Titolo originale:
Echoes of the great song

QUARTA DI COPERTINA

Erano immortali, e vivevano come immortali mentre il loro impero stava morendo. Presuntuosi ed egoisti, gli Avatar dominavano con la magia e le scienze arcane un mondo decaduto. Ma poi due lune apparvero nel cielo, e un nemico terribile varcò la soglia fra i mondi. Le armate assetate di sangue della Regina di Cristallo sciamarono per la Terra, portando devastazione e terrore, lasciandosi dietro una montagna di cadaveri da sacrificare. Mentre le città stavano per affrontare la distruzione, tre eroi si prepararono a sconfiggere il nemico: Talaban, un guerriero tormentato dal suo passato tragico, Mano-di-Roccia, il mistico uomo delle tribù in cerca del suo amore perduto, e Anu, il Santo, l'architetto del Tempo. E quando tutto sembrava perduto, altri due si unirono a loro: Sofarita, la fanciulla di campagna che avrebbe dato vita a una leggenda, e Viruk il Pazzo, destinato a diventare un dio.


COMMENTO

Questa volta Gemmell ci pone in un mondo dotato di precise coordinate temporali, circa 1850 anni dopo la fondazione dell'Impero degli Avatar. Anche se del loro impero rimane ben poco: infatti, come per i Gabala, tutta la novella si basa sulle conseguenze di una tragedia iniziale, e sul modo in cui i singoli personaggi le affrontano. Come nella migliore tradizione gemmelliana, lo scavo psicologico la fa da padrone, rendendo questo libro un grande canto il cui coro è composto dai singoli personaggi. Tutti gli elementi contribuiscono alla sinfonia, chi con dei singoli gorgheggi, chi con assoli prolungati, dipingendo, oltre a se stessi, i popoli cui appartengono: innanzitutto gli Avatar, la cui grandezza è superata solo dall'infinito sciovinismo e complesso di superiorità nutrito nei confronti degli altri popoli. Ma anche gli Anajo e il Popolo delle Stelle. Come nella Perla Nera per gli uomini e i Daroth i mali dei primi vengono eclissati dai secondi, così gli Avatar, sprezzanti e insopportabili, si riscattano nella mirabile scena della cavalcata finale.

Voto: 8


PROLOGO


Ed era il tempo prima del nostro tempo, quando Tail-avar, dio della saggezza, si mise in viaggio con Stor-ro, Narratore di leggende, e Mano-sulla-luna, dio delle tribù, per sottrarre il potere alle fauci incanta-te del Gigante del Gelo. Con una corda magicamen-te intrecciata dai raggi della luna Tail-avar prese al laccio sette serpenti di mare, ed essi trascinarono la sua canoa attraverso la Grande Acqua in meno di un giorno. Quando Mano-sulla-luna vide che genere di bestia erano venuti a cercare, si gettò sul fonda della canoa e invocò lo Spirito del Cielo che infon-desse loro coraggio. Perchè il Gigante del Gelo era più grande delle montagne, e la sua schiena bianca lacerava la volta celeste. Il fiato della sua bocca flui-va per molte leghe come una bruma fredda sull'ac-qua. Le sue unghie erano lunghe come costole di balena, i suoi denti aguzzi come il tradimento.

dal Canto del mattino degli Anajo

Solitario sul fianco gelato della collina, mentre il vento soffiava freddo fra i ghiacciai, Talaban si ricordò della prima volta in cui aveva udito la profezia.

Il Grande Orso scenderà dai cieli e con la sua zampa colpirà
l'oceano. Esso divorerà tutte le opere dell'uomo. Poi dormirà per
diecimila anni e il respiro del suo sonno sarà morte.

