BIBLIOGRAFIA MUSSOMELESE
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IL PITTORE DEI VICOLI DIMENTICATI
(dedicato a Pino Petruzzella)
di Roberto Mistretta
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Fiorita di luce, la Montanvalle digradava indolente sotto il soffio del levante. Il turchino del cielo baciava i cocuzzoli grigi, d’intorno il profilo della campagna allargava il suo manto smeraldino. Macchie di spinasanta e fichidindia delimitavano la carrozzabile verso Villabosco. Poco distante un luccicore perlaceo, uno dei radi fiumiciattoli della zona, baluginava al sole.

La Panda verde si inerpicava agile sui fianchi delle montagne. Curva dopo curva. Pino il pittore guidava placido. Il finestrino abbassato, godeva dei vividi profumi che montavano dalla terra  in fiore. L’animo sensibile e fanciullesco dell’artista, si apriva a quella vista di agreste incanto che tante volte aveva immortalato nelle sue tele.

In quei campi immoti, ove le macchine agricole avevano soppiantato il lavoro di rudi e sudate braccia contadine, Pino il pittore vedeva ancora quegli uomini con la coppola che, coi muli, pesavano grano e fave, per poi spagliarle al soffio amico del vento, per separare la pula dalle sementi.

Tante volte le aveva dipinte quelle scene di tempi andati, ora immaginando i contadini coi tridenti in aria, ora affaticati dietro l’aratro trainato dai buoi; ora con la zappa calata a sollevare zolle di terra dura e feconda, ora con strette in pugno le lucide falci mentre col filo della lama recidevano i biondi  steli di frumento; ora mentre tornavano spossati verso casa, in groppa a muli ove pendevano piene bisacce, il capo ciondolante e rassegnato. Volti antichi, rugosi, mani incallite e coppole calate a celare anni e sconfitte. I volti della sua gente. I suoi colori. La sua vita. Una vita dedicata alla pittura da quando, quarant’anni prima, un poeta sognatore come lui, lo aveva scoperto e lanciato nel firmamento degli artisti. E quegli scorci di terra, quegli spicchi di Sicilia immortalati nei suoi quadri e sparsi ai quattro angoli del mondo, erano tante finestre aperte verso la Montanvalle.  Viventi cartoline, frammenti di vita e tempi andati, plasmati con amore infinito.

Pino il pittore guidava lieve e solingo, inspirando a pieni polmoni. Non sentiva il peso dell’età che avanzava, era parte di quella terra, di quegli umori, di quei profumi. Si sentiva un tutt’uno con campi sperduti e cocuzzoli bigi e, come le ciavole volavano dintorno in cerca di granaglie, il suo spirito si levava ancora leggero su quelle vallate a coglierne l’anelito più puro, più vero. L’essenza stessa della vita.

Stampa e critici lo avevano definito il pittore dei vicoli. Non solo braccianti e vedute l’artista dipingeva infatti nelle sue tele. Il meglio di sé Pino lo dava quando si dedicava ai vicoli di Villabosco e Villapetra, le due città medievali che smodatamente amava. Vicoli abbandonati, case cadenti, portoni serrati. Quei vicoli un tempo palpitanti di vita, erano ora obliati, da tutti dimenticati. Modernità e comodità avevano indotto la gente a svuotare i centri storici, e le antiche viuzze vivevano solo sulle tele di Pino. Li vedeva ancora pieni di vita, con le donne che preparavano la salsa, gli anziani che giocavano a carte o parlottavano, le anziane col fuso a filare la lana, i ragazzini a giocare a nascondino, le bimbe a saltellare sulla scaletta. Una donna col nero scialle, due innamorati, la serenata alla bella, la tovaglia scotolata alla finestra dopo il pasto, un balcone  fiorito, un gatto randagio, un pollaio ricavato nel sottoscala.

I vicoli di Pino. I suoi capolavori. Li battezzava con nomi poetici: vicolo dei gerani, vicoli dei sospiri, vicolo degli scalini, vicolo degli archi, vicolo degli innamorati. Nomi dell’anima.

La Panda abbordò l’ultima curva con un gemito e si immise sul rettilineo. Magnifica la giornata, il sole raggiava traendo bagliori rossastri dai sassi levigati.

