L'ETHOS DELLA PERSONALITA'
di
Nicolai Hartmann
traduzione
italiana e presentazione di Luigi Dappiano
L'ethos
della personalità è uno degli ultimi scritti di Hartmann.
Presentato al Primer Congreso Nacional de Filosofia
(Mendoza - Argentina, 30 marzo / 9 aprile 1949), è stato poi
ristampato nel primo volume dei Kleinere Schriften (De
Gruyter, Berlino 1955, pp. 311-318).
L'argomento
riguarda la struttura categoriale della personalità. In prima
istanza, la questione ha a che fare con tematiche di tipo
assiologico, essendo la personalità ciò che contraddistingue la
persona umana, in quanto ente capace di accogliere l'appello dei
valori; d'altra parte, come è caratteristico di Hartmann, le
tematiche assiologiche trovano il loro senso solo su uno sfondo
ontologico. Ciò significa che, per chiarire come la persona
possa rispondere all'appello dei valori, è necessario chiarire
le relazioni di sostegno reciproco tra le forme dello spirito
personale e le forme dello spirito obiettivo. Ovvero, per usare
un'espressione di Scheler, è necessario chiarire la posizione
dell'uomo nel cosmo.
Il
testo è articolato in tre parti, per complessivi 31 paragrafi.
La prima parte (§§ 1-9) si interroga sul significato di
"personalità", esaminando per contrasto quello di
"persona"; la seconda (§§ 10-21) affronta il tema
della costituzione della personalità, esaminandola nella coppia
antinomica individuale - universale; la terza (§§ 22-31)
riguarda infine l'ethos della personalità come forma
dell'apertura dell'uomo al mondo.
Alcune
parti dello scritto hartmanniano (§§ 1-4, 6, 7, 12, 13, 21)
sono state tradotte da Remo Cantoni nel suo Che cosa ha detto
'veramente' Hartmann (Ubaldini, Roma 1972, pp. 175-179). Ho
conservato il più possibile quelle traduzioni, modificandole
solo lo stretto necessario, e ho cercato di mantenerne l'impronta
e le scelte lessicali anche per tradurre le parti non tradotte da
Cantoni.
Luigi
Dappiano
L'ETHOS DELLA
PERSONALITÀ
I
1. Che cosa sia la
personalità lo si può dire solo in contrapposizione con la
persona. Non sono, infatti, la stessa cosa. Persona è ogni uomo:
in questo tutti sono simili; l'essere persona, in quanto tale, è
dunque qualcosa di generale, per quanto le persone individuali
possano differire tra loro. Al contrario, non ogni uomo è
personalità. Personalità è tutto ciò che un uomo ha per sé
soltanto, ciò che non si ripete negli altri, ciò che in una
persona vi è di eccezionale e unico.
2. In questo è già
presupposta la nozione di persona. Ma cos'è persona? Essa non è
il soggetto e non è l'io. Non è nemmeno la coscienza e
tantomeno l'autocoscienza. Di certo essa presuppone il soggetto
conoscente e, parimenti, la coscienza spirituale con la sua
obiettività e la sua caratteristica distanza dalle cose del
mondo circostante; ma essa è qualcosa di più ancora: è
l'essere che fissa lo sguardo nel futuro, che prevede e pone
scopi, è l'agente che, nell'agire, decide liberamente, e che,
nello stesso momento, possiede il senso per il valore e il
disvalore, la conoscenza del bene e del male, essendo egli stesso
suscettibile di essere buono o cattivo.
3. Allo stesso modo, la
persona è l'essere aperto al mondo in virtù della sua
attività, l'essere che riceve impulsi dal mondo circostante e
che, a sua volta, interviene in esso con l'azione, trasformandolo
e cambiando direzione a ciò che accade. Nel mentre che ha
bisogno delle cose e le adopera, la persona traccia intorno a se
una sfera di pertinenza, che in quanto sfera personale è,
insieme la sfera della sua proprietà, l'ambito immediato della
sua potenza e del suo influsso. In questa sfera essa reclama di
essere rispettata. Poiché in tale sfera può anche essere
offesa.