Queste parole erano state pronunciate da un profeta vagar; un uomo lacero, vestito di pelli luride, seduto sui gradini più bassi del Grande Tempio. Scambiandolo per un mendicante, il giovane ufficiale avatar dai capelli blu gli aveva dato una moneta d'argen-to. Il mistico la guardò, rigirandosela nella mano sudicia. Il suo viso era striato di polvere e sudore, e sul collo aveva una pustola infiammata. Se si fosse trovato in qualsiasi altra zona della città la Guardia lo avrebbe arrestato, perchè ai mendicanti di Fuori non era permesso l'accesso alle strade di Parapolis. Ma il Tempio era il centro riconosciuto delle religioni del mondo, e tutti erano liberi di riunirvisi. Vagar, uomini della tribù, nomadi, tutti si recavano a Parapolis. Gli Avatar lo permettevano in base a considerazioni politiche non meno che spirituali; infatti i barbari ritornavano alle loro case e convincevano i loro seguaci che una rivolta sarebbe stata futile. Parapolis, con le sue scintillanti torri d'oro e la sua potente magia, era un simbolo di forza invincibile.
Talaban osservava il mendicante avvolto in pelli mentre esa-minava la moneta. La pustola sul callo sembrava prossima a scoppiare, e il dolore doveva essere acuto. Talaban si offrì di guarir-gliela. L'uomo scosse la testa, e il movimento lo fece trasalire per il tormento dell'infiammazione. "Non ho bisogno di guarigione, Avatar. Questa pustola è parte di me, e mi lascerà quando sarà pronta a farlo." Il mistico contemplò la moneta d'argento che te-neva in mano, poi alzò la sguardo sull'alto guerriero dai capelli blu. "II tuo dono rivela uno spirito generoso, Avatar. Guardati in-torno, e dimmi che cosa vedi."
Talaban osservò gli edifici colossali del centro della capitale. Il Grande Tempio era una magnifica costruzione dal tetto rivestito di piastre d'oro, adorna di centinaia di statue marmoree splendidamente lavorate che rappresentavano mille anni di storia degli Avatar. Accanto si ergeva il Monumento, un'imponente colonna dorata alta quasi settanta metri. Dovunque guardasse, Talaban vedeva la gloria della capitale degli Avatar: edifici impressionanti, archi maestosi, strade pavimentate. E sullo sfondo, serena da mozzare il fiato, capace di rendere insignificanti tutte le incredibili opere di architettura avatar, troneggiava la presenza solenne della Piramide Bianca. Tre milioni di blocchi di pietra, molti di essi pesanti più di duecento tonnellate, erano stati usati per creare quella mon-tagna artificiale, e l'intero edificio era rivestito di marmo bianco. Per un attimo Talaban si smarrì nella meraviglia della visione. Poi ricordò la domanda che l'uomo malridotto gli aveva posto. "Io
vedo ciò che vedi tu >> rispose. <<LA più grande città mai costruita..>>
Il mistico ridacchiò. <<Tu non vedi ciò che vedo io. Tu vedi ciò che è, io veda ciò che sarà." Indicò il Monumento luccicante, che si inna1zava come una lancia verso i cie1i. Era un'opera meravi-gliosa, e dalla corona che la sormontava si irradiavano punte do-rate. L'oro della sommità pesava da solo quasi una tonnellata. "Quella corona cadrà quando il corpo della balena ci si schianterà
sopra>> disse.
"Non ho mai visto una balena che vola " obiettò rispettosamente 
Talaban.
"E non la vcdrai>> concordò il mistico. Poi parlò del Grande Orso e del suo sonno di morte.
A quel punto Talaban cominciava ad annoiarsi. sORRiSE All'uo-mo e si girò per andarsene. La voce dEl mistico lo seguì.
"L'orso sarà bianco. Gloriosamente bianco. Proprio come la piramide. E tu sarai uno dei pochi Avatar che lo contemplerà e vivrà. E quando lo farai, i tuoi capelli non saranno più tinti di blu. Saranno scuri. Perché allora avrai imparato l'umiltà, Avatar.>>
Un vento gelido sussurrava fra le colline coperte di neve. La mente di Talaban tornò al presente. Spingendo indietro con le dita
i capelli scuri come la notte, sollevò il cappuccio bordato di Pel-liccia e lasciò scorrere lo sguardo sui ghiacciai.
C'era stato un tempo in cui aveva odiato il ghiaccio. L'aveva odiato con ogni fibra del suO essere. Eppure adesso guardava senza
rabbia la fredda e fragile bellezza dei ghiacciai. Si sorprese per-fino ad apprezzare i colori pallidi suscitati dalla luce del sole sulla candide pendici spettrali del ghiacciaio, il blu tenue del riflesso del cielo, il luccichio dorato del tramonto.
Lì sotto era nascosto cosi tanto, perso per sempre. I suoi amici d'infanzia, la famiglia, migliaia di opere letterarie e filosofiche,