Il gippone alle spalle della Panda comparve all’improvviso da una laterale. Sembrava in attesa. Ruggiva. Pino si addossò alla sua destra per meglio consentire al fuoristrada la manovra di sorpasso.  La jeep pareva incollata dietro la Panda. Pino infastidito dalla presenza controllò nello specchietto retrovisore. Vide solo una macchia di luce. Il parabrezza della jeep rifletteva i raggi del sole. La campagna attorno alla carrozzabile digradò all’improvviso in prossimità del ponte. Fu allora che la jeep con un balzo in avanti fece sussultare la Panda. Un colpo violento, deciso, cattivo e la Panda volò dal ponte.

Pino il pittore si sentì perso. Al contraccolpo del suo collo sballottato e dolente, seguì la visione del vuoto dove già la Panda stava volando. Secondi lunghissimi, un volo d’angelo, l’impatto duro e la Panda rotolò verso il ruscello, cappottando su se stessa. Poi il silenzio.

Dalla jeep sortirono due giovinastri.

“Dici che c’è rimasto?”

“Dobbiamo essere sicuri, il capo non ci raccomandò altro”.

“Ci tocca scendere e controllare allora”.

“Sposto la jeep, la metto dietro quei massi e ....minchia gli sbirri ci stanno”.

“Dov’é?”

“Proprio là, in faccia a noi?”

“Merda, lesto squagliamo”.

“E il pittore?”

“Se non è morto stavolta, ci penseremo la prossima volta”.

I due montarono lesti sul fuoristrada. Un’accelerata furiosa, una nuvola di polvere e stavano già viaggiando a forte velocità verso la fuga.

L’Alfa dei carabinieri pareva incollata all’asfalto, il motore abbaiava, i pneumatici fischiavano ad ogni curva, la sirena lacerava l’aria. Il brigadiere capo Attilio Steppani era concentrato al massimo, le mani artigliate sul volante, ora scalavano velocissime le marce in prossimità delle curve, ora le   ingranava di nuovo, un gioco sincrono del piede su frizione e freno, acceleratore a tavoletta e l’Alfa non perdeva fluidità nella manovra. Era un siluro lanciato dietro la jeep.

“Steppà bottana della miseria, tanto non li pigliamo più a quei due, l’allarme lo abbiamo dato via radio, mi vuoi dire ora per quale minchia di motivo ci vuoi fare ammazzare?”

“Marescià forse quello della Panda è ancora vivo...”

“Appunto e pure io ci voglio restare, perciò vedi di rallentare che sennò ti vomito il caffè sui pantaloni”.

Il maresciallo Saverio Bonanno, partito venti minuti prima da Villabosco, accompagnato dal fido Steppani, stava recandosi in tribunale per presenziare ad un processo. Entrambi erano stati convocati come persone informate su fatti avvenuti tempo addietro. Una solfa che si ripeteva spesso, per non parlare di quando dovevano presenziare a processi in altre città e, dopo un viaggio della malora, capitava pure che il giudice aggiornava la seduta. Roba da sparargli all’istante, come fortissima era voglia di sparare ai due pirati che avevano buttato fuoristrada la verde utilitaria.

Steppani arrestò l’Alfa senza rinunciare alla sua solita spericolata manovra danzante. Bonanno lo fulminò.

“Pompieri e ambulanza stanno arrivando, scendiamo a vedere se è vivo?” domandò Steppani ignorando le pistole puntate che erano gli occhi del maresciallo.

La panza di Bonanno non gli era di aiuto nella scoscesa discesa verso la Panda. Più volte il maresciallo giurò che si sarebbe messo a dieta.

La Panda era rovesciata, intenso li colse l’odore di benzina.

“Bottana della miseria, spicciamoci che rischia di andare tutto a foco” disse Bonanno catapultandosi verso l’utilitaria. Steppani lo sorpassò. Più giovane e più agile, raggiunse per primo la Panda. Pino il pittore non dava segni di vita. Un braccio inerte penzolava dal finestrino aperto.

“Cristo santo è il pittore, quello dei vicoli” disse Steppani.

“E’ vivo?”

“Non lo so”

“Tiriamolo fuori”.

Steppani afferrò il pittore per le braccia ma l’artista era intrappolato. 