4. La persona esige per sé
il riconoscimento di coloro che essa, a sua volta, riconosce come
persone (con una propria sfera personale). Il correlato interno
di questa esigenza è la sua autocoscienza etica, il suo reggersi
su di sé, l'orgoglio, la dignità e il pudore.
5. Sul riconoscimento
reciproco si basa la comunità degli uomini. Alla persona fa
riferimento la definizione aristotelica di uomo, come
"essere vivente che, per natura, forma delle
comunità". Ciò significa che l'essere personale non
possiede solo l'impulso, ma anche la capacità di organizzare la
sua unione con altri esseri simili.
6. All'essere personale
corrisponde, inoltre, la capacità di autoeducarsi, di porsi
sotto esigenze o leggi, che non gli sono date dalla natura e non
scaturiscono dagli istinti della specie, e che diventano poi i
criteri della sua coscienza assiologica. Da questa capacità si
dispiegano i diversi gradi della solidarietà e della
responsabilità comune, avvertita come tale per il manifestarsi e
per l'agire di altre persone. Questi gradi sono: la posizione
uguale davanti al diritto, il rapporto di fiducia (fedeltà e
fede) e l'amore universale per il prossimo (altruismo).
7. L'uomo non diventa
persona semplicemente attingendo a se stesso, ma sempre sulla
base di un rapporto culturale il quale, come spirito storico,
preesiste e si è formato nel mutare delle generazioni.
L'individuo singolo cresce in questo rapporto, lo assimila nel
suo proprio maturare e lo trasmette alla generazione successiva;
non lo fa però passivamente, ma contribuisce ad esso con un suo
apporto, nella misura delle sue possibilità. I campi dello
spirito in cui si estende questo movimento sono: il linguaggio,
il diritto, i costumi, la morale, il sapere, lo stile di vita,
l'arte, la religione, la tecnica e altri ancora.
8. In tutti questi campi, la
persona singola figura come portatrice di una tradizione vivente.
Il fatto che essa non abbraccia l'intero in nessun campo, non le
è di ostacolo. In alcuni campi, la trasmissione di beni
culturali richiede un'istituzione particolare (l'istituzione
educativa) e educatori speciali, poiché lo spirito non si
trasmette per eredità - come accade per le proprietà fisiche e
per alcune proprietà psichiche -, ma richiede una trasmissione
attiva. La persona si mette così al servizio immediato della
storia dello spirito.
9. Oltre a tutto questo,
alla persona compete una missione ancora più grande: essa è
chiamata a dirigere il processo della storia. Se esistesse una
coscienza sovrapersonale dotata di una propria capacità di
azione, l'uomo, in quanto persona, sarebbe liberato da
quest'onere. Ma non esiste alcuna sovracoscienza al di sopra
della persona singola. Lo spirito comune storico non la possiede.
Solo lo spirito personale ha il potere di intendere, di porre dei
fini e di dirigere. E tuttavia esso stesso non è adeguato a
sostenere l'enorme compito che gli viene imposto. I suoi
orizzonti e le sue finalizzazioni si adattano ai bisogni
particolari della sua vita privata e alla sua prospettiva
ristretta. Ciò nonostante, pesa su di esso la responsabilità
delle generazioni future, che mieteranno i frutti del suo agire.
L'uomo non può sfuggire a questo dilemma.
II
10. Tutto questo non è sufficiente per
costituire la personalità. Già nella vita, e prima di ogni
riflessione, noi alludiamo a una nota distintiva dell'individuo,
quando diciamo che esso è una personalità. In effetti, la
personalità è quel tratto che l'uomo non ha in comune con gli
altri. Qui però non bisogna fare troppe concessioni al
linguaggio corrente: spesso l'espressione
"personalità" si riferisce agli uomini di maggiore
energia, di forte influenza suggestiva, con un carattere marcato,
o anche, semplicemente, a individui rappresentativi di un tipo
d'uomo.
