Gli ubriaconi di
Marziale.
Poiché dieci buoni per il vinofuron dati a ciascun dei cavalieri,
come mai tu, Sestiliano,
ne bevi venti e da solo?
L'acqua calda ai nostri acquaioli
sarebbe già mancata,
se tu, Sestiliano,
non bevessi soltanto vino puro.
Chi crede che Acerra puzzi
del vino ieri bevuto,
s'inganna:
Acerra continua a bere
sino alle luci dell'alba.
Da poco era passata mezzanotte
e Panareto, fradicio ubriaco,
facendo schioccare le sue dita,
chiese il vaso da notte.
Gli fu data una brocca spoletina
ch'egli aveva del vino già vuotata,
né gli era bastata tutta intera,
pur bevendo da solo.
Egli con esattezza scrupolosa,
restituendo alla brocca il proprio vino,
la riempì sino al giusto suo livello.
Ti stupisci
che la brocca abbia ricevuto
quanto Panareto avea bevuto?
Cessa, o Rufo, di stupirti:
egli vino puro avea bevuto.
Tu sempre ci mesci da bere
il massico o i vini di Sezze,
o Papilo,
ma dicono le male lingue
che sì buoni non sono i tuoi vini:
si dice che per quattro volte
con queste bottiglie
vedovo sei diventato.
Io non lo penso e neppure lo credo,
o Papilo,
ma non ho punto sete.
Un'anfora di vino pagata è venti soldi, un moggio di grano appena quattro.
Ubriaco e a pancia piena il contadino è ora senza un soldo.
Mentre tu trinchi e trinchi in grandi coppe di color d'ametista
e sei brillo di vino opimiano, a me offri soltanto un vinello sabino
troppo giovane e intanto, Cotta, tu mi dici: "Vuoi bere in una coppa d'oro?"
E chi mai in una coppa d'oro
vuol bere vini indigesti come piombo?
Quando sarete sazi, frutta matura avrete a piacimento
ed un limpido vino di una bottiglia di Nomento,
invecchiato sino al sesto anno sotto il consolato di Frontino.
Si aggiungeranno scherzi senza fiele, franche parole che all'indomani
non vi faran temere o che vorreste
aver taciute.
I miei convitati parleranno
a loro agio dei Verdi e degli Azzurri,
né i bicchieri ch'io farò riempire
vi faranno finire in tribunale.
Domandi perché mai in tanti giorni
la febbre non ti lasci, o mio Letino,
e gemi e ti lamenti di continuo.
Essa è portata con te nella lettiga
e viene alle terme insieme a te,
mangia boleti, ostriche e cinghiale
e tettine di scrofa,
spesso del vino di Sezze si ubriaca
e spesso del Falerno
e il Cècubo non beve
se non è filtrato in neve.
Di rose ornata
e d'amomo brunito profumata
si sdraia sul triclinio,
dorme su un letto soffice di piume
e di porpora coperto.
Dal momento che mangia di buon gusto,
che stando in te vive così bene,
vuoi che la tua febbre preferisca
di andare da Dama, il mendicante?
Fescennia, tu per non puzzare del vino che hai bevuto
il giorno innanzi, da raffinata divori pastiglioni preparati
dal profumiere Cosmo. Questo spuntino che tu fai digiuna
i denti t'impastriccia e a nulla giova,
quando il rutto risale dal profondo.
Che dico? Anzi il fetore che tu emani,
misto agli aromi delle tue pastiglie
si spande più sgradevole e lontano,
come un duplice puzzo del respiro.
Insomma, smetti i troppo noti trucchi
e i discoperti inganni:
sii semplicemente ubriacona.
Tu di volta in volta, Rufo, alterni l'acqua al vino e,
se un amico ti costringe a berlo, bevi appena appena
un'oncia di Falerno misto ad acqua.
Forse che Nevia ti ha fatto la promessa d'una notte
d'amore e preferiscile sobrie leggerezze per goderti
una sequela d'amorosi amplessi?
Tu sospiri, taci e ti lamenti:
essa ti ha risposto con un no.
Conviene dunque che una dietro l'altra
tu trinchi delle coppe e nel vin puro
soffocare il tuo dolore duro.
Perché, Rufo, vuoi mantenerti sobrio?
Conviene invece che ci dorma su.