APONÍA by Franz "Sleepy" Fioravanti La stanza era buia. Una piccola sveglia rotonda ticchettava sul comodino. L'uomo giaceva sul letto, gli occhi chiusi, il respiro pesante e faticoso. A tratti, un lamento soffocato gli erompeva dalla gola, mentre la sua mano stringeva convulsamente la stoffa del pigiama macchiato di sangue. La porta si aprì, e poi si richiuse. Udendo il rumore, l'uomo voltò faticosamente il capo e ascoltò i passi percorrere lenti il piancito di legno e avvicinarsi al letto. Aprì gli occhi e guardò verso il punto dove i passi erano cessati, tentando inutilmente di mettere a fuoco i contorni della figura in piedi accanto a lui. Allungò una mano, e le sue magre dita incrostate di sangue brancolarono nel vuoto. Il braccio gli ricadde sul letto, e un lungo, rantolante sospiro gli uscì dai polmoni, come se quello sforzo gli avesse prosciugato le ultime energie. Per un attimo ci fu un silenzio profondo, scandito dal rumore ovattato della sveglia. Poi, all'improvviso, un urlo rauco e prolungato spezzò la quiete, e il ferito, udendolo, si riscosse e spalancò gli occhi. "Dove sei?" mormorò, ritrovando per un attimo le forze. "Non ti diverti più, vero?" Sentì dei passi allontanarsi veloci, il rumore della porta che si apriva. "Guardami morire!" gridò. La porta si richiuse con un tonfo. "Guardami!" L'uomo rimase solo, nella stanza buia. *** F.B.I. Headquarters Washington D.C. Venerdì, 9:46 a.m. Mulder sbuffò. Dove diavolo era finita Scully? Era uscita da più di mezz'ora, dopo aver ricevuto una misteriosa telefonata, e prima di chiudersi alle spalle la porta dell'ufficio gli aveva promesso che sarebbe tornata entro pochi minuti. Così aveva detto. Sbuffò di nuovo, mentre toglieva i piedi dalla scrivania. Non aveva casi interessanti per le mani, e neppure rapporti in arretrato da redigere. Si stava annoiando. In cerca di ispirazione, si guardò intorno. Vide quello che vedeva tutti i giorni: un ufficio che a detta di qualcuno aveva un urgente bisogno di essere riordinato, prima che a qualche vicedirettore venisse in mente di mandare una squadra di sgombero a ripulire i sotterranei... Per qualche secondo si rigirò nella mente l'idea di sistemare un po' di cose, mentre allungava la mano verso una pila di documenti in precario equilibrio sul bordo della scrivania. Ma il pensiero si dissolse in fretta. E comunque, non avrebbe saputo da che parte cominciare. Pescò una chiave dalla tasca dei pantaloni, aprì un cassetto e ne tirò fuori una rivista. In quel momento qualcuno bussò alla porta. "Avanti..." esclamò, buttando la rivista nel cassetto e richiudendolo a chiave. La porta si spalancò, lasciando entrare Scully. Un uomo entrò dietro di lei. Mulder si alzò in piedi, richiudendo lentamente il fascicolo che aveva aperto un attimo prima che i due entrassero. Osservò con sguardo neutro l'uomo in piedi accanto a Scully. Alto, magro, capelli biondi e ricci, sui 35 anni, in completo scuro. Probabilmente qualcuno l'avrebbe definito un bell'uomo. Mulder si schiarì la gola, lanciando un'occhiata interrogativa a Scully. "Mulder, questo è il sergente Kearney, del 4° Distretto", disse lei, avvicinandosi alla scrivania. Poi, voltandosi verso l'uomo: "Sean, ti presento Fox Mulder." Il sergente fece un passo avanti e allungò una mano verso Mulder, sorridendo. "Piacere di conoscerla, agente Mulder!" Mulder gli strinse la mano. "Erano anni che nessuno me lo diceva." Sorrise a sua volta. "Posso sapere cosa l'ha condotta qui nelle zone basse del Bureau, sergente Kearney?" L'uomo si strinse nelle spalle. "Be', diciamo che si tratta di qualcosa... all'altezza del luogo." Mulder lo fissò, annuendo. "Capisco. Si trova per le mani il caso di una lavatrice posseduta da uno spirito maligno, e non sa dove sbattere la testa... Ci ho preso?" L'altro rise brevemente, scuotendo il capo. "Non così in basso, agente Mulder. In realtà mi sembra un caso che potrebbe interessarla. Anche se non si tratta di un..." si voltò verso Scully "...Come li chiamate? X-Files?" Scully annuì. "Probabilmente abbiamo a che fare con degli omicidî seriali. Ma i nostri profiler non cavano un ragno dal buco. A quanto mi dice Dana, lei potrebbe darci una mano." Mulder diede una rapida occhiata a Scully, inclinando il capo. "La pubblicità è l'anima del commercio" disse, riportando l'attenzione su Kearney. "Ma a volte i promoter esagerano..." ghignò. L'uomo sorrise in risposta. "Conosco Dana dai tempi dell'Accademia, e non mi sembra incline ad esagerare." Mulder si grattò una guancia, osservando Kearney con rinnovato interesse. "No, di solito non lo fa" ammise. Poi si sedette, indicando all'uomo la sedia di fronte alla scrivania. "OK, sergente, mi ha convinto. Sono tutt'orecchi." Kearney annuì, sedendosi. "Quattro omicidî, tre qui a Washington e uno in Virginia. Il primo circa sedici mesi fa. Le vittime sono uomini, fra i trentacinque e i cinquant'anni. Un solo colpo di una calibro 22. La stessa per tutti i delitti." Mulder appoggiò i gomiti sulla scrivania, intrecciando le dita. "Sento che c'è dell'altro..." "Già. Tutti i cadaveri presentano lo stesso tipo di ferita." Scully intervenne per la prima volta. "Una ferita allo stomaco. Tale da provocare dolori atroci, e una lunga agonia." Mulder le lanciò un'occhiata. "Qualcosa che occuperebbe il primo posto nella 'top-ten' dei suicidî masochisti..." esclamò. Poi, rivolto a Kearney: "Ma suppongo che in questo caso si debba pensare a qualche forma di sadismo... Dove sono state trovate le vittime?" "Nelle loro abitazioni. Nessun segno di scasso, né di lotta. Tutto perfettamente in ordine. Tranne i cadaveri, ovviamente." "Erano legati, per caso?" "Sì, ad esclusione dell'ultimo, ritrovato dieci giorni fa steso nel suo letto. Aveva le gambe paralizzate, e gli sarebbe stato comunque impossibile tentare di scappare." Mulder si appoggiò allo schienale della sua poltroncina, con un leggero sospiro. "Probabilmente chi ha sparato è rimasto ad assistere alla loro agonia. Che avrà trovato divertente, suppongo." Scully aggrottò la fronte, osservando il suo collega. L'atteggiamento e il tono di voce di Mulder le dicevano che il suo interesse per quanto gli stava dicendo Kearney era puramente formale. Sembrava più distaccato del solito. "Per quest'ultimo caso c'è un testimone, Mulder" disse, nel tentativo di rinfocolare la sua attenzione. "Già" intervenne Kearney. "Una ex-infermiera che ogni tanto andava a trovare il signor Wiesenthal, col quale si sentiva spesso al telefono. Non avendo avuto sue notizie per tre giorni di seguito si è preoccupata. Così è andata a casa sua, e l'ha trovato. Doveva essere morto da poco. Mentre era nella camera ha sentito un rumore sulle scale, e poi la porta d'ingresso che sbatteva. Guardando dalla finestra ha visto di sfuggita un uomo allontanarsi lungo la strada. Ce ne ha fornito una descrizione sommaria, che comunque non è servita a molto." Mulder prese a giocherellare con una matita trovata sulla scrivania. "Mmm... Lei sa già quale sarà la mia prossima domanda, vero, sergente?" Kearney alzò un sopracciglio. "Be'... Immagino vorrà sapere se c'è qualche elemento che collega le vittime fra loro..." Osservò Mulder, che annuì lentamente. "Diciamo che a quanto ci risulta non sembrano avere nulla in comune, a parte il fatto che erano tutti single o divorziati, e vivevano soli. Due di loro erano professionisti, un architetto e un avvocato. Uno era impiegato presso una banca. Eric Wiesenthal insegnava in un liceo." "Nient'altro?" "Nulla di significativo, almeno apparentemente." Mulder smise di far rotolare la matita sul ripiano della scrivania, e lo fissò. "E chi può sapere a priori cosa sia significativo, sergente?" disse, alzandosi in piedi. "Comunque, se lei ritiene che io possa esservi utile per la risoluzione del caso, sarò felice di darvi una mano... nel poco tempo che mi rimane tra un x-file e l'altro." Anche senza guardare Scully, percepì l'occhiata di disapprovazione che lei gli lanciò, ma fece finta di nulla. "Intanto potrebbe farmi avere le foto scattate nelle case delle vittime, e tutta la documentazione che avete raccolto su di loro... E' possibile parlare con la testimone?" Kearney si era già alzato in piedi. "Le farò avere tutto al più presto. Quanto alla testimone... Be', non credo che ne ricaverete molto più di quanto già sappiamo, ma se non altro è una persona interessante..." Fece un vago sorriso. "Se vuole posso accompagnarvi a casa sua..." Mulder fece scorrere lo sguardo sulla scrivania ingombra di carte. "Adesso? Mmm, avrei parecchie cose da fare..." Altra occhiataccia di Scully. "OK, dopo tutto possono aspettare..." Girò intorno alla scrivania e si diresse verso l'attaccapanni per prendere il soprabito. "Vieni anche tu, Scully?" Lei esitò un istante, tentata dall'idea di mettere alla berlina Mulder chiedendogli candidamente quali fossero esattamente le "parecchie cose" in questione... Ma alla fine si limitò a guardarlo di traverso, mentre gli passava accanto sulla soglia, raggiungendo Kearney nel corridoio. Claremont, VA 11:23 a.m. Kearney fermò l'auto di fronte a una modesta villetta ad un piano, circondata da un giardino ben curato. Di fronte al garage era parcheggiata una vecchia Taurus verde, su cui la pioggia cadeva pigramente, rigando i finestrini. I tre agenti scesero dall'auto e raggiunsero a passo sostenuto il patio della casa. Kearney suonò il campanello. Dopo qualche istante, si udì un rumore di chiavistelli che venivano tirati, e finalmente la porta si aprì. Sulla soglia comparve una donna di circa quarant'anni, alta e piuttosto magra. Aveva capelli castani che le cadevano sciolti sulle spalle, e occhi dello stesso colore, che spiccavano sul suo volto pallido. Per un attimo rimase interdetta a fissare Mulder e Scully, poi spostò lo sguardo sul sergente, e un leggero sorriso le distese i lineamenti. "Sergente Kearney, non mi aspettavo che tornasse a trovarmi..." disse, facendogli segno di entrare in casa. "Prego, accomodatevi." Kearney precedette Mulder e Scully oltre la soglia. "Signora Morse, questi signori sono agenti dell'F.B.I. Ho chiesto loro di darci una mano nelle indagini, quindi le faranno alcune domande su