Viaggi: India del Nord e Nepal

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2° giorno: domenica 18 marzo 2001: DELHI

5. Uno sguardo su Delhi dalla finestra del nostro albergo. - Ore 8: suona la sveglia, ma già da tempo siamo in piedi per guardarci intorno dalle finestre dell’albergo. Notiamo un grande viale rettilineo, non molto trafficato di veicoli, ma assai animata da passanti e da risciò a pedale. Gli uomini per lo più indossano una giacca chiara e donne camminano sempre avvolte in esotici sari. Qua e là vediamo dei carrettini con la frutta, per lo più banane, che alcuni passanti acquistano per la loro colazione. Su di un lato della strada scorgiamo un’ampia area incolta con due ciminiere di un vecchio opificio e, in lontananza, una bianca costruzione che ha forma di un fiore di loto. Lo riconosciamo come il moderno "Lotus Temple" Baha’i per averne visto una foto in una delle nostre guide dell’India. Anche se dalla nostra camera non ne distinguiamo bene i particolari, questa costruzione religiosa ci impressiona per la sua forma elegante e veramente insolita.

In ordine sparso ci ritroviamo poco dopo in un salone - ristorante del primo piano dove facciamo un’abbondante colazione e quindi, alle ore 9,30 sul pullman per dare inizio al nostro giro turistico di Delhi, la capitale della repubblica federale dell’India.

6. Una giornata alla scoperta di Delhi, la nostra "Porta dell’India". - Sul pullman facciamo anzitutto conoscenza con la nostra guida Anil (o più semplicemente Aldo, come egli stesso ci suggerisce di chiamarlo) che resterà con noi per la prima parte del nostro tour, vale a dire fino al completamento della visita di Agra. Da subito egli ci appare un uomo raffinato, professionalmente assai preparato, di religione indù ma di mentalità aperta alla cultura occidentale, a motivo dei frequenti viaggi e dei suoi costanti contatti col mondo occidentale.

7. Al "Qutb Minar", nella prima delle sette città di Delhi. - In mattinata sono programmate tre visite importanti. Dopo aver attraversato un’ampia zona centrale di questa immensa città di Delhi, ammirando scene di vita quotidiana e di traffico pedonale e veicolare veramente insolite, puntiamo verso il settore meridionale della capitale. Qui infatti si trova il celebre Qutb Minar, un alto ed antico minareto attorno al quale sono conservate le rovine di una affascinante moschea che, circa mille anni fa, era il centro religioso della prima delle "sette città" che si sono succedute a Delhi.

Aprendoci a fatica un varco tra i venditori ambulanti di cartoline e di "patacche" varie che, in gruppo compatto, danno l’assalto ad ogni pullman turistico che giunge nel loro territorio, entriamo nella zona monumentale. Qui ammiriamo con stupore un’alta torre (m. 72,5; diametro di base m. 14,32; diametro alla sommità m. 2,75) di pietra arenaria dorata con eleganti scanalature che la fasciano e con quattro leggiadri balconcini che segnano i tempi e le pause del suo innalzamento.
La nostra Guida ci informa che essa fu iniziata nel 1199 da un sovrano musulmano di origine centroasiatica per celebrare la vittoria riportata sui sovrani indù di Delhi e che la tipologia va collegata alle cosiddette "torri della vittoria" che sono tipiche delle regioni dell’Asia Centrale.
Aldo ci traduce un’iscrizione che orgogliosamente afferma che questa torre fu eretta "per proiettare l’ombra di Allah sull’Oriente e sull’Occidente". Nelle sue immediate vicinanze, visitiamo i resti di una grande moschea che porta il titolo di "Potenza dell’Islam". Essa ci colpisce non solo per le sue dimensioni ma ancor più per il manifesto sincretismo tra l’arte indù e quella islamica. Buona parte delle colonne e delle trabeazioni sono infatti materiale di spoglio di antichi templi indiani, distrutti dalla sempre esaltata…ma raramente praticata "tolleranza religiosa" dei musulmani nei confronti della religione dei popoli da loro vinti.
Bellissimi ci appaiono molti dei più antichi dettagli decorativi che, per quanto scalpellati dai figli del Profeta per cancellarvi le forme umane e quelle animali, denotano l’alto livello artistico già raggiunto dalla scultura indiana.
In questa zona monumentale ricordiamo anche un interessante pilastro di ferro, (originariamente era una fontana), che, nonostante "l’età ..avanzata" e la lunga esposizione agli agenti atmosferici, non presenta alcuna traccia di corrosione o di ruggine.