tutto sepolto. Insieme ai sogni e alle speranze. Eppure, malgrado ciò che gli aveva sottratto, il ghiaccio si era rivelato troppo poten-te per l'odio di Talaban; troppo immenso e freddo per la sua furia.
E ora, mentre i suoi occhi scuri esaminavano le montagne bian-che, provò nel cuore una curiosa sensazione di affinità con il ghiac-cio, perchè anche i suoi stessi sentimenti adesso erano sepolti in profondità, forse tanto quanto Parapolis, che giaceva congelata sotto il ventre del Grande Orso di ghiaccio.
L'alto guerriero spostò lo sguardo sul piccolo gruppo di uomi-ni che lavoravano ai piedi delle montagne gelate. Dal suo punto di osservazione sul fianco della collina li vedeva conficcare nel suolo le sonde dorate e installare le piccole piramidi fatte di aste d'argento. Le piramidi venivano poi collegate fra loro tramite fili d'oro. Talaban distingueva la sagoma bassa e tarchiata del questo-re Ro che si muoveva fra i Vagar, dando ordini, abbaiando coman-di. A quella distanza non poteva sentirlo, ma capiva dai suoi gesti impazienti che il questore stava spaventando a morte la sua squa-dra. E si trattava di una paura molto reale. Il questore Ro era uno dei pochi Avatar che continuavano abitualmente a condannare i propri servi alla frusta per infrazioni di poco conto. L'ometto era potente all'interno del Consiglio, e la spedizione era stata realiz-zata grazie alla sua influenza.
Sarà ancora cosi potente al ritorno? si chiese Talaban.
Da tempo aveva rinunciato all'ottimismo e considerava futile l'impresa, ma i suoi ordini erano precisi: condurre il questore Ro e la sua squadra sul ghiaccio, proteggerli, supervisionare l'operazione e tornare entro tre mesi.
Era la settima squadra in quattro anni a tentare il Contatto. Talaban aveva comandato tre delle spedizioni. Tutte si erano concluse con un fallimento, e lui non si aspettava da questa un risultato migliore. L'opinione prevalente era che il Contatto non fosse più possibile. Il questore Ro invece era stato d'altro avviso e aveva chiamato i suoi colleghi 'patetici disfattisti'. I suoi nemici, ed era-no molti, avevano contribuito all'allestimento della spedizione at-tuale. Il loro scopo era evidente: vedere il questore Ro umiliato. Ciò non sembrava agitare l'ometto.
Distogliendo lo sguardo dal ghiaccio, Talaban osservò la pia-nura spoglia in cerca di segni di movimento. Nelle montagne a est vivevano ancora i nomadi. Erano un popolo selvaggio e brutale, entusiasta all'idea di uno scontro in quel luogo freddo e desolato.
Quelle terre congelate, un tempo così meravigliosamente ferti-li, erano ora piene di pericoli. I nomadi erano solo una delle molte minacce. Nell'ultima spedizione un branco di denti-a-sciabola ave-va attaccato una squadra di lavoratori, uccidendo tre Vagar c trasci-nandone via un quarto. Talaban aveva abbattuto la bestia che stava maciullando il Vagar. La vittima era morta dissanguata in pochi istanti per un'arteria lacerata nel ventre. Poi c'erano i kral. Non si erano più visti dalla prima spedizione, ma la paura che incuteva-no rimaneva forte, e la descrizione della loro ferocia cresceva con ogni racconto. Talaban non aveva mai visto un kral, ma i testimoni gli avevano raccontato della loro selvaggia velocità. Erano coperti di pelo bianco come un orso delle nevi, ma i loro musi erano quasi umani, anche se incredibilmente bestiali. Secondo tre reso-conti erano più alti di due metri, con lunghi arti superiori. Carica-vano a quattro zampe c uccidevano con artigli e denti aguzzi.
L'ultimo dei pericoli, ma certamente non il meno grave, era costituito dai branchi di zannuti che percorrevano le foreste a oriente. Le pellicce irsute li proteggevano dal clima rigido, e le zanne, spesso più lunghe di tre metri, li rendevano avversari mi-nacciosi. Perfino i denti-a-sciabola generalmente evitavano questi mastodonti - a meno che non riuscissero a isolarne uno.
La vasta pianura appariva vuota. Talaban fece un cenno al suo sergente, Methras, posizionato sul fianco di una collina seicento passi a est. L'uomo allargò le braccia a palmi in giù, significando che non c'era niente da segnalare.
Un movimento sul mare attirò lo sguardo di Talaban. Dapprima pensò che fosse una nave, poi vide l'ampia schiena di una balena azzurra emergere e curvarsi prima che il mare la inghiottisse di nuovo. Le parole del profeta gli tornarono alla memoria. E ora sapeva che, quando l'onda di marea aveva ingoiato Parapolis, una balena si era schiantata contro la corona del Monumento, strap-pandola via. Si chiese se il piccolo mistico fosse sopravvissuto.