ciò che ha visto quel giorno a casa del signor Wiesenthal. Non le dispiace, vero?" La donna sembrò delusa. "Vedendola avevo sperato... Pensavo fosse venuto a dirmi che avevate preso chi l'ha ucciso... Invece lo state ancora cercando, a quanto vedo..." Kearney annuì. "So che è preoccupata, Irene, ma non ne ha motivo. Non riteniamo che lei sia in pericolo." Si voltò verso i due agenti, in piedi alle sue spalle. "Irene afferma di essersi sentita osservata, mentre era nella casa di Wiesenthal. Ma anche se così fosse, è improbabile che l'assassino sospetti di essere stato visto mentre si allontanava. E comunque non vedo come potrebbe risalire a lei." Irene Morse sospirò, mentre si lasciava cadere su una poltrona, invitando con un gesto gli agenti a sedersi a loro volta. "Perciò ieri avete tolto i poliziotti che sorvegliavano casa mia..." disse. Kearney sembrava un po' a disagio. "In tutti questi giorni non hanno mai notato nulla di sospetto, Irene..." Mulder, che si era seduto sul divano, di fronte alla donna, decise che era venuto il momento di dare un senso alla loro presenza in quella casa. "Signora Morse, cosa le fa pensare che quell'uomo l'abbia vista?" chiese, in tono professionale. Irene spostò lo sguardo su di lui. "Non ne sono sicura, ovviamente. Entrando nella casa ho avuto subito l'impressione che ci fosse qualcosa che non andava... E' una sensazione che non so descrivere... Poi ho trovato Eric..." la voce le si incrinò per un attimo "...il signor Wiesenthal... e quando ho sentito quello scricchiolìo sulle scale, ho avuto la certezza che nella casa ci fosse qualcuno. L'uomo che poi ho visto scappare." "Capisco." Mulder corrugò la fronte, pensieroso. "E adesso ha la sensazione che lui la stia cercando... Per questo è preoccupata." La donna fissò Mulder, sorpresa. "Sì... Sì, ha ragione. Capisco che non posso pretendere la protezione della polizia sulla sola base di una vaga impressione... Ma non le nascondo che adesso ho paura ad uscire. Mi sono presa un po' di giorni di ferie, ma non posso certo rimanere sempre chiusa in casa..." Sospirò. "Chissà, forse sto esagerando... Forse ciò che è successo mi ha scombussolato a tal punto che non distinguo più i fatti dalle fantasie..." Scully si schiarì la voce. "Signora Morse... In che rapporti era col signor Wiesenthal? Lo conosceva da molto tempo?" Irene abbassò il capo per un attimo, poi riportò lo sguardo su Scully. "Da circa quattro mesi. Quando lui venne ricoverato all'Holy Cross Memorial per un grave incidente d'auto, io lavoravo lì da poco tempo. Ci rimase quasi due mesi, e ne uscì in carrozzina. Nonostante questo, e nonostante i dolori che a volte lo tormentavano, non aveva perso la voglia di vivere. Aveva intenzione di tornare ad insegnare... Io lo ammiravo molto. Era un uomo fantastico, una persona con una grande forza d'animo... Io cercavo di aiutarlo, ma non sempre ci riuscivo. Lui voleva farcela da solo." Accennò un sorriso triste. "Noi... eravamo amici. Mi manca moltissimo..." Tacque, e per qualche secondo nel piccolo salotto accogliente risuonò soltanto il ticchettìo dell'orologio a muro. Fu Mulder il primo ad interrompere il silenzio, alzandosi in piedi. "Irene..." Esitò per un attimo, incerto sulle parole da dire. "Mi dispiace per il suo amico. E mi dispiace che lei sia rimasta coinvolta in questa brutta vicenda..." Pescò dalla tasca del soprabito un biglietto da visita, e lo porse alla donna. "Io non ho altre domande da farle. Se per caso le torna in mente qualche particolare che possa esserci utile nelle indagini, o ha l'impressione di essere seguita, può chiamarmi ad uno di questi numeri. Noi... cercheremo di fare il possibile per risolvere il caso al più presto." Irene annuì, prendendo il biglietto e alzandosi per accompagnare gli agenti all'uscita, dove si salutarono con una stretta di mano. L'ultimo ad uscire fu Mulder. Mentre gli stringeva la mano, Irene sorrise. "Agente..." guardò il biglietto "...Mulder, lei è il primo poliziotto che non mi ha fatto sentire come una povera paranoica... Devo ringraziarla, per questo..." Mulder sorrise a sua volta. "Non c'è di che. Diciamo che mi piace distinguermi..." Alzò una mano in segno di saluto, e raggiunse a passo svelto gli altri due, che erano già saliti sull'auto di Kearney. Dovette sedersi sul sedile posteriore, visto che Scully si era già sistemata davanti. Mentre l'auto partiva, lei si girò a guardarlo, con un'espressione ironica sul volto. "Sbaglio, o all'improvviso questo caso ha risvegliato il tuo interesse?" chiese, in tono leggermente provocatorio. "Non dirmi che di colpo si è trasformato in un x-file..." Mulder le rispose con un sorrisetto sardonico, poi si finse pensieroso. "Un x-file, dici? Mmm, vediamo un po'... E' forse un caso di chiaroveggenza? Non posso escluderlo a priori..." Si portò una mano sulla fronte, simulando un'estrema concentrazione. "E se si fosse creato un legame psichico tra il killer e la testimone?" Lanciò un'occhiata allo specchietto retrovisore, per osservare le reazioni di Kearney, che aveva l'aria di essere completamente preso dalla guida. "Sì, potrebbe essere... Anzi, sai che ti dico, Scully? Alla luce di queste nuove ipotesi, ho deciso che ce ne occuperemo a tempo pieno. Per cominciare, potresti dare un'occhiata alla documentazione che ci passerà il sergente..." Scully aggrottò le sopracciglia. "Come sarebbe a dire 'potresti'?" "Ah, non te l'avevo detto?" Allacciò le mani dietro la nuca, e si appoggiò più comodamente contro lo schienale del sedile. "Avevo progettato di andare a trovare mia madre, questo week-end... Vorrà dire che mi riferirai le informazioni salienti, e continueremo il lavoro insieme..." fece un ampio sorriso "...lunedì." Scully lo guardò in tralice per qualche secondo. Poi annuì lentamente, riportando l'attenzione sulla strada che stavano percorrendo. Alla prima curva lanciò una breve occhiata a Kearney, che rispose con un vago sorriso, scuotendo leggermente il capo. Appartamento di Fox Mulder Alexandria, VA Venerdì, 7:13 p.m. Mentre infilava alla rinfusa dentro una borsa quel poco che gli occorreva per stare fuori casa due giorni, Mulder si scoprì a chiedersi quale fosse esattamente il momento in cui aveva deciso di andare a trovare sua madre. Il viaggio era in progetto da tempo, quindi non aveva mentito a Scully. Ma perché proprio *questo* week-end? Stava forse cercando di sfuggire a un'indagine che non gli sembrava particolarmente interessante? In tal caso non sarebbe andato lontano, visto che di ritorno dal suo viaggio si sarebbe ritrovato sulla scrivania una pila di documenti che non aveva mai avuto l'intenzione di affibbiare completamente a Scully... Questo pensiero gli ricordò che era ora di chiamarla: le avrebbe detto che aveva scherzato, e che avrebbero dato un'occhiata al dossier insieme, il lunedì seguente. Richiuse la borsa e afferrò la cornetta, componendo il numero di casa di Scully. Dopo il secondo squillo partì la segreteria. Mentre aspettava impaziente il beep, Mulder si preparò qualcosa da dire, ma alla fine cambiò idea, e riattaccò. Fece il numero del cellulare, e Scully rispose quasi subito. "Non dirmi che sei ancora in ufficio!" buttò lì Mulder. "Infatti" rispose lei. "Sean mi ha appena portato due grossi faldoni di documenti, e stavo cercando di farmi un'idea su cosa cercare. Il materiale sembra interessante. Penso che ci lavorerò un po' a casa, stasera, se per te va bene." "Ma... Be', se ne hai voglia, fa' pure. Ma non sentirti obbligata, OK?" Esitò un istante. "Kearney è ancora lì?" "Sì. Mi stava spiegando alcuni particolari che possono esserci utili. Comunque stavamo per uscire." "Bene. Così lo userai come porta-faldoni..." scherzò lui. "Abbiamo deciso di andare a mangiare un boccone insieme" disse lei, in tono neutro. "Tu quando parti?" Mulder si sedette sul divano. "Io...? Oh, be', il tempo di prepararmi e vado". Pensò a qualcos'altro da dire, ma non gli venne in mente nulla. "Buona cena, allora." "Grazie, Mulder. E saluta tua madre da parte mia." Mulder riagganciò la cornetta, e rimase seduto per qualche minuto ad osservare il cerchio che il fondo di un bicchiere aveva tracciato chissà quando sul tavolino. Infine si riscosse, dicendosi che tra tutti i modi per trascorrere un venerdì sera quello di uscire a cena doveva essere uno dei più appropriati. Forse avrebbe dovuto farlo anche lui, qualche volta. Peccato che di solito il venerdì sera fosse così stanco da aver voglia soltanto di stendersi sul divano e guardarsi un film qualsiasi, che regolarmente non riusciva mai a vedere per intero... Chissà se il sergente Kearney usciva spesso, il venerdì sera? Quel tipo in fondo gli era simpatico, anche se aveva un'aria un po' troppo mondana, per i suoi gusti... Sì alzò in piedi, deciso a concedersi non più di due minuti per uscire di casa. Prese il giaccone dall'attaccapanni, raccolse la borsa e uscì dal salotto. Si fermò sulla porta quando sentì squillare il cellulare. Gli lasciò fare tre squilli, prima di decidersi a rispondere. "Mulder." "Agente Mulder... Temevo di non riuscire a contattarla..." "Irene?" "Sì... Mi dispiace disturbarla, ma... Lei è stato così gentile, oggi... E visto che non sono riuscita a rintracciare il sergente Kearney..." "Irene, c'è qualcosa che non va? Cos'è successo?" "Io... credo di averlo visto! Oggi pomeriggio, mentre ero fuori per fare la spesa... Non sono del tutto sicura che fosse lui, ma... c'è stato un momento in cui mi ha guardata, e io ho avuto..." "...la sensazione di averlo già visto" completò Mulder. "Sì... Ecco, sapevo che lei avrebbe capito!" Si sentiva il sollievo, nella sua voce. "Che cosa devo fare, agente Mulder? Mi sono chiusa in casa, ma non mi sento al sicuro neppure qui..." "Irene, io non sottovaluto mai certe sensazioni, ma esiste la possibilità che lei si sia fatta suggestionare dalle sue paure, a tal punto da essere convinta di aver visto davvero quell'uomo..." Mulder si rese conto di aver appena pronunciato una frase che sarebbe suonata molto meglio detta da Scully, e cercò di rimediare. "D'altra parte potrebbe aver visto giusto... Forse è il caso di controllare... Senta, io sto per partire per il