IL PROBLEMA DELL'ERLEBNIS RELIGIOSO IN NICOLAI HARTMANN

Luigi Dappiano

hartm.jpg (1406 byte)

0. In questa pagina tratterò degli effetti prodotti dalle tesi di Nicolai Hartmann nell'ambito delle scienze teologiche. Non mi occuperò invece direttamente degli ulteriori effetti teoretici e chiarificatori che possono scaturire nel medesimo ambito dal confonto con Hartmann, anche se le mie posizioni interpretative sicuramente traspariranno. Procederò secondo la seguente scansione:

    1. Contesto e protagonisti del dibattito
    2. La struttura dell'ontologia hartmanniana
    3. Il problema teologico nell'"Ethik"
    4. Il problema teologico nell'"Ästhetik"
    5. Il problema teologico in "Möglichkeit und Wirklichkeit"
    6. Conclusioni

1. Il contesto del dibattito è determinato dall'applicazione del metodo fenomenologico in ambito teologico. Per delimitare questo contesto, utilizzo quattro testi usciti a pochi anni di distanza l'uno dall'altro: Das Heilige di Rudolph Otto (1917), Vom Ewigen im Menschen di Max Scheler (1921), Ethik di Nicolai Hartmann (1926) e Phänomenologie und Theologie di Martin Heidegger (1927). L'argomento fondamentale del dibattito riguarda la diaphorà nella quale filosofia e teologia si coimplicano: in Heidegger, ad esempio, la teologia, identificata alla scienza della religione (e precisamente alla storia della religione), è posta come scienza positiva, con un suo ambito di riferimento specifico corrispondente al cristianesimo in quanto fenomeno della storia universale. Compito della filosofia è problematizzare l'ambito della teologia, con la quale essa intrattiene dunque una coesistenza pacifica, fondata sulla rigida separazione di campi.

In tal modo, però, viene esclusa dalla teologia l'indagine sull'essenza interrogante della fede, sul suo essere esperienza autentica del sacro, quale viene indicata dal libro di Otto. E di contro, se viene riconosciuta tale essenza cade la possibilità di circoscrivere la religione a un ambito specifico: la teologia cessa di essere semplicemente una scienza della religione, un Systemdenken, per diventare essa stessa un pensiero problematico, un Problemdenken (i termini sono di Hartmann), al pari della filosofia, con la quale dunque non vi è coesistenza pacifica ma intreccio e contaminazione reciproca. La teologia non può infatti limitarsi a rielaborare delle rappresentazioni, ma deve muoversi verso il Rappresentato, la cui essenza è indifferente e sempre ulteriore rispetto alla sua rappresentazione discorsiva. Esso va concepito come l'Evento (Ereignis) che eccede le articolazioni dell'essere, il Tutt'Altro (Ganz Andere, i termini sono di Otto) rispetto ad ogni collocazione particolare nella realtà.

Scheler, riallacciandosi a questo discorso, indica nella fenomenologia del sacro l'ambito di esperienza (Erlebniswelt) cui fa riferimento la teologia, riconducendo, con un'inversione rispetto a Heidegger, la storia della religione ad autorivelazione nel tempo di essenze ideali ed evitando di ricondurre Dio ad un particolare piano dell'essere (argomento portato a conseguenze estreme dall'ultimo Scheler e che trova parallelismi assai interessanti nel modo in cui, nell'Ästhetik, Hartmann tratta la percezione estetica).

Ma è soprattutto nell'"antiteologo" Hartmann che questo discorso viene proposto con lucida coerenza: certamente la teologia, come scienza, ha un suo ambito di riferimento nella storia della religione, ma se l'Erlebnis religioso è un'esperienza autentica, radicata in un sentimento fondamentale (Urgefühl: Hartmann; Gefühl des Überweltlichen: Otto), allora questo ambito di riferimento "culturale" è solo un ambito derivato, mentre se non è un'esperienza autentica, la storia della religione è un ambito di riferimento senza contenuto spirituale autonomo. In ambedue i casi, si nega che l'oggetto della teologia sia un particolare piano dell'essere.

