ࡱ> VXUq`a0bjbjqPqPdM::n'=H H H ^ r r r  8$*, F',bb@% % % &&&&&&&$r(h*&r  "% &r r a'&&& *r r && &&&r r &V a!:&&D'0F'&+-%+5&5&+r I&8% 9 &G S v% % % &&%j% % % F' d   r r r r r r  Movimento politico per lunit L'AMORE RECIPROCO, PERLA DEL VANGELO Palermo, Palazzo dei Normanni 28 marzo 2007 Negli incontri precedenti, abbiamo introdotto il tema della fraternit, parlando poi dellarte di amare nelle sue varie espressioni - dallamare tutti, allamare per primi, al farsi uno con laltro,- fino a giungere, nellultimo incontro, a parlare di una ulteriore esigenza dellarte di amare: lamore al nemico. Oggi passiamo ad esaminare una nuova espressione dellamore, unaltra sua esigenza: la reciprocit. L'amore, come si sa, la sintesi del Vangelo e vissuto dai cristiani individualmente pu gi portare grandi risultati. Cos stato nei secoli passati quando si videro fiorire personalit giganti nello spirito che si conoscono. Tuttavia quel modo di procedere singolarmente verso Dio, era una conseguenza di un lontano periodo della storia, l'epoca dell'anacoresi, in cui i cristiani, scemato il primitivo fervore che aveva visto stringersi la comunit di Gerusalemme in un sol cuore e in un'anima sola, e, passate le persecuzioni, si era pensato di salvare la propria fede ritirandosi nel deserto. Se ci ha salvato tanti principi cristiani ed ha fatto anche fra gli anacoreti dei santi, si perduto spesso l'idea del valore del fratello. Ora invece - e ci appare chiaro nella nostra epoca - richiesto quell'amore evangelico che non parte solo da noi per andare agli altri, ma che deve ritornare a noi. Gemma, infatti, perla preziosa del Vangelo l'amore reciproco. Perch? Lo si pu spiegare con questo paragone: quando un emigrante si trasferisce in paesi lontani, specie se meno civilizzati del suo, s'adatta certamente, per quanto deve, all'ambiente, ma vi porta spesso i propri usi e costumi, continua, per quanto pu, a parlare la sua lingua, a vestire secondo la sua moda, e, come si visto spesso nei secoli appena trascorsi, a costruire edifici simili a quelli della madre patria. Cos, quando il Verbo di Dio si fatto uomo, si adattato al modo di vivere del mondo, e fu bambino, figlio esemplare e uomo e lavoratore, ma vi ha portato il modo di vivere della sua patria celeste; e ha voluto che uomini e cose si ricomponessero in un ordine nuovo, secondo la legge del Cielo: l'amore reciproco come si vive nella Santissima Trinit. A conferma di ci, Ges ha detto che il comandamento nuovo gli particolarmente caro e lo ha precisato "suo" e "nuovo": "Vi d un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, cos amatevi anche voi gli uni gli altri" (Mt 5,23-24). I cristiani, che per primi hanno conosciuto Ges o saputo di Lui, avevano compreso bene questo suo insegnamento. Infatti la gente pagana, che li osservava, diceva di loro: "Guarda come si amano e l'uno per l'altro pronto a morire". E Ges, parlando di questo comandamento, ha dato la misura del reciproco amore: occorre amarsi come Lui ci ha amato. "Amatevi - ha detto - come io ho amato voi". Come. Ma come Egli ci ha amato? Lo ha fatto dando la vita per noi. Cos, per seguire Lui, anche noi dobbiamo essere pronti a dare la nostra per i fratelli. Non sempre, naturalmente, la vita ci chiesta s da immolarla totalmente come ha fatto Ges. Ma, per amare veramente il prossimo, si devono vivere bene tutte quelle piccole o grandi "morti", che la carit vicendevole domanda: dimenticare s stessi, distaccarsi dalle cose, dai propri pensieri, dai propri interessi, per essere tutti proiettati negli altri: farsi uno con chi soffre e diminuisce con ci il dolore altrui, o farsi uno con chi gode e si moltiplica la gioia. E' questo un vero morire. "Vivere per gli altri", "vivere gli altri", implica l'abdicazione a s stessi, la morte spirituale di s. Quando poi si incomincia ad amare gli altri in questo modo e cos si pure riamati, si sperimenta di passare da un piano della vita dello spirito ad uno superiore; si avverte uno scatto nella vita interiore. Si conoscono, in maniera nuova, i doni dello Spirito: una gioia mai provata, una pace, una benevolenza, una magnanimit... Si acquista una luce nuova, che aiuta a vedere ogni avvenimento in Dio. Nello stesso tempo questo reciproco amore testimonia Cristo al mondo. Lo ha detto Ges: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35). Ed l'inizio della rivoluzione cristiana, quella rivoluzione che i primi cristiani espansero a tutto il mondo allora conosciuto per cui Tertulliano ebbe a dire: "Siamo nati ieri ed abbiamo invaso il mondo". Conosco persone che, anche nel nostro secolo, hanno messo a base della loro vita l'amore reciproco. Anzi hanno deciso di formulare fra loro un patto: "Io, ha detto una, sono pronta a morire per te. Io, ha detto l'altra, per te. Io per te... e cos via. Tutte per ognuna." Questo patto, vissuto giorno per giorno, venne riconosciuto poi come base su cui esplosa l'espansione d'un vasto Movimento planetario, arrivato fino a 182 nazioni: il Movimento dei Focolari. Dunque, un