8. A New Delhi, sede del potere politico e amministrativo. - Rientriamo in centro – ma quante sono le mucche che passeggiano indisturbate per le vie e per le piazze, anche in quelle più centrali e movimentate? – perché la nostra seconda meta è costituita dalla "New Delhi", quella politica e amministrativa, di chiaro stile coloniale inglese. Questa "città nella città" è disposta attorno al famoso Rajpath, un lungo ed ampio viale circondato da prati, da parchi, da laghetti. Fermiamo il nostro pullman in un parcheggio "vigilato" da un numero incalcolabile di buffe e dispettose scimmiette che saltellano tra i rami e che ci vengono attorno sperando di ricevere da noi del cibo o quantomeno una caramella. Osserviamo il loro sguardo terribilmente serio e sospettoso: forse ci considerano degli intrusi e nutrono dell’invidia nei nostri confronti forse perché, nonostante le affinità in comune, noi siamo sempre allegri. E così, senza alcun rispetto per la "parentela", ridiamo di gusto e chiassosamente del loro assurdo modo di comportarsi.
In pochi passi raggiungiamo un importante incrocio viario dal quale possiamo distinguere tutti i principali palazzi del potere politico, (i vari ministeri, il parlamento dalla caratteristica forma circolare con cupola, la dimora dell’ex viceré e, laggiù in fondo ad un viale che pare fatto apposta per le grandi parate militari, il celeberrimo "India Gate", che ci sembra la…"fotocopia" dell’Arco di Trionfo di Parigi.

Con il nostro bel pullman amaranto – facendo il confronto con quelli che vediamo circolare per le vie della capitale ora ci rendiamo conto che l’agenzia indiana ci ha assegnato un veicolo molto elegante e moderno – proseguiamo nella visita della capitale federale dell’India, percorrendo lunghi viali in una zona molto esclusiva nella quale sono concentrate le ambasciate di quasi tutti i Paesi del mondo. Notiamo che anche le sedi di rappresentanza diplomatica degli Stati più poveri non sfigurano rispetto a quelle dei Paesi più ricchi e potenti, anzi sembrano prendersi una piccola rivincita sotto il profilo dell’eleganza e dello sfarzo architettonico. La giornata festiva rende questa zona quasi del tutto senza traffico e questo ci permette di procedere lentamente e perfino di fare qualche sosta nei punti più interessanti o suggestivi.
In questo settore di Nuova Delhi notiamo che la vegetazione è assai curata: infatti ammiriamo dei maestosi ed esotici alberi che fasciano di ombra queste eleganti residenze diplomatiche comunicandoci ora un alone di mistero ora un senso di allegria per via delle loro chiome già ammantate da una multicolore fioritura primaverile.

9. Sosta in un grande tempio indù. Con un sole tropicale che surriscalda le nostre pelli abituata ai climi boreali, raggiungiamo la terza importante meta di questa nostra prima mattinata di visite: il tempio indù Birla. Si tratta di una grandiosa costruzione con alte cupole, esternamente tinteggiata di giallo e di rosso, forse per fare onore, come annota qualcuno del gruppo, a quella "Roma pallonara" che quest’anno sembra intenzionata a vincere lo scudetto tricolore.

