Il peso del passato
Seconda parte

Capitolo 8

Van si addentrò sempre di più nella boscaglia, guidato dalla risata giocosa che proveniva dallo strano essere che l’aveva sfidato.

- Quella voce … perché quella voce mi sembra così familiare? Perché il sentire quella voce mi mette addosso una strana sensazione?- si chiedeva Van, mentre fendeva l’aria con la spada.

- Regina Millerna! Merle! Correte! Presto! La principessa … la principessa Karen si sente molto male! – gridava una cameriera, correndo per i corridoi del palazzo.

Van si addentrò sempre di più nel bosco, fino a quando non si trovò di fronte al promontorio su cui, anni addietro, aveva portato Hitomi.

- Pensavo che fossi molto più veloce, re di Fanelia. Mi hai deluso, e molto- disse la voce infantile.

- Chi sei?- gridò Van - Fatti vedere, codardo.

- Eccomi, re di Fanelia – disse.

Pochi secondi dopo un ragazzino scese dal ramo di un albero e con grazia atterrò sul terreno.

Indossava una camicia bianca di cotone, un gilet di velluto verde chiaro ed un paio di jeans, con scarpe da ginnastica ai piedi.

Sorrideva biecamente, lanciando lampi metallici dai suoi profondi occhi blu, mentre i corti capelli svolazzavano, mossi dalla lieve brezza.

- Ti ricordi di me, non è vero, re di Fanelia?

- Tu?! Sei tu che mi hai chiamato?- disse Van, abbassando immediatamente la guardia davanti a Dorel- Potevi farmi avvertire che passavi da queste parti. Ti avrei ospitato volentieri a palazzo, e poi, Karen sarebbe molto felice di rivederti. Dai, vieni con me.

Il ragazzino scoppiò a ridere, come se Van avesse detto una battuta molto divertente.

- Quanto sei sciocco, re di Fanelia. Ma non ti sei ancora accorto di chi io sia in realtà? Certo che sei proprio tardo!

- Cosa vuoi dire con queste parole? Chi sei tu in realtà?

- Impegnati un attimo. Il mio nome non ti ricorda proprio niente, re di Fanelia?

- Il tuo nome?

- Esattamente, re di Fanelia. Una volta mi pare di averti narrato la mia storia. Io non so chi fosse mio padre, ma mia madre lo sapeva, ed è proprio per lui che mi ha messo questo nome. Per lui e per il suo povero zio. Tu e tua moglie, re di Fanelia, li avete uccisi. Ed il mio nome è l’unica cosa che mi resta di loro, l’unico ricordo che ho di loro.

- Cosa vuoi dire? Che io e Hitomi avremmo ucciso tuo padre e suo zio? Eppure Hitomi ha riportato in vita tutte le persone che aveva ucciso quando era Demonia. Il tuo nome è la chiave di tutto. Dorel … Dorel … No! No! Non è possibile! Non può essere possibile! Dor –el … i nomi sono… Dornkirk e Ismael … Tu sei il figlio di Ismael!

- Ce ne hai messo di tempo per capire! Io ora li vendicherò!- disse il ragazzino, correndo verso Van con la spada sguainata.

Van tentò di difendersi, ma i suoi riflessi non erano abbastanza pronti per quell’attacco improvviso. Van venne colpito di striscio ad un fianco e rotolò malamente a terra.

Si toccò distrattamente la ferita, poi afferrò la spada e si parò da un altro attacco del ragazzino.

Rotolò su un fianco e si rialzò, mettendosi sulla difensiva.

Dorel l’attaccò di nuovo da davanti, per poi scartare sulla destra e ferirlo in profondità ad una gamba.

Van accusò il colpo, accasciandosi a terra, ma tentando di proteggersi ugualmente con la spada.

Con un’abile mossa Dorel lo disarmò, facendo volare la spada a parecchi metri di distanza, poi sollevò in alto la sua spada, sopra la testa di Van, pronto a calarla sul re inerme.

Dorel calò la sua spada su Van, ma non lo toccò. La spada si era scontrata con un corno cangiante.

Il ragazzino arretrò qualche metro e guardò la scena che gli si parava davanti: il re di Fanelia, inginocchiato a terra, che guardava con aria sorpresa l’unicorno alato che gli stava davanti e che, a testa bassa, guardava Dorel gelidamente con i suoi profondi occhi blu.

- Sei arrivata appena in tempo Crystal - disse Dorel.

- Senti, Potere Oscuro, ora mi hai proprio scocciato. Lascialo andare, oppure non rispondo di me, chiaro?- disse Crystal, con tono esasperato.

- Che fai, mi minacci forse?

- VATTENE DA DOREL, CHIARO?

- Non fare così, cuccioletta, oppure farai del male.

- Lotta contro di me.

- Con piacere- disse attraverso Dorel il Potere Oscuro- Ma sappi che se mi ucciderai, ucciderai anche il piccolo.

- Sai perfettamente che non amo i ricatti.

- Io invece li adoro, ed ora non potrai più farmi fesso, e neanche liberarti, come quella volta.

- Ho vinto contro Ismael. Non sono stata scorretta.

- No, non quella volta. E tra le tante cose che non ricordi. Tu, sai affidarti solo a quelle sciocche cose che chiamate speranza ed amore.

- Io sono la speranza.

- No, non lo sei. E non lo sarai mai. Non ti rendi conto neanche di chi sei, come puoi dire che sei la speranza.

- Io ricordo la mia creatrice.

- Balle! Tu non sei ciò che credi. Tu non sei ciò che sei.

- Combatti, e non usare certi trucchetti con me. Non funzionano né funzioneranno mai.

Crystal attaccò con slancio il ragazzino, ma la paura di fargli del male era tanta che non riusciva ad attaccare come voleva, con il risultato che la spada di Dorel ferì molte volte, soprattutto al muso, nel tentativo di spezzare il corno.

Van osservava immobile lo scontro, sorpreso dal contraddittorio comportamento di Crystal e dal discorso che aveva fatto con il Potere Oscuro.

- Il catalizzatore! Se solo avessi il catalizzatore! Potrei riportare qui Hitomi, e lei saprebbe cosa fare.

- Hitomi, se soltanto tu lo potessi aiutarlo…- si disse Van, quando un’idea gli venne in mente.

- Crystal!- gridò Van, alzandosi lentamente in piedi – Tieni!

Van le lanciò la massa di metallo con la pietra grigia, che atterrò accanto a Crystal.

- Cos’è?- chiese Crystal.

- Ciò che resta di quello che tu chiami catalizzatore.

Crystal abbassò il muso su di esso e lo sfiorò con il corno.

Quando il corno toccò la pietra grigia una luce immensa si sprigionò da esso e li avvolse.

- Co… Cosa sta succedendo?- disse Van, sbalordito dall’accaduto.

Crystal rialzò orgogliosamente la testa e guardò Dorel poi spiccò il volo e si diresse verso il sole.

- Ora la vedrai. Io sono la speranza, e non mi arrenderò mai. Io salverò sia Van che Dorel, lo giuro- gridò Crystal, poi scese in picchiata ed atterrò con grazia di fronte a Dorel.

- A noi due, Potere Oscuro. Questa volta sarà un vero addio, e ti assicuro che sarà per sempre.

Il corno s’illuminò immediatamente di luce azzurra, mentre particelle brillanti cominciavano a balenare intorno al corpo di Dorel.

- Se mi ucciderai non saprai mai chi sei in realtà.

- Non lo voglio sapere da te. Cercherò la verità da sola, come stavo già facendo prima.

Crystal alzò il corno e le particelle, come per eseguire un ordine, si avvilupparono attorno a Dorel.

- Te ne pentirai amaramente!- disse il Potere Oscuro, cavando da uno stivale un pugnale e lanciandolo verso Van, che venne colpito vicino al cuore.

Una luce azzurra avvolse il ragazzino e brillò. Vi fu un’enorme esplosione. Il ragazzino cadde a terra svenuto, mentre Crystal si gettava su Van, preoccupata per lui.

Constatò immediatamente che non sarebbe potuto sopravvivere ancora per molto con quella ferita se non fosse intervenuta immediatamente.

Un’idea le apparì immediatamente nella mente, anche se le faceva molto male doverlo fare.

- Devo farlo. Devo salvare lui. Non importa. Non importa se perderò la vita, ma lui deve salvarsi. Devo farlo per Hitomi e soprattutto per sua figlia Karen. Ora che è finalmente distrutto il Potere Oscuro, non c’è bisogno di me- disse Crystal, avvicinandosi alla parete rocciosa.

- Addio- disse, portando il capo di lato e colpendo violentemente la parete più e più volte.

Il corno si spezzò al quinto tentativo. Crystal lo prese in bocca per l’estremità più larga e lo portò da Van, che stava gridando dal dolore.

- Non si preoccupi, Maestà. Presto starete meglio- disse Crystal, versando sul re la polvere dorata che il suo corno conteneva. Tra la polvere cadde su Van anche il metallo fuso. Appena questo toccò Van, il ciondolo emise una luce bianca accecante e, quando essa si diradò, mostrò, oltre alla scomparsa della ferita di Van, anche il ciondolo del Potere d’Atlantide, brillante e intatto, come quando Hitomi era giunta su Gaea.

- E’ incredibile! Il Potere d’Atlantide, il Potere dei desideri … è rinato grazie a me! Ma … ma come è possibile?- si disse Crystal guardando estasiata il ciondolo. Poi si mise a riflettere su cosa poteva essere accaduto, non riflettendo sul fatto che non lei stava morendo, ma solo diventando un’immagine tremula, che mutava lentamente in qualcosa di diverso.

Ad un tratto abbassò lo sguardo verso i suoi zoccoli anteriori, e vide che stavano diventando trasparenti, mostrando in sé dita umane.

- Dita umane? Ma com’è possibile? Io … io sono … umana? Sono una persona? Ma io … io ricordo di essere stata creata da Hitomi, di essere sempre stata un unicorno alato. Possibile … possibile che sia stata tutta un’illusione?

Van cominciò a fare strani rumori, segno che si stava svegliando.

Crystal, d’istinto, afferrò il ciondolo del Potere d’Atlantide e scappò in fretta verso il bosco, lasciando i due sull’erba, ma prima di sparire, proprio sul limitare del bosco, si voltò, e, tanto improvviso quanto involontariamente, le sfuggì una lacrima. Si asciugò distrattamente la lacrima e guardò per l’ultima volta il re di Fanelia.

- Com’è bello! Se non fosse il marito di colei che mi ha creato, potrei anche farci un pensierino.

Poi scomparve tra la fitta boscaglia.

Durante la sua lunga corsa, Crystal, ormai completamente in forma umana, si addentrò sempre di più nel bosco, sino a quando non si perse completamente. Innervosita dalla situazione cominciò a correre alla cieca, perdendo sempre di più il senso dell’orientamento. Nella corsa cieca non s’accorse che sulla sua strada c’era un albero con grandi radici sporgenti, così inciampò e cadde pesantemente a terra, battendo violentemente la testa su un masso che si trovava parzialmente sotto la radice.

Crystal rimase svenuta per molte ore, sino a quando si svegliò di soprassalto, a notte inoltrata.

- Mmm… che dolore alla testa!- disse lei, stropicciandosi gli occhi e sfiorando il profondo taglio che si era fatta in fronte.

Si guardò intorno, incuriosita.

- Ma …dove sono? Che cos’è successo? – si disse Crystal ad alta voce – Devo chiamare aiuto. Non è normale per una ragazza stare da sola a notte fonda in un bosco. Potrebbero esserci in giro dei malintenzionati, dei briganti e chissà quante varietà di bestie feroci. Devo assolutamente tornare il più in fretta possibile a casa mia. Ma quale casa? E a chi potrei chiamare in aiuto se fossi nei guai? Teoricamente dovrei chiamare mio padre oppure mio marito. Dovrei chiamare o …. o …. oppure… oppure chi? Chi sarebbero mio padre, mio fratello e mio marito?E soprattutto, chi sono io? Come mi chiamo? Dove vivo? Non ricordo. Non ricordo più nulla del mio passato. Solo … solo un’esplosione. Una gran esplosione. Un’esplosione di che cosa però? Non riesco … Non riesco a ricordare.

Crystal si alzò in piedi e s’incamminò verso la foresta, alla ricerca di un luogo in cui passare la notte.

Capitolo 9

Van era a letto, nella sua stanza. Era il giorno dopo l’attacco di Dorel, che ora giaceva in una stanza degli ospiti.

- Come?! E’ peggiorata?! No, non è possibile! Era solo un banale raffredore! Millerna, mi hai detto che era solo un banale raffreddore, ed ora parli di un improvviso aggravamento? Ma quanto grave?- disse Van, sconvolto dalla notizia che la figlia stava molto male.

- Sta molto, molto male. Chiama la madre ogni momento. Van, Karen sta morendo di dolore a causa della perdita della madre. Forse, non riesce ad accettare il fatto che l’abbia persa un’altra volta.

- Eppure, da piccola, l’aveva presa meglio.

