Tratto da "CAPOLAVORI ITALIANI 3" prodotto da l'Unità e RICORDI

IL REGISTA

In Bianca c'è meno mimesi, meno identificazione. Ci sono personaggi come Bianca (Laura Morante) e il commissario (Roberto Vezzosi), più autonomi, più complessi. Non sono mere funzioni del protagonista, non sono del suo ambiente politico, sociale generazionale, non ne replicano solo lati minori o grotteschi. E' un film meno autobiografico nelle situazioni, nei dettagli, negli ambienti. E' invece autobiografico per quel che riguarda il nucleo psicologico di Michele Apicella, protagonista. Le altre volte il film nasceva dalle situazioni che il personaggio viveva (Michele e le ragazze, Michele e la famiglia, Michele e il cinema, Michele e il bambino), qui invece nasce dai suoi caratteri psicologici, dal suo dolore. E dal suo approfondimento. E' un crescendo. E' la storia di un vezzo che diventa una forte caratteristica psicologica, poi una nevrosi, poi una malattia, poi una pazzia. ...C'è un sospetto di psicanalisi, però non mostrata, non didascalica. Se il protagonista è esagitato ed eccessivo, i problemi che la sua storia tocca sono reali e in fondo sono di tutti. C'è un po' anche il clima di anni che mi sembrano i più neri fra quelli che ho conosciuto, ma anche sono meno ideologici, meno fideisti nelle scorciatoie che "superano" certi valori (la coppia, ad esempio) senza averli vissuti, attraversati. Il film forse registra questo, e una difficoltà. Tragica. In Bianca è data una maggiore importanza al racconto, ...al "senso" espresso. per i miei film ho spesso parlato di sctruttura orizzontale, ma certamente non l'ho mai teorizzata. Era il mio modo di raccontare le storie. Questa più forte esigenza di "racconto" nasce dal mio "lavoro" di spettatore che va insieme al mio lavoro di regista.

