Il moralista Giovenale inveisce contro le donne e il vino.

 

Ma tua moglie fa bere

nello stesso bicchiere te e persone

con cui nemmeno la bionda puttana

di un sepolcro in rovina accetterebbe

di sorseggiare il vino d'Alba o di Sorrento.

È su loro consiglio che le donne

Ti sposano e all'improvviso poi t'abbandonano;

è a loro che riservano i languori del cuore

o i drammi della vita;

alla loro scuola imparano a dimenare

natiche e fianchi, e qualunque prodezza

siano capaci d'insegnare.

Ma non fidarti, non fidarti troppo:

un amante può tingersi gli occhi di bistro,

abbigliarsi di giallo zafferano e mettersi in testa una reticella!

 

Lei finalmente arriva, rossa in viso

E così assetata di vino

Da ingoiarsi l'intero contenuto,

una diecina di litri, del barilotto

posto ai suoi piedi.

Ma prima di mangiare

Gliene portano un altro litro

Che, lavato lo stomaco

E rimesso imbrattando il pavimento,

renderà più rabbiosa la sua fame.

Rivoli di vino sui marmi, fetore di Falerno nei bacili d'oro:

come una lunga biscia

caduta in fondo a un tino,

lei beve e vomita. E il marito?

Ha la nausea e stringe gli occhi per soffocar la bile.

 

Intorpidito, il palato di un vecchio

non trae più piacere da vino e cibo;

e l'amore è un ricordo d'altri tempi:

flaccido il suo piccolo membro dorme,

prova pure a palparlo,

e non cesserà di dormire

anche se lo palpi tutta la notte.

 

L'anfitrione intanto beve vino imbottigliato al tempo in cui

i consoli portavano i capelli ancora intonsi, e ne conserva di quello pigiato

durante le guerre sociali. Lui, che nemmeno un bicchiere ne manderebbe

a un amico sofferente di stomaco, domani si berrà un vino

dei colli Albani o dei Setini,

così vecchio che il tempo

sotto un velo di muffa ne avrà cancellato

sull'anfora antica origine e nome;

un vino uguale a quello che bevevano,

incoronati di fiori, Tràsea ed Elvidio

nell'anniversario dei due Bruti e di Cassio.

E in che coppe li beve il tuo Virrone!

Enormi, incrostate d'ambra, tempestate di gemme. […]

Tu invece vuoterai un calice a quattro becchi,

che porta il nome di un ciabattino di Benevento, e in più sbrecciato al punto

da invocare zolfo per le crepe del vetro.

Se per troppe pietanze e troppo vino

ribolle lo stomaco del padrone,

ecco pronta per lui acqua bollita,

più fredda della neve getica.

Lamentavo che a voi

si servisse altra qualità di vini?

Ma anche l'acqua che bevete è diversa!

 

Questa la pena che attende chi ha solo

l'intenzione di compiere un delitto:

chi lo medita in segreto fra sé è come se l'avesse

già commesso. Figurarsi poi se lo realizza.

Ansia perpetua lo divora,

anche quand'è l'ora di pranzo,

senza requie, così che non riesce a inghiottire

e il cibo gli si impasta nella gola,

secca come per un morbo, e tra i denti;

l'infelice sputa il vino che beve

e gli pare disgustoso persino

un Albano pregiato invecchiato negli anni;

e se poi gliene offri del migliore,

d'una ragnatela di rughe

gli si aggrinza la fronte,

come se avesse bevuto un Falerno inacidito.

 

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