- Van, credo che questa volta creda che la madre sia morta a causa sua. Lei si è offerta di sua spontanea volontà al nemico per di salvarci, e Karen deve averne risentito più di noi. Ed ora, la principessa si sta spegnendo a causa di un banalissimo raffreddore.

- Si salverà?

- Non lo so, Van. Non lo so proprio.

- Chiamerò i migliori medici di Gaea, pur di salvarla- disse Van con aria determinata, uscendo dalla stanza per recarsi al capezzale della figlia.

- Van! Van! Ho delle nuove notizie! - disse Merle, precipitandosi dal re sulla neve fresca.

Erano passati cinque mesi dal giorno in cui Karen era peggiorata all’improvviso, ed ormai le speranze che si salvasse erano ridotte quasi allo zero.

Van aveva convocato tutti i migliori medici di Gaea al capezzale della figlia, ma nessuno dei tanti era riuscito a farla migliorare.

- Dimmi Merle. Spero che siano buone- disse Van, con un debole sorriso tirato a fatica in viso.

Da quando Hitomi era morta, aveva perso peso, ma dopo l’aggravamento di Karen aveva quasi smesso di mangiare, ed ora era smunto e emaciato, con un po’ di barba incolta.

- Mi è giunta all’orecchio la voce che nella foresta ci sia una misteriosa guaritrice. Dicono tutti i contadini che è davvero molto brava. Perché non convocarla a palazzo? Forse lei riuscirà a fare qualcosa per la principessina- disse Merle, molto eccitata dalla notizia che portava.

- Karen avrebbe soltanto bisogno della presenza di sua madre. Comunque, hai ragione. Tanto, tentar non nuoce- disse Van – Andrò a parlarle di persona, per convincerla. Merle, per caso ti hanno detto anche in quale zona della foresta abita, questa guaritrice?

- Nel folto della foresta. Non sanno che questo, a parte il fatto che la sua abitazione sia una vecchia casa abbandonata.

- Posso capire che abiti nel folto della foresta, lontana da occhi indiscreti, ma perché in una casa abbandonata? Come mai vive in un posto del genere? Dovrebbe avere abbastanza soldi per vivere in modo più decente, se è molto conosciuta ed apprezzata dai contadini.

- Lei non vuole compenso. Cura gratis. Se poi la gente vuole, le può offrire del cibo, ma non accetta denaro.

- Capisco. Fammi immediatamente sellare il cavallo. Ci vado immediatamente. Sarò di ritorno per stasera.

- Vado, Van – disse Merle.

Dopo un paio d’ore di viaggio tra gli alberi, Van riuscì a trovare la casa in cui abitava la misteriosa guaritrice.

Bussò alla porta marcia e sgangherata e, pochi secondi dopo, alla porta si affacciò una giovane donna.

Il viso era coperto d’impacchi ed unguenti curativi, i suoi capelli erano lunghi, di uno splendido nero corvino e gli occhi, di un blu profondissimo, lo scrutavano attenti e vivi.

- Siete voi la celebre guaritrice di cui parlano molti contadini?- disse Van, quasi intimidito da lei.

- Sì, sono io- disse lei, sorridendo dolcemente per metterlo a suo agio- Entri pure. Lì fuori si gela.

Van entrò nel tugurio, a cui mancava la maggior parte del tetto. La donna lo fece accomodare in una zona divisa da quella senza tetto da una parete di foglie e fili d’erba. In un angolo c’era un giaciglio fatto solo di foglie secche, mentre, sul caminetto, qualcosa bolliva in una rudimentale ciotola di metallo, emanando un odore pungente.

- Vuole dell’infuso d’ortica e miele? E’ buono, nonostante l’odore non molto comune, e caldo. Con questo freddo, è un ottimo modo per riscaldarsi- disse la donna, sorridendo.

- Grazie. Troppo gentile da parte vostra.

Dopo aver messo in due ciotole di legno levigato l’infuso, ne porse una a Van e lo invitò a sedersi accanto a lei sul giaciglio di foglie secche.

Dopo aver sorseggiato l’infuso, la donna disse:

- Allora, mi dica pure, signore. Chi devo curare?

- Mi dia del tu. Chiamami pure Van. Dovreste curare mia figlia Karen.

- Capisco, ma dia anche a me del tu. Cos’ha?

- Ha preso un raffreddore, qualche mese fa, ma è peggiorata all’improvviso, e da allora non è migliorata. Sta sempre peggio.

- Va bene. La verrò a visitare quando vorrete. Dove abitate?

- Non sai chi sono?

- Certo. Sei un uomo che si chiama Van. E con ciò?

- Sono il re Van, il sovrano di Fanelia.

- Il re? Tu sei il re di Fanelia?- chiese stupita la donna.

- Sì.

La donna scoppiò a ridere. Si rotolò sulle foglie secche, tenendosi il ventre dalle risate, poi disse, tra le copiose lacrime:

- Mi scusi, ma non l’avevo proprio riconosciuta, Maestà. E la cosa mi sembra molto comica.

Van la guardò da capo a piedi. Era a piedi nudi, con parecchi impacchi e unguenti sul corpo, denutrito, ed indossava un sacco di yuta come abito, che le arrivava molto sopra il ginocchio, lasciando ben poco all’immaginazione.

- Che cosa c’è? Ti faccio schifo per caso?- sbottò lei, con tono infastidito, tornando repentinamente seria.

- No.

- Allora perché mi guardate con quell’espressione in volto?

- Mi sorprende vedere una donna come voi qui, da sola nella foresta, con certi abiti addosso e tutte quelle cicatrici sul corpo.

- Non è colpa mia se la vita mi ha riservato questa situazione- disse lei molto sgarbatamente.

- Ti chiedo umilmente scusa. Non volevo essere indelicato- disse Van, rendendosi conto d’averla punta sul vivo, oltre che offesa- Venite ora con me a palazzo. Vi ospiterò io fino a quando vorrete. Nella foresta fa molto freddo e l’inverno è ancora lungo.

- Accetto, ma solo per il periodo in cui curerò vostra figlia. Non posso approfittare della vostra immensa gentilezza.

- Per favore, prenda le sue cose e venga con me. Il mio cavallo dovrebbe riuscire a portarci tutti e due mantenendo un buon passo. Ma, prima di tutto, ricominciamo a darci del tu, ti prego. Questo voi lo sento sin troppo a palazzo.

- Per me va bene, ma prima voglio mettere in chiaro una cosa. Van, non prendertela per le mie maniere, ma non sono abituata a vivere in un palazzo reale.

- Non preoccuparti. Basta dare del voi a tutti e si è già a cavallo. Poi, non siamo molto rigidi a palazzo.

La donna sorrise, poi s’inginocchiò in un angolo della stanza ed estrasse dei mattoni dal muro. Van vide che tirava fuori dal muro tutte le sue erbe medicamentose e le infilava nella sua borsa di steli d’erba intrecciati, poi prendeva con se le ciotole di legno e quella di metallo.

Van la guardò e disse:

- Guarda che ci sono a palazzo quelle cose.

- Questo è tutto ciò che possiedo. Non voglio che qualcuno me le rubi durante la mia assenza.

Quando furono fuori, Van la guardò attentamente camminare verso il cavallo e, vedendola rabbrividire violentemente, si rese conto di quanto quell’abito fosse troppo inadatto per quella stagione.

Nonostante fosse infreddolita, salì con molta agilità in sella al cavallo del re, come se fosse abituata a salire a cavallo davanti a qualcuno.

La donna, nonostante stesse rigidamente eretta sulla groppa del cavallo e cercasse di non mostrare quanto fosse infreddolita, rabbrividiva violentemente.

Van, preoccupato per i primi segni di congelamento che mostrava la donna, fece rallentare l’andatura del cavallo, si sfilò in mantello di pesante pelo d’ermellino e glielo mise addosso, poi, con una mano, la attrasse a sé e le fece cenno che poteva stringersi a lui per riscaldarsi, se lo desiderava.

La donna non se lo fece ripetere due volte, si strinse di più nel mantello, si accoccolò teneramente sul corpo di Van, e, in pochi istanti, s’addormentò profondamente, cullata dal passo regolare del destriero.

Quando Merle vide tornare Van con quella donna rannicchiata tra le sue braccia, rimase di stucco. Non provava astio per quella donna, sapeva che lei era l’ultima possibilità per Karen, ma non accettava che lei, una sconosciuta, dormisse così stretta a Van. La gelosia che aveva provato nei primi tempi per Hitomi, riaffiorò verso quella donna.

Pochi secondi dopo uno stalliere prese le redini del cavallo e l’accompagnò nella stalla, con Van e la sconosciuta ancora in groppa.

Merle lo seguì e disse con tono freddo e distaccato:

- E’ lei la guaritrice?

- Sì Merle.

- Non la conoscevate prima, giusto?

- Certo Merle, ma perché mi fai certe domande?

- Curiosità. Ma mi domando come mai indossi il vostro mantello e perchè sia in atteggiamento così intimo, con voi.

- Merle, non puoi vedere come va in giro con questo freddo.

- Cosa intende dire con queste parole.

- Ha addosso solo un sacco di yuta. Stava congelando, così ho tentato di riscaldarla. Tutto qui.

Merle arrossì violentemente, ma ancora non ne era del tutto convinta.

- Comunque, per il buon nome della famiglia, non dovreste viaggiare così presto in atteggiamento intimo con quella donna.

- Merle, smettila di fare la sciocca. E’ un’inutile scenata di gelosia, la tua. Io amerò per sempre Hitomi, e nessun’altra donna potrà mai prendere il suo posto nel mio cuore.

Van, dopo queste parole, guardò la donna che, in un atteggiamento molto infantile, stringeva un lembo della sua maglia. Nonostante i vari unguenti che le coprivano il volto, il suo viso aveva un’espressione così angelica e serena che non se la sentì di svegliarla per farla scendere, così, di fronte ad una Merle sempre più furiosa, la prese tra le braccia e scese da cavallo con il massimo della delicatezza. Poi la portò in una stanza per gli ospiti e la mise a letto, non degnando neanche di uno sguardo i molti cortigiani che, lungo i lunghi corridoi, stupiti, voltavano lo sguardo verso di lui e la sconosciuta.

Van si accorse solo quando guardò meglio la stanza che l’aveva portata nella stanza in cui Hitomi aveva riposato dopo il loro ritorno sulla Terra.

Uscì sul balcone, si appoggiò sulla ringhiera in ferro battuto e guardò il cielo, in cui la Luna e la Luna dell’Illusione splendevano ed emanavano il loro alone perlaceo sulle campagne innevate.

- A Hitomi è sempre piaciuto molto questo tipo di paesaggio. Se lei ci fosse ancora, questi problemi con Karen non esisterebbero. Saremmo tutti felici, come lei aveva sempre desiderato - disse ad una tratto a alta voce.

- E’ un bellissimo nome. Hitomi voglio dire. E’ molto, molto bello- disse la donna, guardandolo dal letto.

Van si voltò e disse:

- Ti ho svegliata io?

- No. Non preoccuparti. Mi stavo godendo un altro po’ il calore delle coperte da sveglia.

- Capisco- disse Van con tono assente.

- Hitomi era il nome di tua moglie?- chiese la donna.

- Sì.

- E’ morta, non è vero?

- Sì, qualche mese fa. E’ stata lei a salvare Gaea dalla distruzione.

- Gaea ha rischiato la distruzione qualche mese fa?

- Sì. Da parte del folle Ismael, nel corpo di mia adorata moglie.

- Chi sarebbe questo Ismael di cui parli?

- Lei non sa chi stato Ismael?- disse Van molto sorpreso, andandosi a sedere accanto a lei sul letto.

- No, non so chi sia. Dovrei?

- Certo! Ha tentato di distruggere Gaea poco meno di sei anni fa, e ci ha riprovato neanche un anno fa. Tutti gli abitanti di Gaea, di qualsiasi età, conoscono la storia di ciò che accadde.

- Non mi stupisco di non sapere né chi sia né di quale folle piano di distruzione stai parlando.

- Come mai non lo sai?

- Io … io non conosco il mio passato.

- Cosa intendi dire?

- Ho perso la memoria. Quattro, forse cinque mesi fa, non ho tenuto il conto del tempo, ho battuto violentemente la testa. Mi svegliai nel bosco e non ricordo cosa accadde prima di quel momento. Dopo essermi svegliata, vagai per alcuni giorni nella foresta. Ho ricordi molto frammentari di quei giorni, non ricordo tutto ciò che accadde. Poi trovai la casa abbandonata e cominciai a fare la guaritrice. Sapevo parecchio sulle erbe medicamentose, non so come. Non ho mai accettato denaro perché non mi serviva, preferivo il cibo, non avendo io il coraggio d’uccidere gli animali del bosco. Così ora faccio guarire la povera gente con le mie erbe ed il mio ingrediente segreto dando loro la possibilità di non sacrificare troppe risorse, a differenza dei medici di professione.

- Un ingrediente segreto?

- Sì, un ingrediente che non posso svelare a nessuno.

- Allora non te lo chiedo. Come mai hai quelle bende sul volto?

- Un’esplosione.

- Cosa?