Questo rifiuto dell'identificazione heideggeriana tra teologia e scienza / storia della religione porta Hartmann a tendere al massimo grado di conflittualità e di antinomicità la diaphorà tra filosofia e teologia, e nello stesso tempo a stabilirne il massimo grado di contaminazione reciproca, in quanto entrambe puntano alla problematizzazione dell'Erlebnis, rivolgendosi a ciò che si dà ma non manifesta mai, in questo darsi, l'interezza del proprio an sich sein. è quanto cercherò di mostrare in queste brevi note.

2. L'impianto fondamentale della filosofia hartmanniana è quello di un'ontologia realistica, di matrice fenomenologica, che si presenta come descrizione delle strutture costitutive dell'essere a partire dal realismo ingenuo dell'atteggiamento naturale. L'approfondimento di tale realismo non avviene tramite la sistemazione dei suoi elementi, ma tramite la loro problematizzazione: la filosofia è infatti in primo luogo Problemdenken, e solo dal Problemdenken può emergere un Systemdenken.

Il Problemdenken si articola in tre momenti: (i) fenomenologia (descrizione del puro fenomeno, in cui si manifesta già al livello dell'atteggiamento naturale l'essere come tale); (ii) aporetica (individuazione e sviluppo delle antinomie che si rivelano nei fenomeni descritti); (iii) teorica (prospettazione di ipotesi di soluzione).

L'ontologia critica sviluppa il terzo momento: l'essere si struttura in modalità primarie e secondarie. Le modalità primarie sono quelle dell'essere reale e dell'essere ideale; le modalità secondarie quelle della conoscenza (unita all'essere reale) e della logica (unita all'essere ideale). Il reale è ontologicamente fondamentale rispetto all'ideale.

Le modalità primarie presentano, a loro volta, una struttura a strati (Schichten) tale per cui lo strato superiore presuppone quello inferiore come sua conditio sine qua non, ma presenta allo stesso tempo un novum categoriale irriducibile allo strato inferiore.

L'essere reale si stratifica (dal basso verso l'alto) in essere inorganico, organico, psichico e spirituale. Quest'ultimo è a sua volta articolato (ma non stratificato) in spirito personale (soggettivo), spirito obiettivo (diritto, costume, linguaggio, arte, scienza) e spirito obiettivato, in cui personalità e obiettività danno luogo a formazioni più complesse, che fanno parte della cultura in genere.

L'essere ideale comprende gli ambiti della matematica, della logica e dei valori.

In questa architettura, la teologia deve conquistare la propria validità nel campo del Problemdenken, non in quello del Systemdenken, quindi essa deve fornire una descrizione fenomenologica ed una ricognizione aporetica del proprio oggetto, prima di accedere allo stadio della teorica.

3. Il problema della teologia è stato posto da Hartmann soprattutto nella sua Ethik. Sono state più volte sottolineate le simmetrie tra l'etica materiale di Hartmann e quella di Scheler, così come è stato sottolineato che il punto di maggior distacco tra le due etiche si registra proprio in campo teologico: concordi nel riconoscere le condizioni di contenuto e di metodo entro le quali può essere costruita una teologia come scienza, Hartmann e Scheler si dividono nel ritenere il primo impossibile una teologia che rispetti quelle condizioni, mentre invece Scheler vede nella teologia la scienza assiologica fondamentale.

Il problema può essere posto in questi termini: si può descrivere un Erlebnis qualificabile come religioso? se sì, si tratta di un'esperienza autentica (Scheler) o di un'esperienza derivata da un'esperienza assiologica originaria non religiosa (Hartmann)? Nella capacità di affrontare il problema con rigore non pregiudicato sta l'ubi consistam della teologia come scienza. Senza la soluzione che Scheler dà alla questione, consistente in una fenomenologia delle essenze ideali (Wesenphänomenologie), rimangono incomprensibili autori quali Dietrich von Hildebrand, Roman Guardini, Bernard Häring, Karl Adam, Peter Wust, Johann Hessen, Erich Przywara. Ma la Wesenphänomenologie teologica di Scheler è altrettanto poco comprensibile senza la rocciosa aporetica di Hartmann, che spesso ne dettò gli sviluppi mostrandone gli ostacoli e le antinomie, fino all'ostacolo radicale, consistente nella possibilità di descrivere con un discorso non teologico l'intera Erlebniswelt cui fa riferimento la teologia.