11. Questi usi linguistici non ci danno
l'essenza della questione. Si rimane nel tipico, senza
raggiungere l'individuale. Anche gli uomini deboli, silenziosi,
discreti, possono avere personalità. Decisiva è la
peculiarità, l'irripetibilità, l'unicità, l'insostituibilità.
La personalità è ciò che in un uomo noi amiamo o odiamo, ciò
per cui sentiamo simpatia o antipatia - senza poter dire, nella
maggior parte dei casi, in che cosa consista. Verso di essa si
orientano pressoché tutti i sentimenti personali superiori.
12. Questo non ha nulla a che vedere con
l'individualismo, tantomeno con l'individualismo etico. Le
esigenze etiche universali, che valgono per ognuno senza
distinzione, non vengono intaccate, e ancor meno impoverite,
dalla rivendicazione di una propria particolarità da parte
dell'individuo. Esse rimangono in vigore e rimangono la base su
cui soltanto può sorgere la peculiarità umana, in quanto ethos
della personalità.
13. Tutta quanta l'alternativa di universale e
individuale - non solo nell'uomo, ma, in generale, in tutti gli
enti - risale a un errore della vecchia metafisica. Nel mondo
reale non esistono due classi di enti (individuali e universali)
ma, solo e assolutamente, una. Ogni reale, indifferentemente dal
suo essere cosa o uomo, avvenimento o situazione, è individuale
quantunque, per lo più, con differenze solo molto
insignificanti; ma tutti i singoli elementi di ciò che è
individuale sono universali. Il caso singolo li condivide con
innumerevoli altri. Ciò che costituisce la sua individualità è
unicamente la combinazione degli elementi. Questa combinazione
non ritorna, già per il semplice motivo che essa nel suo ritorno
verrebbe inclusa in un altro contesto reale, dal quale sarebbe in
ogni caso modificata.
14. Questa interrelazione è la semplice
espressione di una legge ontologica, che l'ignoranza umana non
può mettere in sordina. La si può anche formulare così: ogni
reale è unico, ma in esso è già insita la realtà
dell'universale, la quale infatti non significa altro se non
l'omogeneità degli elementi individuali. Solo l'essere ideale è
senza individualità. Per questo motivo è un essere soltanto
incompiuto. La vecchia metafisica, dai tempi di Platone in poi,
lo ha considerato come un essere superiore, come il "mondo
migliore" delle forme pure. La nuova ontologia lo ha privato
di questo alone sacrale, dimostrando che il suo modo d'essere, a
dispetto di tutta la sua sovratemporalità, è quello inferiore.
Superiore è proprio l'essere temporale, provvisorio e
individuale.
15. L'essere individuale delle cose e degli
esseri viventi inferiori ci pare privo di importanza, non abbiamo
alcun interesse verso di esso, che dunque permane completamente
inavvertito. E' nell'uomo che l'essere individuale acquista
importanza per noi, perché si fonda sulla personalità. Se
l'uomo non fosse qualcosa di particolare per l'uomo, è da
supporre che non potremmo scoprire nel mondo nulla che abbia
individualità.
16. L'individuale personale si estende
attraverso tutti gli strati dell'essere umano. Nel corpo lo si
può percepire direttamente attraverso i sensi; nella sfera
psico-fisica esso agisce all'esterno come espressione diafana
dell'interno; nell'essere morale, la persona si manifesta come
carattere e, nella relazione intima tra uomo e uomo, come ciò
che mette l'individuo inequivocabilmente in risalto entro la
molteplicità delle persone, pur sempre rimanendo,
fondamentalmente, inconoscibile e inesprimibile.