- E’ l’unico ricordo che ho della mia vita passata. Un’esplosione gigantesca. Credo che siano state le schegge dell’esplosione a ferirmi su tutto il corpo. Questi impacchi servono per evitare che rimangano le cicatrici.

- Come mai non ce ne sono molti sulle braccia e dalle altre parti del corpo?

- Quelle senza unguenti tra poco spariranno. Sono soltanto segni fatti con dell’ocra rossa. Sa, per far vedere ai contadini che faccio delle magie.

- Non fai magie, allora?

- Una specie di rito scaramantico con l’ingrediente segreto, ma io curo con le erbe e metodi naturali.

- Hai fame?

- Non semplice fame, ho una fame da lupi.

- Allora esco e ti do il tempo di prepararvi. Ti aspetterò nella camera qui di fronte. Nell’armadio ci sono un po’ di vestiti che sono appartenuti a Hitomi. Cambiati e rinfrescati con calma.

- Sei sicuro che possa indossare quegli abiti?

- Certo. Mia moglie ne sarebbe stata felice.

- Ti ringrazio Van.

Van uscì dalla stanza ed andò nella camera di fronte, la camera da letto che era stata sua e di Hitomi, dove lui non dormiva più, ma conservava invariata come una reliquia. Come faceva sempre dopo, aver chiuso la porta, guardò con le lacrime agli occhi il letto matrimoniale e lo specchio davanti il quale Hitomi era stata violata mesi addietro.

Van si tolse la maglia e, a torso nudo, si gettò pesantemente sul letto, addormentandosi di botto mentre stava piangendo.

Qualche tempo dopo, Van fu svegliato dal tocco delicato di una mano sulla sua spalla.

- Van, svegliati- gli sussurrò una voce dolcissima all’orecchio.

- Ciao Hitomi – disse Van, voltandosi verso il viso che si trovava accanto al suo.

- No, non sono Hitomi. Io mi chiamo Isabelle. Non te l’avevo ancora detto- disse la guaritrice, che era entrata nella stanza e, avendo trovato il re addormentato, era salita sul letto e aveva deciso di svegliarlo con dolcezza.

Van aprì bene gli occhi e guardò il volto che aveva davanti. I profondi occhi blu lo fissavano, vivaci, mentre la lunga chioma corvina gli solleticava la schiena. Si alzò a sedere sul letto e guardò la guaritrice. Indossava una camicia gialla, con un gilet rosso scuro, e pantaloni di velluto blu.

- I vestiti di Hitomi ti stanno a pennello- disse Van, sorridendo e sedendosi sul letto.

- Grazie Van.

Van le sorrise dolcemente, e lei ricambiò il sorriso. Improvvisamente sentì una sensazione strana, ma non volle badarci.

- Guarda, quella è Hitomi – disse Van, indicandole un arazzo che si trovava su una parete.

Raffigurava la vittoria di Hitomi su Ismael.

Improvvisamente lei gridò, si mise le mani nei capelli e cadde sul pavimento, raggomitolandosi su se stessa.

- Cosa ti succede?- disse Van, alzandole il viso con due dita.

Isabelle era molto pallida ed un sudore freddo le imperlava la fronte, mentre ansimava pesantemente.

- Niente, niente, non preoccuparti.

- Sei sicura?

- Sì, ho avuto una fitta alla testa, ma ora sta passando.

Van la prese tra le braccia e la posò sul letto, poi aprì la finestra ed andò nel bagno, a bagnare un fazzoletto e metterglielo in fronte, per aiutarla a respirare meglio.

- Te la senti di scendere a fare cena?

- No, sono molto stanca. Potresti farmela portare qui?

- Farò di più. Cenerò con te stasera. Non è giusto che lasci da sola la mia ospite.

- Grazie infinite, Van - disse lei, accennando un sorriso.

Lui scese di sotto e prese per loro un pollo arrosto, patate al forno, una brocca d’acqua ed una vino, oltre a del pane.

Quando tornò nella stanza fu sorpreso dal fatto di non trovare più Isabelle nella stanza, ma pensò che fosse andata in camera sua per evitare di sporcare una stanza così importante per Van, così andò a bussare alla porta della sua stanza.

Non ricevendo risposta. Van entrò nella stanza, ma non la trovò neanche lì. Notò però che sul letto c’era una busta.

L’aprì e dentro trovò una lettera d’Isabelle.

"Van, mi dispiace essermene andata in questo modo, ma non potevo restare di più. Sento che c’è qualcosa nell’aria, e quella storia su tua moglie mi ha fatto capire una cosa: lei c’entra qualcosa con l’esplosione, me lo sento. Sono arrivata a queste considerazioni anche vedendo la sua immagine. Mi è familiare, sono sicura di aver conosciuto tua moglie, ed anche quell’Ismael non mi è nuovo. Sento di dover andare a cercare il mio passato. Forse, se riuscirò a scoprire cosa c’entro con Hitomi, potrò aiutare meglio anche tua figlia. Sono certa che resisterà sino al mio ritorno. E’ molto forte, ha ripreso da te sotto quest’aspetto. Se è riuscita a comunicare psichicamente con lei nonostante Ismael e gli altri l’avessero sommersa, deve essere davvero grande. Mi dispiace tanto essere stata scortese, ma è stato più forte di me. Non preoccuparti né per tua figlia né per me, tornerò presto.

Tua Isabelle

P.S. Scusami tanto, ma ho avuto bisogno di un cavallo e non potevo certo avvertirti. Ti prego di perdonare il mio gesto e non preoccuparti, te lo renderò al più presto."

- Ma come le è saltato in mente?! Non si rende conto che è pericoloso? Sì, è vero che Karen quel giorno si ribellò ma …- disse Van, bloccandosi all’improvviso- Come fa a sapere che Karen ha comunicato con Hitomi tramite la mente? Io non le ho mai parlato di poteri, né di Hitomi né tantomeno di Karen. Quella strana donna che ha perso la memoria quattro o cinque mesi fa m’incuriosisce. Ha perso la memoria proprio nel periodo in cui io fui attaccato da Dorel e Crystal mi salvò, spezzando il suo corno per curarmi. Il saggio che ho interpellato mi ha detto che per un unicorno la perdita del corno è la morte, ma quando mi svegliai il corpo di Crystal non c’era, e tantomeno è stato ritrovato. E se … e se fosse Crystal quella donna? In effetti i capelli e gli occhi sono dello stesso colore. E queste sensazioni … devo assolutamente trovare Isabelle. E devo fare in fretta- disse Van, correndo verso le scuderie.

Capitolo 10

Isabelle stava cavalcando ad istinto da circa un’ora quando giunse davanti ad una radura che dava su un isolato acrocoro illuminato dalla perlacea luce delle due Lune, privo di sentieri per salire sulla cima.

- Chissà perché sono qui? Io non ho mai visto questo luogo. O forse sì?- disse Isabelle, guardando la parete rocciosa.

Un tenue ballugginio tra la neve richiamò la sua attenzione. Scese da cavallo e si avvicinò al punto che brillava.

Tra la neve brillava un corno dalle splendide tonalità cangianti.

- Che strano. Non ricordo d’aver mai visto animali con un corno simile, eppure mi è familiare. Mi sembra … mi sembra di averlo già visto, tempo fa. L’esplosione! Questo corno è legato all’esplosione, così come questo luogo. Qui, ero qui il giorno in cui venni ferita dall’esplosione, eppure questo luogo non sembra essere stato soggetto ad un’esplosione. Eppure, è qui che l’esplosione mi ferì. Proprio in questo luogo.

La donna camminò sino alla parete, dove trovò segni di violenti colpi, ma non d’esplosione.

Una piccola porzione della parete era meno annerita del resto, come se qualcuno l’avesse colpita con una spada.

Toccò la ruvida superficie, e all’istante vide, vide una bambino e Van che combattevano, un cavallo dalla scura criniera con un corno uguale a quello che aveva raccolto e candide ali che lo proteggeva, le sue ferite che sanguinavano, poi l’esplosione di luce e Van, ferito a morte, che gemeva.

- Io non ci sono. Allora come mai quell’esplosione?- disse ad alta voce.

- Tu c’eri, eccome. Se non ci fossi stata tu a salvarmi la vita, quel giorno, Fanelia avrebbe perso il suo re, e mia figlia tutta ciò che restava della sua famiglia- disse una voce dietro di lei.

Isabelle si voltò e vide Van, sul suo cavallo, fermo al margine della radura.

- Sono stata io a fare ciò? Allora voi sapevate chi fossi appena mi avete vista? Ma nella visione che ho avuto non c’ero.

- Hai visto quell’unicorno alato?

- Sì.

- Eri tu.

- E’ impossibile!

- Puoi non credermi, ma quel corno è stato il tuo.

- Io ero davvero quell’essere?

- Sì.

- Ma come ho fatto a salvarvi?

- Le leggende dicono che il corno dell’unicorno è una medicina capace di guarire qualsiasi ferita.

- Io … io avrei spezzato il mio corno e sarei diventata così?

- Credo di sì. Ero incosciente quando tu rompesti il tuo corno per salvarti.

- Ma come mai sono così?

- Questo non lo so. So solo che un unicorno che perde il suo corno muore sempre. Forse le leggende intendono dire che muoiono come unicorni ma rinascono come persone.

- Forse. Ma cosa c’entro allora con tua moglie?

- Crystal, questo era il tuo nome, nacque da un desiderio di Hitomi, dal suo desiderio di pace per Gaea.

- Io allora sarei stata creata da Hitomi?

- Non so cosa risponderti- disse Van.

- Io allora … non sarei niente. Solo un desiderio, un desiderio di tua moglie. E se… se lei mi avesse creato? Se lei avesse creato me solo … solo per rimpiazzarla? Solo per salvare sua figlia? Io sono un essere senza passato, solo uno strumento nelle mani di un potere superiore, e questo non posso accettarlo. Io non posso accettare di essere solo un surrogato. Che tua moglie se la salvi da sola sua figlia, se ha questi straordinari poteri. Se lei dal mondo degli inferi ha potuto creare me, perché mai non può curare sua figlia o addirittura tornare in vita?- disse Isabelle, alzando il tono della voce sino ad urlare.

- Aspetta un momento Isabelle, non essere così precipitosa- disse Van, afferrandola per un polso.

- Cosa vuoi?- disse lei, liberandosi bruscamente dalla stretta.

- Voglio solo parlarti di Hitomi. Non era come credi.

- Non m’importa. Non m’importa un bel niente di lei. Mi ha usato, mi ha sempre usato. Sono stata una marionetta nelle sue mani, e questo non l’accetto. Mi dispiace per tua figlia, ma morirà. Anzi, dalle questo. La padrona ha dotato la marionetta di quest’oggetto magico. Forse potrà essere utile a tua figlia. Chissà, probabile che mi abbia usato per dare a tua figlia un oggetto che la salvi e non ha fatto in tempo a darle in vita- disse Isabelle, mettendo rudemente nelle mani di Van un ciondolo con una pietra rosa.

Van divenne bianco come uno straccio davanti a quel ciondolo ed afferrò con maggior forza il polso d’Isabelle.

- L’avevi con te quando hai perso la memoria?

- Sì.

- Ed è questo l’ingrediente segreto, vero?

- Sì. S’illumina quando desidero salvare qualcuno, e non ha mai fallito.

- Ricordi come è stato creato?

- No.

- Cerca di ricordare, per favore? Pensa a quando eri Crystal.

- Ci proverò- disse lei di malavoglia.

Chiuse gli occhi e si concentrò.

Davanti ai suoi occhi apparve Van, steso sull’erba e sanguinante, in parole povere in fin di vita. Poi vide se stessa, un unicorno alato con il corno spezzato, che portava il suo corno in bocca e ne versava il contenuto sulla ferita, una polverina dorata. Improvvisamente, tra la polverina, cadde anche un pezzo di metallo con una pietra grigia, che al tocco con Van emanava una luce accecante e si tramutava in quel ciondolo.

- L’ho visto. Ho visto come è nato- disse Isabelle con tono grave.

- Dimmi.

- Io avevo deciso di sacrificarmi per te ed ho spezzato il mio corno. Era al suo interno e non era così.

- Un pezzo di metallo con una pietre grigia, vero?

- Sì. Poi io ho versato il corno su di te e appena ti ha toccato, è diventato così.

- La promessa.

- Che promessa?

- Per favore, togliti gli unguenti dal volto.

- Come mai questa richiesta?

- Per favore, fallo e non fare domande.

- Va bene- disse lei, togliendosi gli unguenti.

Quando se li fu tolti tutti, Van si mise di fronte a lei e la guardò attentamente.

Nonostante i capelli corvini e gli occhi blu profondo, quei lineamenti erano uguali a quelli di Hitomi.

- Ti ha creata per mantenere la sua promessa- disse Van.

- Cosa intendi dire con questa promessa? E come fai ad esserne certa?

- Messe a confronto sembrereste due gocce d’acqua. E’ l’ultima promessa che mi ha fatto, la promessa che insieme avremmo fatto rinascere il Potere d’Atlantide. Attraverso te, ha voluto mantenere fede alla promessa. Ci ha donato di nuovo il Potere dei Desideri. Ora lei potrebbe rinascere, se soltanto trovassi qualcuno che possa usare il Potere d’Atlantide. Ma tu puoi farlo! Tu puoi riportare in vita la mia Hitomi.