“E’ bloccato, le gambe sono incastrate”

Bonanno si portò dal lato opposto della Panda. A fatica riuscì ad aprire lo sportello. Si calò sul seggiolino piegato e spinse verso dentro, con tutta la taurina forza che possedeva, i muscoli tesi nello sforzo parevano rompersi, aveva fame d’aria. Conosceva l’artista e sapeva che era in pericolo. Il carburante  fuoriuscito dal serbatoio poteva incendiarsi. Non c’era tempo da perdere.

Spinse e spinse finché non udì un crack. No, non era la sua schiena che aveva ceduto.

“Si è sbloccato marescià” esultò Steppani.

Bonanno andò ad aiutarlo e trascinarono il pittore lontano dalla Panda accartocciata.

“E’ vivo” si rincuorò Bonanno.

“Fiuuuu” sospirò Steppani. Un boato scosse l’aria. Un rogo violento avvolse la Panda.

“Giusto in tempo” commentò Bonanno.

“E poi si lamenta che filo...”

 

Nella divisione di chirurgia dell’ospedale di Villabosco, dove il pittore era stato ricoverato per il violento trauma cranico, c’era puzzo di disinfettante e pastina scotta. Pino il pittore, con un ago infilato nel braccio, aveva il volto tumefatto e tre costole incrinate. Gli era andata più che bene. Era uscito vivo dal volo pauroso ed era stato tratto in salvo dal rogo dell’auto appena in tempo.

“Non ho parole per ringraziarvi” disse Pino. Parlava a fatica. Bonanno e Steppani ai piedi del letto, lo fissavano. Sentivano in fondo al cuore una mano calda che glielo strizzava. Non è roba di tutti i giorni salvare la vita a un uomo mettendo la propria a repentaglio. Essere sbirri a volte significava anche quello per loro due, sbirri più dentro che fuori.

“Quella strada è un pericolo, non so nemmeno come è successo, c’era una jeep che mi voleva sorpassare e invece mi ha tamponato. Uno stupido incidente...potevo morire” disse Pino.

“Non è stato un incidente” ribattè serio Bonanno.

“Nossignore” rincarò Steppani.

“Che significa?” chiese il pittore.

“Che lo tamponarono di proposito, si piazzarono dietro alla sua Panda e quando arrivaste sul ponte calcarono l’acceleratore per buttarlo fuori strada, poi si fermarono per controllare il lavoretto e, se per puro caso non fossimo arrivati noialtri, di certo avessero già completato il lavoro levandolo di mezzo col fuoco o dandogli un colpo in testa” sparò Bonanno tutto d’un fiato.

Il pittore stracangiò colore. Ora pareva la sua stessa tavolozza piazzata sotto i quadri che dipingeva ogni santo giorno.

“State scherzando?”

“Nossignore egregio amico, ci stiamo dicendo che qualcuno lo vuole morto”.

“Non è possibile, io non ho nemici e poi è stato un semplice incidente...”

“Purtroppo non è così, si fidi, e per giunta si tratta pure di professionisti. La jeep che l’investì la trovarono alle porte di San Bernardo, completamente arsa. Professionisti ce lo dissi. Non hanno lasciato tracce. Dobbiamo solo controllare le denunce di furto. Scommetto che nei giorni scorsi a qualche padre di famiglia fecero squagliare la jeep da sotto casa”.

“Io un pittore sono, non ho nemici come devo dirvelo?” rincarò l’artista. Gli occhi erano pozzi svuotati.

“Tutti abbiamo nemici, pure i cani che vanno a zonzo in mezzo alla strada. Si rimetta ora, non pensi a niente, ne riparleremo quando starà meglio”.

 

Facile a dirsi. Il mondo di Pino, un mondo gravido di colori, assume contorni sfuocati di volti e gente conosciuta negli ultimi tempi. Li passa in rassegna uno per uno, soffermandosi su possibili nemici celati nell’ombra.  Possibile che qualcuno avesse davvero voluto deliberatamente buttarlo giù dal ponte?  Possibile che qualcuno lo volesse morto? Non poteva crederci. Non era uomo da avere nemici, o almeno non nemici da volerlo morto.

