Africa, la fame vien ingannando

(La Stampa  del 24/12/2002 Sezione: Cultura Pag. 23)

LE CARESTIE UCCIDONO MILIONI DI PERSONE: LA COLPA NON È DELLA NATURA, MA DEI GOVERNI CHE SPECULANO
Africa, la fame vien ingannando

[CL801']L´AFRICA ha fame... Un esame della mappa recentemente pubblicata da Le Monde mostra ancora una volta che, salvo poche eccezioni, nei paesi colpiti non esiste alcuna causa «naturale» perché vi si soffra la fame. Lo Zimbabwe è stato fino a poco tempo fa il granaio dell'Africa australe, i due Congo, scarsamente popolati, dispongono di un considerevole potenziale alimentare. E allora? Come spiegare quei 38 milioni di persone esposte alla minaccia di carestia? Certamente, l'Africa è un continente vulnerabile nel quale oltre un terzo della popolazione soffre cronicamente di fame. La povertà, la negligenza dei governi nei confronti dell'agricoltura, che spiega perché il rendimento non sia aumentato da trenta anni in qua, la crisi economica, l'aids che indebolisce le campagne... tutte queste ragioni permettono di spiegare l'estensione della malnutrizione cronica. Ma non giustificano la carestia. In realtà, le «moderne» carestie sono andate moltiplicandosi dopo il crollo della cortina di ferro: esse derivano dalla necessità, per un certo numero di movimenti politici, di cercare nuove rendite. I governi lasciano incancrenire la situazione, sperperano le riserve, poi gettano grida di soccorso, ritrasmesse dalle agenzie di aiuti che approfittano delle situazioni d'urgenza per rimpolpare i loro bilanci sulla pelle dei donatori. La manipolazione degli aiuti alimentari è nata insieme alle organizzazioni umanitarie. Già in Biafra, nel 1969-1970, il generale Ojukwu aveva saputo giocare sulla carestia che aveva colpito il popolo Ibo per stornare a proprio profitto il capitale di simpatia dell'opinione pubblica. Così, la carestia raggiunge un triplo obiettivo. Permette a certi regimi: - di ricevere aiuti finanziari e materiali ben al di sopra di quelli miserevoli concessi in tempi normali; - d'imporre la propria legittimità politica all'interno orchestrando la distribuzione dei generi alimentari; - di controllare alcune popolazioni scomode o periferiche facendo ricorso all'arma della fame. In un simile contesto, tutti hanno interesse a giocare al rilancio: il numero degli affamati aumenta sempre più poiché i governi vogliono ottenere il massimo e le agenzie di aiuti esagerano la portata dei bisogni al fine di prevenire lo sconto che i donatori, stanchi delle continue sollecitazioni, applicheranno alle quantità richieste. Nella nuova società mondiale, dove informazione e «charity business» sono strettamente legati e oggetto di marketing, la creazione di carestie deriva da una logica commerciale simile alle altre, anche se può sembrare particolarmente cinica. Si tratta, per gli stati come per i movimenti politici che aspirano alla conquista del potere, di utilizzare gli stessi meccanismi di funzionamento delle società occidentali per raccogliere a proprio profitto mezzi finanziari e logistici. Conoscendo perfettamente la capacità di mobilitare l'opinione pubblica in favore di determinate «cause» e la potenza dei gruppi di pressione (movimenti di cittadini animati da una generosa indignazione, ma anche lobby d'imprese spinte da tutt'altre motivazioni, come quei produttori di cereali felici di approfittare della carestia per giustificare la produzione e l'esportazione di derrate geneticamente modificate), gli affamatori, cui fanno da cassa di risonanza le organizzazioni umanitarie preoccupate di drenare fondi pubblici e privati in favore degli affamati, giocano con insistenza sull'immagine infantile: bambini affamati, bambini soldati, bambini schiavi... Annunciata dalla gigantesca mobilitazione per l'Etiopia nel 1984, con gli strascichi polemici sull'uso degli aiuti fatto da Mengistu per trasferire intere popolazioni, questa strategia della manipolazione dei media e delle opinioni pubbliche è andata generalizzandosi. L'opinione pubblica fa lo zapping da un dramma all'altro con l'impressione che il terzo mondo sia simile ad un enorme serbatoio pieno di disgrazie, di un numero incalcolabile di vittime innocenti e anonime, di corpi sofferenti ai quali bisogna, prima di tutto, fasciare le piaghe. Nel 2000, l'Etiopia ha puntato sulla sua fortissima carica simbolica per esporre le difficoltà delle popolazione dell'Ogaden... per soccorrere le quali non aveva mosso un dito quando la penuria alimentare s'annunciava da due anni. Essa persegue oggi la stessa strategia. Ancora una volta si tratta di uno dei paesi più esposti al rischio alimentare. Ma che dire di altri paesi che niente predispone a conoscere la fame (abbondanza di precipitazioni, scarsa densità della popolazione, terre ricche e fertili, risorse petrolifere, diamantifere, minerali e agricole di primo piano)? Le crisi alimentari che v'imperversano, colpendo i più vulnerabili, non hanno più niente a che fare con la fatalità. Come ha scritto il Premio Nobel per l'economia Amartya Sen: «Le misure da prendere per prevenire le carestie sono così facili che il vero enigma è capire perché queste continuino a infierire».
Il meccanismo di prevenzione delle carestie è noto da oltre un secolo. Per esempio, immettere a tempo sui mercati riserve di sicurezza permette di far calare i prezzi e di evitare che frange intere di popolazione siano emarginate. Bisogna anche che queste riserve non vengano dilapidate... Allora aiutiamo, perché le sofferenze di alcuni popoli sono reali e necessitano della nostra solidarietà. Ma non lasciamoci ingannare: esigiamo di condizionare gli aiuti a controlli stretti sulla loro distribuzione e sui destinatari. Non scarichiamo più carrettate di cereali in paesi dove i veri affamati, al contrario di chi è vicino al potere, non ne conosceranno mai il gusto. Rifiutiamoci di essere presi nella trappola della compassione cieca per esigere che siano finalmente posti in essere veri «contratti di sviluppo» tra i paesi più poveri e una cooperazione internazionale ripensata, finalmente, in termini di vera lotta alla povertà. Investire nell'istruzione, in particolare quella delle bambine, avviare dei programmi sanitari, rilanciare la piccola agricoltura a conduzione familiare in un contesto di pace e di sicurezza sono i soli modi di permettere all'Africa di non soffrire più la fame, indipendentemente dai capricci del cielo. Ex presidente di Azione contro la fame, professore di geografia dello sviluppo presso l'università Paul-Valéry, Montepellier-3 Copyright Le Monde
traduzione del Gruppo Logos
Sylvie Brunel