- Far tornare in vita la regina? Ci proverò- disse Isabelle, stringendosi al petto il ciondolo e desiderando con tutte le proprie forze che la regina Hitomi Kanzaky tornasse in vita.

Il ciondolo non emise nessuna luminescenza.

- Non capisco, ha sempre funzionato. Perché ora non risponde alle stimolazioni che gli sto dando?

Van non rispose, troppo deluso dall’accaduto.

- Mi dispiace Van – disse Isabelle, sinceramente amareggiata per quest’inaspettato fallimento.

- Torniamo a palazzo- disse Van, con tono piatto.

Dopo la cena, consumata in un silenzio tombale tra i due, Isabelle e Van andarono nella stanza da letto di Van e Hitomi.

- Mi dispiace molto Van – disse nuovamente Isabelle.

- Non preoccuparti per me. Si vede che non era destino che io e Hitomi tornassimo insieme.

- Tua figlia morirà per questo mio insuccesso. Te ne rendi conto?

- Sì.

- E non dici niente contro?- gridò Isabelle- Non cerchi neanche di ribellarti? Tu non sei Van. Lui era coraggioso e non si arrendeva mai. Non sembri neanche la sua ombra.

- Smettila Isabelle.

- No, non la smetto. Per Hitomi, non la smetto.

- Non azzardarti a dire il suo nome invano.

- Invece lo ripeto. Lei non si è mai tirata indietro davanti alle difficoltà e non ti avrebbe permesso di farlo ora.

Van si avventò su di lei, dandole un pugno e sbattendola contro un muro.

Isabelle sbattè violentemente la testa contro il muro, ma non stette ferma.

Gli diede una ginocchiata e si liberò di Van. Lui immediatamente le fu addosso, atterrandola e sedendosi sul suo stomaco. Isabelle tentò di divincolarsi, scalciando e tirando cazzotti ma Van era troppo pesante per lei e la stava schiaffeggiando violentemente.

Lo guardava con occhi di fuoco ma allo stesso tempo freddi, la stessa espressione di Hitomi quando era Demonia.

Van rimase colpito da quello sguardo e, calmatosi un po’, si tolse di mezzo.

Isabelle, ancora carica d’astio, gli diede un pugno in un occhio, poi si diresse verso lo specchio.

Isabelle perdeva sangue da un labbro, che si andava gonfiando molto velocemente, mentre Van aveva un occhio nero, oltre ai vari ematomi che aveva entrambi su tutto il corpo.

- Scusami tanto, Isabelle. Non capisco che cosa mi sia preso. Ti prego di perdonare il mio errore.

Lei non rispose, così Van andò verso di lei, e vide la sua immagine riflessa nello specchio.

Il cuore di Van gli fece un salto nel petto, vedendola: Isabelle era davanti allo specchio, senza gli unguenti sul viso, mostrando la pelle liscia e senza segni di cicatrici, ma non era questo che aveva colpito Van, bensì il riflesso che c’era nello specchio.

Davanti a lei non c’era la sua immagine riflessa, ma Hitomi, con il labbro gonfio e sanguinante ed i suoi occhi verdi bagnati dalle lacrime, così come Isabelle, che non riusciva a credere ai suoi occhi.

- Tu … Tu ….- disse Van, mentre lacrime scivolavano sul suo viso.

Isabelle ad un tratto s’illuminò ed estrasse dalla camicia una catenina con il ciondolo e sorrise.

Prese il ciondolo con la mano sinistra, mentre con la destra si asciugò le lacrime e toccò la liscia superficie dello specchio.

Una luce uscì dallo specchio e la colpì in pieno, avvolgendola completamente.

Quando la luce scomparve, Van vide che non c’era Isabelle di fronte allo specchio, ma Hitomi, la sua Hitomi, che sorrideva e piangeva di gioia guardando la sua immagine riflessa nello specchio.

- Ora ricordo, e so tutto ciò che è accaduto. Aveva ragione Dorel. Io non sono Crystal l’unicorno alato, la personificazione della speranza, e neanche Isabelle, la misteriosa guaritrice della foresta. Io sono … io sono Hitomi Kanzaky, regina di Fanelia, veggente della Luna dell’Illusione, salvatrice di Gaea. E oggi, finalmente, ho mantenuto la promessa fatta quel triste giorno: sono tornata dalla mia famiglia, inoltre il Potere d’Atlantide è finalmente rinato nel pieno del suo splendore con l’amore tra noi, anche se questo labbro è tutto fuorché un segno d’amore. Ce l’ho fatta, Van, come puoi notare con i tuoi stessi occhi. E a proposito d’occhi, con quell’occhio nero mi sembri un panda! – disse Hitomi, voltandosi verso di lui, ridendo.

Capitolo 11

Van, ancora scioccato, si avvicinò a lei e le sfiorò la guancia, come se non riuscisse a credere che davanti ai suoi occhi c’era Hitomi.

Accertatosi che fosse reale, non resistette più e la strinse così forte a sé da farle mancare il fiato.

- Sei tu! Sei proprio tu! Non posso crederci! Dammi un pizzicotto, perché non ci credo!

Hitomi, invece che dargli un pizzicotto, lo baciò appassionatamente e disse:

- Visto che ce l’ho fatta? Te l’avevo promesso, ed ogni promessa va mantenuta. Era mio dovere tornare da voi.

Van la strinse ancora di più a sé, piangendo sulla sua spalla, mentre Hitomi gli accarezzava dolcemente i capelli corvini.

- Mi dispiace!

- Di cosa?

- Della zuffa. Non ero in me. Ti ho fatto male?

- Non preoccuparti Van, mi sono difesa. Vieni a chiederlo me se mi sono fatta male? Io ne ho passate tante!

Van guardò, con gli occhi color ebano pieni di lacrime, il volto rigato di lacrime di Hitomi e il sangue raggrumato sul labbro. In quel momento quella era la visione più bella della sua vita.

- Non ci credi ancora?- disse Hitomi.

- No.

- Devi crederci, re di Fanelia – disse Hitomi, stringendosi ancora di più a lui.

Van si gettò a terra, con Hitomi tra le braccia, e cominciò a ruzzolare, come fosse un bambino con la sua bambola.

Lentamente Hitomi si liberò del suo abbraccio e disse:

- C’è qualcun altro che ha bisogno di me, Van. Devo andare da lei. Devo almeno rivederla.

Van la guardò, con gli occhi ancora lucidi, e le prese la mano, dicendo:

- Insieme. Andremo insieme da Karen, ma prima, lascia che mandi via tutta la gente dal corridoio. Domattina faremo una sorpresa a tutti, quando scenderemo per la colazione.

Hitomi sorrise e lo baciò di nuovo.

- Van, ti spiegherò tutto più tardi, ma prima devo dirti una cosa- disse lei, prima che lui uscisse.

- Dimmi.

- Ti amo- disse lei, ridendo.

Van la guardò e disse:

- Io di più.

Si diresse verso la porta ed uscì, mentre Hitomi si sedette sul letto, guardando di nuovo la sua stanza.

- Sarà per sempre, questa volta- disse piano.

Van tornò pochi istanti dopo, corse verso l’armadio e, prendendo un mantello, la chiamò.

Hitomi si voltò e Van, giocosamente, le lanciò addosso il mantello e si avventò su di lei.

I due caddero a terra, rotolando e ridendo allegramente, poi, dopo un altro bacio appassionato, Hitomi si alzò in piedi e s’infilò il mantello.

- Non sarò un po’ troppo appariscente con questo mantello?- chiese lei.

- Non preoccuparti. E’ solo una precauzione estrema. Ho fatto sgomberare il corridoio.

I due uscirono di soppiatto dalla stanza e, velocemente, s’introdussero nella stanza di Karen.

La bambina giaceva sul letto, febbricitante. Respirava a fatica, delirava ed era in preda a tremendi spasmi.

Hitomi non riuscì a trattenere le lacrime nel vederla in quelle terribili condizioni, e si strinse a Van.

Ad un tratto la bambina cominciò a gridare il nome della madre.

- Vai Hitomi. Soltanto tu puoi aiutarla riprendersi- disse Van, accennandole con il capo al letto della bambina.

Hitomi si sciolse dal tenero abbraccio del marito e, dopo essersi asciugata il viso dalle lacrime con un rapido gesto, si avvicinò alla figlia, la prese per mano e le sussurrò all’orecchio:

- Karen, mi senti? Sono io, sono la tua mamma. Sono tornata a casa da te e da papà. Ti prego, Karen, dammi un segno che puoi sentirmi, fammi capire che hai capito ciò che ho detto.

La bambina non diede segno d’averla sentita.

- Karen, ti prego, rispondimi. Sono io, Hitomi, la tua mamma. Dammi un segno, per favore- disse Hitomi, bagnando di lacrime la mano della bambina.

La bambina mugolò un po’, poi, molto lentamente, aprì gli occhi.

Hitomi immediatamente le fece cenno di stare zitta, poi sorrise e la prese tra le sue braccia, stringendola forte a sé, mentre copiose lacrime bagnavano la camicia di Hitomi.

- Mamma, sei tornata!- singhiozzò piano la bambina, stringendosi ancor di più alla madre.

- Sì, sono tornata.

- Mi sei mancata tanto!

- Non immagini quanto mi siate mancate tutti voi- disse di rimando Hitomi.

- Pensavamo che tu fossi … fossi …

- Diciamo che ci sono andata vicina. Ti spiegherò tutto appena potrò.

- Mamma, che giorno è oggi?

- Oggi? Oggi è il 6 dicembre.

La bambina si strinse ancor più alla madre e disse:

- Allora, tanti auguri mamma.

- Ha ragione! Oggi è il tuo compleanno- disse Van, avvicinandosi alle persone più importanti della sua vita.

- Ottimo giorno per una rinascita, vero?- disse Karen, sorridendo.

Hitomi passò una mano tra i capelli di Karen, e si accorse che la febbre era scesa parecchio grazie soltanto alla sua presenza.

- Ti senti meglio, piccola mia?- disse Hitomi.

- Sì mamma, sto già molto meglio. Ma cosa ti è successo al labbro? Ti sei fatta male? E papà? Perché ha un occhio nero?

Van e Hitomi scoppiarono a ridere, poi Hitomi disse:

- Diciamo che abbiamo avuto un’animata discussione.

- Molto animata, direi- disse Karen, scoppiando anche lei a ridere.

- Che ne dici se stasera io e papà stiamo un po’ con te?

- Sarebbe fantastico.

- Che ne dici Van?

- Sono perfettamente d’accordo.

I due reali si sedettero sul bordo del letto, e chiacchierarono con la piccola Karen sino a quando quest’ultima, molto stanca ed emozionata per il ritorno della madre, si addormentò.

Dopo che la bambina si fu addormentata, Van e Hitomi presero una coperta dall’armadio, si stesero su di un tappeto, si coprirono con essa e si misero a chiacchierare.

- Hitomi, volevo chiederti …

- Sì.

- Volevo chiederti se potresti spiegarmi cos’è successo da quel giorno, quando ci hai mandato sulla Luna dell’Illusione.

- Certamente, ma è una storia molto lunga e complicata.

- Abbiamo tutto il resto della notte.

- Bene, comincerò dal principio. Quando distrussero il ciondolo, mi accorsi che in me era rimasto qualcosa di quel potere, così, pur di salvarvi, gli ho offerto di usare me come mezzo, scoprendo che nel ciondolo del Potere Oscuro albergava il resto. Fortunatamente io riuscivo a tenerli lontani dai miei pensieri e credere loro di aver distrutto Gaea, ma non sapevo quando avrei retto. Poi, un giorno, Ismael riuscì a trovare un modo per tornare in vita grazie ad un rituale tribale. Preferisco non parlare di ciò che accadde quella sera, cerca di capirmi- disse Hitomi, scossa da violenti tremiti.

Van l’attrasse a sé e l’abbracciò. Hitomi affondò il volto nella maglia di Van, trovando conforto nel calore del suo amore.

- Non preoccuparti, capisco perfettamente. Me l’ha mostrato per piegarmi, e anch’io preferisco non parlarne.

- Ti racconterò cosa ho fatto. Dopo che lui uscì da quella porta, ero ormai morta, quasi senza vita. Mi apparve Folken, in quel momento, che mi disse che potevo convogliare la poca forza che mi era rimasta per diventare una pura essenza e creare una nuova me stessa. Grazie a Folken e quel poco potere, creai Isabelle, una nuova me stessa con alcuni tratti somatici differenti dai miei, per proteggerla, capisci? Purtroppo Ismael lo scoprì e mi attaccò. Rischiai di morire, ma in quel momento si risvegliò Crystal, una mia invenzione quando ero una bambina. Divenni lei e mi ripromisi di proteggere Gaea, ma venni subito catturata ed Ismael tentò di assorbirmi completamente. Per fortuna non attaccò più Gaea, ma andò sulla Terra, e lì sai come andarono le cose.

