PROLOGO

 

Era un pomeriggio di gran caldo. Data: lunedì, 5 settembre 1921. Luogo: un lussuoso appartamento del St. Francis Hotel. Qui si stava svolgendo un animato party. La musica andava a tutto volume e gli invitati ballavano abbandonandosi al ritmo dei fox-trot. I "ruggenti anni '20" e "l'età del jazz" erano appena iniziati; e, con il 18° emendamento, anche il proibizionismo. I partecipanti alla festa bevevano liberamente, vale a dire che infrangevano tutti la legge. Erano però in buona compagnia: quel giorno era la Festa americana del Lavoro e milioni di loro connazionali stavano facendo esattamente la stessa cosa. Era un piacere per cui la gran parte di questi cittadini avrebbe pagato un piccolo prezzo: qualche dollaro per il liquore clandestino e, l'indomani, i postumi della sbornia. Ma per alcuni ospiti del St. Francis il prezzo sarebbe stato più alto, molto più alto...

L'attrice di cinema Virginia Rappe (pronunciato Rep-pei) arrivò al St. Francis subito dopo mezzogiorno. Nella tarda mattinata, mentre stava facendo colazione al Palace Hotel con il suo manager, Al Semnacher, e con una sua amica, Bambina Maude Delmont, qualcuno le aveva telefonato per dirle che il signor Sherman e il signor Arbuckle erano al St. Francis.

Elettrizzata, Virginia riferì ai suoi amici che erano attesi dai due attori. "Non so che Arbuckle possa essere" commentò. "Potrebbe essere Roscoe, ma neanche sapevo fosse in città. Però potrebbe essere lui".

Continuarono a far colazione, chiedendosi se quel "signor Arbuckle" potesse davvero essere Roscoe "Fatty" Arbuckle. Sembrava improbabile che il noto attore fosse a San Francisco. Dovunque andasse e qualunque cosa facesse, la stampa ne parlava.

Scorsero i giornali, senza però trovare traccia di una sua presenza in città.

"Potrebbe essere Andy Arbuckle, che io conosco" osservò Maude Delmont.

Intenzionata a scoprirlo, Virginia Rappe propose: "Andiamo a vedere".

Le due donne attesero con impazienza che Al Semnacher comparisse con la sua auto davanti all'ingresso del Palace Hotel. Alla fine si avviarono verso il garage. Trovarono Al che discuteva con uno dei sorveglianti perché, contrariamente alle disposizioni date la sera prima, non gli avevano lavato la macchina.

Con Semnacher che si lagnava dell'inefficienza del personale dell' albergo, arrivarono al St. Francis. Virginia scese dall'auto, dicendo: "Vado su prima io a vedere chi è. Tu, Maudie, chiamami fra cinque minuti. Se è qualcuno che non m'interessa, ti dirò che scendo subito. Se invece è tutto a posto, ti dirò di salire". Dopodiché corse su per l'imponente scalinata d'ingresso e scomparve.

Evidentemente era tutto "a posto", perché quando Maude telefonò al lussuoso appartamento, chiedendo dell'amica, sentì la voce di Virginia che diceva: "Sali". Per quanto la ragazza sembrasse chiaramente soddisfatta dei suoi misteriosi ospiti, a Maude venne in mente che per lei avrebbe potuto essere diverso. Chiese ad Al di aspettarla nell'atrio: "Se decideremo di fermarci per un po', ti faremo chiamar su". Venti minuti dopo, l'uomo venne fatto salire al 1220.

Entrando nell'appartamento, ad Al sembrò forse di aver trovato l'oro. Come agente cinematografico, sapeva bene quanto fosse importante stabilire contatti influenti. Oltre a Virginia e a Maude, c'erano nella stanza quattro uomini. Uno, non l'aveva mai visto prima, ma gli altri tre erano ben noti a tutti gli agenti: l'attore Lowell Sherman, il regista Fred Fischbach e Roscoe "Fatty" Arbuckle, il comico da un milione di dollari l'anno. Come si addiceva al più divertente degli americani, Arbuckle sprizzava allegria. Indossava pigiama e accappatoio e faceva scoppiare dal ridere tutti quanti. C'era abbondanza di gin e whisky di contrabbando e tutti se ne servivano. Maude faceva fuori più whisky che poteva; nel giro di un'ora aveva consumato dieci scotch. Intanto Virginia sorseggiava orange blossoms (una mistura di gin e succo d'arancia), accontentandosi di tre bicchieri. Una mezz'ora dopo l'arrivo di Virginia e dei suoi amici, si unirono alla compagnia due ballerine, Alice Blake e Zey Prevon. I ragazzi si fecero mandare un Victrola e un po' di dischi, e la festa cominciò a decollare.