Connecticut, ma potrei passare per casa sua senza deviare troppo. Così potrei dare un'occhiata in giro..." "Davvero lo farebbe? Io... non so che dire..." "Sarò lì fra circa mezz'ora. Lei intanto stia calma, tiri le tende e non apra a nessuno." Claremont, VA Venerdì, 8.15 p.m. Mulder azionò il tergicristallo per liberare il parabrezza dalle strisce d'acqua che gli impedivano una chiara visuale della strada. Aveva completato il secondo passaggio lungo la via su cui si affacciava la casa di Irene, e non aveva notato nulla di insolito. Nessun serial killer che si aggirava per le strade in cerca della sua vittima... O forse aveva rimandato la sua missione ad una notte più propizia, e meno piovosa... Fermò la macchina di fronte alla villetta ad un piano, e scese in fretta, mettendosi a correre verso il patio, e maledicendo il momento in cui aveva deciso che era troppo tardi per tornare nel suo appartamento a prendere un ombrello. Giunto sotto il porticato si guardò intorno, mentre si dava grandi manate sul giaccone di pelle per sgrondarlo dall'acqua piovana. La casa appariva tranquilla, nessuna luce filtrava dalle finestre. Che ci faceva lì? Perché non era sulla strada per Greenwich? O da qualunque altra parte? E perché non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di un locale accogliente e raffinato, una tovaglia con l'orlo di pizzo, un calice di champagne, e Scully che si gustava estasiata un cocktail di scampi...? Scosse il capo, e si passò una mano fra i capelli bagnati. Sapeva bene che cosa ci faceva lì. Una donna alle cui paure nessuno voleva credere aveva chiesto il suo aiuto, e lui era corso. Questo faceva parte del suo lavoro, no? Ed era sempre meglio che trascorrere la serata in compagnia di una madre piuttosto depressa... Finalmente si decise a suonare alla porta. "Irene!" mormorò, a mezza voce. "Sono l'agente Mulder!" Si udì il solito rumore di chiavistelli tirati, e poi la porta si aprì. Comparve Irene, che lo accolse con un sorriso e lo fece entrare, richiudendosi in fretta la porta alle spalle. Mulder si guardò intorno. La stanza era in penombra; l'unica, tremolante fonte di luce erano i ceppi che ardevano nel camino, spargendo intorno un odore di fumo e resina. "Ho fatto parecchie volte il giro dell'isolato" disse. "Non ho visto tipi sospetti. A dire la verità non ho visto proprio nessuno: in giro c'ero soltanto io..." La donna scosse il capo, con aria dispiaciuta. "L'ho costretta ad andare in giro con questa pioggia, e le ho fatto perdere tempo... Forse hanno ragione loro. Forse sono paranoica." "O forse è solo spaventata." Mulder le sorrise. "Dove ha visto quell'uomo?" Irene gli fece cenno di accomodarsi sul divano, e lui si tolse il giaccone bagnato e glielo porse, prima di sedersi. "Era seduto su una panchina, in un viale a pochi isolati da qui" rispose lei, mentre appendeva il giaccone alla spalliera di una sedia. Poi si sedette di fronte a Mulder. "Un uomo piuttosto basso, sui trentacinque anni, con barba e baffi scuri. Mi ha fissata con insistenza, mentre gli passavo accanto. Io ho allungato il passo, e quando ho svoltato l'angolo ho sbirciato per un attimo. Lui non c'era più." Mulder incrociò le braccia, riflettendo. "Ammettiamo che fosse davvero il killer. Se avesse saputo o sospettato che lei quel giorno l'ha visto, a casa di Wiesenthal, avrebbe certamente evitato di farsi notare, oggi... Ma in tal caso, perché la starebbe cercando? Lei non rientra nella categoria delle sue vittime-tipo. Non riesco a capire..." Irene si nascose la faccia tra le mani. "Io so solo che questa storia mi sta rovinando la vita... Non che ci sia molto da rovinare... Ma almeno prima potevo uscire tranquillamente, e sentirmi al sicuro in casa mia..." Mulder cercò le parole adatte per rassicurarla. "Parlerò con Kearney, per chiedergli se è possibile ripristinare la sorveglian za, almeno per un po'. Intanto cercheremo di indagare ancora, e di individuare il killer. Non posso garantirle che ci riusciremo, ma... ci daremo da fare. Glielo prometto, Irene." La donna alzò la testa, e Mulder si accorse che aveva gli occhi lucidi. "Grazie..." mormorò, passandosi il dorso della mano su una guancia. Poi tentò un sorriso incerto. "Ma... lei mi ha detto che doveva partire, e io la sto trattenendo qui..." Mulder scosse la testa, sorridendo. Fuori di lì lo attendeva un lungo viaggio nella notte fredda e piovosa. "Non si preoccupi, Irene. Non ho fretta." Pizzeria "Monny's Corner" Washington, D.C. Venerdì, 8:38 p.m. Scully depose coltello e forchetta sul piatto ormai vuoto, e si tolse il tovagliolo dal grembo. Alzò lo sguardo su Kearney, seduto di fronte a lei, e sorrise. "Era una vita che non mangiavo una pizza ai frutti di mare... Devo ricordarmi di questo posto." Il sergente annuì. "Io ci vengo ogni tanto. E' tranquillo e pulito. E si mangia bene, no?" Scully accennò al suo piatto vuoto: "Anche troppo..." Era grata a Kearney per averla portata a cena in un posto appartato e poco pretenzioso: se avesse dovuto passare da casa per mettersi in ghingheri, probabilmente avrebbe rinunciato. Era troppo stanca, e il pensiero del lavoro che l'attendeva a casa non contribuiva certo a rilassarla. Avrebbe potuto rimandare il tutto al lunedì seguente, come le aveva suggerito Mulder, ma ormai gli aveva detto che se ne sarebbe occupata, e non aveva alcuna intenzione di tornare sulla sua decisione. Kearney finì la sua birra, e fece cenno al cameriere di portare il conto. "Dana..." disse, posando il bicchiere sul tavolo. "Volevo ringraziarti per esserti offerta di aiutarmi nelle indagini su questo caso. So di avervi portato fuori strada, rispetto ai casi che seguite di solito..." "Un ritorno alla normalità fa bene, ogni tanto..." Scully sorrise. "Dimmi di te, piuttosto... Te ne sei andato a metà corso, e ora ti ritrovo poliziotto..." "Be', non c'è molto da dire, in realtà... A Quantico mi sembrava di aver perso di vista le mie motivazioni, ero convinto che entrare nell'F.B.I. non fosse più così importante, per me... Quando poi ho capito che comunque la mia strada era quella, ho deciso di riprovarci. Solo che ho ripiegato sull'Accademia di Polizia..." Si strinse nelle spalle. "Il mio lavoro mi piace, Dana. E' ciò che volevo fare." Fissò Scully. "E tu? Sei soddisfatta del tuo lavoro?" Lei esitò un solo istante. "Ovviamente" disse poi, in tono deciso. "Non continuerei, se non lo fossi." "Ovviamente" ripeté lui, sorridendo. "E che mi dici del tuo collega? Dev'essere interessante lavorare con un tipo così... come dire... insolito?" Scully inclinò il capo. "Insolito? Sì, tutto sommato penso che questo aggettivo definisca bene Mulder..." "Lo conosci bene...". "Lavoriamo insieme da più di sei anni. Siamo amici." "Ho avuto l'impressione che questo caso non lo coinvolga più di tanto." "E' pur sempre uno dei migliori profiler dell'F.B.I... Ammetto che i suoi interessi ora volgono altrove, ma non può restare indifferente al fatto che c'è un serial killer in libertà, e che probabilmente ucciderà di nuovo, se non verrà fermato." Kearney annuì. "Sì, hai ragione. Comunque, direi che da qualcosa si è già fatto coinvolgere... O meglio, da qualcuno." Scully alzò un sopracciglio. "Parli di Irene Morse?" "Già. Ve l'avevo detto che era un tipo interessante..." Lei alzò gli occhi al cielo. "Sean, Mulder trova interessante tutto ciò che non è spiegabile razionalmente. E le 'sensazioni' di Irene rientrano senz'altro in questa categoria." "Il che li rende persone affini, non trovi?" Kearney sorrise. "E tu, Dana, come ti comporti con l'inspiegabile?" "Non lo indovini?" Scully sorrise a sua volta. "Io sono quella che cerca di spiegarlo..." Casa di Irene Morse Claremont, VA Venerdì, 8:46 p.m. Mulder si accomodò meglio sul divano, mentre sorseggiava la tazza di tè caldo che Irene gli aveva offerto. La donna era accanto al camino, intenta ad aggiungere un ceppo per alimentare il fuoco che si stava indebolendo. "Kearney ha detto che lei faceva l'infermiera" disse Mulder dopo qualche minuto, posando la tazza vuota sul tavolino. "Come mai ha cambiato lavoro?" "Ho lavorato in parecchi ospedali. L'ultimo è stato l'Holy Cross Memorial, ma ho resistito solo per quattro mesi" rispose Irene, senza voltarsi. "Ho dovuto smettere. Ho visto troppe persone soffrire, senza poter fare nulla per aiutarle." Si girò verso Mulder. "Stavo male, non riuscivo più a sopportarlo. Forse non ero adatta per quel lavoro." "Lei crede? Magari era più adatta di tanti altri... Forse non poteva attenuare le loro sofferenze, ma in un certo senso le condivideva con loro. Anche questo può essere un aiuto, non trova?" Irene si sedette sulla poltrona di fronte a lui. "Una condivisione..." mormorò, fissandolo assorta. "Sì, può darsi che sia così. Ma io... Tutta la gente che ho visto morire... Che aiuto potevo dargli? Qualcuno moriva, e io il giorno dopo andavo al lavoro con la sensazione di accingermi all'ennesima, inutile lotta contro la morte." Mulder scosse lentamente il capo. "Irene..." disse in tono quieto, accennando un sorriso. "L'intera vita umana è un'inutile lotta contro la morte. Una volta consci di questo, non resta che cercare di dimenticarcene, e fare finta di non averlo mai saputo." La donna lo fissò a lungo, prima di continuare. "Non è facile. Il dolore è ovunque... Anche se in fondo chi non conosce il vero dolore forse non conosce la felicità." Mulder annuì. "Già. Nel momento in cui il dolore cessa, si è felici" Esitò. "Ma a volte non cessa mai." Irene lo guardò con aria sorpresa. "Lei è... diverso dagli altri poliziotti con cui ho avuto a che fare, agente Mulder..." Si interruppe, riflettendo per un attimo. "...Fox, non è vero? Che strano nome..." "Già." Mulder incrociò le braccia, cambiando posizione sul divano. "In effetti non lo uso spesso." "No? Peccato... Dovrebbe, invece... Non mi dica che se ne vergogna. Non mi sembra il tipo." Lui si schermì con un sorriso. "Ho peccati più gravi, in effetti..." Mentre pronunciava quelle parole, si rese conto di essere finalmente riuscito a capire cosa l'aveva colpito nella donna che aveva di fronte: il suo volto era straordinariamente espressivo, al punto che non si poteva fare a meno di fissarla, mentre parlava. E probabilmente lei lo sapeva. "Peccati? Un figlio che parte in una notte come questa per andare a trovare sua madre non può essere un gran peccatore... Fox." E infatti sono ancora qui, pensò lui. Per fortuna sua madre non sapeva nulla della sua visita, così non si sarebbe preoccupata per il ritardo. O forse non si sarebbe preoccupata comunque... Provò ad immaginarla mentre chiamava Scully per chiederle dove fosse finito. 