- Già, ci salvasti la vita.

- Diciamo che infinocchiai Ismael e lo uccisi. Peccato che fece il madornale errore di non mandarvi via prima di rompere il ciondolo. Ismael non trovò molta opposizione in suo figlio, scatenando in lui anche odio verso di noi ma controllandolo come un burattino. Io non ricordavo cosa era accaduto perché, prima che voi arrivaste, mi ero creata dei ricordi frammentari e fittizi, nel caso Ismael mi avesse assorbito nella mia interezza.

- Giusta mossa.

- Vi riportai su Gaea, poi rimasi sulla Terra, da Yama. Parlammo spesso e parecchio su Gaea. Io non volevo tornare, perché nel vedervi tutti insieme qualcosa riaffiorava, ma mi dava dolore. Poi, un giorno, sentii che eri in pericolo e decisi di tornare su Gaea. Il resto ti è noto: ti protessi, decisi di sacrificare la mia vita di unicorno volante e tornai Isabelle, poi inciampai in una radice, cominciai a fare la guaritrice ed ora sono di nuovo a casa, distesa su un tappeto, tra le braccia di mio marito e al fianco di mia figlia.

- Non sai quanta gioia provo nel riaverti di nuovo al mio fianco- disse Van, stringendola sempre di più a sé (N.d.A: rischio di stritolamento, ormai, per Hitomi. Se continua così avremo la carne tritata).

- Van, che ne è stato di Dorel?

- E’ qui a palazzo. Sta bene, ma non ricorda niente di quando era sotto il controllo di suo padre.

- Per fortuna. Non se lo perdonerebbe mai.

Si addormentarono così, stretti l’uno all’altra.

Il mattino seguente Van fu svegliato dalla luce del sole appena sorto che gli illuminava il viso. Schermì il sole con una mano. Neanche il minimo dolore alle ossa, nonostante avesse dormito sul pavimento.

Guardò al suo fianco e sorrise dolcemente nel vedere Hitomi che dormiva profondamente, con la testa appoggiata sul suo petto.

- Ehi dormigliona! Dobbiamo andare a farci belli- disse Van, scompigliandogli dolcemente la capigliatura.

Hitomi lo guardò per un attimo con aria insonnolita, poi sbadigliò e disse:

- Non dormivo così bene da tanto, tanto tempo.

- Ed io non dormivo con una donna da quasi cinque mesi.

Hitomi lo guardò con un’aria tra il furioso e l’incuriosito.

- Ma che hai capito! Ho dormito con Karen, prima che peggiorasse!

Hitomi avvampò a quelle parole, poi si alzò e si gettò a peso morto su Van, baciandolo appassionatamente.

- Buongiorno papà! Buongiorno mamma! Vedo che stamattina siete entrambi di ottimo umore, ma vi conviene andare in camera- disse Karen, scendendo dal letto con un balzo.

Van e Hitomi risero, poi si alzarono in piedi e, di soppiatto, s’infilarono in camera loro, uscendo poco meno di tre ore e mezz’ora dopo, pronti per la sorpresa e molto più allegri di prima (NdA: chi vuol capir, capisca). Hitomi, visto che avevano avuto molto tempo, si era fatta tagliare i capelli da Van, di modo che tutti potessero riconoscerla, anche se non ce n’era nessun bisogno perché l’avrebbero certamente riconosciuta anche con i capelli lunghi.

Merle e Lyo erano seduti alla lunga tavola, a chiacchierare.

- Sono preoccupata per Van. Se Karen dovesse morire, sono certa che non reggerebbe il colpo. Poi quella guaritrice … non si è neanche degnata di visitare la principessa, ieri sera, nonostante Van le avesse spiegato perfettamente quanto fosse urgente il suo intervento.

- Ce l’hai ancora con lei, vero?

- Sì, ce l’ho con lei. Insomma, Hitomi è morta da circa un anno, ma non per questo Van dovrebbe fare il dongiovanni con lei.

- Ma non stava facendo il dongiovanni, Merle. La stava solo riscaldando. Avresti preferito che congelasse?

- Sì.

- Non fare così, Merle. Sai perfettamente che quella guaritrice è l’ultima speranza di Karen.

- Non per questo può prendersi queste libertà.

- Sembri gelosa.

- Non lo nascondo, sono molto gelosa. Come lo ero quando conobbi Hitomi. Sono furiosa.

- Capisco- disse Lyo con falsa indifferenza.

- Non fare così. Sai che considero Van come un fratello. Non devi essere geloso di lui.

- Allora tu non devi essere gelosa della guaritrice!

- Lyo, senti …- disse Merle, ma si bloccò non appena vide Karen correrle incontro ed abbracciarla.

- Zia Merle!- esclamò la bambina, lanciandosi tra le braccia della gatta.

- Karen! Ma … ma tu stai bene!- disse Merle, al colmo della felicità.

- Sì. Tutto merito della guaritrice.

- Che sia lodata quella donna!- disse Merle.

- Sta per arrivare- disse Karen, scendendo dal grembo della gatta e correndo verso il lato sinistro della porta.

Van giunse alla porta pochi secondi dopo e si mise sul lato destro della porta, poi disse:

- Merle, Lyo, voltatevi un attimo.

I due si voltarono, poi Van annunciò.

- Voglio presentarvi la guaritrice della foresta ed unicorno alato, colei che ha salvato la vita di mia figlia.

Van tese la mano verso di lei e Hitomi entrò. Indossava un abito azzurro cielo, molto semplice.

Van disse a Merle e Lyo:

- Voglio annunciarvi che d’ora in poi questa donna vivrà con noi a palazzo e dormirà con me.

In quel momento Merle esplose e si voltò, rossa in volto.

- Cos….- disse Merle, prima di vedere che la donna che stava a fianco di Van e Karen era Hitomi – Hitomi!

Dimenticandosi completamente il galateo e le regole di palazzo, Merle si catapultò su Hitomi, atterrandola per lo slancio e leccandole il viso, come quando erano due ragazzine.

Lyo, stupito, si avvicinò alle due e guardò Van, chiedendogli con lo sguardo se stesse sognando.

Van gli fece cenno di no.

Lyo aiutò sua moglie a rialzarsi, mentre Hitomi veniva aiutata da Van, poi, l’uomo-leone abbracciò la regina e disse:

- Sono felice di rivederti Hitomi.

- Non sai io…- disse Hitomi sorridendo felice.

- Ma che cosa ti sei fatta al labbro? E tu Van, hai un occhio nero! Ma che diavolo è successo?- disse Merle.

- Oh, ma lo notano tutti che ci siamo presi a botte? Lo ammetto, ci siamo picchiati, ce le siamo date di santa ragione, ma non è una tragedia!- disse Van, con tono quasi scocciato.

Lyo e Merle si guardarono sorpresi dalla strana risposta di Van.

- Non preoccupatevi, abbiamo avuto soltanto uno scambio d’idee molto acceso- disse Hitomi.

- Cioè voi due vi siete rivisti dopo un anno e vi siete picchiati in quel modo?- chiese stupita Merle.

- No, prima- disse Hitomi.

- Come prima?

- Quando ero Isabelle la guaritrice.

- Scusa, ma questa storia non fila molto- disse Lyo.

- Vi ricordate Crystal? Beh, era Hitomi. Quando si è spezzata il corno per salvarmi è tornata ad essere Isabelle, una sua incarnazione, creata da lei prima di morire- disse Van.

- Vuoi dire che tu eri sia la guaritrice che Crystal e non ci hai detto niente?- chiese Merle.

- Non lo ricordavo, Merle – disse Hitomi.

- Ora dobbiamo immediatamente avvertire tutta Gaea che tu sei ancora viva – disse Lyo.

- No. Dobbiamo dare un banchetto per annunciare che a Fanelia la principessa è guarita.

- Cosa intendi dire Hitomi?- disse Merle.

- Una festa per Karen ed una piccola sorpresa per tutti gli invitati.

- Ho capito. Mandiamo subito gli inviti, ma tu dovrai restare nascosta in camera per qualche giorno- disse Van.

- Saprò attendere- disse Hitomi – L’importante è che voi sappiate che sono viva e vegeta.

Il banchetto si tenne una settimana dopo la guarigione di Karen. Erano stati invitati i reali d’Asturia e di Freid, oltre a Allen, l’equipaggio della Crusede e la famiglia di Serena, insomma, era un banchetto per pochi intimi.

Quando tutti gli invitati si furono accomodati a tavola, Lyo si alzò e, con tono pomposo, disse:

- La principessa Karen Illusion de Fanel e il signorino Dorel Newton.

Karen entrò con passo regale e massima compostezza, al braccio di Dorel, destando molta ammirazione tra gli invitati. Lei indossava un abito di velluto rosa senza troppi fronzoli, mentre Dorel indossava pantaloni di velluto marrone bruciato, una camicia bianca e stivali neri.

- Lei è davvero una principessa, e con quel Dorel accanto… formano una bellissima coppia. Chissà se i futuri regnanti di Fanelia saranno loro- disse Millerna, ammiccando a Serena.

- Chissà. Speriamo solo che la piccola Karen abbia più fortuna di suo padre. Van è ridotto ad uno straccio da quando ha saputo che Hitomi è stata uccisa da Ismael. E’ stato molto sfortunato, poverino- disse Serena.

- La perdita di Hitomi è stata una vera tragedia. Ma non è questo il momento di pensarci. Questo deve essere un giorno di festa- disse Allen.

Lyo si schiarì la voce e disse:

- Il sovrano di Fanelia, il re Van Slanzar de Fanel e la sua reale consorte.

Tutti i presenti rimasero di stucco, scambiandosi occhiate interrogative fugaci e stralunate.

- Cosa intendi dire, Lyo?- disse Millerna.

- La regina di Fanelia.

- Ma la regina è morta!

- Non potrei essermi risposato in segreto?- disse Van, facendo il suo ingresso nella stanza.

Indossava un mantello di velluto rosso con il collo d’ermellino, pantaloni di velluto nero ed una maglia nera.

- Cosa?!- allibì Millerna.

- Hai seguito il mio consiglio?- disse ridendo Allen, tra il sorpreso, il felice e lo scioccato.

- No- disse una voce dalla porta.

Van s’inginocchiò di fronte allo stipite e porse una mano verso l’esterno. Una mano si posò su quella di Van. Van baciò con delicatezza la mano, poi la strinse nella sua e si alzò lentamente. Poi accompagnò il movimento della persona che entrava nella stanza. Hitomi fece il suo ingresso nella stanza, con passo regale. Indossava un vestito di velluto rosso granata con una piccola scollatura a v. I suoi occhi verdi scintillavano di gioia nel vedere tutti i suoi amici che guardavano sorpresi verso di lei.

Millerna si alzò e, barcollando con gli occhi sgranati, si avvicinò a Hitomi e, dopo averla guardata l’abbracciò.

- Van, allora ti sei sposato con Yama!- disse Millerna.

- Hai ragione. Ti sei sposato con la copia di tua moglie, così potrai raccontare che è ritornata in vita- disse Allen.

- Errore madornale, Millerna ed Allen. Non sono Yama – disse Hitomi, ridacchiando e scotendo il dito indice di fronte a Millerna.

A quelle parole Millerna svenne, così come Serena ed Allen.

- Non pensavo di fare quest’effetto- disse Hitomi, stupita.

Dryden si alzò e si chinò sulla moglie, sollevandole la testa, poi disse:

- Hitomi, sei veramente tu? Voglio dire, sei viva?

- Sì Dryden, sono viva e vegeta. Sai che l’erba cattiva non muore mai, ed io sono della peggior specie.

- Sono molto felice che tu stia bene. Ma devi raccontarci tutto.

- Certo, ma prima portiamo a riposare loro. Devo averli proprio spaventati.

- Certo che si sono spaventati! Prima credono che il grande amore di Van per te si sia sciolto in un anno, poi entri nella stanza e credono di avere davanti Yama, poi capiscono che sei tu … e come vuoi che reagiscano? C’è mancato poco che mi facessi venire i capelli bianchi!

- Ma sono così orribile?

- No, amore mio, tu sei sempre bellissima- disse Van, passandole un braccio alla vita e attirandola a sé.

- Troppo buono, re di Fanelia - disse Hitomi, baciandolo dolcemente- Noi ci assentiamo un attimo, voi aspettateci qui.

- Da quanto tempo è che tubano in questo modo spudorato?- chiese piano Dryden a Merle.

- Da una settimana. Li capisco. Ne hanno passate tante in questo periodo, ed ora queste smancerie non possono che fargli bene. Van sta meglio da quando è tornata, e Karen è rinata nell’arco di poche ore. Hitomi, poi, è stata sola per tutto questo tempo! Non lo mostra apertamente, ma dentro sta ancora molto male. Sembra la stessa, ma non è più la Hitomi di un tempo. Mangia pochissimo, di notte ha degli incubi orribili, vive nel continuo terrore che possa accadere qualcos’altro.

- Non la biasimo per questa sua fobia. Gliene sono capitate di tutti i colori dal giorno in cui arrivò per la prima volta a Gaea, ed ora sta cedendo psicologicamente. E’ traumatizzata, e non le passerà presto- disse Chid.