Per questo un confronto serrato con le tesi di Hartmann fu un passaggio obbligato per diversi teologi tra il 1930 e il 1960, molti dei quali ebbero Hartmann come collega (Scheler, Hildebrand, Guardini) o come maestro (Hessen). Oggi, molte tesi teoriche derivate dalla Wesenphänomenologie sono patrimonio comunemente accettato e se ne trovano presenze evidenti in alcune encicliche di Giovanni Paolo 2°, mentre si è progressivamente disseccata la ricognizione aporetica, oppure è stata sottratta al rigore dell'analisi categoriale, per essere affidata ai moduli retorici, anche se verbalmente radicali, della "morte di Dio". In questo non c'è solo una perdita di rigore nella teologia, ma vi è anche una perdita di consapevolezza del rischio e della necessità di scelta - tra autonomia e teonomia del mondo - impliciti nella costruzione stessa di una teologia. E come ebbe a dire, non a caso, Guardini (La fine dell'epoca moderna, 1950), in questo rischio e in questa scelta si pone il confine tra moderno e post - moderno.

Ma vediamo più da vicino le argomentazioni di Hartmann. Due sono le tesi di fondo: (i) la teologia deriva sempre da un impiego esteso delle categorie valide nel dominio dell'etica, ma (ii) è impossibile una fondazione etica della teologia; infatti, il sentimento assiologico fondamentale, che costituisce il "fatto" originario dell'etica, è esperienza primaria del bene e del male senza peraltro essere un Erlebnis religioso.

Motivando le due tesi, Hartmann sottolinea con forza che la persona, architrave del mondo dei valori, non ha esistenza autonoma, ma è sempre fondata sul soggetto umano, empirico e reale, che si fa portatore non obbligato dell'istanza del dover essere ideale. Nella gerarchia dei valori, pertanto, i valori più bassi (vitali, cioè legati alla vita organica e psichica del soggetto agente) condizionano quelli più alti (personali, cioè legati al qualificarsi della persona nel compimento dei suoi atti). Il personalismo teistico di Scheler, che pone la persona divina come vetta e fondamento del cosmo assiologico, commette un errore in quanto generalizza il concetto di persona al di là della situazione effettiva in cui riceve significato, conducendo così ad una personalizzazione del mondo, all'inversione del rapporto di dipendenza soggetto reale - persona e all'assorbimento dello spirito personale nello spirito divino. Con questo, Hartmann intende porre all'interno della teologia un'istanza critico - negativa: l'essenza etica dell'uomo non può rappresentare l'appoggio per una speculazione teistica, a meno di non introdurre un nuovo concetto di persona, in cui la personalità, svincolata dal rapporto di dipendenza col soggetto, si libra come ente assoluto ed autoreferente. Ma allora si tratta di vedere se il sentimento assiologico fondamentale ci fa vivere un Erlebnis autentico entro cui si dia un tale ente personale, e ciò costringe a divaricare i concetti di "persona divina" e "persona umana": tra le due personalità non vi è un rapporto gerarchico, bensì simbolico - analogico. In tal caso, se l'architrave della vita etica è esclusivamente la persona umana fondata sul soggetto agente e sulle sue concrete assunzioni di responsabilità, il riferimento alla persona divina, annullando questo rapporto fondativo, depotenzia il comportamento etico, favorendo nell'uomo il sentimento di essere esonerato dalla propria responsabilità.