Anche se non antichissimo, il "Birla Temple" ci interessa culturalmente perché in esso vi facciamo la nostra prima esperienza diretta con le divinità indù, un "panteon" dall’incalcolabile numero di dei, tra i maggiori ed i minori, rappresentati in forme per noi veramente inconcepibili.
All’ingresso, dobbiamo toglierci le scarpe e così, chi a piedi nudi chi con delle apposite calze che, per esperienza, teniamo sempre in borsa, saliamo la scalinata che ci porta in un ampio salone, l’ambiente più importante del tempio. All’ingresso, vediamo una campana che pende all’altezza del braccio dei visitatori e che viene incessantemente suonata dai fedeli per svegliare le divinità sonnacchiose o quanto meno indifferenti alle problematiche umane. Lungo la parete di fondo sono allineati numerosi altarini con le statue di Shiva, Visnu, Krishna, Ganesh e di tante altre divinità delle quali ignoriamo tutto, nome compreso. Le statue, paludate con vestiti sgargianti e con copricapi dorati, mostrano il volto e talora il corpo di marmo bianco. Il loro petto appare sempre ornato da vistose collane di fiori offerte dai fedeli.
Involontariamente assistiamo anche ad una breve cerimonia durante la quale il fedele, con le mani giunte e con diversi inchini, venera e prega la divinità dopo aver consegnato ad un addetto del tempio delle offerte (fiori, riso, dolci). Di solito, a conferma della sua fede e dei favori meritati, l’orante riceve sulla fronte una "tica", che è quella specie di "bollino di garanzia", per lo più di colore rosso, che quasi tutti gli indiani ostentano come segno di benedizione divina.
Anche se personalmente non prestiamo fede a questi idoli, seguiamo con interesse il rito e alla fine anche noi ci mettiamo in coda per farci "marchiare" la fronte con una rossa "tica".
Confondendoci con i pellegrini ed i devoti, girovaghiamo anche in altre sale ed ambienti annessi al tempio, fra cui quelli riservati alla catechesi (ricordiamo in una di esse un simbolico disegno raffigurante cinque irrequieti cavalli, che vengono interpretati come i sensi umani, tenuti a freno da redini (= le leggi morali) e guidati verso i luoghi della perfezione dalla fede e dall’intelligenza). Visitiamo anche uno strano ambiente con tanti specchi che, come ci spiega la nostra guida, hanno la funzione di farci vedere anche quello che di noi stessi non vorremmo mai vedere. Passando su di un alto ballatoio esterno, siamo raggiunti dagli stuzzicanti profumi della cucina. Essi provengono da un sottostante cortile nel quale decine di pellegrini, giunti al Birla Temple da chissà mai quali remote località indiane, si stanno preparando il pranzo, esclusivamente vegetariano, come ci precisa l’amico Aldo. E questo accostamento di fede e di gastronomia, tanto umano da essere comune ad ogni ambiente religioso nel quale convengano dei pellegrini, ci fa sentire molto più fratelli di questi anonimi ed affamati indù di quando li avevamo visti nel tempio.

Senza dover lavorare attorno ai fornelli ad... alcool, come abbiamo visto fare dai pellegrini indiani, poco dopo per noi ci sono le tavole imbandite nel lussuoso ristorante dell’hotel Crow Plaza dove giungiamo verso le ore 13,30. Il cibo è abbastanza buono e vario ma alquanto piccante tanto che, prima di riempirci il piatto, ci preoccupiamo di fare dei piccoli assaggi per prevenire il pronto intervento…dei pompieri per spegnere il fuoco che sentiamo avvampare nel nostro stomaco.

10. Le vie del centro: un caotico cocktail di persone di veicoli. - Ore 15: dopo un po’ di relax psicofisico, lasciamo l’albergo per completare la visita della capitale indiana. Come ci dice la Guida e come vediamo coi nostri occhi, si tratta di una metropoli assai eterogenea che di costante ha solo un traffico caotico ed una enorme fiumana di gente in tutte le sue strade e piazze.
Il traffico urbano indiano non può essere neppure immaginato da chi lo inquadra con i nostri consueti schemi mentali di stampo occidentale secondo i quali si può magari ipotizzare un centro di un certo livello storico ed artistico chiuso alla circolazione veicolare…con una saggia ordinanza del Sindaco. Nei centri abitati indiani le strade non sono soltanto congestionate ma intasate da veicoli di ogni tipo, invase da vacche sacre e da altri animali girovaganti in qualsiasi situazione e affollate da una marea di persone che vivono giorno e notte sulla strada, che svolgono all’aperto tutte le proprie attività umane ed "economiche" dalle quali, più o meno legalmente, traggono quel minimo di guadagno che assicura loro la sopravvivenza. Con questa umanità che vive in istrada, che pratica abitualmente l’accattonaggio e che assale i turisti, non solo moralmente ma anche fisicamente, specialmente quando scendono dal pullman per una visita importante, anche noi, in questi giorni, abbiamo un costante e talora difficile rapporto. E’ lo scotto che dobbiamo pagare per poterci accostare a quel grande patrimonio artistico e storico custodito da questa strana e sconvolgente capitale, uno straordinario tesoro culturale che non si trova solo attorno ai sontuosi viali del Rajapath, come abbiamo visto questa mattina, ma anche lungo le viuzze maleodoranti e stipate di una umanità che soffre e che ci fa soffrire, presso i templi e le moschee sempre piene di persone che nella religione trovano le uniche motivazioni per il loro difficile mestiere di vivere.