- Spero solo che regga. Vi ricordate cosa accadde dopo il suo fallimento sulla Luna dell’Illusione? C’è mancato davvero poco che morisse dal dolore. Era consumata dal senso di colpa- disse Merle, seriamente preoccupata per lei.

- Hitomi, calmati- le disse Van, accarezzandole dolcemente i capelli- Va tutto bene. Va tutto bene.

Van e Hitomi erano nella loro stanza, e lei era stesa sul letto, con la testa appoggiata al grembo di Van. Respirava a fatica e piangeva, scossa da violenti tremiti.

Queste crisi di panico le capitavano spesso da quando era tornata, una settimana prima.

- Van, li ho spaventati. Non avrei mai dovuto fare una cosa del genere, avrei potuto far prendere un infarto a qualcuno.

- Hitomi, smettila di farti questi problemi. Va tutto bene. Stiamo tutti bene e non è successo niente di male. Stiamo insieme, ed il resto non conta- disse Van, continuando ad accarezzarle i capelli.

Hitomi si rilassò un po’, grazie alle amorevoli cure di Van, ma nel cuore aveva ancora un alone, un oscuro alone che, lentamente, la sta portando via dalla sua famiglia.

 

Capitolo 12

- Van! Van! Van!- gridò Merle in preda al panico, correndo a perdifiato per i corridoi del palazzo.

Van era nel suo studio, intento a parlare con un messaggero di Freid sulla proposta del re Chid di un accordo commerciale molto vantaggioso per entrambi i regni.

Van, sentendo le grida di Merle si precipitò fuori dalla stanza, bloccando la strada a Merle, che slittò sul lucido pavimento di marmo e cadde.

- Merle, tutto bene?- chiese Van.

- Non è niente, non preoccupatevi per me. E’ Hitomi quella che ha bisogno di te, vai da lei, presto- disse Merle, con il fiatone.

- Ma cosa sta succedendo?

- E’ scomparsa. Non riesco più a trovarla da nessuna parte- disse Merle.

- Come non riesci più a trovarla?

- Non so dove sia. Come ben sai, stamattina è uscita a fare una passeggiata, ma non è più tornata.

- Vado a cercarla- disse Van, preoccupato per lo stato mentale di Hitomi, ancora molto scossa.

Erano passati circa un paio di mesi da quando Hitomi era tornata ad essere se stessa. Esternamente non dava a vedere quanto soffrisse, ma tutti se ne rendevano conto e la prova di ciò era il fatto che era tormentata ogni notte da terribili incubi in cui si rivedeva quando per proteggere Karen si era gettata, portandosi dietro tutta Gaea, nelle mani d’Ismael oppure quando aveva lasciato la Terra per salvare Van. Lei aveva rimediato e si era perdonata a suo tempo, ma ora quei ricordi le tornavano alla mente, ossessionandola.

Van balzò a cavallo e si diresse in fretta verso la foresta, diretto verso il luogo dove più probabilmente poteva trovare Hitomi.

Il freddo pungente di febbraio, unito alla velocità del galoppo, lo faceva rabbrividire e battere i denti, ma aveva fretta di ritrovarla.

Come secondo le sue previsioni, Hitomi era vicino al monumento della famiglia reale.

Si era accoccolata contro la fredda pietra della lapide di Folken, con lo sguardo fisso nel vuoto.

Non si accorse della presenza di Van fin quando lui non le posò una mano sulla spalla. Al tocco di Van, Hitomi sobbalzò e si voltò verso di lui, che la guardava con gli occhi colmi di pietà.

Il volto di Hitomi era rigato di lacrime, congelate dal freddo, mentre scure occhiaie le cerchiavano gli occhi.

Lei sorrise debolmente e tentò di alzarsi, fallendo.

Van guardò le gambe di Hitomi, fasciate da pesanti pantaloni di velluto, sollevandone l’orlo.

Il freddo e la posizione lungamente tenuta le avevano intorpidite, così Van la prese in braccio e la pose sul cavallo, salendo poi a sua volta. Si guardarono a vicenda, poi Van assunse un cipiglio deciso e lanciò il cavallo al galoppo, verso il folto della foresta.

Hitomi, sorpresa da questo gesto, lo guardò stupita, ma non ricevette risposta da Van, che era totalmente concentrato nella strada che stavano percorrendo.

Hitomi capì che per lui doveva essere una cosa molto importante, così non disse niente, con una mano tolse le lacrime incrostate sul suo viso e gli sorrise, fiduciosa in suo marito.

Van comprese e sorrise di rimando, lanciando il destriero in un galoppo sempre più serrato.

Ignari del tempo che scorreva, i due continuarono a cavalcare sino a quando il sole non cominciò a calare oltre l’orizzonte.

Ormai il freddo pungente li faceva rabbrividire sino alle ossa, una brutta tempesta di neve era in arrivo ed il palazzo era molto distante, così si rifugiarono in una piccola grotta.

Con dell’erba secca trovata ammonticchiata in un angolo della caverna e dei rametti secchi, accesero un piccolo fuoco. Poi si avvolsero nel mantello di Van e si stesero accanto al fuoco.

Dopo qualche momento di silenzio, Van disse:

- Mi dispiace di averti cacciata in questa situazione, nello stato in cui sei.

Hitomi lo guardò, sorpresa dalle sue parole, poi fece un piccolo sorriso e lo guardò, scotendo il capo.

- Che sciocco che sei! Ne abbiamo passate di peggiori, insieme. Questa in confronto è una bazzecola. E poi, è bello stare un po’ di tempo completamente soli, lontano da tutto e da tutti.

Van notò immediatamente quel po’ di calma che aveva in sé in quella situazione, ed un’idea cominciò a formarsi nella sua mente.

- Come ti senti?

- Ora un po’ meglio.

- Mi fa piacere.

Il silenzio ripiombò tra loro, pesante come una corazza di piombo.

Questa volta quel silenzio imbarazzante venne rotto da Hitomi, che si strinse di più a Van e disse:

- Van, perdona il mio comportamento.

Van la guardò, poi le passò una mano tra i capelli.

- Hitomi, non devi scusarti. E’ naturale.

- Io non riesco ad accettarlo, nonostante sia naturale. Sono pazza, pazza di terrore, di rimorso, di dolore- disse Hitomi, scotendo violentemente la testa e tremando come una foglia.

- Hitomi, calmati. Presto passerà tutto. Vedrai che presto ti sentirai molto meglio e tutto andrà bene.

- Vorrei anch’io che fosse così.

- Lo sarà, basta aver pazienza.

- No, il Male è attorno a noi. Ci attaccheranno di nuovo, cercheranno di farci di nuovo del male, e non so se questa volta riuscirò a farcela. Io … Io non mi sento più la stessa dopo quello che Ismael mi ha fatto. Io … Io mi sento sporca, tremendamente sporca.

- Adesso basta fasciarsi la testa prima di essersela rotta! – scattò su Van, dandole un sonoro ceffone.

Hitomi si voltò e, guardandolo di traverso, gettò via il mantello e corse via, addentrandosi sempre più in quella parte della foresta, completamente sconosciuta ad entrambi.

Van le corse dietro, sinceramente pentito del suo gesto troppo violento nei confronti della sua già così in crisi con se stessa.

Dopo diverse ore di ricerche la trovò in riva ad un ruscello, che guardava incantata la Terra.

- Hitomi, scusami, io …

- Cosa vuoi?

- Io … volevo chiederti scusa. Ho … ho esagerato questa volta, ma ti prometto che … che …

- Smettila con questi farfugliamenti!

- Hitomi, io …

- Lasciami in pace, Van!

- Ma …

- Sei sordo? Non voglio vederti. Inoltre ho preso una decisione, Van. Ho deciso di annullare la mia vita.

- Cosa?

- Io sono di peso per te. Ho deciso di farla finita. Basta piangersi addosso, hai ragione. Sono diventata patetica, una patetica malata di mente. La farò finita, e questa volta sarà per sempre.

- Vuoi vuoi …

- Esatto! Voglio farla finita.

- Hitomi, non essere impulsiva …

- Non sono impulsiva. Voglio farla finita con questo pianeta. Non voglio mai più vedere niente che lo riguardi. Io … io non ce la faccio più.

Van si avventò su di lei e l’afferrò per un polso.

- Tu non puoi farlo. Non puoi distruggere Gaea.

In quel momento Hitomi scoppiò in una risata di puro divertimento.

- Ma che diavolo hai capito?!

- Tu non vuoi distruggere Gaea?

- No! Voglio solo andarmene da Gaea.

- Andartene?! E non pensi a me, a Karen, a Merle ...

- Sì, c’ho già pensato. Ma non posso vivere così.

- La tua assenza ci ucciderà!

- Io morirò se resto qui.

- Ti prego, non lasciarmi- disse Van, scivolando a terra e piangendo sulla fredda neve.

Hitomi guardò con gli occhi sgranati Van, sorpresa dalla sua reazione così estrema, poi si chinò su di lui e l’abbracciò.

- Non tornerò finché non sarò completamente serena, e forse non sarà mai. Sappi che non ti farò sapere dove andrò, ma se riuscirò ad uscire da questa depressione, tornerò subito.

- Perché mai vuoi fare questo?

- Devo staccare completamente la spina, e per farlo totalmente, non dovrai sapere dove sarò.

- Ma …

- Van, non ti prometto niente, questa volta.

- Hitomi, ti prego, non arrivare a tanto.

Hitomi, con la morte nel cuore, diede uno schiaffo a Van.

Van la guardò, stupito da quel gesto.

Una colonna di luce avvolse Hitomi, che guardando Van dolcemente sorrise e gli diede il ciondolo.

- Un giorno Karen saprà come usarlo, se non tornerò. Dille che le voglio bene e che sarà per sempre nel mio cuore. Van, io… io tornerò prestissimo. Senza di te, la mia vita non ha senso.

La brillante colonna la trasportò via, dopo che Van e Hitomi si furono sfiorati fugacemente le dita.

Prima che la colonna sparisse nella notte quasi giunta alla fine, Van gridò, tra le lacrime:

- Hitomi, io ti amo!

Il vento sussurrò lievemente, tra le fronde degli alberi, e a Van sembrò che stesse dicendo:

" Purtroppo la regina di Gaea paladina,

dal dolore è stato straziata,

e i suoi affetti alle spalle si è lasciata.

Pensa che forse sarà in eterno,

forse solo per l’inverno,

ma una cosa sempre chiara le sarà:

lei per sempre il suo re amerà,

anche se la sorte fosse a lei avversa

e l’anima della regina andasse persa.

Re di Fanelia che ascolti il mio canto,

non dimenticare il soave incanto

del suo amore dolce e puro,

anche se la morte le riserverà il futuro.

Quando l’uccello dell’oro col suo ultimo canto ci delizierà,

per amore la sua vita lei darà,

e questa volta nulla la renderà

a te, il re che per sempre l’aspetterà"

 

Van si guardò intorno, sorpreso da questa stranissima poesia che il vento aveva cantato per lui, poi si voltò e andò in cerca del suo cavallo, per tornare a palazzo e dare la notizia della partenza di Hitomi.

NdA: vi piace questa poesia? Spero proprio di sì. La poesia non è mai stata il mio forte.

P.S: il titolo della poesia è "Il canto del vento". Se trovate titoli

che vi sembrano più appropriati contattatemi e illuminatemi.

 

Capitolo 13

- Se n’è andata?! Cosa vuol dire che se n’è andata?!- gridò Merle, che era a dir poco furibonda mentre guardava Van, che stava con sguardo apatico seduto sulla sponda del letto.

- Mi ha detto …. Mi ha detto che per il suo bene era meglio se staccasse la spina per un po’, per sentirsi meglio- disse Van.

- Ma come vi è saltato in mente di lasciarla andare!

- Non mi ha permesso di fermarla.

- E voi dovevate negarglielo, impedirglielo con la forza, se fosse stato necessario.

- Senti Merle, ha detto che appena si sentirà, meglio tornerà.

- Certo, come no!

- Merle, non farmi la paternale. E’ stata la cosa più giusta da fare. Stava … stava appassendo a vista d’occhio, e quest’ambiente non l’aiutava a stare meglio. Le farà bene.

- Neanche andarsene da sola per Gaea e la Luna dell’Illusione può farle bene, se è per questo.

- Mi ha lasciato il ciondolo!

- E con ciò? Voi lo sapete usare? Non credo proprio. Solo Hitomi aveva capito come funzionasse ed utilizzarlo al meglio.

- Merle, io mi fido di lei. Tornerà presto.

- Io non riesco a crederlo.

- Allora non dirlo a me!- disse Van, innervosito parecchio dalle parole di Merle, alzandosi e sbattendo la porta in faccia a Merle.

Le parole di Merle l’avevano toccato. Lui si fidava di Hitomi, ma Merle gli aveva messo la pulce nell’orecchio.