Da qui ciò che Scheler ha definito come il "postulatorische Atheismus des Ernstes und der Verantwortung" di Hartmann: un ateismo che ha rilevanza nella fondazione dell'ambito etico ma non ha nulla a che fare con questioni quali l'esistenza di Dio o la definizione di una dottrina.

Né l'ateismo postulatorio comporta la negazione dell'Erlebnis religioso. Hartmann infatti riconosce il radicarsi del fenomeno religioso nel sentimento assiologico fondamentale, e più precisamente nell'orientamento verso l'essere che tale sentimento imprime all'esperienza etica. Ma tale coesistenza di etica e religione è produttrice di antinomie e non può quindi essere compresa o risolta nell'ambito della ragione: l'etica è orientata all'"al di qua" (das Diesseits) mentre la religione all'"al di là" (das Jenseits); l'etica prevede la responsabilità umana mentre la religione la grazia divina; l'etica è autonoma mentre la religione è eteronoma; l'etica si fonda sulla libera scelta e la previdenza (Vorsehung) umana mentre la religione sulla provvidenza (Providenz) divina; nell'etica la colpa è indissolubilmente congiuta all'azione di chi l'ha commessa mentre in religione il peccato, sostanzializzando la colpa, la separa dall'azione e ne affida la redenzione a un dono gratuito. La conclusione di Hartmann è che l'antitesi tra etica e religione ricade unicamente dal lato della religione, in quanto è essa, quando si vuole principio morale superiore, che richiede la presenza dell'azione etica, mentre l'etica richiede la presenza dell'essere, ma non dell'Assoluto divino.

In Plathonismus e Prophetismus (1939), Johann Hessen ha parlato, a proposito di Hartmann, di platonismo secolarizzato, secondo il quale esiste un mondo di valori ma non esiste un Sommo Bene, né deve esistere, se l'uomo vuole essere un animale morale. C'è un interessante parallelismo tra questo giudizio di Hessen sul suo (mai ripudiato) maestro e le considerazioni di Guardini sulla pretesa dell'epoca moderna di realizzare i valori del cristianesimo senza Cristo, tentando così di conciliare cristianesimo e ateismo. Ora, continua Guardini, l'epoca del compromesso è salutarmente finita: "questa ambiguità verrà a cessare. Si considereranno sentimentalismi i valori cristiani secolarizzati, e l'atmosfera ne risulterà purificata. Piena di ostilità e di pericolo, ma pulita ed aperta" (La fine dell'epoca moderna, p. 122 tr. it.).

Ma, sostiene Hessen, come l'etica, con la sua adesione alla realtà vivente, introduce nella teologia un'irriducibile istanza aporetica, così la teologia, con la sua adesione ad un'inseità assoluta del Valore, introduce in etica un'istanza aporetica altrettanto irriducibile. Senza una giustificazione teologica, infatti, i valori (per come vengono considerati da Hartmann) rimangono entità immobili che esercitano, non si sa come, un'attrazione metafisica sulla volontà umana (analoghe considerazioni sull'etica hartmanniana vennero fatte dal nostro Martinetti nel 1935). Per questo, secondo Hessen, dobbiamo riconoscere autenticità all'Erlebnis religioso, e qui Hessen fa proprie le riflessioni di Otto, la cui "nuova via" aperta con Das Heilige è riconosciuta come imprescindibile per i teologi.

In effetti, il libro di Otto fornisce le modalità dell'Erlebnis religioso precisamente secondo le caratteristiche richieste dall'etica di Hartmann, come mysterium fascinans che non ha nulla a che fare col compimento dell'esperienza morale. Anzi, per cogliere nella sua autenticità l'Erlebnis religioso è necessario metterne tra parentesi ogni aspetto razionale e morale, il cui carattere è derivato, e porre in primo piano l'esperienza del Ganz Andere, la sua bipolarità affettiva tra terrore e amore. Risulta dunque di notevole interesse lo scritto dedicato da Otto all'etica hartmanniana, Freiheit und Notwendigkeit. Ein Gespräch mit Nicolai Hartmann über die Autonomie und Theonomie der Werte (1940): in esso Otto intende dimostrare l'autenticità dell'Erlebnis religioso, con tutto ciò che già Hartmann sapeva dovesse conseguire da tale accertamento. in particolare, se l'Erlebnis religioso è autentico, allora il contrasto tra Vorsehung e Providenz è inesistente.