GLOSSARIO

 
Talaban Ufficiale avatar
Parapolis Capitale dell'impero avatar
Avatar Popolo dominatore del mondo; si distingue dagli altri per i capelli tinti di blu
Ro Questore avatar col compito di ricaricare gli scrigni
Vagar Popolo sottoposto agli Avatar
Kral Grandi bestie dal pelo bianco con musi quasi umani
Methras Sergente vagar di Talaban (probabilmente di ascendenza avatar)
Settimo serpente Ultima nave avatar
Mano-di-Roccia Uomo delle tribù
Anu Il Santo, il veggente, lo studioso
Sommo Avatar Imperatore avatar
Archi Zhi Arma avatar che scaglia dardi di energia
Pagaru ed Egaru Le città gemelle; uniche città avatar sopravvissute allo spostamento dell'asse terrestre
Suryet Moglie di Mano-Di-Roccia
Anajo Tribù di Mano-di-Roccia
Tanya Moglie del questore Ro
Karesh Var Famoso cacciatore e capo dei nomadi Zheng
Onquer Assistente del questore Ro
Niclin Membro del consiglio Avatar
Grande piramide Fonte di energia degli Avatar
Viruk il pazzo Capitano avatar
Popolo delle Stelle (i Fangosi) Tribù confinante con gli Avatar, che richiama gli Egizi
Rael Questore generale
Shalik Capo del villaggio vagar di Pacepta
Sofarita Donna del villaggio vagar di Pacepta
Bekar Padre di Sofarita
Sadau Vasaio degli Erek Zhip Jhonad (Il Popolo delle Stelle)
Ammon Re del Popolo delle Stelle
Anwar Architetto del Popolo delle stelle, precettore e consigliere di Ammon
Judon Capo della tribù dei Patiake
Cation Aiutante e nipote di Rael
Baliel Questore assassinato
Pajist (Assassini) Gruppo vagar clandestino con lo scopo di uccidere gli Avatar
Mirani Moglie di Rael
Caprishan Membro del consiglio Avatar
Shevan Assistente di Anu
Pagaru, Egaru, Boria, Pejkan, Caval Uniche città avatar sopravvissute alla caduta del mondo
Rzak Xhen Capo della tribù Hantu
Volpe-un-occhio Sciamano anajo
Anajo Il Primo Popolo, sorta di indiani americani
Mejana Capo dei Pajist
Chryssa Moglie di Talaban e figlia di Rael
Baj Oste e cuoco ad Egaru
Pendar Amico di Metras
Kale Giardiniere di Viruk
Almeia La Regina di Cristallo: donna che vive nella piramide Almec e si nutre di sangue
Almec Popolo venuto da un'altra dimensione, simile agli Aztechi
Cas-Coatl Signore del terzo settore, capo degli Almec