Certo non era un tipo facile da prendere. Lo sapeva da sé. Aveva un caratterino pepato e la lingua liscia e senza peli come la lucida craniata. Diretto e schietto, era un artista completo che viveva del suo lavoro e, vivaddio, era un uomo alieno da compromessi coi potenti di turno e coi politicanti. Non sapeva cosa significasse chinare la schiena ed elemosinare un incarico. Nel suo studio, un vero studio di artista dove si rinchiudeva ogni giorno, levandosi ai primi chiarori quando il fuoco dell’arte lo divorava (ed era fuoco che sempre vivido bruciava in lui),  accoglieva committenti e acquirenti.  Era un artista affermato e non bivaccava negli uffici di Comuni, Province  o segreterie politiche elemosinando un incarico. Chi della sua geniale inventiva voleva servirsi, sapeva dove trovarlo. Non diceva di no a nessuno, di cuore tenero e innamorato della propria terra, intimamente godeva quando dal suo lavoro ne ricavava frutto di che vivere. E i suoi quadri e gli artistici pannelli, andavano a ruba.

Che fosse un cliente insoddisfatto l’investitore? Cristo. Come si poteva credere che qualcuno lo volesse morto?

“I carabinieri si saranno sbagliati” si disse Pino per tranquillizzarsi. Ma dentro era scosso, profondamente inquieto.

E se fosse un rivale? Il dubbio lo colse all’improvviso. Ed era atroce dubbio. Il comune di Villabosco dopo anni di disinteresse, aveva approvato il suo progetto per realizzare una grandiosa tomba sociale affrescata con celestiali motivi e grandiosi pannelli di anime salvate.  Un tripudio di colori tenui per commemorare chi più non era. Che fosse legato a quell’incarico l’attentato?

Un bilioso artista rivale? Un architetto roso dall'invidia?

Un lungo brivido lo colse. “Sarà la febbre” si disse Pino. Ma era un fremito di nera paura.

 

“Non mi convince Steppà”.

“Il pittore?”

“Nossignore, a lui lo conosco, è un pezzo di pane, vive di colori e pennelli. Non mi capacito su chi potesse avercela con lui”.

“Ma se lo disse pure lei che magari i cani hanno nemici....”

“Quello un modo di dire era, che ci avessi dovuto dire secondo te a uno che aveva appena visto la morte in faccia? Quello che non mi convince, non è tanto il fatto che uno può avere maligni nemici che ti vogliono mandare al Creatore, ma un’altra cosa”.

“E’ lecito domandarci cosa?”

Il maresciallo Bonanno e il brigadiere capo Steppani erano in ufficio. Bonanno accese l’ennesima bionda, con disappunto Steppani andò ad aprire la finestra. Bonanno fece finta di niente.

“Dando per scontato che qualcuno lo volesse morto, per quale motivo non spararci in faccia o tirargli un colpo di lupara? Quelli stavano a un metro di distanza”.

“E la risposta quale sarebbe?” domandò Steppani.

“Che volevano fare sembrare l’ammazzatina un incidente, ma a questo punto mi domando: che caspita combinò allora il pittore?”

“E che si rispose?”

“Steppà la finisci di fare pure tu il cacadomande?

Due sono le ipotesi: o scangiarono cristiano oppure il pittore combinò qualche minchiata e qualcuno gliela giurò ma per un motivo, che noialtri non sappiamo, non si voleva scoprire. A questo punto però la copertura dell’incidente è saltata e se davvero al pittore ci vogliono fare il vestito, ce lo faranno senza tanti complimenti, un colpo in testa e amen”.

“All’anima dei ragionamenti marescià!”

“Quando mi metto a stecchetto, la notte non piglio sonno e quando non dormo ragiono, perciò piglia due picciotti novelli e, senza fare sapere niente a nessuno, nemmanco al pittore, piazzali di sorveglianza. Da subito”.

“E ora dove sta andando?”

“A farmi un’altra chiacchierata col pittore. Tengo lo sbirrume che tira come una scecca in salita. Sento puzza Steppà”.

“Ma se spalancai magari la finestra...”

“Steppà lo sai perché non ti sparo quando guidi all’ammazzacristiani? Per non levarmi il personale  piacere di scatafasciarti da quella schifiu di finestra un giorno o l’altro”.

Non c’era piaciuta al maresciallo la battuta di Steppani. Non sopportava chi, in un modo  o nell’altro, gli faceva notare che sfumavazzava assai.

 

Pino il pittore quando lo vide, si sentì rincuorato. La notte non aveva dormito, incubi lo avevano torturato.

“Maresciallo carissimo...”

“Come andiamo stamani? La trovo meglio” disse Bonanno.

“Grazie a Dio e a voi, grazie ai carabinieri, per stavolta la pelliccia la tengo ancora bene attaccata, ma non ho chiuso occhio tutta la notte”.