Interessante, infine, la posizione assunta da Scheler in Mensch und Geschichte (1926). Riferendosi a Hartmann, Scheler sostiene qui che l'ateismo postulatorio innalza la responsabilità umana al più alto grado possibile. Il contesto del "nuovo" Scheler è quello di una riattivazione di stili gnostici e panenteistici in cui trova una nuova colorazione la tesi hartmanniana della dicotomia tra etica e religione e dell'impotenza dello spirito (ivi compreso, per Scheler, quello divino), che per realizzarsi deve poggiare sullo strato inferiore dell'essere, quello vitale. Alcuni, ritenendo che non si possa dare teologia al di fuori dell'ipotesi creazionista, hanno visto in questo esito scheleriano l'abbandono della teologia e il passaggio ad una sociologia della religione. Ma ricordando il contesto del dibattito, si può dire che in esso si inscrive, come possibilità aperta, anche la riflessione dell'ultimo Scheler.

4. L'indagine sul problema dell'Erlebnis religioso in Hartmann potrebbe dirsi conclusa con l'analisi dell'Ethik, in cui il problema è trattato con maggior attenzione e su cui in maniera quasi esclusiva si sono concentrati i teologi. Tuttavia, in altri testi di Hartmann sono rinvenibili spunti che, per quanto meno considerati, ritengo possano essere di notevole interesse nell'ambito della teologia.

Il primo di questi testi è l'Ästhetik (1945). In esso, Hartmann sostiene che l'oggetto estetico sorge dalla tensione tra un Vordergrund e un Hintergrund in cui permane, come presenza / assenza, ciò che non compare direttamente. Parallelamente, la percezione estetica correla il dato sensibile a un'area non accessibile ai sensi ma emotivamente densa. Essa è una percezione rivelante di ciò che, nascondendosi dietro il dato sensibile, dona ad esso significato. Qui Hartmann non utilizza una terminologia teologica in maniera casuale: egli vede anzi esplicitamente nell'esperienza estetica la vera origine dell'esperienza del sacro e sottolinea come dato interessante la forte propensione ad assumere un carattere artistico mostrata sempre dalle varie forme con cui la Rivelazione è stata rappresentata.

Se dunque si dà esperienza del sacro, essa non può essere originariamente esperienza del Summum Bonum, la quale non potrà mai superare antinomia con la reale esperienza morale. Può essere invece concepita come esperienza mediatrice dello Hintergrund, del Recessus Adveniens di cui la Rivelazione costituisce la manifestazione im Vordergrund. G. Morra ha sostenuto che Hartmann non ha mai risposto alle contestazioni di Otto sull'autenticità dell'esperienza del sacro. In realtà, queste pagine dell'Ästhetik mi sembrano proprio una risposta a Otto.

Diversamente però da quanto successo per l'Ethik, pochi teologi si sono soffermati attentamente sull'Ästhetik. A quanto ne so, un solo autore significativo è riuscito a cogliere questa dimensione inespressa dell'estetica hartmanniana, cioè Erich Przywara, il quale già negli anni '30 si era impegnato in uno studio attento dell'ontologia di Hartmann. Elementi dell'estetica hartmanniana sono facilmente visibili nel suo Schön, Sakral, Christlich (1957), ma un richiamo più generale all'Ästhetik e al tema della tensione sintetica tra Vordergrund e Hintergrund è secondo me ineludibile nella lettura di Metaphysik, Religion, Analogie (1956). Si pensi ad esempio al tema della tensione fra trascendenza - immanente e immanenza - trascendente come polarità e analogia, estremo ritmo vibratorio in cui si opera la mediazione tra ciò che si manifesta e il suo manifestarsi, o al tema secondo cui il creato, oggetto estetico per eccellenza, è una rappresentazione che rinvia a un al di là inafferrabile (Deus tamquam ignotus), o ancora al tema secondo cui il metodo analogico consiste in una crescente reductio in mysterium o, come si esprimerebbe Hartmann, in un continuo porre in primo piano ciò che è sullo sfondo, tendendo alla situazione - limite (che per Hartmann rappresenta l'annullamento della stessa fruizione estetica) di un Hintergrund che non può essere messo a sua volta in primo piano.