17. In tutti questi stadi, l'essenziale
consiste nel fatto che l'interno psichico, di per sé invisibile,
traspare intuitivamente e concretamente attraverso l'esterno, e
non solo nella configurazione propria di quest'ultimo, ma anche e
precisamente nella dinamica del movimento, dell'atteggiamento,
della reazione mimica e così via. Il darsi della personalità è
interamente legato a questa "relazione fenomenica".
Tuttavia la comunicazione linguistica coglie solo frammenti
dell'individuale psichico: per mostrarsi, la personalità ha
bisogno di una forma più differenziata di manifestazione. Accade
con essa ciò che accade col contenuto spirituale di un'opera
d'arte: il pensiero e la sua logica sono troppo impacciati;
l'essenziale risiede proprio nell'imponderabile che lampeggia
fugacemente e solamente un'apprensione sensibile più raffinata
è in grado di captare - quasi al volo - il sovrasensibile.
18. La grande differenza con l'opera d'arte
sta nel fatto che quanto appare qui, è reale. Ciò che appare in
questo caso è la realtà spirituale e psichica dell'uomo.
Nell'opera d'arte si manifesta ciò che l'artista ha intuito
nella fantasia ed elevato all'obiettivazione; nell'apparire
esteriore dell'uomo, si manifesta la reale personalità vivente.
Quest'ultima è "reale" nel senso del nuovo concetto
ontologico di realtà che, anziché allo spaziale e materiale, è
legato alla temporalità, al divenire e all'individualità.
19. Questa forma fenomenica possiede
un'efficacia tale ed è talmente superiore a quella del pensiero
concettuale, che anche nella vita morale dei popoli le idee guida
si concretizzano e fanno proseliti quasi soltanto nella forma
della personalità. Nella sua vita, l'uomo non si orienta in base
a norme astratte, siano esse leggi o dogmi, ma in base a figure
intuite, "modelli" personali, siano essi di carattere
privato, presenti solo a un singolo individuo, o siano ideali
comuni che muovono la storia. Solo così è possibile anche al
poeta dare un impulso alla storia del mondo, influenzando un
popolo che lo ascolta e comprende le sue visioni. In effetti, se
i "personaggi" del poeta convincono, è perché essi
sono stati carpiti alla vita, quasi origliando, e la loro forma
fenomenica è la medesima della viva personalità. Essi brillano
non per quello che rappresentano, ma per il loro comportarsi
nella vita.
20. Ma nonostante tutta l'individualità e la
concretezza, il nucleo della personalità lo troviamo laddove
essa prende a incorporarsi, come semplice persona tra le altre,
nella comunità e nei suoi destini storici. Con ciò, infatti, la
personalità assume coscientemente il carico di una
responsabilità superiore. E solo sopportandolo e rafforzandosi
sotto il suo peso, si manifesta il suo vero ethos. Nel
sovrapersonale deve affermarsi ciò che vi è di più personale
nell'uomo.
21. L'autentica personalità umana non ha
nulla a che vedere con la vanità dell'autocoscienza individuale.
Una vita che ponga la propria persona come unico scopo, che
faccia del proprio essere un oggetto di culto, è il
misconoscimento non già il dispiegarsi della personalità. La
vera singolarità s'accresce proprio quando l'uomo pone le sue
mete molto al di là di se stesso e si dedica a compiti che lo
proiettano al di là di se stesso. Ogni autocompiacimento è una
caduta morale. Il vero ethos della personalità non è l'ethos
del cercarsi o dell'affermarsi, ma del donarsi e del dimenticare
il proprio io.
III
22. Gli ultimi punti hanno mostrato che la
personalità non è lasciata solo a se stessa, poiché è
collocata sempre in connessioni più ampie. Questo vale non
solamente per il suo essere, ma anche per il suo ethos e per il
sapere che ne ha. Il suo segreto è categoriale. Essa è una
formazione sui generis con una propria forma di esistenza.