Il quarto uomo del gruppo era Ira Fortlouis. Benché non si occupasse di cinema e non fosse quindi in grado di offrire alle ragazze "una parte nel mio nuovo film", era in un ramo d'affari caro ai loro cuori. Vendeva abiti da sera.

L'appartamento consisteva in tre grandi stanze e un paio di bagni. Le stanze - 1219, 1220 e 1221 - avevano una magnifica vista e le ragazze additavano i simboli della città con grida di sorpresa e meraviglia. Girandosi da una finestra, Maude Delmont vide Virginia che usciva dal bagno adiacente alla 1219. La graziosa, giovane attrice si avvicinò a Maude e le disse che Roscoe l'aveva posseduta nel bagno. Maude, decisa a spassarsela, si infischiò della cosa. Dopodiché vide il comico rientrare in bagno, sempre con Virginia, e poi uscirne fuori per venire a chiudere a chiave la porta della stanza 1219, sottraendola così agli sguardi degli ospiti. Neanche questa volta Maude si preoccupò, perché Virginia aveva bevuto solo tre bicchieri. Già prima quando Roscoe si era messo a sedere vicino alla sua amica, lei aveva notato che sembrava più brillo degli altri - lo si capiva dagli occhi e da tutto il suo modo di fare - ma Virginia era ormai grande e in grado di badare a se stessa.

Maude si alzò e cominciò a ballare con Lowell Sherman. Intanto il tempo passava e lei si rendeva perfettamente conto che né Roscoe né Virginia si erano ricongiunti al gruppo. Si chiedeva perché la sua giovane amica non uscisse dalla stanza 1219. Non le andava l'idea che se ne stesse là dentro sola con Roscoe. Non le sembrava bello.

Sul Victrola avevano messo l'ultimo successo, "l've Got the Wonder - Where - He - Went - and - When - He's - Coming Back Blues". Mentre la cantante Marion Harris gemeva le parole, Maude dondolava al ritmo della musica. Con un risolino disse a Lowell Sherman: "Ho un gran caldo. Vorrei potermi togliere questo vestito e infilarmi qualcosa di fresco. Ti dispiace se mi metto un pigiama?". Lowell le offrì uno dei suoi. Andarono nella 1221. L'attore aprì un cassetto, tirò fuori un pigiama giallo di seta e glielo porse. Poi, per mostrarle che signore era, uscì dalla stanza mentre lei si spogliava. Sherman le aveva detto di fare come fosse a casa sua e Maude lo stava prendendo in parola. Ricomparve tutta smagliante nel pigiama. Riprese a ballare e, come si sarebbe poi espressa, a "spassarsela".

La festa andava avanti e per Maude il pensiero di Arbuckle e Virginia, insieme dietro a una porta chiusa, era diventato un'ossessione. Di tanto in tanto si avvicinava alla porta e chiamava l'amica, senza però ricevere risposta. Decise allora di rivolgersi ad Al Semnacher, ma questi era uscito per una scarrozzata in città con Ira Fortlouis.

Il tempo passava e Maude era sempre più preoccupata per il protrarsi dell'assenza di Roscoe e Virginia. Chiamò ancora. Non ricevendo risposta, si tolse una scarpa e si mise a martellare la porta col tacco. Gli altri, ritenendo che stesse facendo il suo numero, non ci fecero caso. Ma, trascorsa un'ora, accadde qualcosa di cui tutti dovettero accorgersi. Da dietro la porta chiusa sentirono Virginia gridare. Era la voce di una donna angosciata. Maude martellò ripetutamente la porta, ma nessuno rispondeva. Afferrò allora il telefono, urlando: "Presto, mandate qualcuno, per favore. Qui c'è una persona nei guai". Riagganciò e si mise a tirar calci sulla porta.

"Maude, è meglio che ti cambi" gridò Zey Prevon. "Sta venendo su il direttore. Presto, vai a rimetterti il vestito!"

Maude corse nella stanza di Sherman, si sfilò il pigiama e infilò i suoi abiti. Frattanto, era arrivato il vicedirettore del St. Francis, il signor Boyle, che ingiunse ad Arbuckle di aprire la porta. La porta si aprì. Dietro c'era Roscoe, senza accappatoio, col pigiama fradicio aderente al corpo. Aveva in faccia il suo famoso, sciocco sorriso, e in testa il panama di Virginia Rappe. "E' qui" disse.

Capeggiati da Boyle, si precipitarono tutti nella stanza 1219. Virginia era stesa sul letto più vicino alla parete; strillava e si strappava gli abiti. Era completamente vestita. Mentre si toglieva la roba di dosso, tutti i presenti la sentirono urlare: "Mi fa male, muoio. Maudie, è stato lui". Un momento era cosciente e isterica, quello successivo cadeva in deliquio.