Non voglio proseguire nell'approfondimento di questo tragitto, che al momento può essere solo oggetto di ricerca; né, a maggior ragione, mi voglio soffermare sul possibile approdo di questo tragitto in Hans Urs von Balthasar.

5. Passando a Möglichkeit und Wirklichkeit (1938) possiamo tuttavia trovare alcune conferme al discorso fatto sopra. In questo caso abbiamo un testo interamente dedicato all'analisi modale, cioè ai modi dell'essere in generale (ideale e reale). Le categorie modali individuate da Hartmann sono sei: necessità, effettualità, possibilità, casualità, ineffettualità, impossibilità. Il problema teologico sorge quando Hartmann discute della concezione di Dio come essenza assolutamente necessaria e fondamento di ogni necessità. Ma se si analizza la connessione necessaria, si comprende che essa non può approdare al concetto di un'essenza assolutamente necessaria. Infatti, un ente (ideale o reale) è necessario solo in base a dei presupposti o a dei fondamenti, che non possono essere a loro volta necessari, se non in base ad ulteriori presupposti / fondamenti, per cui il presupposto / fondamento primo di una catena necessaria è immancabile (non può essere una pura possibilità) ma non può essere a sua volta necessario: esso deve anzi essere il contrario polare della necessità, cioè deve essere casuale. Condotta in termini categorialmente rigorosi, la prova aposteriori dell'esistenza di Dio (perché è di questo che si tratta) conduce dunque non ad un'essenza assolutamente necessaria, bensì ad un'essenza assolutamente casuale (absolut zufällige Wesen).

Questa definizione di Dio come assoluta casualità è estremamente stimolante, ove si tenga presente lo statuto tutto particolare che Hartmann attribuisce a questa categoria modale: essa non è il modo dell'accidentalità irrilevante ma è un modo - limite, cioè è il modo d'essere dei limiti estremi dell'idealità e della realtà. In altri termini, la casualità è il modo in cui si pone il confine tra intelligibile e transintelligibile e tra obiettivo e transobiettivo. Il discorso di Hartmann al proposito è rigorosamente conseguente: l'autenticità del problema religioso non ha le proprie radici nel campo della logica, così come non le aveva nel campo dell'etica, ma le ha bensì ai loro confini estremi, in cui logica ed etica vedono svanire la loro giurisdizione nella casualità e nella sacralità. Su queste radici è l'estetica che ci permette invece di gettare un Blick, proponendoci una forma di esperienza in grado di intuire immediatamente la relazione polare tra Vordergrund e Hintergrund. In termini teologici, potremmo dire che la casualità è il modo d'essere dell'Evento, che non ha fondamento né presupposto ma è fondamento e presupposto. E di nuovo, dunque, nel suo inflessibile sottrarre al discorso teologico interi piani dell'essere, l'antiteologo Hartmann pone la teologia di fronte alla purezza del suo ambito e delle sue categorie.

Nella ricezione "teologica" di Möglichkeit und Wirklichkeit, dovrei fare nuovamente riferimento a Przywara, ma voglio invece sottolineare la simmetria del discorso hartmanniano con quanto sosteneva un autore italiano di cui comunque non ho ancora accertato la conoscenza di Hartmann, cioè Pantaleo Carabellese. In Il problema teologico come filosofia (1931), Carabellese ebbe infatti a sostenere che esistere implica sempre il provenire da un fondamento, e perciò l'esistenza non è predicabile dell'Oggetto assoluto, libero da ogni rapporto di dipendenza. Affermare che Dio esiste equivale a negare Dio, in quanto il problema di Dio non è il problema di "ciò che" (il Vordergrund, direbbe Hartmann), ma è bensì il problema di "ciò da cui" (lo Hintergrund).