'Pensavo fosse venuto da lei' avrebbe risposto Scully, in tono preoccupato, e sua madre avrebbe commentato 'Probabilmente ha cambiato idea'. Be', in effetti avrebbe avuto ragione... Mulder si riscosse dai suoi pensieri, accorgendosi che Irene lo stava fissando, la fronte corrugata, come se stesse cercando di capire ciò che gli passava per la testa. "Mi scusi" le disse, alzando una mano. "Mi era venuta in mente una cosa..." La donna inclinò la testa, osservandolo con una buffa espressione indagatrice. "Lei vive solo, vero?" Mulder annuì, sorridendo. "Pensavo che i calzini bucati non si notassero..." disse. "E' così facile capirlo? O è un'altra delle sue sensazioni?" "Be', anch'io vivo sola. Certe cose si intuiscono." Ora Mulder si sentiva a disagio, lì su quel divano così comodo. Era venuto in quella casa per lavoro, rispondendo ad una richiesta di aiuto, e non aveva trovato nulla che potesse giustificare la sua presenza lì. Aveva trovato, invece, una donna sola, ansiosa di raccontare a qualcuno i suoi tormenti, e... di cos'altro? Osservò Irene, che nel frattempo si era alzata per riattizzare il fuoco nel camino. E si rese conto che una voce, dentro di lui, si stava chiedendo se lei aveva davvero visto qualcuno scappare dalla casa di Wiesenthal, o se invece si era inventata tutto, al solo scopo di attirare l'attenzione su di sé... In tal caso, non era per paura che l'aveva cercato, quella sera... Visto che lui le aveva dimostrato comprensione, Irene poteva aver pensato di farlo tornare da lei con la storia del killer che si sarebbe aggirato nei dintorni... Una storia un po' patetica, tutto sommato... Che però contrastava con l'idea che si era fatto di quella donna. Quel suo strano sorriso malinconico non era un espediente per cercare aiuto e comprensione, ma esprimeva la sua natura profonda, Mulder ne era certo. E le famose 'sensazioni' di cui parlava apparivano del tutto naturali e credibili, in una persona così fuori del comune. Irene era tornata a sedersi. Il calore della fiamma le aveva arrossato le guance, regalandole un aspetto più giovane. "Perché non mi racconta qualcosa di lei, Fox?" chiese, in tono vivace. "Vive da solo per scelta o per colpa delle circostanze?" Washington, D.C. Venerdì, 9:06 p.m. Il traffico del venerdì sera scorreva veloce, nonostante la pioggia che imperterrita continuava a cadere sulla città, trasformando le strade in nastri neri su cui baluginavano i riflessi dei lampioni. Kearney guidava rilassato, seguendo con la testa il ritmo di "Who wants to live forever", che la radio stava trasmettendo. Scully, seduta al suo fianco, fissava il vuoto di fronte a sé. Kearney volse per un attimo lo sguardo verso di lei. "Ti vedo pensierosa, Dana..." Lei si riscosse. "Come..? Oh, scusami... Stavo cercando di stabilire quale sia il metodo migliore per iniziare ad analizzare quei fascicoli che mi hai portato." Lui sospirò. "Mi fai sentire in colpa... Se non fosse per me ora non dovresti tornare a casa a lavorare..." "Perché dovresti sentirti in colpa? Non mi sento obbligata a farlo." Sorrise. "E non è la prima volta che mi porto il lavoro a casa, sai?" "Scommetto che anche il tuo collega lavora nei week-end, se ha per le mani casi interessanti..." Scully si strinse nelle spalle. "Mulder vive per il suo lavoro. Non credo che sia possibile, per lui, tornarsene a casa e dimenticare tutto fino al giorno dopo." Guardò Kearney, e si accorse che stava sorridendo. "Pensi che sia contagioso?" chiese, in tono fintamente preoccupato. Il sergente scoppiò a ridere. "Naturalmente! Quel vostro ufficio nei sotterranei dovrebbe essere chiuso e messo in quarantena..." Scosse la testa, e lentamente tornò serio. "No, a parte gli scherzi, Dana... Forse hai passato troppo tempo in quell'ufficio... Quando ti ho conosciuta non mi sei certo sembrata una fanatica di balli e feste, ma se non altro ogni tanto ti concedevi una pausa. Mi sbaglio, forse?" La macchina era ferma ad un incrocio. Kearney guardò Scully, e vide che stava fissando la luce rossa del semaforo sopra di loro. Comparve il verde, e l'auto ripartì. Solo allora lei si decise a rispondere. "In questi ultimi anni sono successe molte cose, Sean" mormorò. "Ho avuto lutti in famiglia, una grave malattia che per fortuna si è risolta, e... altri problemi. Non ho neppure avuto il tempo di chiedermi se la vita possa offrirmi qualcosa di meglio..." "Io... Mi dispiace, Dana. Non ne sapevo nulla". Lei alzò una mano, scuotendo il capo. "Anche Mulder ha avuto la sua parte di problemi. Ma magari si è convinto che la vita non può offrirgli altro. Ecco perché ci teniamo stretto il nostro lavoro..." Kearney sospirò. "Non so che dire, Dana. Le tue parole mi hanno fatto pensare a due naufraghi aggrappati ad una zattera nell'oceano in tempesta... Mi sembra impossibile che tu pensi di non poter avere altro..." Esitò, cercando le parole adatte. "Posso... posso chiederti una cosa? Riguarda te e Mulder... Sai, io ho sempre cercato di tenermi lontano dai pettegolezzi fra colleghi, ma ho due amici che lavorano lì da voi, e... insomma, loro si sono fatta l'idea che..." Sul volto di Scully comparve per un attimo un'espressione contrariata. "Si sbagliano" affermò, secca. Poi sembrò rilassarsi. "Pensi che se fosse vero ora io sarei qui con te a parlare di zattere, e lui a casa di sua madre?" Sorrise, alzando un sopracciglio. "I tuoi informatori non sono attendibili, temo." Kearney annuì, sorridendo. "Niente ricompensa, quindi..." Fermò la macchina di fronte al Quartier Generale dell'F.B.I., dove Scully aveva lasciato la sua. "Se però un giorno dovessero riferirmi di aver visto Mulder avvinghiato ad una procace biondona, potrei fidarmi, no?" Strizzò un occhio. Scully aprì lo sportello per uscire dall'auto. "Secondo me sprecheresti il denaro dei contribuenti" disse, in tono semiserio. "E che ne sai? Magari si sarà stancato di passare i week-end da sua madre..." Scully, già scesa sul marciapiede, gli lanciò un'occhiataccia. "OK, come non detto... Chiamami pure, se ti servono delucidazioni sui fascicoli... Buona notte, Dana." Scully rimase a guardare l'auto che si allontanava, poi si avviò a passo svelto verso il garage dove si trovava la sua auto. Diede un'occhiata all'orologio, e vide che erano quasi le nove e mezza. Non sarebbe riuscita ad iniziare il suo lavoro prima delle dieci... Chissà se Mulder era già arrivato a Greenwich... No, era troppo presto. Forse era il caso di chiamarlo... Così avrebbe potuto chiedergli se il modo di procedere che lei aveva in mente gli sembrava valido, o se ne aveva un altro da proporle. Prese il cellulare e compose il numero di Mulder. Casa di Irene Morse Claremont, VA Venerdì, 9:28 p.m. Irene parlava tenendosi una mano sulla guancia, il gomito appoggiato sul bracciolo della poltrona. "Io credo che la cosa più brutta, quando si vive soli, sia non poter contare sull'aiuto di nessuno, se si sta male..." Mulder inclinò la testa. "Non sempre è così, Irene" mormorò. "E non è neanche vero che vivere con qualcuno implichi trovare sempre ciò che si cerca..." Lo squillo di un cellulare lo interruppe. Era il suo. Facendo un cenno di scusa ad Irene, si alzò dal divano e si avvicinò alla sedia dov'era appeso il suo giaccone. "Non rispondere, Fox." Mulder si fermò, con la mano appoggiata allo schienale della sedia. Poi si voltò. Vide Irene, ancora seduta sulla poltrona. Ma non teneva più la mano su una guancia. Ora in quella mano stringeva una pistola, e la pistola era puntata contro di lui. In un breve attimo di calma assoluta, la mente di Mulder realizzò che l'arma era dotata di silenziatore, ed era di piccolo calibro. Una 22, probabilmente. Una 22... "Li hai uccisi tu" disse alla donna. Irene non rispose. Il cellulare emise altri due squilli, poi tacque. F.B.I. Headquarters Washington, D.C. Venerdì, 9:30 p.m. Scully salì in macchina, buttando il cellulare sul sedile accanto. Probabilmente Mulder si era fermato da qualche parte lungo la strada, lasciando il cellulare in macchina. Sospirò, avviando il motore. Mentre dirigeva l'auto verso l'uscita del garage, ripassò mentalmente il piano di lavoro per il resto della serata. Aveva pensato di dare una scorsa ai fascicoli delle quattro vittime, alla ricerca di qualche elemento che potesse accomunarli. Avrebbe dovuto controllare dati anagrafici, carriere, abitudini, vizi e virtù... Centinaia di particolari, e non era detto che quelli illuminanti fossero presenti nei fascicoli di cui disponeva... Sbuffò. L'aspettava una lunga e noiosa serata. Casa di Irene Morse Claremont, VA Venerdì, 9:31 p.m. "Siediti, Fox." Mulder aveva ancora la mano appoggiata sulla sedia. La sua pistola era nella tasca della giacca, a pochi centimetri da lui. Ma Irene continuava a tenerlo sotto tiro, e la sua mano impugnava saldamente l'arma. Non aveva alcuna possibilità. Senza distogliere lo sguardo dalla pistola, tornò al divano, e si sedette, rassegnato. Rassegnato al fatto che quella donna l'aveva ingannato. E deluso. "Mi hai impedito di rispondere perché non vuoi che si sappia che sono qui" disse, in tono neutro. "Pensi che nessuno ne sia al corrente? Be', ti sbagli." Irene sorrise. "Io non lo penso, Fox. Lo so." Lui scosse il capo, facendo una smorfia. "Già, dimenticavo le tue famose sensazioni..." "Hai detto alla tua collega che saresti andato a trovare tua madre. Questo è tutto ciò che sa." Mulder annuì, dopo una breve esitazione. Stava cercando di mantenersi calmo, in attesa di cogliere un momento favorevole per tentare qualcosa. "Certo, è ovvio. Se lo dici tu..." "Ora ti stai maledicendo per non averla avvertita..." "Questo è poco ma sicuro..." "E ora smettila di pensare al modo in cui potresti disarmarmi. Non puoi cogliermi di sorpresa. I