“Ci davano fastidio le costole rotte?”

“Nossignore maresciallo. I dolori ci stanno ma il rovello che tengo e che mi sta macerando la testa, è un altro. Quello che lei mi disse non mi fece dormire. Tutta la notte in bianco. Io sono convinto che ci dev’essere uno sbaglio...”

Bonanno lo fissò sollevando un sopracciglio e gonfiando il torace popotamo.

“No, non intendevo un suo sbaglio maresciallo, mi fido di lei ci mancasse altro, se non era per lei e per il brigadiere a quest’ora potevo stare a dipingere fianco a fianco con San Pietro. No, io penso che chiunque sia stato a buttarmi fuori strada deve avere sbagliato persona....”

“Sentisse Pino parliamoci chiaro, io la conosco e so che lei è brava persona ma i fatti sono fatti. Le Panda verde come la sua, sono contate quanto  le dita di una mano a Villabosco, lei è persona nota e non mi pare che tenga fratelli gemelli né qualche doppione, e a quell’ora in quella strada il traffico è limitatissimo. Sono convinto che chi lo aspettava, sapeva che ci stava proprio lei alla guida della Panda verde e che stava passando di là. Qualcuno lo avrà seguito, perciò ora dobbiamo ricostruire i suoi movimenti degli ultimi giorni e capire perché non solo lo volevano ammazzare ma perché volevano pure darci a bere che si era trattato di incidente”.

“Allora lei è proprio convinto che...”

“Convintissimo e se lei non collabora, non la posso aiutare”.

Pino abbassò gli occhi. Prese un lungo respiro. La voce che venne fuori era appena un soffio.

“Forse è per via dell’incarico...”

“Quale incarico?”

“La tomba artistica. Nel mio studio, in bella vista, da quindici anni tenevo un progetto. Tutti a dire che bello, che magnifico, dobbiamo fare la tomba, ma poi non si facevano più vedere. L’altra mattina,  mi arriva una telefonata: maestro le abbiamo affidato l’incarico di realizzare nel nuovo cimitero la Tomba degli artisti. Io pensavo ad uno scherzo, ed invece era proprio l’assessore alla cultura che aveva portato avanti la sua personale battaglia per fare realizzare tale tomba dove tutti gli artisti di Villabosco,  passati presenti e futuri, dovevano trovare degna sepoltura per onorarne la memoria. Mi hanno chiesto di presentare un preventivo e il modello in scala. Forse qualcheduno c’è rimasto male e se la prende con me? Togliendomi di mezzo, il progetto potrebbe passare ad un altro...”

Bonanno trapanò il pittore con pupille a raggi ics. Era sincero. Quella poteva essere una pista. La grana suscita spesso voraci appetiti. Appetiti di sangue. Se quello era il movente, si spiegava pure l’incidente. Doveva trattarsi di qualcuno che Pino conosceva, qualcuno che non voleva scoprirsi. Qualcuno che forse adesso, visto fallito il tentativo di camuffare un omicidio da incidente, avrebbe rinunciato.

 

Sono trascorsi dieci giorni. Il pittore dei vicoli è stato dimesso. Nella sua casa incastonata nel verde di pini e cedri, ha ripreso a dipingere. Nessuno sa che qualcuno ha tentato di ucciderlo. Per tutti si è trattato di un incidente, un terrificante incidente causato da pirati della strada che si sono dati alla fuga dopo averlo fatto volare dal ponte.

La vita riprende a scandire i ritmi di sempre. Pino non riesce a riposare. Dorme poco. Sua moglie sa che presto si alzerà per raggiungere lo studio e mettere mano alla tavolozza. E’ piena di colori la vita di un pittore.

Il maresciallo Bonanno sta passando al setaccio la settimana prima dell’incidente. Per quanto cerchi, non trova niente, niente a parte l’incarico per realizzare la Tomba degli artisti.

Lunedì il pittore non è neppure uscito di casa, aveva da ultimare un lavoro. Un grande quadro su Villapetra commissionatogli da una nobildonna. Martedì ha comprato della frutta al mercato, ha visto qualche amico, si è trattenuto il tempo di scambiare due chiacchiere. Pomeriggio in casa, a lavorare. Mercoledì è uscito solo di pomeriggio. Un giro per gli antichi vicoli di Villabosco. Ha scattato delle foto nelle viuzze, foto che diventeranno quadri. Giovedì la telefonata dal comune e l’incarico per realizzare la tomba. Venerdì mattina è andato al comune per definire i dettagli dell’incarico, venerdì pomeriggio, sabato e domenica è rimasto in casa a lavorare al progetto. Lunedì  di buon’ora stava recandosi in città. L’agguato era scattato allora.