Per il momento ho fatto pochi esperimenti in questa direzione, e tutti su un unico testo di Carabellese: Da Cartesio a Rosmini. Fondazione storica dell'ontologismo critico (1946). Sono però convinto che rileggere l'ontologia critica di Carabellese partendo dall'ontologia critica di Hartmann (assai più solida e meno avviluppata in un confuso vocabolario tardo - idealistico) condurrebbe a risultati sorprendenti.

6. Vi sono altri testi in cui Hartmann tratta del problema religioso, in particolare Das problem des geistigen Seins (1933) e Teleologische Denken (1951), nei quali la religione viene considerata sotto il profilo storico - culturale ed entro atteggiamenti, come quello teleologico, estranei alla intentio recta verso il mondo che deve essere privilegiata dall'ontologia critica. Hartmann ritiene che questo sia l'unico ambito entro cui la ragione possa costruire un discorso sulla religione, ed entro questo ambito la religione si propone come fenomeno ontologicamente derivato, che può manifestarsi esclusivamente nelle forme storiche dell'essere spirituale.

D'accordo con Heidegger, Hartmann ritiene che questo sia l'ambito specifico della religione; diversamente da Heidegger, Hartmann ritiene però che la presenza di questo ambito non consenta di costruire una scienza della religione, in quanto si tratta di un ambito non originario. L'Erlebnis religioso potrebbe infatti manifestarsi come Erlebnis originario solo l’Erlebniswelt è l'assoluto, cioè non un ambito specifico dell'essere, ma l'insieme dei rapporti di dipendenza / fondazione tra tutti i diversi ambiti specifici. Potremmo sì interpretare questa Erlebniswelt nei termini del rapporto Hintergrund - Vordergrund, ma trasformare l'esperienza che possiamo avere del rapporto nell'esperienza di un particolare piano della realtà corrisponderebbe a porre im Vordergrund il rapporto stesso. è questo che rende impossibile la teologia come scienza positiva (di un positum).

Abbiamo a questo punto determinato, con Hartmann, il dominio di riferimento primario della teologia, ovvero l'ambito che dovrebbe essere praticato da una fenomenologia della religione, ma ancora non sappiamo se la teologia sia possibile come scienza: sappiamo solo ch'essa è impossibile come pura scienza positiva.

Riconducendo le forme dell'esperienza del sacro alle forme dell'esperienza estetica, Hartmann fissa un punto importante per la riflessione teologica, ma contemporaneamente intene rendere impraticabile anche questa strada alla costruzione della teologia come scienza: l'esperienza estetica è infatti esperienza intuitiva e immediata di qualcosa (una correlazione) che è sprovvisto di "inseità" (an sich sein) e non può pertanto essere considerato oggetto di scienza. Ma è qui che, interloquendo con Hartmann, va collocato il problema dell'Erlebnis religioso: nella dimostrazione che in questo tipo di apprensione ciò che viene colto possiede appunto un'inseità che lo rende trascendente rispetto al suo Dasein coscienziale, per cui un'esperienza estetica si muta in esperienza estatica.

Qui, il riferimento a Die Einheit der teologischen Wissenschaften di von Balthasar (1960) mi diventa ineludibile, già fin dal titolo. E indica la necessità di saper leggere la filigrana del radicalismo antiteologico di Hartmann: è una filigrana in cui si mostra la piena consapevolezza di Hartmann su cosa sia e come debba essere un discorso su Dio, e soprattutto, come scrive un appassionato interprete laico di Hartmann, Remo Cantoni, mostra il profondo senso di discrezione con cui Hartmann si arresta alle soglie del mistero e del transintelligibile, ravvisandovi una dimensione di religiosità latente, hintergründig.