Ma questa forma di esistenza, come accade sempre per le forme
superiori nel mondo intero, "poggia" sopra forme
d'essere portatrici, e sotto questo aspetto ne è dipendente. Il
che non impedisce la sua autonomia intrinseca - in conformità
alla costruzione categoriale nella stratificazione del mondo
reale.
23. Per la sua peculiare forma di
conservazione (la sua consistenza), l'uomo come persona
costituisce una specie di sostanza seconda in cui gli stati
cambiano. In quanto tale, è l'elemento portatore di unioni più
ampie tra persone, e questa funzione portatrice appartiene ai
suoi compiti, ai quali non può essere strappata senza con questo
toglierle il suolo su cui sta. Qualcosa di simile vale anche per
la personalità individuale, perché appartiene alla sua essenza
di essere ciò che è anche "per qualcuno". Ma siccome
non può esserlo per se stessa, lo potrà essere soltanto per
altre persone.
24. La personalità è l'essenza intima
dell'uomo individuale aperta per antonomasia al mondo. Non solo
per le condizioni del suo essere, ma ancor più per il contenuto
significativo della sua esistenza, per il suo ethos e per il
contenuto dei suoi valori, la personalità è incorporata nel suo
mondo circostante, nel mondo spirituale - culturale dell'uomo. E
come già l'essere della mera persona traccia attorno a se una
cerchia di appartenenza, una sfera di potere e di influenza che
porta l'impronta della persona stessa, così avviene anche per la
personalità. Nella vita ci sono note simili sfere, in cui la
persona pone la sua impronta: la cerchia quotidiana delle sue
cose familiari, la cerchia della sua attività, la cerchia delle
sue amicizie (che porta sempre con sé una selezione determinata
in modo peculiare), su su fino alla cerchia dei suoi discepoli e
adepti, selezionata in base a idee determinate. Sì, in un certo
senso possiamo aggiungere pure la cerchia dei suoi nemici,
giacché anch'essa è determinata dal suo ethos personale.
25. Qualunque consistenza più solida, cioè
qualunque formazione che in qualche modo si conservi identica per
un tempo maggiore, agisce nel mondo reale come "sostanza
seconda". Ciò non ha nulla a che vedere con la
sostanzialità in senso stretto. Lo stesso accade anche nel caso
della conservazione della personalità. L'interferire di ordini
d'essere "superiori", per esempio di ordini
sovratemporali (come qualcuno talvolta ha supposto), qui non
c'entra nulla. D'altra parte, bisogna guardarsi dal trasferire
l'identità personale a unità appartenenti ad ordini maggiori,
come è accaduto con l'idealismo metafisico: la sovrapersona in
stile più grande non esiste assolutamente; in nessun caso le
comunità umane danno luogo a unità personali, anche se si
compongono di persone, così come non costituiscono un soggetto o
una coscienza in stile più grande. E questo vale nonostante esse
possiedano individualità storica.
26. È un errore credere che la cosiddetta
conoscenza degli uomini, propria di chi ha esperienza di vita,
abbia senz'altro accesso alla personalità. Ciò che coglie il
conoscitore degli uomini sono proprietà, capacità o debolezze
singole che saltano all'occhio. Esse però inducono a cadere in
un modo di apprensione tipizzante. Ma tutto ciò che è tipico è
appunto il contrario dell'individualità. Il conoscitore degli
uomini registra le persone secondo certi elementi fondamentali e
che si ripetono continuamente; non ha alcun motivo per penetrare
in esse oltre questi elementi. Appunto su questa base egli è
sicuro di cogliere nel segno; mai però potrebbe, con questa
semplificazione, orientarsi nell'ambito illimitatamente
differenziato della personalità propriamente detta. Il suo
giudizio, rapidamente formato, viene acquistato a prezzo della
personalità. La quale non gli è nemmeno visibile, nel suo
atteggiamento pratico - vitale.