Maude, che aveva fatto l'infermiera, concluse che un bagno freddo l'avrebbe "rimessa in forze". Le tolsero il vestito verde, la camicetta, il reggiseno, le mutandine e le calze. Virginia si teneva il ventre e gridava: "Mi fa male". Maude le chiese: "Che cosa ti è successo, Virginia?" e lei rispose semplicemente: "Non so".

Roscoe andava dentro e fuori del tutto indifferente, mentre gli altri si affannavano attorno alla ragazza prostrata. Fred Fischbach la sollevò come fosse una bambola, la portò in bagno, l'immerse nella vasca piena d'acqua e poi la tirò fuori. La riportò in camera e la rimise sul letto. Maude era troppo agitata per asciugarla, così furono gli altri che la frizionarono da cima a fondo. Dopo averla avvolta in un lenzuolo, Fischbach, su suggerimento di Boyle, scese alla reception e fece assegnare all'inferma la stanza 1227.

Accompagnato dal vicedirettore e da Maude, Roscoe uscì in corridoio con la ragazza in braccio. Per paura che la facesse cadere, Boyle gliela prese e la portò lui fino alla 1227.

Una volta che l'ebbero sistemata, chiamarono il medico dell'albergo. Intanto era arrivato il detective dell'hotel e la festa era praticamente finita. Tutti erano in pensiero per Virginia, eccetto Roscoe Arbuckle. Alice Blake, Zey Prevon e Fred Fischbach andarono a vedere se potevano essere d'aiuto. Arbuckle invece non si avvicinò più a lei.

Mentre aspettavano il medico, Virginia si contorceva, piangendo e lamentando forti dolori. "Maudie, cosa mi è successo?" chiese. "Cosa può avermi fatto?"

Sconcertata, Maude domandò a sua volta: "Virginia, non ricordi proprio niente?"

"Niente" replicò la ragazza. "Non ricordo niente."

A questo punto arrivò il dott. Beardslee, medico dell'albergo. Dopo aver ascoltato il confuso racconto degli invitati, concluse che la giovane aveva una crisi di nervi dovuta all'alcol. Le fece una visita superficiale. Quando le tastò l'addome, lei urlò: "Non mi tocchi! Non lo sopporto!". Per calmarla, le iniettò della morfina, ma lei continuò a piangere e a lamentarsi per il dolore. Nondimeno lui insistette che il suo solo problema era quello di aver bevuto troppo. Maude Delmont non era d'accordo. Sapeva che la ragazza non aveva preso più di tre drink e che pertanto doveva avere qualcosa di molto serio.

Una seconda iniezione di morfina calmò un poco Virginia e il dottore, soddisfatto perché la situazione era sotto controllo e convinto che di lì a poco la sua paziente avrebbe sofferto solo di mal di testa, se ne andò.

Maude si spogliò e si stese nel letto accanto a quello della ragazza ora addormentata. Benché gli invitati avessero lasciato la stanza, il detective dell'albergo era rimasto a farle compagnia. Dopo circa due ore e mezzo, Maude si svegliò. Mentre Virginia continuava a dormire, lei e l'investigatore andarono nell'appartamento di Arbuckle, presero il liquore avanzato, lo portarono di là e lo finirono. Verso le tre del mattino il poliziotto se ne andò.

Alle sei Maude venne svegliata da Virginia che urlava dal dolore. Il dottor Beardslee, nuovamente chiamato, le fece subito un'iniezione di morfina. Siccome per tutta la notte l'inferma non era riuscita ad urinare, Maude chiese al medico di cateterizzarla. Beardslee usò un catetere di vetro: Maude, che lo sorreggeva, non ne aveva mai visto uno così grande. La cannula si riempì per circa due terzi di urina mista a sangue.

Alla sbigottita domanda di Maude: "E questo cos'è?", il dottore replicò: "Sangue". Maude comprese allora che Virginia era grave e che probabilmente aveva una lesione interna. Ma non aggiunse più nulla, decisa a congedare dal caso il dottor Beardslee, di cui non le piacevano né i modi né l'aspetto.


Non appena Beardslee uscì, Maude, vista l'estrema gravità della situazione, telefonò al dottor Rumwell, suo amico da nove anni. Questi era restio a venire in albergo, dato che c'era già chi seguiva il caso: "Maudie, mi devi capire. Non posso occuparmene, se prima non congedi il medico dell'hotel". Maudie capiva, però voleva che venisse lo stesso. Rumwell accettò di farle questo piacere. Ma quando lei gli chiese di sottoporre la giovane ad un'accurata visita, obiettò che era venuto solo per amicizia.

Disperata, Maude gli raccontò quel che era successo durante la festa, che Virginia si era sentita male e che il dottor Beardslee l'aveva cateterizzata. Affermò che Arbuckle si era steso su Virginia, schiacciandola. La cosa venne confermata da Virginia stessa, la quale riteneva che il suo corpo si fosse rotto sotto i 120 chili di peso del comico. Il letto su cui era stata ritrovata era fradicio come il pigiama di Arbuckle, e per lei questa era la prova che lui l'aveva violentata.