Le indagini di Bonanno erano ad un punto morto. Il maresciallo si stava facendo persuaso che, chiunque fosse stato, non ci avrebbe più riprovato, il gioco ormai era scoperto. Eppure dentro sentiva un tarlo, qualcosa che gli sfuggiva, un dettaglio che continuava a non considerare per come andava considerato. E per tale motivo non aveva ancora tolto la sorveglianza discreta al pittore dei vicoli. Due  sbirri, giovani e in gamba, erano diventati gli angeli custodi di Pino.

Mentre Bonanno rimuginava e si rigirava nelle lenzuola senza riuscire a pigliare sonno, Pino il pittore sbuffò. Balzò giù da letto, infilò la vestaglia e salì nello studio. Erano le tre di mattina. Accese la luce, sistemò la tavolozza e in quel momento la vista gli si annebbiò, mentre un dolore atroce lo pervadeva. Crollò esanime. Il proiettile lo aveva colpito in pieno petto.

 

Il trillo prolungato del telefono fece sacramentare Bonanno. Aveva appena pigliato sonno.

“Chi è” ruggì nella cornetta.

“Maresciallo, Cantara Vito sono, dieci minuti fa spararono al pittore” disse il centralinista.

“Minchia”.

“Ci sta pure una bella notizia: i nostri li beccarono a quelli che spararono”,

 

La Punto di Bonanno volava nella notte. Se solo Steppani lo avesse visto, avrebbe inghiottito ettolitri di bile. Il maresciallo guidava fluido, l’acceleratore pigiato a tavoletta, la sigaretta inceneriva in bocca.

“Dottore come sta?” chiese al medico di Pronto Soccorso.

“Ha avuto una fortuna sfacciata. Il medaglione in oro massiccio della Beata Vergine che teneva al collo ha deviato il colpo. Ha rimediato solo una contusione allo sterno e la frattura della clavicola. Niente di serio”.

“Posso vederlo?”

“Certamente”.

Il pittore teneva il colore della brina dicembrina. Gli occhi cerchiati di paura e un tremore convulso alle mani. Stringeva al petto il medaglione scheggiato che gli aveva salvato la vita. La moglie, sconvolta al pari di lui, lacrimava senza riuscire a fermarsi. Lei gli aveva donato quel medaglione il giorno del loro fidanzamento. Un regalo col cuore, un prezioso dono del cielo.

Gli occhi del pittore incontrarono quelli del maresciallo. Non capiva. Non riusciva nemmeno a concepire la sola idea che qualcuno gli aveva sparato addosso. Per ucciderlo. Un nuovo agguato.

“Stavolta li teniamo” disse Bonanno dandogli una pacca sulla spalla.

“Non siamo riusciti a evitare che lo inchiummassero, per quello ci pensò la Madonna a salvargli la pelliccia, ma li abbiamo presi. Ora canteranno e sapremo chi ce l’ha con lei”.

“Ma chi sono?” balbettò Pino.

“Merda di terra” disse Bonanno.

 

“Pluritentato omicidio aggravato, detenzione di arma non dichiarata, furto di auto, guida senza patente, danneggiamento e compagnia bella. Qua tenete una sfilza d’accuse e coi vostri precedenti, vent’anni e passa di galera non ve li leva nessuno. Però, se collaborate, una buona parola ce la posso mettere. Perché volevate il pittore morto?” domandò Bonanno.

Rigido nella lucida divisa, farcita in tutti i punti dalla sua pingue e tarchiata figura, il maresciallo trangugiava l’ennesimo caffè.

“Quel grandissimo cornuto. Lui e i suoi strafottuti vicoli di sto ciufolo” ruggì uno dei due giovinastri. Teneva la barba incolta, il naso adunco e lo sguardo di ghiaccio.

“Si fotta lei e quel pittore” aggiunse l’altro. Era mingherlino, radi capelli raccolti a coda. Era quello che aveva sparato.