tuoi pensieri ti tradirebbero." Per un attimo, a Mulder mancò il respiro. Improvvisamente capì di avere a che fare con qualcosa che non si era aspettato, e si accorse di avere paura. Dovette fare uno sforzo, per non far trasparire il proprio turbamento. Ma una parte di lui sapeva che era uno sforzo inutile. "Tu senti ciò che penso..." mormorò. "Sono una persona fuori del comune. Non è così che mi hai descritta a te stesso? Be', direi che non ti sbagliavi." Mulder chiuse gli occhi per qualche secondo, poi riportò lo sguardo sulla pistola, che ora lei stringeva con due mani. "Perché io?" La donna sorrise. "Oh, Fox, mi si è quasi bloccato il respiro, stamattina, quando ti ho stretto la mano, e ho sentito l'intensità della... della tua energia emotiva. Ho avuto quasi l'impressione che le nostre menti si sfiorassero, e per un attimo ho sperato che anche tu lo percepissi. Non potevo rinunciare a te. E so che anche tu hai bisogno di me." Mulder scosse lentamente il capo. Non riusciva a dare un senso alle parole di Irene, ma al momento non era quella la cosa più importante. "Cosa vuoi fare, adesso?" "Lo sai." Allungò una mano dietro di sé, ed estrasse un paio di manette nascoste dietro il cuscino della poltrona. Poi le posò sul tavolino, di fronte a Mulder. Lui alzò le sopracciglia. "Oh, si tratta di questo" disse, fingendo un tono deluso. "Se me l'avessi detto prima, mi sarei procurato qualcosa di più interessante..." Irene sorrise. "Nasconderti dietro il sarcasmo non può servirti a molto, Fox. Non con me." Mulder si accorse di avere la gola secca, e sentì il sudore freddo scorrergli lungo la schiena. "Tu hai ucciso quattro uomini. Perché? Perché in quel modo?" "Mi stai interrogando, agente Mulder?" Sospirò. "Ma sì, in fondo è giusto che tu sappia tutto, viste le circostanze. Gli altri sapevano." Parlava in tono quieto, con voce sommessa. "Io... Io mi nutro di dolore, Fox. Dolore e paura. Non è un modo di dire, ma esattamente ciò che accade." Si interruppe, persa in chissà quale pensiero. Mulder aggrottò la fronte, sforzandosi di capire. Voleva capire. Non gli restava altro a cui aggrapparsi, in quel momento. "Che cosa significa?" Lei si riscosse. "Quando lavoravo in ospedale, ho visto sofferenze di ogni genere. C'erano malati terminali che urlavano per il dolore, ma loro non erano adatti. Li imbottivano di pillole per alleviare la loro pena... E molti non avevano più paura. Erano rassegnati a morire, capisci? Michael, invece... Lui è stato il primo... Dopo che gli ho sparato era terrorizzato. Paura e dolore. E' come una droga, per me. Non so come funziona, né come è cominciato. E' come... come se i messaggi di dolore che partono dai loro nervi torturati arrivassero a me trasformati in sensazioni indescrivibili." Fissò Mulder. "Io sento la tua paura, Fox, e già questo è piacevole, per me. So che stai cercando di controllarla, ma non puoi riuscirci. Puoi nasconderla, forse. Ma non a me." Mulder scosse la testa. "Ciò che dici è interessante... Ma io non credo che giustifichi il fatto che hai ucciso quattro persone. E di certo non è sufficiente per distinguerti dalle migliaia di pazzi sadici che infestano la Terra..." "Non offendermi inutilmente. Io non sono come dici." "No? Provamelo. Cosa puoi dire a tua discolpa? Che quegli uomini in realtà volevano morire? Oh, magari è così... magari lo desideravano dopo che gli hai sparato, quando la morte è diventata l'unica via di fuga dal dolore..." Ebbe una smorfia di disgusto. "Tu li hai usati, ecco tutto." Irene sembrò turbata. "La loro morte era inevitabile. Non si poteva tornare indietro... Ma non è mai stata lo scopo di ciò che ho fatto." Esitò, lo sguardo perso nel vuoto. "Ho conosciuto quegli uomini in ospedale. Persone straordinarie, profonde, sensibili, ma così infelici e tormentate... Soffrivano molto, nel corpo e nella mente. E solo io potevo sentirli. Era una tortura, per me, averli di fronte e non poterli toccare, nutrendomi del loro dolore. L'ospedale non era il posto adatto per farlo di nascosto... Per questo li ho cercati quando ne sono usciti. Li ho aiutati a guarire. Siamo diventati amici..." Fissò di nuovo Mulder. "Ora non ci sono più. E mi dispiace molto, credimi." Lui scrollò il capo con decisione. "No, non ti credo. So cosa hai fatto loro. Non hai avuto pietà." Mentre parlava, si chiese se fosse possibile che le capacità telepatiche di Irene le permettessero anche di influenzare in qualche modo la mente altrui. Perché a dispetto di quanto aveva appena affermato, e contro ogni logica, qualcosa dentro di lui gli andava ripetendo che lei gli aveva detto la verità. Irene non gli permise di riflettere a lungo sulla questione. "Abbiamo parlato abbastanza, Fox" disse, alzandosi in piedi e afferrando le manette. "E' ora di cominciare." Appartamento di Dana Scully Annapolis, MA Venerdì, 11:29 p.m. Scully stirò le braccia davanti a sé, e si stropicciò gli occhi. Allungò una mano per prendere il bicchiere posato sulla scrivania, e bevve qualche sorso di succo d'arancia. Poi riportò lo sguardo sullo schermo del suo computer portatile. Aveva cominciato ad inserire i dati in un semplice schema che le permetteva di metterli a confronto. Il metodo era funzionale, di questo era certa. Quanto ai risultati... Be', fino a quel momento non aveva concluso molto. Non c'erano elementi che potessero accomunare in modo univoco tutte le quattro vittime. Non aveva trovato che qualche vago punto di contatto, che però poteva tranquillamente rientrare nel campo delle semplici coincidenze. I quattro uomini svolgevano professioni qualificate, ed avevano un livello di istruzione piuttosto elevato. Michael Shelton e Mark Jones giocavano entrambi a golf, ma non nello stesso club. Eric Wiesenthal e George McLaine avevano lo stesso dentista. L'unico elemento che li accomunava era il fatto che vivessero soli: Jones e McLaine erano divorziati, gli altri due non erano mai stati sposati. Considerando la percentuale di single in circolazione, non poteva certo bastare questo per farne le vittime predestinate di un serial-killer, che in tal caso avrebbe rischiato l'infarto per stress da superlavoro... Scully sospirò, guardando l'orologio. Era tardi, era stanca e aveva sonno. Per un attimo fu tentata di spegnere tutto e andare a dormire, ma qualcosa la trattenne. Immaginò la scena del lunedì mattina: lei che mostrava i dati a Mulder, scuotendo il capo, e lui che puntava il dito sullo schermo, chiedendole "Che mi dici di questo?"... E si rimise al lavoro. Cercando di dimenticare la possibilità che la sua decisione non fosse altro che una conseguenza di quella specie di "Sindrome di Watson" che a volte la colpiva... I quattro uomini avevano frequentato università diverse. Uno di loro possedeva un cane. Due erano figli unici. Mark Jones era l'unico a non avere la patente di guida. Tre avevano il sangue del gruppo A positivo. Shelton circa un anno e mezzo prima aveva avuto un infarto, Jones era un ulceroso grave. McLaine e Wiesenthal erano rimasti vittime di incidenti stradali. Ricoverati in ospedali diversi, il primo al Northeast Georgetown Medical Center, il secondo all'Holy Cross Memorial. Come migliaia di altre persone... Northeast Georgetown. Quel nome aveva evocato in Scully un ricordo sgradevole. Cinque anni prima si era risvegliata nella sala di rianimazione di quell'ospedale, senza più memoria di ciò che l'aveva ridotta in coma. Si era sentita smarrita, privata di una parte di sé. Di quel periodo in ospedale, prima del risveglio, aveva ricordi vaghi, o forse sensazioni di ricordi, che non era mai riuscita a mettere del tutto a fuoco. L'immagine più vivida era quella di una donna china su di lei, un'infermiera che le sussurrava di essere lì per aiutarla, e la esortava a non lasciarsi andare, perché non era ancora giunto il suo momento... Scully ricordò la sorpresa che aveva provato quando, una volta risvegliatasi, aveva chiesto di poter vedere la donna - Owens, le aveva detto di chiamarsi - e aveva scoperto che in quell'ospedale non lavorava nessuna infermiera con quel nome. Eppure lei la ricordava bene... Le sue parole le avevano dato la certezza di non essere sola, e di poter contare su qualcuno che combatteva con lei... Non aveva mai raccontato a Mulder quella sua esperienza. Temeva che lui avrebbe fatto qualche commento ironico sul sesso degli angeli, o qualcosa del genere... E preferiva che quel fatto non si riducesse ad un pretesto per l'ennesima discussione su ciò in cui lei credeva o non credeva. Scostò la sedia dal tavolo e si alzò in piedi, stirandosi la schiena indolenzita mentre si avvicinava alla finestra. Fuori pioveva ancora, e la cappa di un marrone slavato che opprimeva il cielo non prometteva alcuna tregua. Mentre guardava i cerchi tracciati dalla pioggia nelle pozzanghere della strada, Scully si scoprì a pensare che infermiere e medici, insieme ai poliziotti, erano le figure che più si prestavano ad essere paragonati ad "angeli", visto che il loro compito era quello di curare e proteggere la gente. Sorrise fra sé, riflettendo sul fatto che lei apparteneva ad entrambe le categorie... Certo non era un compito facile, e chi se lo assumeva doveva essere molto motivato, in ogni momento della sua esistenza. Proprio quella mattina aveva conosciuto qualcuno che aveva rinunciato a quel compito. Mentre tornava a sedersi di fronte al computer, si chiese cosa avesse spinto Irene Morse a lasciare il suo lavoro di infermiera. Qualunque cosa fosse, era giunta troppo tardi per impedirle di conoscere Eric Wiesenthal. Erano diventati amici - o chissà cos'altro - e lei aveva dovuto affrontare il dolore della sua perdita. Certo, se lui dopo l'incidente fosse stato ricoverato in un altro ospedale, o se lei non si fosse trasferita all'Holy Cross, non si sarebbero mai conosciuti... O chissà, forse le circostanze avrebbero fatto in modo che si incontrassero comunque. Magari nell'ospedale dove lei aveva lavorato tempo prima... Quasi senza volerlo, Scully allungò una mano sui fascicoli posati sulla scrivania, per prendere i pochi fogli che riportavano le informazioni raccolte dalla polizia sulla testimone Irene Morse. Scorse velocemente