27. La personalità è colta solo da uno
sguardo personalmente interessato, che si sofferma, che penetra
amorevolmente in essa. Per questo indugiare e per questo
approfondire è necessario tempo, dedizione, sacrificio e non di
rado anche rischio - tutte cose di cui, nel premere della vita,
siamo poche volte capaci. Da qui l'alto valore che possiede per
la personalità il sentirsi per una volta realmente raggiunta,
compresa e valorizzata da uno sguardo che indugia e che si dona.
Per essa, è questa la pienezza del sentire che lei stessa non
può procurarsi: la coscienza di ciò che essa è - nello
specchio della personalità estranea.
28. Dal punto di vista etico, questa
correlazione ha un lato ulteriore. Infatti, lo sguardo amorevole
coglie la personalità empirica non solo per quello che, nella
sua vita e nel suo destino, è arrivata ad essere, cioè il
"carattere" empirico con le sue debolezze e le
frequenti perdite della sua essenza. Dietro tutto questo, gli
diventa palpabile la personalità ideale, l'uomo come, nella sua
specifica singolarità, dovrebbe essere. Vi possono essere
infatti molte cose che possono deviare l'uomo reale dalla sua
essenza più propria, dal suo valore individuale. Una vita umana
può perdere o soddisfare il proprio carattere intelligibile, ed
entrambe le situazioni si trovano sempre mescolate nella
personalità empirica sviluppata, spesso in modo talmente nefasto
che ciò che le è proprio non è quasi più riconoscibile sotto
ciò che non lo è. Lo sguardo amorevole può però incunearsi
fino a raggiungere l'essenza e vedere l'uomo alla luce di essa.
29. Che sullo sfondo della personalità si dia
questo valore individuale, è la meraviglia più grande
dell'essenza della personalità. E' essa a costituire l'ethos
individuale della personalità propriamente detta. Difficile dire
quale sia il contenuto di un valore non comune, proprio solo di
un individuo singolo. Però è incontestabile che esso esiste
nella persona reale e indipendentemente dal grado della sua
realizzazione. Poiché proprio nel contatto intimo con questo
valore consiste l'amore personale che si prova per l'uomo.
Proprio chi ama non vede ciò che è davanti agli occhi - per il
quale egli è talvolta cieco -, bensì ciò che sta dietro, anche
se non è riuscito ad aprirsi la strada fino alla realtà. In
questo senso chi ama è l'unico che vede.
30. Un tendere diretto verso il valore della
personalità individuale non è possibile: da ciò risulterebbe
un culto cosciente della propria persona ed è fin troppo noto
che una tale attitudine si trasforma facilmente in
un'autocoscienza vanitosa, dando luogo ad un grosso equivoco
riguardo a se stessi. C'è però un modo della persona di
orientarsi verso il valore attraverso lo sguardo amorevole di
un'altra persona: il valore ideale della personalità viene
percepito come quello di un altro, e quindi senza il rischio di
contraffarlo. Non è necessario che l'amato venga reso cosciente
di questo valore, poiché ad esso è condotto semplicemente con
la forza dell'amore. L'amore personale ha infatti l'enigmatico
potere di trasformare il suo oggetto in ciò che di esso ama.
31. Non c'è alcun dubbio e non è mai stato
messo in discussione, che nella dialettica esistente tra l'amare
e l'essere amato c'è un'attribuzione di senso peculiare della
vita umana. Ma raramente è stato spiegato in cosa consista.
L'attribuzione di senso diventa comprensibile nell'ethos della
personalità. Poiché in esso risiede il valore complementare al
valore etico dell'amore personale. Già Platone sapeva che tutto
l'amore è diretto verso un valore che esso non possiede. Ma
nell'amore personale questo valore equivale all'essenza ideale
della personalità. E dirigendo, con la sua forza motrice, l'uomo
verso questa essenza, l'amore lo conduce indirettamente
all'autorealizzazione della personalità.