Non si erano accorti degli angeli custodi del pittore. Erano arrivati di notte e avevano preso posizione sulla vicina altura da dove tenevano sotto controllo lo studio. Sapevano che il pittore di buon mattino sarebbe andato a dipingere. Non immaginavano che  il pittore, nottambulo, sarebbe salito nello studio in piena notte. Erano arrivati da pochi secondi. L’ansia, la tensione,  la luce accesa all’improvviso nello studio e quella sagoma dritta che si stagliava in controluce, avevano fatto il resto.  Aveva sparato d’istinto, e lo sparo lo aveva colto quasi di sorpresa. E pure di sorpresa erano stati colti i due angeli custodi che Bonanno aveva inchiodato nei paraggi della casa del pittore.

I due sbirri non avevano fatto in tempo a impedire che il fucile, munito di silenziatore, producesse il suo micidiale schiocco. Non avevano fatto in tempo a impedire che il pittore diventasse un bersaglio. Non potevano pure farseli scappare. Bonanno li avrebbe inceneriti.

Li avevano catturati puntandogli le pistole alla nuca e pregando che tentassero la fuga, tanta era la voglia di fargliela pagare per quell’attentato vigliacco. Non c’era stato nessun tentativo di fuga. Fredde manette avevano serrato i polsi ai due giovinastri.

“Ce li può levare ora queste minchia di manette?” domandò naso di civetta.

“Una sigaretta si può avere?” chiese coda pelata.

“Silenzio, non siamo al mare, che vi siete messi in testa? Steppà piglia a questo e portalo di là. Voglio parlare con mister grilletto, da solo a solo”.

Steppani  intuì le intenzioni del maresciallo e portò naso di civetta fuori.

“Chiudi la porta” disse Bonanno con voce minacciosa.

Quando la porta si richiuse alle loro spalle, Bonanno afferrò coda pelata per il collo. Teneva l’esile cartilagine del pomo d’Adamo stretta in una sola mano. Una stretta possente. Gli occhi erano fauci di drago.

“Sentimi bene pezzo di merda ora tu mi dici chi ti paga sennò comincio a stringere e mollo la presa quando non ci sta più niente da mungere,  ci siamo capiti?”

Un lampo di terrore passò negli occhi di coda pelata. Cominciò a boccheggiare.

 

“Niente Steppà, niente di niente. Non parlano. Né l’uno né l’altro. Manco con le minacce. Quelli malacarne sono Steppà, malacarne che preferiscono finire in carcere per anni piuttosto che collaborare. Che ci nascondono? Chi proteggono? Non mi convince Steppà, qua non si tratta del collega invidioso che voleva levare di mezzo il pittore né dell’architetto o dell’ingegnere o del geometrucolo che si volevano pappare l’incarico. Nossignore Steppà, ci deve stare qualcosa altro sotto se quelli si sono cuciti la fogna che tengono al posto della bocca, ma cosa?”

“Il pittore che dice marescià?”

“Che deve dire quell’anima persa...tiene una tremarella e una faccia smorta che manco ti dico, con tutta la strizza che si ha pigliato, se sapeva qualcosa ce lo avesse già detto”.

Sempre più chiaro e forbito l’italico eloquio del maresciallo.

“E allora che facciamo?”

“Sbattili dentro, se vorranno collaborare c’è sempre tempo”.

 

Un ronzio fastidioso gli tediava i pensieri. Gli era sfuggito un dettaglio. Una quisquilia, una bagattella, ma sapeva per esperienza che le cose da nulla, a volte erano quelle che permettevano di inquadrare sotto una luce diversa fatti e persone. E lui aveva bisogno di decifrare quei due attentati al pittore dei vicoli.

I vicoli.

Che aveva detto naso di civetta quando lo aveva provocato?

“Quel grandissimo cornuto. Lui e i suoi strafottuti vicoli di sto ciufolo”.

Che aveva aggiunto coda pelata? “Si fotta lei e quel pittore”.

 

Che ne sapeva naso di civetta dei vicoli del pittore? Perché quegli insistenti insulti alla sua arte pure da parte di coda pelata? Una sensazione di euforica esaltazione afferrò Bonanno alla bocca dello stomaco. Una sensazione di vuoto che andava colmata.  Imbottì un sostanzioso sfilatino di pane con mortadella, sottaceti e salame piccante, si scolò una birra scura e si sentì meglio. Al diavolo le diete che gli rovinavano neuroni e sinapsi.  Erano le due di notte. Per quale caspita di motivo le migliori pensate gli venivano in piena notte?