i dati, mentre sorseggiava ciò che era rimasto del succo d'arancia. Ma smise di bere quando trovò ciò che stava cercando. Di nuovo il Northeast Georgetown... Era diventato una specie di nemesi, quella sera... Scosse la testa, con un sorriso. Era solo una coincidenza. In fondo gli ospedali di Washington non erano così tanti... Posò il bicchiere sul tavolo, e rimase per qualche minuto ad ascoltare lo scroscio della pioggia contro i vetri. Immaginò Mulder seduto accanto a lei, mentre le diceva "Tu ci credi alle coincidenze, Scully?" Sì, lei credeva alle coincidenze, e alle probabilità statistiche, e ad un sacco di altre cose concrete e razionali... Come ad esempio il confronto dei dati certi. Quelli che aveva di fronte, scritti su quei fascicoli. E quei fascicoli le rivelarono ben presto che Irene aveva lavorato al Northeast Georgetown Medical Center nello stesso periodo in cui vi era ricoverato George McLaine, circa sette mesi prima. Casa di Irene Morse Claremont, VA Venerdì, 11:42 p.m. Lo scantinato era freddo. Seduto sul pavimento umido, i polsi bloccati dalle manette che giravano intorno ad una conduttura, Mulder aspettava il ritorno di Irene. Minacciandolo con la pistola, l'aveva costretto a scendere in cantina e ad ammanettarsi da solo. Poi se n'era andata, probabilmente con l'intenzione di far sparire la sua macchina, abbandonandola chissà dove. Aveva risalito le scale e spento la luce, lasciandolo lì al buio in compagnia dei suoi pensieri, e magari di qualche topo. Dall'unica finestra, coperta da uno straccio di tela scura, giungeva attutito il rumore della pioggia che scrosciava in giardino. Da uno strappo nella stoffa filtrava una piccola striscia di luce smorta, forse proveniente da un lampione sulla strada. La puzza di muffa e di legno tarlato, mescolata ad altri odori indefinibili, rendeva l'aria sgradevole e pesante. Non appena Irene se n'era andata, Mulder aveva provato a liberarsi. Ma la conduttura era solida, e le manette robuste: l'unico risultato che aveva ottenuto erano dei solchi dolenti sui polsi, e un braccio indolenzito. Dopo di che aveva deciso di provare a gridare. L'aveva fatto senza troppa convinzione, sapendo che la villetta era piuttosto isolata, e che il rumore della pioggia avrebbe coperto le sue urla. E infatti nessuno era arrivato a salvarlo... A quel punto non gli restava che sperare in qualcosa di assolutamente imprevedibile, come ad esempio un'uscita di strada che portasse Irene a schiantarsi contro un albero... Ma poi cambiò idea, perché morire di sete e di fame in quella cantina non era poi un'alternativa così favorevole. E in fondo non desiderava neppure che Irene morisse. Voleva solo uscire di lì, tornare a casa e dimenticare tutto. Almeno fino al giorno dopo. Era il motore di un'auto, quello che aveva sentito? Se Irene aveva abbandonato la sua macchina, poteva essere tornata a casa con un taxi... Trattenendo il fiato, rimase in attesa. Per qualche minuto non sentì più nulla. Poi una porta si aprì, in cima alle scale, e sopra di lui si accese una lampadina polverosa, la cui luce improvvisa lo costrinse a chiudere gli occhi. Quando li riaprì, Irene era in piedi di fronte a lui. Aveva in mano la pistola. "Sei pronto, Fox?" mormorò. Lui corrugò la fronte. "Accidenti, sei in anticipo!" disse, riuscendo ad ostentare un sorriso sarcastico. "Non ho ancora deciso che vestito mettermi..." Irene scosse il capo. "Cerchi ancora di nascondermi ciò che senti. Anche se sai che è inutile. Questo rifiuto di arrenderti alle circostanze è ammirevole, davvero... In un certo senso me l'aspettavo..." Sospirò brevemente. "Ma ora basta, smetti di combattere contro te stesso. Non serve. In questo momento io posso raggiungere ogni parte del tuo animo, anche quella più nascosta." Mulder la fissò, serio. "Preferirei essere io a decidere chi può raggiungerla..." "Sì, in un certo senso hai ragione... Ma io posso condividere ciò che provi, ad un livello che nessun altro potrà mai neppure sfiorare." "Condividere?" Mulder si lasciò sfuggire un sorriso amaro. "Che cosa? Paura e sofferenza? Tu stessa hai detto che in te suscitano sensazioni piacevoli... Non c'è nulla che tu condivida davvero, Irene. Chi lo fa davvero soffre, e ha paura, e nonostante questo non si tira indietro..." La donna ebbe un gesto di impazienza. "Non sei qui per analizzarmi, Fox." Tolse la sicura alla pistola, e tirò indietro il cane. "E comunque farlo non ti servirà a nulla." Mulder fissò la pistola. Poi sollevò lo sguardo sulla donna. "L'hai detto tu, Irene. Devo essere me stesso... Vorrei riuscire a capire..." Esitò, colto da un pensiero improvviso. "Tu eri nella mente di quegli uomini... Li hai... sentiti morire? Che cosa hai sentito?" Irene spalancò gli occhi, sorpresa. "E'... è incredibile, Fox. Per qualche attimo la tua paura è scomparsa, sopraffatta dalla curiosità. Non stavi cercando di prendere tempo, e non pensavi a te stesso... Tu vuoi veramente sapere!" Scosse la testa. "Ma io... non voglio ricordare ciò che ho sentito... Presto lo saprai da solo..." Per un istante chiuse gli occhi. Quando li riaprì, a Mulder parve che fossero lucidi. Ma forse era solo un'impressione, un effetto della luce... "Tu mi piaci, Fox. Davvero." Puntò la pistola contro di lui, e appoggiò il dito sul grilletto. "Mi dispiace che non ci sia un altro modo..." Il rumore dello sparo, attutito dal silenziatore, quasi non si sentì. Appartamento di Dana Scully Annapolis, MA Venerdì, 11:58 p.m. Scully ricontrollò per l'ennesima volta il fascicolo di Irene Morse. E per l'ennesima volta non trovò l'informazione che cercava, ovvero il nome dell'ospedale dove la donna aveva lavorato prima di trasferirsi al Northern Georgetown. Circa un anno e mezzo prima, Michael Shelton, la vittima numero uno, in seguito ad un grave infarto era stato ricoverato al Fairfax Mercy Hospital. Era lo stesso ospedale? Impossibile saperlo. Non subito, comunque. Non era facile ottenere l'accesso per consultare le banche-dati degli ospedali... Sì alzo in piedi, e si avvicinò alla finestra. Mentre fissava distrattamente la pioggia che gocciolava da un lampione, si chiese se ciò che aveva scoperto poteva rivelarsi importante. Per cercare di stabilirlo era necessario disporre dei dati mancanti. Avrebbe potuto telefonare a Kearney e chiedergli se era in grado di fornirle ulteriori informazioni... Ma era quasi mezzanotte, e forse non era il caso di chiamarlo a quell'ora per segnalargli qualcosa che magari anche lui aveva notato, durante le indagini, arrivando a concludere che si trattava di una semplice coincidenza. Scully rabbrividì, e si accorse di avere freddo. Mentre si avvicinava al divano per prendere il maglione che aveva posato su un bracciolo, decise di chiamare Mulder, per sentire cosa ne pensava. A quell'ora era sicuramente già arrivato a Greenwich. Prese il cordless e compose il numero del suo cellulare. Lo lasciò squillare per almeno dodici volte, poi si arrese. Forse lui l'aveva lasciato da qualche parte, a casa di sua madre, e non riusciva a sentirlo... Sempre che fosse là... E se avesse cambiato i suoi piani all'ultimo momento? Magari a quell'ora stava beatamente dormendo sul suo divano... Scully esitò qualche secondo, poi fece il numero di casa di Mulder. Uno squillo, poi un clic. "Fox Mulder. Non sono in casa. Lasciate un messaggio." Scully attese il segnale. "Mulder, sono io... Sei lì?" Rimase ad ascoltare il silenzio per qualche secondo, poi riagganciò, perplessa. Dunque era partito. O comunque non si trovava nel suo appartamento. Avrebbe potuto telefonare a casa di sua madre, e raggiungerlo lì. Ma... se non l'avesse trovato? Telefonando a quell'ora di notte rischiava di far preoccupare inutilmente la signora Mulder. Preoccupare di cosa? Scully cercò di non pensare all'eventualità di un incidente lungo la strada per Greenwich... Era molto meglio convincersi che Mulder fosse andato da un'altra parte. Ma dove? E perché non rispondeva al cellulare? Sospirando, tornò alla scrivania, e cominciò a riordinare i fascicoli. Guardò l'orologio, e si accorse che era ormai passata la mezzanotte. Ma nonostante l'ora tarda, non aveva affatto sonno. Anzi, era quasi certa che se fosse andata a letto non sarebbe riuscita a dormire. Domande e congetture su ciò che aveva scoperto si sarebbero mescolate alle ipotesi su dove potesse trovarsi Mulder... Rifletté per qualche minuto. Poi prese il cordless e digitò un numero. "Pronto, Sean? Sono Scully..." Casa di Irene Morse Claremont, VA Sabato, 0:02 a.m. Mulder guardò perplesso la macchia scura che si stava allargando sul suo maglione, a sinistra, appena sopra la cintura. Come mai non sentiva dolore? Non si trovava forse lì per quello? Probabilmente lei aveva sbagliato mira... O magari quella era una pistola a salve, e quel che sembrava sangue non era che vernice rossa, e tutta quella dannata situazione era soltanto uno stupido gioco inventato per spaventarlo inutilmente... Poi il dolore arrivò. Cominciò come un vago bruciore, e andò via via crescendo, irradiandosi da un unico punto e diffondendosi in ondate sempre più forti e più lunghe. Mulder chiuse gli occhi e si irrigidì, ripetendo dentro di sé che quella cosa non poteva aumentare ancora, e che presto si sarebbe fermata. Invece continuava a crescere, e nel momento in cui lui se ne rese conto, gridò. Ma il grido gli morì in gola quando il dolore divenne ancora più intenso. Si accorse solo vagamente che qualcosa gli aveva toccato la testa. Con uno sforzo enorme, aprì gli occhi. Irene era inginocchiata accanto a lui, e gli teneva una mano appoggiata sulla fronte. Quella mano era calda, scottava, quasi. Istintivamente, Mulder cercò di allontanare la testa, ma lei non glielo permise. Fu questione di qualche lungo, interminabile secondo. Poi, a poco a poco, la smorfia di dolore sul volto di Mulder cominciò ad attenuarsi, fino a lasciare il posto ad un incredulo sollievo. Per un attimo lui fu convinto che tutto fosse stato soltanto un brutto sogno. Guardò Irene, che era immobile vicino a lui, lo sguardo perso nel vuoto e un'espressione beata, come se fosse in trance. La guardò senza osare respirare. Poi lei allontanò la mano dalla sua fronte. E Mulder ripiombò nel dolore. "Hai capito, ora?" mormorò la donna, con voce incerta, quasi tremante. "Io posso donarti il momento in cui il dolore scompare. La vera felicità, Fox!" Lentamente si alzò in piedi, e si avviò barcollando verso le scale. Poi si voltò. "Qualcosa che tu non hai mai conosciuto." "Irene!" Il grido uscì rauco dalla gola di Mulder. "Torna qui!" Lei salì le scale senza più voltarsi. La porta si richiuse alle sue spalle. La lampadina si spense. 