11. La moschea di Jami Masjid, nel cuore Delhi moghul. - Ma veniamo al nostro programma pomeridiano che, dopo un lungo giro per Delhi, ci porta nel quartiere musulmano nel quale si trova la grande moschea di Jami Masjid, o del Venerdì, che è considerata la più grande ed importante dell’India. Prima di visitarla, ci accostiamo al celebre Forte Rosso (il nome è giustificato dall’arenaria rossa usata per la sua costruzione), del quale ammiriamo lo splendido portale ed una parte della sua lunga cinta muraria. Purtroppo non possiamo entrare perché questo monumento è temporaneamente chiuso ai visitatori per lavori di restauro. Nelle sue vicinanze ci vengono additate altre significative opere architettoniche del periodo Moghul, cioè dei monumenti costruiti da quei potenti sovrani di origine turco-centroasiatica e di fede islamica sunnita che, con decrescente fortuna, ressero il potere nel subcontinente indiano dall’inizio del 1500 fino all’instaurazione del protettorato inglese (1857).

Parcheggiato il pullman in una stradina che ci sembra il concentrato del disordine e del frastuono, affrontiamo una ripida scalinata di pietra che porta ad uno degli ingressi di questa grande moschea eretta su di un modesto rilievo naturale dal quale tuttavia si domina tutto il sottostante quartiere.
E la panoramica di questo quartiere popolare musulmano ci emoziona in modo indicibile perché ci sembra impossibile di poter vedere con i nostri occhi un così esteso e caotico conglomerato di vecchi edifici in cui l’attività umana é intensa, multiforme ed incessante.
Per la visita della grande moschea sostiamo anzitutto nel suo vastissimo cortile (ci dicono che qui trovano spazio per la preghiera oltre 25.000 fedeli) che può essere ombreggiato mediante un complesso sistema di tendoni mobili. Visitiamo quindi l’edificio principale la cui facciata è ritmata da archi a sesto rialzato e da un armonioso contrasto cromatico prodotto dall’arenaria rossa e da un alternarsi di marmi chiari e scuri. Sopra il sacro edificio si elevano tre grandi cupole a cipolla, che per la forma e per l’eleganza ci ricordano quelle da noi ammirate nella città iraniana di Isfahan, mentre ai lati della facciata svettano due eleganti minareti sormontati dai caratteristici "chatri", vale a dire da quei caratteristici chioschi a cupola, di solito aperti, con colonnine o pilastri, che sono uno degli elementi decorativi più tipici dell’architettura indiana.
Ci sembra inutile precisare che durante la nostra presenza nella moschea dobbiamo toglierci i calzari e che le nostre signore devono addirittura allungare la loro gonna fino alle caviglie con un velo o con uno straccio fornito loro, con lungimirante malizia, dai "sacrestani" del Profeta.

12. A Chandni Chowk, un quartiere da film dell’orrore. - Quando ripartiamo con il nostro pullman, ci troviamo nel cuore di Chandni Chowk, la zona più popolare della vecchia Delhi, un labirinto di strade e di viuzze nel quale vive un numero incalcolabile di persone, per lo più musulmani. Come attraverso un formicaio umano, tra un assordante concerto di clacson, cerchiamo di aprirci un varco senza perdere per un solo istante lo spettacolo di una folla frenetica, numerosa e vociante quale mai ci era capitato di incontrare in uno stesso spazio.
Ricorderemo per tutto il resto dei nostri giorni questo tumultuoso tragitto, dapprima attraverso un bazar-emporio nel quale si può trovare qualsiasi pezzo di ricambio per autoveicoli, dal bullone al motore completo, dai pneumatici consumati ai più contorti pezzi di carrozzeria che, mediante chissà mai quale prodigio, potranno finire col circolare ancora sulle strade dell’India. Ma particolarmente avvincenti ed "olezzanti" si ci presentano gli adiacenti mercati del pesce e del pollame. Anche se sopraffatti dagli odori e dalla calca, cerchiamo di fissare con l’obiettivo della macchina fotografica alcune immagini da film dell’orrore alle quali qui ci è dato di assistere. Ci colpiscono, in particolare, la fine orrenda riservata a degli starnazzanti volatili che, estratti da anguste gabbie di legno, sono uccisi, squartati e sbudellati "coram populo", senza alcun riguardo per il decoro ed ancor meno …per l’igiene.