Riprese gli appunti sul caso del pittore. Ripassò i suoi movimenti negli ultimi sette giorni prima dell’attentato. Appuntò il dito a metà settimana. Mercoledì. Il giorno dei vicoli.

“Lo sapevo” disse Bonanno. E per la contentezza si pappò un altro filone, spalmandolo stavolta di dolcissima nutella.

 

Il pittore aveva l’abitudine di fotografare i soggetti dei suoi quadri. La sua macchina fotografica, un gioiellino anni settanta, la portava sempre con sé quando si addentrava nelle viuzze disabitate per catturare immagini inconsuete, giochi di luce, scorci suggestivi, volti caratteristici. E caratteristico era il volto dell’anziano che aveva fotografato alla finestra.

Assorto nei suoi pensieri l’anziano non si era accorto del pittore che si aggirava per la strada. Fumava. Il gomito sul davanzale, la mano ripiegata, la faccia piena appoggiata sulle nocche, una nuvola di fumo che ne velava la vista, mentre un solingo raggio di sole lo colpiva. Un’immagine di struggente intensità.

“Pensieri che volano”. Così  il pittore aveva pensato di intitolare il quadro mentre scattava le foto.

L’anziano si era voltato. Lo aveva visto. Un’occhiata fugace e malevola prima di rinserrarsi dentro. E ne aveva di motivi per nascondersi.

“Lo sapevo, lo sapevo” disse Bonanno sparpagliando le foto sul letto d’ospedale.

Pino il pittore non capiva.

“Lo cerchiamo da vent’anni. Non avevamo più nessuna foto di lui ed ora grazie a lei, sappiamo che faccia ha don Caliddo Picaduro di Montacino”.

“Gesummaria sta parlando del boss mafioso? Di quel mammasantissima?”

“Propriamenti di lui. Ecco perché ci volevano fare il vestito. Senza saperlo, non solo lo aveva fotografato, ma conoscendo la sua fama, don Caliddo Picaduro sapeva pure che ne avrebbe ricavato un quadro, e voleva impedirglielo. La sua copertura a Villabosco è saltata. Abbiamo arrestato per favoreggiamento il proprietario dell’immobile. Di Picaduro nessuna traccia. C’era da aspettarselo. Grazie a lei abbiamo però una sua foto originale. Al computer avevamo ricavato qualcosa, ma di fronte all’originale non ci sta paragone. Ora sarà più facile beccarlo”.

“E chi poteva pensare ad un fatto del genere...” si lamentò il pittore.

“Andare per vicoli a volte può essere pericoloso” disse Bonanno. Gli occhi gli ridevano.

Il pittore si tenne il petto e levò fieri occhi a contrastare lo sguardo canzonatorio di Bonanno. La spalla gli doleva. Il petto gli bruciava. Aveva una piega amara all’angolo della bocca. Gli occhi imbibiti d’amarume.

“Ben altri sono i pericoli di questa nostra disgraziata terra maresciallo. I quadri non ammazzano cristiani. Io ho sempre dipinto i miei vicoli, gli anziani, le feste di paese, la mia gente che si piglia uno spicchio sole, e sempre lo farò, fino a quando avrò vita” replicò secco Pino.

Ora il maresciallo era serio. Gettò la sigaretta lontano. Allungò la mano.

“Lo so, lo so, per questo sono qua. Ci ho riportato  questa” disse poggiando sul letto la macchina fotografica.

“Io non so come ringraziarla per tutto...” disse il pittore. Era commosso, quello sbirro soprappeso, non solo gli aveva salvato la vita una prima volta, non solo aveva assicurato alla giustizia chi lo voleva morto ed aveva scoperto l’inghippo, ma riusciva pure a coglierne i suoi sentimenti più nascosti.

“Non deve ringraziarmi. Ho fatto solo il mio dovere. E ci giuro che ne sono contento. Tra tanto grigio di fogna, fa piacere trovare i suoi colori”.

Bonanno tese la mano. Pino la strinse. Sulla Montanvalle infiorata, il sole raggiava. Ed era un sole ardente, come i loro cuori

 

 

Mussomeli 9 febbraio 2002                                        Roberto Mistretta

                 11 febbraio 2002   

 

 

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