4° Distretto di Polizia Washington, D.C. Sabato, 1:47 a.m. Scully, seduta di fronte alla scrivania del sergente Kearney, si sentiva un po' a disagio. Gli agenti del turno di notte, o almeno quelli tra loro che non erano troppo impegnati dal lavoro, ogni tanto le lanciavano occhiate curiose, che lei si sforzava di ignorare. Kearney, seduto dall'altra parte della scrivania, richiuse un fascicolo, scuotendo la testa. "Niente. Tra i miei appunti non ho trovato niente che possa esserci utile." Sollevò lo sguardo su Scully. "E ciò che abbiamo in mano è davvero poco, Dana. Non è sufficiente per fare di Irene Morse una possibile sospettata. A mio parere, ovviamente..." "Io mi sono limitata a confrontare dei dati, Sean. Non ho tratto conclusioni. La storia che Irene ha raccontato potrebbe essere vera... così come potrebbe essere semplicemente un modo per sviare i sospetti da lei. Comunque mi è sembrato che fosse il caso di controllare." Lui annuì. "Sì, hai ragione... Come ha detto il tuo collega, nessuno può dire a priori quali siano i particolari significativi... A proposito, ne hai parlato con lui?" "Non sono riuscita a rintracciarlo" disse Scully, in tono neutro. Kearney alzò un sopracciglio. "Non è andato da sua madre?" Scully si strinse nelle spalle. "Non so dove sia." "Capisco... Be', e ora che facciamo? Piombiamo a casa di Irene Morse e la costringiamo a confessare i suoi delitti?" Scully abbozzò un sorriso, poi ridivenne seria. "E se la facessimo sorvegliare?" "Sulla base di ciò che hai trovato? Ascolta, io domani posso provare a parlarne col capitano, ma avrei bisogno di qualcosa di più concreto..." "Potrei provare a procurarmelo" disse lei, dopo una breve esitazione. "Passami il telefono." Kearney la guardò sorpreso. "Accidenti, Dana, ti sta proprio a cuore questo caso!" Inclinò la testa, sorridendo. "Pensavo che l'esperto fosse Mulder... O hai deciso di risolverlo prima del suo ritorno?" "Io e Mulder lavoriamo insieme, Sean" disse Scully seria, sottolineando le parole. "L'importante è trovare il colpevole, no?" Kearney arrossì leggermente. "Certo... Scusami." Le allungò il telefono. Lei fece un gesto conciliante, poi sollevò la cornetta e compose un numero. "Pronto?" disse dopo alcuni secondi. "Danny, sono Scully... Sì... Scusami per l'ora... Potresti farmi un grosso favore? Grazie... Ecco, avrei bisogno di un'informazione..." Mentre Scully parlava al telefono, Kearney la osservò in silenzio, chiedendosi il vero motivo della sua premura. Forse la spiegazione era quella più semplice, ovvero ciò che Dana gli aveva ribadito poche ore prima: il suo lavoro le piaceva, e per lei veniva prima di ogni altra cosa. Probabilmente era così... "Chiamami al cellulare, appena sai qualcosa" stava dicendo Scully. "Ah, Danny, aspetta..." Esitò per qualche secondo, lanciando una breve occhiata a Kearney. "Potresti farmi un altro favore? Dovresti controllare se stasera ci sono stati incidenti sull'Interstatale per il Connecticut... Sì... Fra le 7:30 e mezzanotte... Mi fai sapere? OK, grazie, Danny. Ci sentiamo più tardi." Kearney corrugò la fronte, riflettendo, mentre lei riagganciava il telefono. Poi capì. "La madre di Mulder abita in Connecticut? Pensi che possa essergli capitato un incidente sulla strada?" Scully scosse la testa. "Voglio solo essere sicura che non sia così" disse. Poi cambiò argomento. "Sean... E se facessimo un giro a Claremont? Giusto per controllare la situazione..." Casa di Irene Morse Claremont, VA Sabato, 3:09 a.m. Mulder non riusciva più a sentire lo scrosciare della pioggia. Tutto ciò che sentiva era un rumore sordo dentro la testa, e il suo respiro affannoso e irregolare. Aveva capito che rimanendo immobile poteva controllare la nausea e le vertigini. Ma al dolore non c'era scampo. Era come un ferro arroventato che qualcuno continuava a rigirargli nelle viscere... Se almeno si fosse addormentato, o avesse perso conoscenza...Ma sapeva bene di non essere così fortunato. Così come sapeva di non avere alcuna possibilità di uscire vivo da quella cantina. Nessuno poteva immaginare che lui era lì. Neppure Scully... Non l'avrebbe più rivista. Qual era l'ultima cosa che gli aveva detto? Di salutare sua madre... "Mamma" bisbigliò, "Scully ti saluta." Ma quelle parole non lo trasportarono di colpo a Greenwich, come avrebbe voluto... No... In realtà avrebbe voluto essere nel suo ufficio. Con Scully... Chissà se lei e Kearney avrebbero risolto il caso... E sarebbero riusciti a ritrovare il suo cadavere? Chi avrebbe fatto il riconoscimento? Sperò non toccasse a lei. Ebbe l'impressione che ora nella cantina ci fosse più luce, ma non aveva voglia di aprire gli occhi per controllare. Poi si sentì toccare la fronte: Irene era tornata. Trattenne il respiro, aspettando che lei estraesse quel ferro rovente dal suo corpo e lo gettasse lontano, almeno per un po'. Cercò di rilassarsi, mentre il dolore piano piano svaniva, trasformandosi in un lieve indolenzimento. Poi sparì anche quello, e Mulder trasse un profondo respiro, aprendo gli occhi. Irene era in ginocchio vicino a lui. Teneva gli occhi chiusi, e respirava lentamente. "Sento che la tua paura si è indebolita, Fox" sussurrò, con voce quasi impercettibile. "Se ne va insieme alla speranza, come sempre. Ti sei rassegnato." Sospirò. " Non è più così piacevole, per me." "Ti sbagli." Mulder sentì l'improvviso e illogico impulso di smentire ciò che lei aveva appena detto. E si sforzò di trovare un tono convinto. "Qualcuno sta venendo a cercarmi. Per questo non ho paura." Lei sorrise. "Nessuno verrà qui. Non possono sapere..." Di colpo si irrigidì, e spalancò gli occhi. "Smettila! La tua mente è tutta occupata dal pensiero di lei... Come si chiama? Scully?" "Ha capito dove mi trovo. Arriverà presto." Irene lo scrutò, assorta, poi ritrasse la mano dalla sua fronte, e lui ebbe un sussulto, mentre il dolore tornava ad aggredirlo. "Stai solo cercando di confondermi le idee. Non c'è speranza, nella tua mente. Solo un pensiero a cui ti aggrappi perché una parte di te non vuole morire." "Lei verrà" mormorò ostinato Mulder, stringendo i denti per non gridare. "Lo so." "Sai bene che non è vero. Nessuno può salvarti. Così come nessuno potrebbe riportare dentro di te quel sangue che c'è sul pavimento." "Ti prenderanno." Mulder parlava a fatica, ogni parola era come una pugnalata nello stomaco. "Ti conviene uccidermi... e andartene." "E così adesso vuoi morire, Fox? Vuoi fuggire dal dolore? Stai tranquillo, non durerà a lungo." Si alzò in piedi. "Tornerò quando tutto sarà finito..." Mulder la fissò. "Ti perderai... il meglio dello... spettacolo" disse. E si rese conto di essere persino riuscito a sorridere. "Spettacolo?" La donna scosse il capo con decisione. "No, Fox. Non potrei sopportare di esserti vicina nel momento in cui succederà." Si chinò di nuovo accanto a lui. "E' già capitato, e ho temuto di impazzire. Forse è soprattutto per questo che ho lasciato l'ospedale. Tutti quei morti... Io non avrei voluto uccidere nessuno, credimi. Ma poi Michael si è messo in testa di farmi diventare una specie di 'donna del miracolo'..." La voce le si incrinò. "Nei miei incubi vedevo la gente che mi circondava, mi toccava, mi sommergeva... Così gli ho sparato, ed è cominciato tutto. Non l'ho guardato morire. E neanche Mark, e George, e Eric... Volevo bene a Eric. Ma lui sapeva. E ora lo sai anche tu." Turbata, si levò in piedi. "Adesso devo andare, Fox." Mulder la guardò salire in fretta le scale e sparire oltre la porta. "Tu hai paura" bisbigliò. "Ma da cosa fuggi?". Poi tacque, ormai senza più forze. Claremont, VA Sabato, 3:36 a.m. Kearney fermò la macchina quasi di fronte alla villetta di Irene Morse, dall'altra parte della strada. Spense il motore, e osservò la casa al di là del parabrezza bagnato. Dalla finestra del salotto filtrava una lama di luce, probabilmente attraverso le tende tirate. "La nostra sospettata fa le ore piccole" commentò il sergente. Scully non disse nulla. Fissava assorta la casa, ascoltando il tamburellare della pioggia sul tettuccio dell'auto. Pochi minuti prima Danny Valodella le aveva riferito che sull'Interstatale per il Connecticut quella sera si era verificato un solo incidente, non grave, che aveva coinvolto due grossi camion. Era quello che aveva sperato di sentire. Riguardo all'altra informazione avuta da Danny, non era in grado di dire cosa avesse sperato. Ma ora sapeva che c'era un altro elemento che portava a Irene: il Fairfax Mercy Hospital , dove lei aveva lavorato nel periodo di ricovero di Michael Shelton. "Gli indizi che abbiamo non sono sufficienti per arrestarla subito" disse Kearney, rompendo il silenzio. "Ma ormai non c'è dubbio che vada tenuta sotto sorveglianza. Domani ne parlerò col capitano, e decideremo che strategia adottare." Si voltò verso Scully. "Hai fatto un buon lavoro, Dana." Lei si riscosse, e si girò a guardarlo. "Cosa...? No, non dire così. E' stato un puro caso. Non saprei nemmeno dirti come ci sono arrivata..." Sospirò, stropicciandosi gli occhi con una mano. "Spero solo che sia la pista giusta..." Kearney la osservò. "Che c'è, Dana?" chiese, in tono un po' preoccupato. "Sei stanca?" Lei scosse la testa. "No... E' che... Mi piacerebbe sapere dov'è finito Mulder. Al cellulare non risponde. Non è da lui rendersi irreperibile... Non senza un buon motivo, almeno..." "Hai provato da sua madre?" "A quest'ora? Non credo sia il caso..." "Perché no? Se servirà a tranquillizzarti..." Scully lo guardò, esitando. Poi annuì. "Sì, forse hai ragione" disse, prendendo il cellulare. Compose il numero, e attese. "Pronto? Signora Mulder? Sono Dana Scully, mi scusi se l'ho svegliata... No? Io... mi chiedevo se