- E se non tornasse più? Merle potrebbe aver ragione. Hitomi in effetti non è più la stessa che ho conosciuto. E se non tornasse mai più, veramente? Se le sue parole fossero state l’implicito avvertimento che mi ha voluto dare? E se tra i suoi incubi ci fosse stata una visione? No, preferisco non pensare a certe cose. Hitomi tornerà da noi, e dopo sarà tutto come una volta. Eppure se ripenso a quelle parole mi si gela il sangue nelle vene. Dice che mi amerà per sempre, eppure se non la trovo morirà per amore prima che l’uccello dell’oro canti per l’ultima volta. Ma che cosa significano queste parole? E che razza di uccello è mai l’uccello dell’oro? Hitomi, tornerai mai da me?

Una folata di gelido vento scompigliò i capelli e, per un attimo, gli parve di sentire di nuovo le parole di Hitomi, dette qualche mese prima: " Questa volta sarà per sempre", parole che ora si erano dissolte come neve al sole.

Capitolo 14

L’autunno stava giungendo al termine. Il freddo inverno di Fanelia stava sopraggiungendo ed una settimana prima, Van e Karen, nel dolore, avevano "festeggiato" il primo anniversario del ritorno a casa di Hitomi, anche se ormai Hitomi era andata via da oltre dieci mesi.

- Papà, non tornerà mai più, vero?- chiese Karen al padre, seduti entrambi sul tetto del palazzo ad ammirare il tramonto.

- Non lo so proprio, bimba mia. Tu non hai avuto nessun segno?

- Niente di niente.

- Vuoi cambiare argomento?

- Se per te va bene, papà …

- E’ meglio.

- Allora ti racconto cosa è successo a scuola. Oggi abbiamo studiato ornitologia e la maestra ci ha detto che gli otoringhi sono ormai estinti.

- I cosa?

- Gli otoringhi. Sono uccelli lunghi 15 centimetri circa, che hanno la capacità di trovare le miniere d’oro. Il loro canto è sgraziato.

- Un uccello che cerca l’oro, insomma.

- Sì papà.

- Sei sicura che cantino male?

- Sì, ha detto che il loro canto è orribile. Perché me lo chiedi?

- Curiosità.

Van non aveva raccontato a nessuno dello strano canto del vento che aveva profetizzato la morte di Hitomi, prima che il dolce canto dell’uccello dell’oro morisse, ma dentro sentiva qualcosa di strano, come se sentisse che molto presto la profezia si sarebbe avverata.

- Karen! Karen!- gridò Miky, arrampicandosi velocemente sul tetto- Sta arrivando! Sta arrivando!

- Chi? Che cosa sta arrivando?- chiese Karen, molto incuriosita dalle parole dell’amico.

- Sta arrivando il circo in città- disse Dorel, arrampicandosi con calma sul viscido tetto. Era diventato apprendista cavaliere a Fanelia da quell’autunno. Questa sistemazione era molto conveniente per lui: alloggiava gratuitamente a palazzo per concessione del re, e la maggior parte dei soldi che percepiva come stipendio li mandava a sua madre, che, secondo le sue lettere, stava un molto meglio ed aveva aperto addirittura un centro d’accoglienza per gli orfani, in cui dava vitto e alloggio a ragazzini, in cambio di un po’ di lavoro nella fattoria e qualche aiuto per mandare avanti la casa.

- E allora? Che c’è di tanto straordinario Miky? Non mi pare che tu sia mai stato un gran patito del circo- disse Karen con tono un po’ alterato per l’interruzione del discorso con il padre.

- Hanno uno di quegli stranissimi uccelli di cui ci ha parlato la maestra! Quelli che ha definito estinti! Ne hanno uno! Hanno un otoringo!- disse Miky, eccitatissimo da quel fatto.

- Un otoringo! Non stai scherzando, vero? E’ … è fantastico! Dobbiamo assolutamente andarlo a vedere! Possiamo papà?- disse Karen, facendo gli occhi supplici al padre.

Van sorrise lievemente e disse:

- Va pure. Domani pomeriggio però. Adesso è troppo tardi.

- Va bene- disse Karen, scendendo dal tetto insieme agli altri due e lasciando solo il padre con i suoi pensieri.

Come gli accadeva spesso, sospirò poi, con gli occhi rivolti alla Luna dell’Illusione appena sorta cominciò a parlare a Hitomi, come se fosse lì accanto a lui.

- Hitomi, tu lo sai che ti attenderò per tutta la vita, anche in eterno se fosse necessario e possibile, ma perché non mi hai voluto dire dove andavi? Sì, lo so che volevi staccare la spina, ma io … io non riesco a capire il perché non me l’hai voluto dire. Perché, perché non sei ancora tornata da noi? Per fortuna questa storia dell’otoringo non può essere possibile se il suo canto non è soave come diceva quella cantilena, eppure non sono completamente tranquillo. Mi chiedo spesso se esista davvero, se non esistesse neanche quella cantilena del vento. Forse era solo l’immaginazione, ma un brivido freddo mi percorre se ci ripenso. E se fosse, se quell’uccello dell’oro dal canto soave fosse esistito e poi morto? Questo sarebbe il tuo certificato di morte. Che cosa dovrei fare? Come mi dovrei comportare? Inoltre la nostra piccola Karen sta crescendo. Ho già notato che da qualche segno d’interesse per i ragazzi, e avrai già capito che alludo soprattutto a Dorel, e sai perfettamente come mi sento e come sono fatto. Io non riesco ad accettare che l’uccellino spicchi il volo. Ricordi il giorno del nostro matrimonio? Mi viene da ridere se penso a quanta gelosia scatenò in me il bacio di Merle a Lyo. Ero furioso, ma per fortuna c’eri tu al mio fianco, che mi hai aperto gli occhi e fatto capire che era giusto così. Dove sei? Dove sei andata? Io mi sento morire senza di te! Torna presto Hitomi, ti scongiuro!

Poi una lacrima ribelle fece capolino dall’occhio sinistro di Van, poi, depresso, scese dal tetto, non facendo neanche caso al fatto che il ciondolo del Potere d’Atlantide si era illuminato per un istante.

- Uffa mamma! Perché sei voluta venire con noi? Guarda che abbiamo tutti più di dieci anni e siamo capaci di badare a noi stessi- disse con tono infuriato Miky mentre lui, Merle, Karen e Dorel camminavano per le vie di Fanelia in direzione del circo, che si trovava poco fuori la cinta muraria.

- Tu sei uno scavezzacollo e potresti influenzare negativamente Karen e Dorel. Saresti capace di lanciarti in bocca ad un leone solo per vedere se ha delle carie, e io non voglio che combini guai- rispose con calma Merle. Il suo scopo non era unicamente quello di sorvegliare i ragazzi, ma anche quello di staccare un po’ con la vita di palazzo, diventata troppo triste e monotona da quando Hitomi era partita per chissà dove.

- Dorel- sussurrò piano Karen, rallentando il passo e accennando all’amico di fare altrettanto.

- Dimmi tutto.

- Il nostro piano salterà se ci starà dietro tutto il tempo. Come faremo a metterlo in atto?

- Dobbiamo assolutamente distrarre Merle. Ma come?

- Non ne ho la più pallida idea. Ci vorrebbe un diversivo. E se invece agissimo questa notte, con il favore delle tenebre?

- No, mi sentirei un ladro facendolo di notte. Non potresti tentare di convincere tuo padre? Sono sicuro …

- No, è fuori discussione. Tirerebbero troppo la corda e sarebbe solo uno spreco se accettasse.

- Allora come potremmo fare?

- Aspettiamo un altro po’, e speriamo che gli eventi ci siano favorevoli- disse infine Karen, quando ormai erano in prossimità dell’accampamento.

Il campo era molto esteso. Gruppi di cavalli pascolavano liberamente in un recinto, tigri, pantere e leoni erano rinchiusi in gabbie singole dipinte con colori sgargianti, cammelli e scimmie stavano in un tendone riscaldato da un grandissimo falò, mentre per gli uccelli era stato allestito un enorme carrozzone di legno robusto. All’interno, sulle pareti, c’erano parecchie gabbie di metallo, ma quella che a loro interessava di più era in fondo.

La gabbia era fatta di metallo dorato, con dei drappi di stoffa attaccati agli angoli.

L’otoringo era sul pavimento della gabbia, accucciato, con il piumaggio dorato molto liscio ed occhi verde mare. Emanava una sensazione di dolore e di tristezza da quegli splendidi occhi, che colpirono molto Karen.

- Se ci penso bene, sembrano gli occhi della mamma, nell’ultimo periodo che è stata con noi. Emanano le stesse emozione. Devo farlo! Ora che è diventata una questione personale, devo farlo più di prima.

Merle decise che era ora che si togliesse dai piedi dei ragazzi, in fondo sapeva come ci si sentiva ad essere seguiti a ruota, quando si voleva stare da soli, così li salutò e si diresse verso il palazzo.

Per la via incontrò un gruppo di donne che tornavano al circo, con un pesante carico di viveri.

Indossavano tutte un mantello con cappuccio ed una sciarpa, a causa del freddo pungente.

Una di loro inciampò e le finì addosso, mandandola a gambe all’aria.

Merle, furiosa si alzò e la guardò con occhi di fuoco. La donna la fissò a sua volta con i suoi occhi blu profondo e, avvicinandosi a raccogliere il carico, le sussurrò una parola: "Limetta".

Merle rimase sorpresa da quella parola, ma non fece in tempo a ribattere che questa si era già diretta verso le altre in direzione del circo.

Dopo la cena, Merle andò in camera sua con la scusa di avere mal di testa e stese sul letto a riflettere. Mentre s’infilava la camicia da notte si accorse che non aveva più con sé la cosa che riteneva più preziosa al mondo: una catenina con la limetta che usava ai tempi della Grande Guerra ed un anello donatole da Hitomi pochi giorni dopo la nascita di Miky.

Capì immediatamente che c’entrava quella donna vista sulla strada, così si rivestì in fretta e furia e, passando dalla finestra come faceva da ragazza, uscì da palazzo e si diresse verso il circo.

Capitolo 15

Quando Merle giunse nei pressi del circo, vide una corpulenta figura appoggiata ad un albero e, apparentemente, in attesa di qualcuno.

Merle tirò dritto, ma una voce profonda le disse:

- Dove vai di bello?

Merle continuò a camminare, senza degnarlo di uno sguardo.

- Ehi bambola, mi hai sentito? Sto parlando con te.

Merle, imperterrita, continuò per la sua strada.

Allora il losco figure le si avventò contro e l’afferrò per un polso, tirandola a sé.

Era un uomo-leone molto alto e muscoloso, con occhi di ghiaccio e capelli sporchi dall’indefinibile colore misto tra il biondo ed il castano, legati alla meglio da un laccio e ciocche che gli ricadevano sul volto.

L’uomo emanava un fastidioso odore, un misto tra fumo, alcool e lordura.

Merle tentò di liberarsi dalla poderosa stretta, ma lui continuò a trattenerla, stringendole sempre più il polso.

- Che c’è? Fai la preziosa? Guarda che non devi aver paura di me. Io voglio solo divertirmi un po’, tutto qui.

Merle fece per urlare ma lui si cacciò dalla tasca un coltello sporco di sangue raggrumato e glielo puntò alla gola.

- Piccolina, osa fare un fiato ed io mi divertirò a vedere le tue budella, sono stato chiaro?

Merle, terrorizzata, diede un altro strattone, ma lui la tirò ancor di più a sé, fino a stringerla contro il suo corpo, poi le passò l’altra mano attorno alla vita.

Merle era disgustata da quel rude contatto, ma con la fredda lama che le pungeva il fianco non ebbe il coraggio di gridare, neanche quando lui la spinse contro l’albero, e con il suo corpo la bloccò contro il tronco.

Merle ebbe un brivido quando il losco figuro le passò la lingua sul collo.

Intuendo il suo stato d’animo, disse:

- Ti faccio schifo, è così?

Merle tremava sempre più, stretta tra il tronco ed il corpo fremente del suo aggressore. Lui la guardò bene, poi fece un sorriso bieco e le diede uno schiaffo, facendola cadere a terra.

Immediatamente le fu addosso e per caso trovò una corda a terra.

Le afferrò un polso, glielo torse dietro alla schiena e glielo legò, facendo altrettanto con l’altro.

Con i polsi legati dietro alla schiena Merle sembrò quasi risvegliarsi, ma era troppo tardi: lui l’aveva già caricata sulla schiena e la stava portando via. Merle cominciò a scalciare, ma lui le diede un leggero colpetto in un punto preciso della nuca, che le fece perdere i sensi.

Merle fu risvegliata dal duro impatto con il pavimento. Si guardò intorno e si accorse era all’interno di una casa e lo sconosciuto torreggiava su di lei, con quel suo ghigno da allupato.

Merle tentò di scappare, ma lui la bloccò, afferrandola per i capelli e la trascinò verso il muro, dove in basso spuntava una gancio con un anello simile a quello usato nelle prigioni per trattenere i prigionieri.

Lui le bloccò un polso l’anello, poi tagliò la corda che la intrappolava.

Sempre con il coltello in mano, scese su di lei e si preparò a lacerarle il vestito, quando un ruggito giunse al suo orecchio.