13. Nel parco in cui venne cremato il Mahatma Gandhi. - Appena ci liberiamo dagli ingorghi di questa bolgia infernale - annotiamo per inciso di non aver mai visto un poliziotto o un vigile urbano forse perché la loro presenza qui sarebbe del tutto …inutile - poco dopo arriviamo in un settore urbano totalmente diverso. Ci stiamo portando infatti verso riva occidentale del fiume Yamuna, un affluente del Gange, lungo il quale si distendono dei bellissimi parchi che, visti subito dopo la sconcertante esperienza di Chandni Chowk, ci fanno pensare di essere giunti, sia pur senza alcun nostro merito, …in paradiso.
Ci fermiamo davanti all’ingresso del Raj Ghat, il suggestivo parco nel quale si trova un semplice ma significativo monumento funerario eretto a ricordo della cremazione, qui avvenuta nel 1948, del Mahatma ( = Grande anima ) Gandhi. Si tratta di una semplice lastra di pietra nera sulla quale sono incise le parole "He Ram" ("Oh Dio!") pronunciate dal Padre dell’India moderna prima di morire per mano di un integralista indù. A piedi scalzi e con grande rispetto, ci accostiamo al monumento, illuminato da una lampada e ricoperto da fiori, per rendere un doveroso omaggio ad uno dei massimi protagonisti della storia del secolo da poco concluso. Prima di allontanarci la nostra Guida ci indica nelle vicinanze il luogo dove analoghe lapidi ricordano il luogo della cremazione di altri importanti uomini politici indiani fra i quali ricordiamo Nerhu e Indira Gandhi.

Concludiamo il nostro pomeriggio in un emporio della seta dove, prima di fare gli acquisti, alcune signore del nostro gruppo si prestano, come delle " top model " di fama internazionale, ad indossare e a presentare al pubblico amico dei complicati ed elegantissimi "sari" drappeggiati, dalla spalla ai piedi, da un’infinità di morbide e fruscianti pieghe.
Rientriamo in albergo vero le 18,30 desiderosi di smaltire con una doccia ed un po’ di relax non solo la stanchezza accumulata durante le odierne visite ma anche il disagio psicofisico provato in certi momenti ed in alcuni ambienti delle nostre "indimenticabili" visite odierne.
Quando alle ore 20 ci ritroviamo nel ristorante per la cena a buffet, sappiamo di dover usare la massima precauzione nella scelta dei cibi. Il risultato è sostanzialmente positivo anche se, per salvaguardare lo stomaco, dobbiamo mortificare non poco la nostra …golosità.

14. Esplorazione notturna nel quartiere adiacente all’albergo. - Prima di andare a letto, in compagnia dei più instancabili amici, ci avventuriamo in una breve passeggiata per "esplorare" il popolare quartiere sta attorno a quel "paradiso artificiale" che è il nostro albergo.

Usando prudenza, rispetto e massima vigilanza, questo nostro contatto diretto con il "vero" mondo indiano ci permette di fare delle scoperte straordinariamente interessanti. Citiamo, a titolo di esempio, quei piccoli templi indù posti, come i nostri capitelli devozionali, agli incroci delle vie, con le statue delle varie divinità "imbrattate" di riso e di altri alimenti offerti dai loro devoti; quelle scene di vita familiare che riusciamo a scorgere nelle piccole stanze prospicienti la strada; quegli olezzanti ed impolverati ambienti dei mini-ristoranti nei quali vediamo degli strani pentoloni sbuffanti vapore ed aromi che sono un "tabù" per i nostri delicati apparati digestivi: quelle lunghe fila di misere bancarelle sulle quali sono esposti non solo prodotti alimentari e frutta ma anche vestiario e calzature di infima qualità. E tutt’intorno, su strade dissestate, poco illuminate e sempre piene di traffico, il perenne via vai di un’umanità che ci colpisce non solo per il decoro con cui riesce a nascondere le propria povertà ma anche per la serenità e la rassegnazione che traspaiono dai volti sempre pronti a regalarci un sorriso ed un inchino. Quando, ad un certo momento, ci veniamo a trovare in una zona buia e deserta, sollecitati forse da un senso di paura o da un eccesso di prudenza, decidiamo di concludere la nostra esplorazione e di rientrare al più presto nel nostro splendido albergo. Qui, in un settore adiacente alla hall, ci attendono decine di negozi pieni di luci e di merci nei quali, con i tanto maledetti ma da tutti desiderati dollari americani, possiamo sbizzarrirci nell’acquisto di alcuni pregevoli prodotti dell’artigianato indiano.

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Data di pubblicazione: 01 marzo 2002

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