Nanni Moretti

 
Tratto da "CAPOLAVORI ITALIANI 3" prodotto da l'Unità e RICORDI

Un "giallo", Bianca? Se si vuole sì. Ma anomalo e personale come ogni film di Nanni Moretti. Non sono "gialli" (per far nomi grossi) anche Delitto e castigo o M, il mostro di Dusseldorf? Per di più Bianca è una commedia. Angosciosa e persino agghiacciante, ma dove il segno dell'autore-attore è riconoscibile dal principio alla fine: solo che graffia in maniera assai più dolorosa che in passato.
L'impianto è da giallo, ma il traguardo non è la soluzione di un enigma poliziesco, e il suo indubbio suspense non si alimenta delle convenzioni di un genere cinematografico. Come La finestra sul cortile il film presuppone il suo delitto, il suo assassino, il suo voyeur. Sennonché voveur e assassino sono lo stesso individuo, e in lui può identificarsi chiunque, purché sia un "uomo di qualità".
Nessun delitto (perché ce n'è più d'uno) viene mostrato direttamente Più che d’uccisioni si tratta d’eliminazioni di cancellazioni operate da una sorta di piccolo grande inquisitore (ancora Dostoevskij) che "giudica e manda" dopo aver spiato e catalogato le vittime. Le quali sono colpevoli di aver infranto la folle norma che il giustiziere ha fissato per loro: mai deluderlo!
Il che è tragico, ma anche comico. Certo la commedia non è proprio "all'italiana", perché nel 1984 (l’anno di Bianca) quel tempo è abbondantemente scaduto. Del resto lo stesso Moretti aveva assestato i colpi finali con Io sono un autarchico, Ecce Bombo e Sogni d'oro. Tuttavia si continua a ridere e anzi la comicità è di grana così buona, che certi momenti sono da antologia (come la scorpacciata di nutella da un vaso gigantesco) e certi motti diventati proverbiali (come "e continuiamo così, facciamoci del male" riferito ad un infelice che non conosce la Sachertorte).Giudicando la nuova generazione dal basso, in altre parole a partire dalle scarpe ("ogni scarpa una camminata; ogni camminata, una diversa concezione del mondo"), si può suscitare ilarità, ma un'ilarità che s’inserisce in un contesto da brivido- Proseguendo così con nomi grossi: forse che il vecchio Monsieur Verdoux non ci faceva ridere e fremere insieme, col suo privato disegno di sterminio?
Bianca è un film-svolta nell'attività creativa dell’autore. Intanto per la prima volta una giura femminile si merita il titolo. Poi c'è una sceneggiatura "di ferro" solidamente architettata per un’edita struttura di racconto. Moretti la elabora con Sandro Petraglia, affermatosi con Matti da slegare; e così farà nel successivo La messa è finita, eccezionalmente realizzato ad un solo anno di distanza invece dei tre o quattro abituali, quasi a segnare la necessità di un'immediata prosecuzione del discorso. Infatti la sete d'assoluto che pervade il Michele Apicella di Bianca può ben trasferirsi sulla spalle di un sacerdote, don Giulio, proteso anche lui a sovvertire il mondo, e anche lui sconfitto. Visione laica e visione religiosa, unite dalla medesima ripulsa d'ogni compromesso, vanno incontro alla medesima disfatta. Tale il destino comune ad entrambi i protagonisti.
Alle febbri contestatarie cui il cineasta non aveva risparmiato strali critici e autocritici, è subentrato il Riflusso Moretti non si nasconde dietro l'ideologia, mia affronta il problema di petto. Il suo assillo sembra essere quello di capire se, e fin dove, anche la "restaurazione" possa essere "rivoluzionaria". Ricostruire ciò che si è distrutto rutto non sempre è operazione di retroguardia, talvolta è il contrario. Alcuni valori vanno preservati se non altro col nome dell'Etica e forse anche dell'Estetica: non per spirito di conservazione ma perché non passi il degrado.
Cosi la pensa sicuramente Michele, che si confronta in modo totale con la comunicazione nella forma più alta: l'amore. Sulle ceneri del permissivismo ad oltranza, del disimpegno amoroso, della coppia aperta, egli avverte Il bisogno di salvare qualcosa d’antico: la profondità del sentimento, la coppia unita, l'amicizia perenne. Questo bisogno diventa un imperativo che non consente debolezze; e chi sgarra viene punito come sappiamo. Ma egli stesso è debole: per paura di soffrire, uccide sul nascere l'unico legame ideale.
Come professore di matematica, Michele e avvezzo ai calcoli astratti, ai teoremi sublimi, ai numeri che non mentono. Perciò si arma di un archivio classificatorio per fotografare le situazioni degli amici e mettere ciascuno al posto che gli compete. Ma in un mondo capovolto in partenza, cioè dalla scuola in cui dovrebbe insegnare (intitolata a Marilyn Monroe, rallegrata da poster con la coppia Dean Martin-Jerry Lewis e da seminari scientifici sulle canzonette di moda, e dove il ritratto di Zoff sostituisce quello del capo dello Stato), è piuttosto difficile fare ordine a colpi di logica e morale.
Comunque tutti coloro che Michele osserva e studia, lo deludono: allora non li vuol più vedere e li cancella. L'ultima sua vittima è Bianca, che ama riamato; ma quando si risveglia accanto a lei, non osa credere alla felicità e se ne ritrae con l'occhio del pazzo.
È lui a confessare i crimini, come Raskolnikov atteso al varco dal giudice Porfirij. Il commissario del film è un investigatore casareccio che può capirlo, da buon perdente quale è: famiglia spezzata, stringhe di diverso colore alle scarpe (nulla sfugge allo sguardo del nostro voyevr), ufficio sotto il livello stradale. Ma per quanto abbia fatto il callo alla vita, Michele lo stupisce ancora. Perché il suo comportamento, le sue osservazioni, i suoi vizi (i sacrosanti dolciumi appartengono ad un "puro" come non se ne trovano più.
E la cui onesta giunge al punto di ammettere "Io mica lo so cos’è la mia generazione" Ora non è paradossale che una frase del genere sia pronunciata tramite i suo alter ego da un cineasta che si è "costruito" con la più generazionale delle autobiografie Ma proprio tale paradosso sigilla il distacco dai film precedenti. Con Bianca che ha per protagonista una paranoico Nanni Moretti "oggettivizza" il proprio percorso non si limita a mettersi in gioco (lui e gli altri del "branco") con travolgente ironia, ma, appunto perché si inquadra in un caso clinico, si distanzia dalla sola indagine di costume per aprirsi ad uno spazio dove la satira delle passate illusioni si fa feroce e dove la sua controfigura assume una consistenza psicologica nuova. Pur non rinunciando affatto alle idiosincrasie alla genialità e allo spasso della sua maschera consueta.
In certo senso, è come se il personaggio di Michele proseguisse la situazione conclusiva di Ecce Bombo, quando usciva dal gruppo e si affacciava nella stanza della ragazza schizofrenica. Solo che adesso al posto di lei c'è lui. E così la sua ricerca coerente e assurda diventa la spia di un disagio che oltrepassa di molto la sua persona.

Ugo Casiraghi