Intervista ad Armando Gnisci
A cura della Redazione

Hai incominciato ad interessarti di letteratura della migrazione a partire dal 1991, quando era ancora in fasce, tanto che molti la identificano con Armando Gnisci. Quali motivazioni, personali e culturali, hanno determinato questa tua scelta?

Dovevo andare a tenere lezioni e conferenze a Tunisi e pensai che sarebbe stato opportuno non andare a parlare di Dante o di altri autori italiani o di letteratura comparata, ma di qualcosa che ci riguardasse, italiani e tunisini. Avendo letto per curiosità due libri appena usciti, scritti da immigrati in Italia in italiano (Salah Methnani, tunisino, Immigrato e Pap Khouma, senegalese, Io, venditore di elefanti) e uno di Tahar Ben Jelloun, scrittore noto, marocchino che scriveva e scrive in francese, Dove lo Stato non c'è, pensai di tenere la conferenza all'Istituto italiano di cultura, su questi libri della migrazione verso nord attraverso il Mediterraneo. Da lì nacque il volume Il rovescio del gioco, che uscì nel '92. E da lì nacque il mio interesse non episodico per quella che poi chiamai "letteratura della migrazione". Posso dire che questa passione è stata anche una vera svolta nel mio cammino intellettuale. 

  L'Europa oggi è attraversata da forti spinte razzistiche e xenofobe. Tu, al contrario, attraverso la rivista "Kumà" proponi l'idea di un meticciato culturale ("Creolizzare l'Europa") che nasca dall'incontro tra differenti realtà, senza il vecchio vizio dell'"assimilazione". La letteratura, e in particolare quella della migrazione, può aiutare questo processo di confronto e di dialogo tra culture diverse?

La letteratura, insieme alla musica, è il primo e più forte veicolo della Voce dei popoli e degli individui migranti. Nessuno si ferma per strada ad ascoltare la storia/le storie che un immigrato potrebbe, vorrebbe raccontarci. Se egli/ella pubblica un libro, quelle storie, o quei poemi, li ascolteremo, anzi: saremo portati ad ascoltare una voce altrimenti impensabile.

. In Europa, la letteratura della migrazione ha ormai una tradizione consolidata: basti pensare, in Francia, a Tahar Ben Jelloun, o in Inghilterra, a Rushdie e Kureishi. In Italia, questo fenomeno si è affermato in ritardo ed è ancora in fase di maturazione. Su tale ritardo ha certamente influito l'assenza nel nostro paese di una storia coloniale paragonabile, per durata e controllo culturale, a quella degli altri paesi europei. Questa peculiarità dell'immigrazione italiana potrebbe favorire, tuttavia, proprio per le caratteristiche che presenta (esperienze di donne e uomini che provengono da paesi appartenenti a realtà geografiche diverse), la crescita di una cultura cosmopolita e universale, arricchendo così la letteratura italiana di nuovi stimoli. Che cosa ne pensi?

Che hai ragione. Aggiungerei che: la situazione italiana anche se "ritardata" è straordinaria, perché ci permette di partecipare al fenomeno dell'avvento della nuova letteratura dei migranti fin dal primo momento; cosa che in Inghilterra o in Germania non accadde. Tenendo conto, quindi, che questi nostri scrittori sono di "prima ondata", e cioè che essi portano e comunicano l'esperienza di chi ha vissuto la prima parte della propria vita altrove, un altrove che era, e rimane, nonostante tutto, patria. La prima generazione, quella propriamente creola, nata in Italia, deve ancora venire: noi leggiamo e parliamo con scrittori che non nacquero e non si formarono in Italia e nemmeno impararono prima la nostra lingua.

Esiste una letteratura dell'emigrazione italiana con una sua tradizione e una produzione di rilievo. Ho trovato nei testi di molti autori italo-americani, come Joe Pagano, Pascal D'Angelo, Di Donato, evidenti affinità con gli scrittori della letteratura della migrazione, sia a livello tematico (emarginazione sociale, razzismo) che letterario (autobiografismo, "ibridismo linguistico"). Non sarebbe utile studiare, "in coppia di comparazione", i due fenomeni? 

Sostengo questa posizione da anni. Recentemente ho fondato, per volontà politica del sindaco,a Grotteria, un piccolo paese della costa jonica calabrese, una Dimora dei migranti. È una specie di "Casa delle culture" dove possano essere raccolte e possano incontrarsi le tradizioni degli emigrati italiani e quella degli immigrati: la zona della Locride jonica, ricordiamolo, è tra quelle più desolate dalla emigrazione e, al contempo, quella che accoglie (insieme alla Puglia adriatica) giornalmente navi di migranti.

La tua poetica si ispira al concetto di "decolonizzazione"? Esistono nella letteratura italiana contemporanea testi "decolonizzanti"? 

Non mi pare.

 Potresti fare il punto sull'attuale situazione della letteratura della migrazione? 

Troppo impegnativo. Rimando a due riviste on line. La prima è fatta da un mio amico brasiliano, ottimo scrittore in italiano, che vive a Lucca www.sagarana.net Troverete, nell'ultimo numero, il resoconto del primo seminario italiano degli scrittori migranti; la seconda è fatta da me, presso l'università "La Sapienza" di Roma, a fianco alla banca dati sugli scrittori migranti che scrivono in italiano. Questa si chiama BASILI www.disp.let.uniroma1.it/basili2001 ; la rivista, che tu prima ricordavi, si chiama "Kuma" www.disp.let.uniroma1.it/kuma/kuma.html

 

 


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