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    Hayden Herrera "Frida" Edizione Tartaruga
    Recensione di Gabriella Bona
     
      
    “La sua pittura è una bomba avvolta da un nastro rosa”, scrisse il poeta e critico surrealista André Breton  e il suo lavoro fu definito dal marito, il muralista messicano Diego Rivera come “acido e tenero, duro come l’acciaio e delicato e fine come l’ala di una farfalla, adorabile come un sorriso, profondo e crudele come l’amarezza del vivere”. 
    Frida Kahlo è una delle più famose pittrici, messicana ma conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, le sue opere raccontano una vita infelice vissuta con entusiasmo, fino alla fine, perché neanche un giorno andasse perduto. 
    “Nel 1953, un anno prima di morire all’età di quarantasette anni, Frida Kahlo ebbe la prima importante retrospettiva delle sue opere pittoriche. La sua salute era ormai talmente deteriorata che nessuno si aspettava di vederla all’inaugurazione. Ma alle otto di sera […] arrivò un’ambulanza [e Frida] venne portata in barella fino al grande letto che già dal pomeriggio era stato installato in galleria”: già dalle prime frasi di “Frida”, la biografia della pittrice scritta dalla massima esperta della Kahlo Heyden Herrera e pubblicata dalla Tartaruga Edizioni, si percepisce un carattere eccezionale, un desiderio di partecipazione alla vita nonostante la malattia e le difficoltà. Frida Kahlo venne colpita a sei anni dalla poliomielite che le causò problemi alla gamba destra. Il calcio, la boxe, la lotta libera, il nuoto, la bicicletta, praticate con costanza, riuscirono, anche se soltanto in parte, a recuperare i danni della malattia. Ma in seguito in un terribile incidente stradale “la spina dorsale viene fratturata, il bacino schiacciato, il piede spezzato”. Da allora la sua vita è una serie infinita di dolori e di operazioni e malattie. Eppure nella sua pittura troviamo, accanto alla tragedia e alla rappresentazione degli aspetti più macabri della vita, l’allegria, il colore, l’amore per la natura, per le persone, per il marito sopra a tutte. 
    “Dipingendo se stessa sanguinante, in lacrime, in frantumi, con una straordinaria franchezza mitigata da hulor e fantasia, Frida Kahlo riesce a trasformare in arte il suo dolore”. Un’arte che incantò i grandi artisti dell’epoca, che affascinò i suoi allievi, che riuscì a trasformare la donna piccola e malata in un immenso avvenimento culturale. 
    Cresciuta negli anni in cui il ministro messicano José Vasconcelos aveva lanciato la campagna contro l’analfabetismo, costruito un migliaio di scuole rurali, equipaggiato biblioteche, campi giochi, piscine e scuole all’aperto, Frida Kahlo rimase per tutta la vita un’attivista politica, una determinata militante di sinistra. L’attività politica, gli amici, gli amori e l’arte: tutto era vissuto con la passione e la fretta di chi sa che di non poter sperare di vivere a lungo, di chi spesso si deve fermare, per guarire o per superare i postumi di un’operazione. 
    Tra le sue opere troviamo soprattutto autoritratti, quasi duecento, ma anche quadri che si rifanno allo stile dei “retablo”, dell’ex voto e dell’arte folklorica, all’antichità messicana e nature morte surreali, visionarie e antropomorfiche. 
    L’arte di Frida Kahlo, spaventosa e affascinante, è piena di quella ricchezza che faceva dire agli amici che la visitavano quando era ammalata: “sebbene andassimo a trovarla per consolarla, ne tornavamo consolati … giocava, rideva, faceva commenti, esprimeva i suoi caustici giudizi”. 
    E davanti alle sue opere, alla forza che esprimono, a quella incredibile passione per la vita, siamo noi a sentirci piccoli e deboli, a sentire il bisogno della consolazione che ci trasmettono. 
      
    gabriella bona 
   
 
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