dovere che nel nostro iter spirituale si sottolinea con insistenza, quello di amare. S, perch "Dio Amore" (1 Gv 4,8). Per questo richiesto da Lui a noi cristiani ed a tutti gli uomini di retta coscienza di porre l'amore del prossimo a base della vita. Lo dice Paolo apostolo, che considera vano e inutile tutto quanto si fa non animato dall'amore: "Se anche parlassi - scrive ai Corinti - le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carit, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede cos da trasportare le montagne, ma non avessi la carit, sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carit, niente mi giova." (1Cor 13,1-3) Ma dobbiamo parlare d'amore anche perch Dio amore pure in se stesso, amore reciproco, Trinit. Per cui richiesto a tutti noi, a base d'ogni cosa, anche un amore vicendevole. Dice Pietro, altro gigante del cristianesimo: "Prima di tutto abbiate tra voi una grande carit, perch la carit copre una moltitudine di peccati" (cf 1 Pt 4,8). Prima, quindi, d'ogni nostro impegno personale ed attivit: prima di camminare, di riposarsi, di mangiare, di dormire... Prima di studiare, di lavorare... E a quest'amore punta la nostra spiritualit: alla reciprocit. E qui fa la differenza. Noi non siamo noi se non arriviamo ad amarci in modo che l'amore vada e venga. Cos non possiamo dire d'avere l'amore reciproco se esso non si concretizza in una qualche comunione di beni spirituali, come ad esempio, qui gi si fa, forse senza accorgersi, donando la spiritualit e l'applicazione di essa nel nostro campo e le nostre esperienze. N abbiamo amore reciproco se non concretizziamo questo amore e anche questo in parte gi si fa assicurando le poche strutture indispensabili ai nostri incontri. Ma l'amore reciproco essenziale per tutti noi, affascinati come siamo dal concetto e dalla realt della fraternit cui possiamo dar corpo: quella fraternit che, se pu sempre essere utile e risolutiva di tutti i guai di questo mondo, ora l'anima indispensabile di quella comunit fra Stati e popoli che richiesta dalle istanze moderne. Fraternit che quel distintivo ["Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35)], ha detto Ges, ora tanto mancante anche fra i cristiani se si pu costatare come nel mondo citt con prevalente popolazione cristiana non siano un gran che dissimili da altre in cui Cristo non conosciuto. Se noi viviamo l'amore reciproco, gli effetti, anche intimi, personali, sono straordinari: una nuova pace, una gioia mai provata, luce per camminare. Si ha l'impressione che l'amore reciproco sia come la moneta di oggi. Che chi non vive l'amore reciproco abbia una moneta fuori corso, di altri tempi. Naturalmente l'amore reciproco non pu non essere impegnativo. Se io amo veramente mio fratello, voglio il bene per lui. Perci dobbiamo essere disposti ad aiutarci reciprocamente a crescere, a maturare, a realizzare il sogno della nostra vita. Non basta offrire ai fratelli buone maniere, belle parole, sorrisi... Occorre arrivare a stimarsi a tal punto da poter aiutarsi col mettere in rilievo sia i lati positivi dell'amico, del fratello, per incoraggiarlo e, con estremo amore, quello meno brillante, per correggerci. Cos fa chi prende sul serio il nostro ideale. Ma dovrei dire di pi, senza paura di spaventarci. L'amore vicendevole porta, se vero ed autentico, ad avere non solo un solo cuore, ma, in certo modo, un solo pensiero. Per i primi cristiani e non temiamo di guardare a questi modelli l'amore li portava ad un solo pensiero non solo per quanto riguardava i punti dottrinali, ma tutta la loro vita. L'avere un solo pensiero non era solo un consiglio, ma un'accorata richiesta. Cos ci dice Paolo. (Cf 1 Cor 1,10) Noi siamo in tempi in cui si ama l'unit, certamente, ma si sottolinea: nella diversit. Ed giusto. Ora, non potremo almeno noi, che vogliamo impegnarci ad un "di pi" per meglio servire uomini e societ, cercare, amando il fratello, di capirlo fino in fondo nelle sue esigenze, nei suoi pensieri? Se dobbiamo essere pronti a dare la vita l'un per l'altro, vogliamo privare l'altro del nostro profondo, totale ascolto, dimentichi dei nostri affari, per poter entrare nel suo pensiero, nelle sue intenzioni? Gi questo sarebbe, mi sembra, un contributo per arrivare un giorno ad un solo pensiero. Gi sarebbe molto e almeno questo esige il nostro ideale di fraternit. Amore reciproco, dunque, per edificare e consolidare intanto, almeno fra noi, la fraternit che vogliamo vivere cos bene da poterla estendere universalmente. Bello ricordare ora, a conclusione, le parole di Agostino riguardanti lepisodio biblico di Babele, che possiamo fare nostre: Da una lingua ne vennero tante; non ti meravigliare: questo l' ha fatto la superbia. Molte lingue diventano una; non ti meravigliare: questo lo fa l'amore".  Tertulliano, Apologetico, a cura di Anna R.Barile, Bologna 1980, cap. 39,7, p. 145.  Cf Tertulliano, Apologetico, cap. 37,7, cit.  Cf Sant'Agostino, Sermo 271; PL 38-39, 1245.     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