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Questa lettera è per una donna come me. Una donna normale, carina, dolce, quotidiana che vive la sua vita con gioia e desiderio. Una donna che la potesse leggere, sentire e capire, senza bisogno di spiegazioni. Di scandali ne eccessi. Che la leggesse e la capisse per quello che è. Per quell’energia che a volte ci esplode dentro in lampi violenti e inevitabili fino a placare la sua sete in quell’esplosione. Quel lampo che vive in ognuna di noi, non in soggetti patologici, in ognuna di noi, sotto forme diverse. Questa cosa che scrivo è un lampo. Uno dei lampi che a volte...



Vorrei che le parole volassero fuori da se stesse. Si trasfigurassero, giocassero e si scambiassero i vestiti… Che si riuscisse a leggere un “Ti amo dolcissima creatura” anche dietro un “Chiavami, fammi male, battimi, spaccami a colpi di cazzo!”. Che si riuscisse a capire un “Voglio giocare forte” dietro un “Questa ceramica lavorata è delicatissima”. Allora, per quella che leggerà come scrivo, anche fosse una sola: so che capirai un certo uso di frasi e parole, intenso, violento, passionale e sofferto… Io stasera sono una schiava. Non posso farne a meno. Stasera sono posseduta, perseguitata di voglia, da una sete inestinguibile che mi fa stare male. Perché avevo bisogno di star male e sono stata presa a parole da un uomo che in quest’istante, mentre scrivo, mi sta violentando spietatamente. Carnalmente. Mi sta squarciando. Mi stupra, gode di me, del mio corpo e della mia voglia… Mi penetra, mi possiede, mi fa sua. Con le parole e la sua anima. Lui sa, non posso scappare. E mi sta prendendo adesso… Prima che il lampo esploso fuori di me rientri con la stessa velocità nel mio essere quotidiano di ragazza “normale”… Sto godendo, credo tu lo stia sentendo… Sto avendo un orgasmo doloroso, esplosivo, intenso da impazzirci… Spero tu lo senta...



Voglia di cazzo… Voglia di cazzo… Voce di donna che diviene impersonale e senza alcuna individualità, geme di piacere obbedendo a misteriosi ordini che partono dalla sua carne e dal sangue. Lei sa cosa nascondono gli uomini… quell’innocua bestiolina che pende addormentata, inoffensiva, indifferente… Lei sa molte cose, anche questo...



Ma lei sa che le sue carni portano delle stigmate, e non tutte le donne le possiedono… Stigmate di femmina, stigmate antiche, stigmate di privilegio e condanna insieme. Lei le porta incise ben visibili sulla fronte, sulle mani, sul seno, sui fianchi, che sia coperta o no… Nel suo incedere sono riconoscibili… Da cosa dipende? Non c’entra bellezza ed eleganza. E’ il sangue che scorre più denso e caldo nelle vene. Sono gli occhi casti e impudichi insieme, innocenti e indecenti, occhi che rivelano e invitano. Sono le mani che accarezzano, stringono, palpano. E’ il seno ben fatto. I fianchi che invitano. Le gambe che a ogni passo ricordano luci e ombre. Quel vertice del sogno dei maschi che lei possiede, celato, ombroso, morbido… una pozzanghera di piacere...



Lei cammina, e che lo voglia o no gli sguardi la seguono. Sono gli sguardi essenziali che i maschi riservano alle donne con le stigmate. Non ci sono parole, in quegli sguardi, ma solo una preghiera, un istinto violento da cacciatore che osserva con cautela e bramosia la preda. E lei lo sa. E cammina. Ed è inseguita da un pensiero privo di parole. Quel pensiero non la spaventa. Sa che è così. Non può farci nulla. E’ la sua sorte. Il suo destino. Il suo privilegio. La sua condanna...



Non per tutte è così. Non tutte smuovono il sangue che veloce va a riversarsi in quelle vene scolpite sotto pelle, in quella verga in cui si trasforma quell’innocua bestiolina di prima, che ora diventa dritta scura, minacciosa, testarda, cieca, e che preme con pressione incontenibile. Che si liberi dagli indumenti, che svetti come natura gli ha insegnato a fare, che venga denudato della sua stessa pelle, che mostri la sua punta lucida e tesa, che trovi chi gli dia tregua e sfogo.
E lei sa che questo le appartiene, e a questo lei appartiene. Questo fa accadere, femmina con stigmate, e a questo non si nega, da questo non fugge. Questa trasformazione la riguarda, ogni volta che la provoca, ovunque, con chiunque…
Non sa negare i suoi occhi, né le sue mani, né le sue labbra indecenti, né tanto meno il suo ventre a chi la vuole così prepotentemente. Lei sa che è giusto così. Lei è lì, che accoglie e dà il suo corpo, che venga preso per ogni piacere, che venga posseduto, che venga usato e goduto...



Voglia di cazzo…Del cazzo dell’uomo che la desidera. E il desiderio di averla, pulsa in quelle vene in rilievo, lucida la punta tesa, spinge e preme e lei non nasconde più il proprio corpo. Si denuda. Sotto lo sguardo cieco e ribollente del cazzo che la punta. E ad ogni indumento quello stringe la carne del maschio in un morso ancora più violento. Davanti a lui è come spogliarsi per tutti gli uomini, e tramite quello tutti la possono possedere. Ora è nuda, non c’è più niente tra lei e quella punta e quelle vene e quel sangue che scorre sempre più veloce. Ora è solo lei la femmina, tutte le femmine, le sue stigmate…
E socchiude gli occhi, le labbra le si dischiudono, e apre il suo corpo a ricevere tutto il desiderio prepotente e incontenibile che lei stessa provoca, come ha sempre fatto, come sempre farà...



E che il cazzo infiammandola le dia tregua, che profanandole la bocca le azzittisca il suo desiderio e la disseti, che penetrandola fra le cosce la faccia come un maglio, come una lama affilata, come una spada che la trafigga, come una freccia che la inchiodi, che profanandola nel culo le infiammi le viscere, la infilzi come una vittima, la possieda come desidera essere finalmente posseduta. Ella stessa e la sua carne dono, come le fa piacere che sia, come sa e deve fare… Fino a identificarsi nella carne di chi la possiede. E finalmente, esplorata e straziata in tutti i modi, essere inondata da gemiti, da brividi che le salgono alla nuca, e dal suo stesso sangue divenuto ora la sborra che si riversa ovunque sulla sua carne.

No, non mi sembra che simili e altri deliri e voglie pure scomposte siano incompatibili con la scrittura, né con le cose più belle della vita...





Pensieri e sensazioni tratti da lettere che ho scritto in passato.
O, ancora, intime e dissolute "confessioni":

Frammenti e deliri