Maude riferì poi al dottore delle perdite di sangue, ma Rumwell si limitò a ripetere: "Non posso occuparmi del caso se prima non congedi Beardslee. Capiscimi, Maudie, ho lavorato assieme a lui. Non voglio avere storie". Maude disse che capiva e il dottore se ne andò senza visitare Virginia. Ritornò quello stesso giorno, martedì, verso le dodici, e questa volta visitò la ragazza. Le auscultò i polmoni con lo stetoscopio ed esaminò i piccoli segni che aveva sul collo, sul braccio, sulla gamba. Le tastò l'addome, ma quando vi appoggiò il capo, lei esclamò: "Oh, dottore, la prego! Non posso sopportare il peso della sua testa. Mi fa tanto male".

Il dottore la rassicurò: "Vedrà che non le farò male. Farò più piano che posso". Non tentò neanche una visita interna.

Alla fine Rumwell non riferì la sua diagnosi a nessuna delle due donne. A Maude Delmont disse soltanto che avrebbe ordinato in farmacia una borsa di acqua calda e delle medicine. Fatto questo, se ne andò.

La sera di martedì, una Maude esausta telefonò al dottor Rumwell, chiedendo aiuto. Lui mandò un'infermiera, la signorina Jamieson, e le due donne vegliarono tutta la notte al capezzale della malata.

Mercoledì mattina Virginia non era ancora in grado di urinare normalmente. L'infermiera telefonò a Rumwell, che le consigliò di cateterizzare la paziente. Ne uscì un fluido che somigliava a quello del primo catetere. Nel frattempo Virginia aveva chiesto più volte cosa le fosse successo.

Verso le dodici di giovedì venne ricoverata al Wakefield Sanatorium.

Poco dopo le dodici di venerdì morì.


Quanto sopra riferito in merito ai fatti accaduti durante il fatidico party del giorno della Festa del Lavoro e nei giorni successivi, si basa interamente sul verbale della deposizione resa da Maude Delmont durante l'inchiesta del coroner sulla morte di Virginia Rappe. L'autopsia praticata sul corpo della giovane donna prima dell'inchiesta, aveva rivelato che il decesso era avvenuto in seguito a una peritonite causata dalla rottura della vescica.

A meno di ventiquattro ore dalla morte della ragazza, Maude Delmont sporgeva denuncia contro Roscoe Arbuckle, accusandolo dell'omicidio di Virginia Rappe. Ventiquattro ore dopo, il comico veniva arrestato e formalmente imputato di omicidio.

La principale teste a carico, Bambina Maude Delmont, non testimoniò mai in tribunale. Era stata lei ad accusare Arbuckle di aver ucciso Virginia Rappe e a raccontare questa storia durante l'inchiesta del coroner. Ma non le permisero di fare altre deposizioni. E questo per un valido motivo: la sua versione dei fatti era un ordito di menzogne.

A meno di ventiquattro ore dall'arresto per omicidio di Roscoe Arbuckle, il procuratore distrettuale Matthew Brady si era reso conto che la deposizione della sua teste principale era infarcita di bugie. Eppure perseguì Arbuckle nei tribunali di San Francisco per otto mesi.

Nasceva così il mito di Arbuckle lo stupratore, Arbuckle l'assassino, Arbuckle il mostro. Iniziava in un giorno di festa un dramma americano, con un cast di migliaia di attori e un costo complessivo stimato in cento milioni di dollari. Oltre al dramma, c'è la fantasia: per la gran parte delle persone che hanno sentito nominare Fatty Arbuckle, egli è quello che ha ucciso una ragazza con una bottiglia di Coca Cola.

Questo libro perciò non riguarda soltanto un party. Racconta la vita del comico che per primo a Hollywood avrebbe firmato un contratto da tre milioni di dollari, di un uomo che che nel 1921 era tra i personaggi più popolari ed amati di questo pianeta. E racconta molte altre cose ancora, perché il giorno in cui Roscoe Conkling Arbuckle smise di ridere, altri smisero con lui. Conseguenze di quel party furono censura, repressione, paura, codice Hays, due generazioni cinematografiche atterrite da coloro che si erano autonominati arbitri della moralità americana. Si può ragionevolmente affermare che, in un caldo giorno di settembre di oltre mezzo secolo fa, accadde un macabro evento, i cui effetti in America si sentono ancora.

Un consiglio ai lettori che già si siano formati un'opinione su quanto sto per riferire: dimenticate tutto quello che avete letto o che vi è stato detto. Ecco qui, per la prima volta, la verità.


["David Yallop, Quel giorno smettemmo di ridere", Tullio Pironti Editore, 1987"]

 

Pagina tratta dal libro di Yallop

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