Pochi secondi dopo fece irruzione dalla finestra una grossa tigre albina, che ruggì nuovamente e si avventò verso l’uomo.

I due caddero a terra e si affrontarono rotolando sul pavimento. Merle tentò di liberarsi mentre il losco figuro era impegnato, ma non vi riusciva. Ad un tratto vi fi un fischio acuto e la tigre si fermò, seppur restando sulla difensiva, davanti a Merle. Poi una voce femminile disse:

- Lasciala in pace, oppure Timba ti smetterà di giocare.

Merle guardò verso la porta, che si aprì di botto. Una donna stava in piedi sulla soglia, incappuccita.

L’uomo la guardò e capì che non era raccomandabile sfidare quella donna che aveva bloccato quel colosso di potenza con un semplicissimo fischio. Pochi istanti dopo era già uscito dall’abitazione gettandosi fuori dalla finestra e mettendosi a correre con molta fretta.

La donna si avvicinò a Merle e fece un cenno alla tigre. Questa si avvicinò e con una zampata estrasse dal muro il gancio.

Merle venne aiutata ad alzarsi dalla donna poi disse:

- Grazie, mi hai salvato la vita.

- Mi ricambierai prestissimo il favore. Su, seguimi. Se scoprono che Timba è in libertà sono capaci anche di abbattere lei e mandare via me, ed io non posso permettermelo, almeno fino a quando la mia missione non sarà portata a termine e non l’avrò rivisto.

Merle e la sconosciuta, seguite dalla tigre, andarono al campo e riportarono Timba nel suo carrozzone. Poi la donna la fece entrare in un carrozzone.

Era ammobiliato in modo semplice e sobrio, con un tavolino, un paio di sedie, un armadio ed un letto.

La donna fece cenno a Merle di sedersi, poi si tolse il mantello e le porse la catenina con la limetta e l’anello.

I suoi capelli erano biondo chiaro, lunghi sino alle spalle, mentre gli occhi erano di un blu intensissimo. La sua figura era snella, pareva quasi un debole fuscello, ma emanava una sensazione di forza e determinazione.

Merle la guardò bene e riconobbe immediatamente quegli occhi.

- Ma tu … tu allora sei la donna d’oggi pomeriggio!

- Esattamente. Piacere, il mio nome è Myra. E tu, se non sbaglio, sei Merle.

- Sì, sono io infatti. Ma come fai a sapere il mio nome.

- Mio figlio mi parla molto spesso di te. Ti è molto legato, anche se non lo dimostra apertamente.

Merle la guardò attentamente, sino a soffermarsi di nuovo nei suoi occhi. Ad un tratto capì.

- Sei la madre di Dorel, non è vero?

- Esatto.

- Allora sei venuta qui per vedere Dorel.

- Anche, ma non è il mio motivo pricipale.

- E quale sarebbe il motivo principale?

- Devo assolutamente incontrare il re, prima che Kikky muoia.

- E chi sarebbe Kikky?

- L’otoringo che abbiamo qui al circo.

- E cosa c’entra l’otoringo con Van?

- Van non ti ha detto niente. Se lo aspettava che non l’avrebbe fatto per non farvi preoccupare.

- Chi se lo aspettava?

- Hitomi.

- Cosa?! Cosa c’entrano l’otoringo con Van e Hitomi? E lei dov’è ora?

- Merle, fammi parlare con Van immediatamente. Dobbiamo andare immediatamente a Zaibach.

- A casa tua?

- Sì, ma è una questione urgentissima. Ti prego Merle, chiama Van e partiamo per casa mia il più in fretta possibile. Per favore, fidati di me.

- Vado subito Myra. Seguimi e porta con te l’otoringo.

- Grazie tante Merle. Presto saprai la verità.

Myra corse verso il carrozzone dove stava l’otoringo, aprì lo sportellino ed emise un suono soffocato.

L’otoringo svolazzò sulla spalla di Myra e, insieme, si lanciarono di corsa verso il palazzo, dove, ignaro di tutto, Van stava rimirando le stelle.

Merle e Myra, giunte a palazzo, decisero di prendere la scorciatoia, così salirono sull’albero che le portava alla stanza dove Van dormiva. Per l’ennesima volta Van aveva lasciato la camera da letto sua e di Hitomi.

Van fu sorpreso quando vide spuntare Merle dall’albero, seguita a ruota da una sconosciuta e quello che lui identificò come un otorino.

- Merle, che diavolo stai facendo? E chi è lei?

- Maestà, scusate la mia impudenza, ma dovete prendere il Potere d’Atlantide e risvegliare l’Escaflowne. E’ l’unico modo per arrivare prima che l’uccello dell’oro ci delizi con il suo soave canto- disse in fretta Myra.

- Cosa? Come fai a sapere di questo? Come fai a conoscere la profezia sussurrata dal vento?

- Non fare domande, per favore. Devi salvarla.

- Sai che la profezia dice che lei morirà per amore?

- Certo che lo so, ma non è quello che pensi.

- E cosa allora?

- Lei ha salvato dalla morte uno dei nostri bambini, che noi amiamo come figli, ecco come sta morendo per amore!- gridò Myra.

- Cosa? Ma chi sei tu?

- Mamma!- gridò Dorel, scendendo in fretta dal tetto del palazzo ed entrando dalla finestra.

Il ragazzino si gettò sulla madre e l’abbracciò, ricoprendola di baci.

Van li guardò, poi sorrise.

- Lo farò immediatamente- disse Van, prendendo il ciondolo del Potere d’Atlantide in mano.

Improvvisamente il ciondolo s’illuminò e pochi secondi dopo l’Escaflowne, sotto forma di drago dei cieli, si posò davanti alla finestra di Van.

Van rimase esterrefatto.

- Io non ho neanche espresso il desiderio!- disse piano.

- Infatti l’ho fatto io, papà. Voglio rivederla, almeno un’ultima volta- disse Karen, entrando nella stanza.

I suoi lunghissimi capelli erano scomparsi, rimpiazzati dai un baschetto corto, simile a quello che aveva Hitomi il primo giorno che si erano incontrati. Van si avvicinò a lei e le mise al collo il ciondolo con il Potere d’Atlantide. Ora era l’immagine di Hitomi.

Van annuì e balzò sull’Escaflowne, seguito da Karen, Myra, Dorel e Merle. Karen sfiorò la corazza e l’Escaflowne si mise in moto alla massima velocità.

Un paio d’ore dopo l’Escaflowne atterrò di fronte ad una fattoria di media estensione. All’interno brillava una luce e suoni soffocati, simili a quelli che l’otoringo emetteva da circa un’ora.

- Presto, entriamo- disse Myra, facendo strada all’interno della casa.

In una stanza una trentina di bambini, tra i due ed i dodici anni, erano raggruppati attorno ad un letto, su cui giaceva supina Hitomi, che respirava come un mantice forato.

Karen non ce la fece a resistere e si gettò sulla madre, piangendo.

- Peccato che debba andare, proprio ora che avevo capito finalmente tutto- disse piano Hitomi.

- MAMMA!- gridò Karen.

Van, con calma, si avvicinò a lei e le prese una mano.

- Van, ora lo so. Non dovevo essere così. Ora lo so- disse lei.

- Hitomi, tu non hai sbagliato niente!- disse Van.

- Oh sì, non mi rendevo conto di quanto avessi e me ne lagnavo, mentre ora so che ci sono tantissime altre persone che se la passano molto peggio di come io mi sentivo prima. Per fortuna ho avuto la possibilità di capirlo prima che sopraggiungesse la fine.

- Mamma, non dire così. Tu vivrai. Vero papà?- disse Karen guardando Van dritto negli occhi.

Van distolse lo sguardo, troppo addolorato.

Karen si morse il labbro, nel tentativo di fermare le lacrime che cominciavano a rigarle le guance.

Hitomi sorrise e disse:

- Dov’è l’otoringo?

Myra lo portò da lei e lo depose sul letto.

- Per noi è ora di volare via, non è vero?

L’uccello la guardò poi fece un debole suono e cadde sulle coperte, morto.

Hitomi guardò l’uccello, sorpresa.

- Ha cantato prima?

- No.

- Allora com’è possibile?- disse Hitomi, prima di essere colta da un eccesso di tosse che la fece piegare in due dal dolore.

- Riposa Hitomi, riposa- disse Myra, facendola mettere giù e coprendola con un’altra coperta.

- Andiamo di là- disse poi Myra, facendo gesto a Van di seguirla nella cucina limitrofa.

Quando ebbe fatto accomodare l’ospite su una sedia, Myra si sedette di fronte a lui e prese fiato.

- Lo so io- esordì Myra, sorridendo- In fondo era per questo che vi ho portato tutti qui.

- Cosa vuoi dire?

- La profezia non si è avverata, tutto qui. Van, ricordi gli ultimi versi del canto del vento?

- Sì, diceva: "Quando l’uccello dell’oro col suo ultimo canto ci delizierà,/ per amore la sua vita lei darà,/ e questa volta nulla la renderà/ a te, il re che per sempre l’aspetterà.

- E tu ora cosa hai fatto grazie a me?

- L’ho ritrovata.

- Per cui non la stai più aspettando, vero?

- A rigor di logica, sì. Mi vuoi dire che visto che l’ho ritrovata prima che l’otoringo facesse il suo canto di morte, ho spezzato la profezia?

- Esattamente.

- Ora però spiegami come hai fatto a conoscere la profezia. L’ho sentita quando Hitomi se n’era già andata, ed ero solo in quel momento.

- No. Un uomo è venuto qui un paio di mesi fa e mi ha rivelato la profezia, dicendomi di partire appena fosse successo qualcosa alla strana donna che era giunta da chissà dove.

- Un uomo? E com’era?

- Un uomo alto, dai capelli brizzolati ed occhi marroni. Aveva dipinta sul volto una lacrima.

- Una lacrima?

- Sì.

- Ho capito. E’ normale, non si preoccupi. Ma ora, per favore, mi dica come è successo tutto questo?

- Più o meno un paio di settimane fa, i bambini stavano giocando lungo un torrente, poco più in là. Qui a Zaibach l’inverno arriva prima che a Fanelia e nonostante non avesse nevicato, l’acqua era a dir poco gelida. I più grandi stavano pescando su una roccia in mezzo al torrente ed uno dei più piccoli ha tentato di raggiungerli. Purtroppo è caduto in acqua e Hitomi si è gettata per salvarlo. La corrente li ha trascinati via e noi partimmo alla loro ricerca, ma senza risultati. La notte era già calata da un pezzo quando sentimmo bussare alla porta. Era tornata ed il bambino stava abbastanza bene, ma per riscaldarlo l’ha coperto con i suoi vestiti e lei era rimasta in sottoveste. Il bimbo se la cavò con un brutto raffreddore, mentre lei, nonostante le nostre cure, è peggiorata. Da quel che mi ha detto il medico che abbiamo chiamato è una brutta polmonite e che non avrebbe potuto fare niente per curarla.

- E come avete fatto a conoscere Merle?

- Decisi immediatamente di venirvelo a dire, unendomi a un circo che avrebbe soggiornato a Fanelia. In cambio del passaggio ho fatto qualche lavoretto. Questa mattina per caso ho visto mio figlio con vostra figlia ed il figlio di Merle, insieme a lei. Poi sono andata a fare commissioni e l’ho vista per la strada. Le ho preso una limetta a cui teneva e le ho detto quella parola. Sapevo che appena se ne fosse accorta sarebbe venuta a cercarmi.

- Astuta trovata. Peccato che il destino di Hitomi sia segnato.

- Non siate così precipitoso. Al circo mi hanno detto che c’è una cura.

- E quale sarebbe? Dobbiamo somministrargliela immediatamente.

- Non si preoccupi. Ho dato l’erba medicamentosa a Dorel e a quest’ora deve avergliela già data. Quella cura insieme alle altre che ci ha insegnato certamente l’aiuteranno a guarire.

Van fece un sospiro di sollievo, poi si alzò ed andò nell’altra stanza. Tutti i bambini, compresi Karen e Dorel, si erano addormentati sul pavimento, mentre Merle era seduta sul letto e parlava a Hitomi addormentata, proprio come faceva Van dopo il loro ritorno su Gaea.

Fine

N.d.A: ebbene sì, finalmente la smetterò di lagnarvi con le peripezie di Hitomi e Van contro il Potere Oscuro ed il Male. Questa FF è da considerarsi conclusa, anche se devo ancora dirvi un paio di cose.

  1. Naturalmente Hitomi guarirà e tornerà con Van a Fanelia, dove regneranno con giustizia e senso del dovere
  2. Karen e Dorel, come avrete già capito, si metteranno insieme
  3. Hitomi, dopo questa prova, lascerà in eredità a Karen il ciondolo del Potere d’Atlantide
  4. Miky, proprio come sua madre, sarà gelosissimo della relazione tra Dorel e Karen e tenterà in tutti i modi di ostacolarli

Queste sono le ultime parole di questa mia PRIMA FF, per cui preparatevi, perché prestissimo mi rivedrete. Bye Bye dalla vostra Mystic Moon.

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