
    Politici, filosofi, studiosi, narratori e poeti avevano soltanto un mezzo per esporre le loro idee ed opinioni: la carta stampata, in libri o giornali. 
    Il libro di Postman, pubblicato negli Stati uniti nel 1985 e oggi riproposto da Marsilio con un’ampia introduzione di Enrico Menduni, ripercorre la storia di quegli anni, quelli che hanno portato un popolo di grandi lettori ad una deriva televisiva ormai inarrestabile. In Italia, l’avvento, il successo e i disastri televisivi si sono verificati con diversi anni di ritardo ed il libro è sicuramente di grande attualità. 
    Se “il carattere propositivo della parola scritta dà nutrimento al meccanismo analitico del sapere – scrive Postman – con la televisione, la serietà, la chiarezza e , soprattutto, il valore del discorso pubblico declinano pericolosamente”. 
    Un declino avviato con l’invenzione del telegrafo che “portò un attacco tripartito alla definizione tipografica del discorso, introducendo l’irrilevanza, l’impotenza e l’incoerenza” e della fotografia che “presenta il mondo come oggetto [mentre] il linguaggio lo presenta come idea”. La televisione non è che l’unione, tecnologicamente evoluta, delle due invenzioni ed è un mezzo in cui le idee e le parole sono diventate fastidiose, noiose, inconciliabili con un mezzo sempre più frivolo e commerciale. 
    Tutto è diventato spettacolo. Le notizie, qualunque sia la loro natura,vengono date in pochissimi secondi, e “non è possibile dare un senso di serietà ad un avvenimento, se tutto quello che lo riguarda si esaurisce in meno di un minuto”. Le notizie si susseguono a ritmo frenetico, senza logica, impossibili da ricordare, i giornalisti vengono scelti tra coloro che riescono a dare un senso di tranquillità al pubblico e “alcuni conservano un entusiasmo uguale e invitante, anche quando annunciano un terremoto, un’uccisione in massa o altri disastri”. Non esiste più l’informazione ma tutto è diventato intrattenimento, provocando emozioni anziché opinioni. 
    “Non ho obiezioni contro la paccottiglia televisiva. Anzi, sono proprio queste le cose migliori della televisione e nulla e nessuno è seriamente minacciato da esse”, spiega l’autore. La televisione diventa , invece, “pericolosa quando ha maggiori pretese”. Quando il dibattito elettorale è costruito come la pubblicità di un qualsiasi detersivo, quando l’aspetto fisico conta più delle idee, quando crea incoerenza e banalità, incapacità di ragionare, di elaborare idee, di socializzare e “presenta l’informazione in una forma che la rende semplicistica, astorica e acontestuale”. 
    Di fronte ad un mondo in cui “conta di più avere in mente immagini che parole”, il libro di Postman va decisamente contro corrente, obbligandoci a pensare al nostro modo di vivere (di coloro che guardano la televisione ma anche di chi non la guarda ma è condizionato dalla sua logica attraverso la mentalità di chi lo circonda) e al profondo impoverimento culturale e intellettuale a cui il mondo si sta volontariamente sottomettendo. 
      
    gabriella bona 
   
 
 
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