per caso Fox fosse lì da lei... Dovrei riferirgli alcune cose, e... No, non riesco a rintracciarlo. Probabilmente ha deciso di passare il week-end fuori città... Be', fa lo stesso. Lo vedrò lunedì... Buonanotte, signora Mulder. E... mi scusi ancora." Posò il cellulare. Kearney si schiarì la voce, mentre cercava le parole giuste. "Dana..." mormorò. "Io credo che tu ti stia preoccupando inutilmente. Magari Mulder ha trovato qualcosa di meglio da fare, stasera... Magari aveva un appuntamento..." Sembrava vagamente in imbarazzo. "Insomma, hai capito cosa intendo..." Scully alzò un sopracciglio, fissando Kearney. "Un appuntamento..." ripeté. "Sì... Ecco, in fondo sono fatti privati, no?" Lei scosse la testa, senza riuscire a trattenere un sorriso. "Tu non conosci Mulder." disse semplicemente. Kearney alzò una mano, rinunciando a capire. "OK, escludiamo questa ipotesi. E allora dove potrebbe essere? Pensi che sia uscito per lavoro?" "Me l'avrebbe detto." "Magari non ne ha avuto il tempo, o non voleva disturbarti. Magari l'hanno chiamato a casa, ed è dovuto uscire in fretta..." Scully lo guardò. Poi, con un'idea improvvisa, prese il cellulare. Non era difficile far controllare le ultime telefonate ricevute da Mulder. Bastava confidare nella pazienza di qualcuno. "Pronto, Danny? Sono ancora io..." Casa di Irene Morse Claremont, VA Sabato, 4:01 a.m. Mulder si concentrò nel seguire il percorso di una goccia di sudore freddo che gli stava scendendo lungo il naso. Quando cadde, quasi gli dispiacque. Ebbe l'impressione che non gli fosse rimasto altro. Il dolore era sempre lì, forte e continuo. Se ne sarebbe andato insieme all'ultimo respiro. Non solo per qualche minuto, ma per sempre. La morte era più potente di Irene... E infatti lei le aveva ceduto il campo. Chi si nutre di dolore vuole la vita, non la morte... Cercò la paura dentro di sé. Non ne trovò, e pianse, per questo. Invidiò Irene, che la paura aveva costretto a fuggire. La paura che nella sua mente penetrasse qualcosa di incomprensibile... Così l'aveva lasciato solo... Ma era consolante pensare che c'era qualcuno che non l'avrebbe fatto... Scully... Lei avrebbe sopportato il dolore e la paura, e sarebbe rimasta. Fino all'ultimo. Ascoltò i battiti del cuore che gli martellavano veloci una tempia, quasi scandendo il tempo. Quanti ne rimanevano? Quanto mancava al silenzio? Improvvisamente si ritrovò a chiedersi come mai aveva posato sul tavolino l'ultimo numero di 'Play Boy' senza neppure sfogliarlo... Se avesse saputo che sarebbe morto, gli avrebbe dato almeno un'occhiata... Non era giusto... Un giorno Scully sarebbe entrata nel suo appartamento, e l'avrebbe trovato, e avrebbe pensato che lui l'aveva già letto, e l'avrebbe gettato nel cestino... Che spreco... Già, ma in fondo perché tenerlo? Lui ormai era morto... E se invece l'avesse tenuto per ricordo? L'ultima cosa che lui aveva letto... Era buffo pensare che non era vero... Ma che diavolo c'entrava quel pensiero? Per un attimo ebbe paura, temendo che la sua mente se ne stesse andando. Poi si calmò. Forse era normale che la mente precedesse il corpo. Forse era giusto così... Claremont, VA Sabato, 4:09 a.m. "Grazie, Danny." Scully posò il telefono e guardò Kearney, corrugando la fronte. "Alle 7:28 di ieri sera Mulder ha ricevuto una chiamata sul cellulare. La chiamata proveniva da una cabina telefonica... Una cabina di Claremont." Estrasse la sua pistola, e la controllò. "Io vado là dentro, Sean." Lui le afferrò il braccio con una mano. "Dana... Aspetta! Non puoi entrare... So a cosa stai pensando, e capisco che tu sia preoccupata... Ma... se i nostri sospetti fossero sbagliati? Ammettiamo che Irene abbia chiamato Mulder... Potrebbe averlo fatto perché voleva dirgli qualcosa, o perché aveva paura... E tu ora vuoi piombarle in casa in piena notte..." Scully liberò il braccio dalla stretta, e lo fissò, seria. "Me ne assumo tutta la responsabilità, Sean" disse, in tono fermo. Kearney sospirò. "Ascolta... Se ciò che pensi è vero, entrare in quella casa può essere pericoloso. Lasciami chiamare il Distretto, per avere rinforzi... Così rischieremo solo il ridicolo, invece della pelle..." Si interruppe, fissando un punto all'esterno. "Guarda!" Scully si voltò, e vide la luce che proveniva dalla porta aperta della villetta. Una figura attraversò il patio e si diresse verso l'auto parcheggiata di fronte al garage. Quando la figura entrò nella zona illuminata da un lampione stradale, Scully poté vedere ciò che aveva già intuito. Era Irene. Aveva sottobraccio un indumento scuro, forse una giacca, o un cappotto. Nell'altra mano teneva un oggetto lungo circa un metro, avvolto in carta da pacchi. Giunta vicino all'auto, aprì il baule posteriore e vi gettò ciò che portava. Poi lo richiuse. Scully era già sulla strada, con la pistola carica in mano. Corse verso la casa, senza accertarsi che Kearney la stesse seguendo, e senza perdere tempo a chiedersi se davvero in quel baule c'erano la giacca di Mulder e una pala... "F.B.I.!" gridò, entrando nel giardino e puntando l'automatica contro la donna. "Non muoverti!" Irene si fermò, con un piede sul gradino del patio. Casa di Irene Morse Claremont, VA Sabato, 4:13 a.m. Mulder sussultò, mentre il velo nero che gli aveva avviluppato la mente per qualche minuto si dissolveva di colpo. Cos'era stato quel rumore? Un tuono... Il suo ultimo temporale... Ma perché non pioveva più? E se... Poteva essere stato uno sparo? Forse Irene si era decisa a sparargli di nuovo, per farla finita, e lui non se n'era neppure accorto... Doveva dirle che non aveva funzionato... Aprì gli occhi, e non vide nulla. Poi una luce improvvisa lo accecò per qualche secondo. Con la vista annebbiata, si guardò intorno, e quindi alzò gli occhi verso le scale. Irene era ferma sulla soglia. Stava dicendo qualcosa, ma lui non riusciva a capire. La guardò scendere, e si convinse che ormai non poteva più fidarsi della sua vista, perché adesso Irene gli sembrava Scully... E non poteva essere Scully. Non poteva essere lì. "Mulder!" La voce di Scully. Mulder chiuse gli occhi. E per un attimo il dolore scomparve, come al tocco della mano di Irene. D.C. Correctional Facility Lorton, VA Venti giorni dopo La grande sala era quasi spoglia. C'erano solo due grandi tavoli ed alcune sedie scompagnate. Irene era seduta ad uno dei tavoli. Indossava la tuta arancione da detenuta, e aveva caviglie e polsi bloccati da catene. Mulder si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte alla donna, con movimenti lenti, per non sollecitare troppo i punti della ferita, che si stava cicatrizzando. "Come stai?" le chiese. Lei si toccò una spalla. "Bene, direi. La tua collega ha una buona mira." Mulder annuì. "Dovrò testimoniare al tuo processo" disse poi. "Dovrò raccontare tutto." "Tutto?" Irene sorrise. "Non ti crederanno." "Non sarebbe la prima volta... Ma se tu farai altrettanto, forse alla giuria verrà qualche dubbio. O magari dichiareranno la seminfermità mentale... Per l'omicidio in Virginia rischi la pena di morte, Irene." Lei fece un cenno di diniego. "Io non dirò nulla." Fissò Mulder, con quello sguardo malinconico che tanto l'aveva colpito. "Non m'importa come finirà. Mi hanno messa in isolamento. Non posso vedere nessuno. Sono sola. Vuota." Ci fu un lungo silenzio. Infine Mulder chinò la testa. "Se hai già deciso, non c'è molto altro da dire. Se non che in fondo me l'aspettavo." Si alzò in piedi, dimenticando che doveva muoversi con cautela. Non riuscì a trattenere una smorfia di dolore, e si portò una mano sul fianco. Irene se ne accorse. Lentamente, appoggiò le mani sul tavolo, di fronte a sé. "Fox..." Lui la fissò in silenzio per alcuni secondi. Poi scosse il capo. "No, Irene. Basta." "Volevo solo aiutarti." mormorò lei, in tono turbato. "Non stavo pensando a me." Ancora una volta, Mulder sentì che lei gli stava dicendo la verità. "Lo so. Ma ho deciso che non mi interessa una felicità che nasce dall'assenza di qualcosa... Se è solo questo, ci rinuncio." Sorrise. "Addio, Irene." "Addio, agente Mulder." La donna riportò le mani in grembo. "Spero che tu non debba rinunciare a lungo." Mulder rimase ancora un attimo a guardarla. Poi si voltò, attraversò la sala e uscì, raggiungendo Scully, che lo aspettava in fondo al corridoio. Si avviarono insieme verso l'uscita del carcere, camminando affiancati. Scully osservò Mulder. Ne notò il volto disteso e l'espressione quieta, solo vagamente adombrata da un accenno di tristezza. Non aveva certo l'aria di uno che aveva appena visto la persona che gli aveva inflitto tante sofferenze, fin quasi ad ucciderlo. Quanto a lei, sentiva di provare un forte risentimento, se non qualcos'altro, nei confronti di chi gli aveva fatto del male. "Che cosa ti ha detto?" gli chiese. "Non dirà nulla al processo. E forse è giusto così." Si voltò a guardarla. "I suoi poteri mentali non sono forti e costanti come quelli di Gibson Praise, ma credo che lei abbia costruito su di essi tutta la sua sfera emotiva. E ora è in isolamento... Non potevano trovarle una punizione peggiore." "E' un'assassina, Mulder." Lui annuì. "Ha avuto in sorte un dono che non ha saputo usare nel modo migliore... qualunque sia. Se ne è lasciata corrompere." Sorrise. "Sulla strada per la santità ci dev'essere qualche tombino aperto, Scully. E nessun cartello che ti avverta con la scritta 'Satana al lavoro'..." Scully scosse piano la testa, mentre uscivano dal portone del carcere. Fuori, il freddo cielo di fine marzo era limpido e pulito, senza una nuvola. FINE Dedicato a Monica, che ha suscitato in me la voglia di continuarlo... e che nello stesso periodo in cui io stendevo una bozza di "Aponìa", stava scrivendo "Quasar", che con esso presenta alcuni interessanti analogie. Considerando che abbiamo fatto conoscenza solo tre anni dopo, si può affermare che siamo alla presenza di un vero x-file... (20-8-2000) ----------------------------------------------------------------- The X-Files trademark and characters are copyright of 20thFox. La riproduzione in qualsiasi forma è consentita solo previo consenso dell'autore. -----------------------------------------------------------------