Evviva, andiamo avanti!

Ah, volevo solo dire che Akira ormai l’ho praticamente comprato, anche se so che Chloe mi ammazzerà... Non preoccuparti, te lo presto! Ad ogni modo Takehiko è davvero cocciuto e restio, e me lo vuole far pagare un capitale! È per questo che ad Hisashi ho rinunciato, per il momento: non sono mica milionaria! Intanto, però, sono ancora tutti suoi. Tranne i mitici Natsu (a prop., guardate che anche Shiro è un figaccione della M...! Almeno di aspetto...Hihi!)

 

Capitolo Quinto – Incident

Sono solo. Non ci posso credere. Solo, davanti al canestro. Mi posiziono, dò una spinta con le gambe e con il braccio sinistro e... ciuffo! Da tre punti! Sento la palestra scrosciare in applausi che stanno per demolire il soffitto. E, infatti, un neon si stacca e precipita a due millimetri dai miei piedi. Poi se ne stacca un secondo, senza neppure lasciarci il tempo di realizzare cos’è successo. D’istinto mi giro, e vedo uno spettacolo orribile. Non posso crederci! Akiraaaaaaaaaaaaaaah!!

"Aaaaaaaaaaaaaaah!!!" grido, scattando a sedere. Il corpo completamente coperto di sudore, il cuore che batte al doppio della sua velocità usuale, gli occhi spalancati. Devo proprio essere un bello spettacolo! Shiro fa in tempo a goderselo, siccome è scattato più in fretta di una gazzella ed ha fatto irruzione nella mia stanza come se la casa stesse andando a fuoco.

"Cosa c’è, cos’è successo?!" dice ad alta voce, allarmato.

"Scusa, Shiro-kun! Ho fatto un incubo così... strano!"

"Un incubo... strano?! Ma sei matto, a gridare così? Kami-sama, mi hai fatto prendere un infarto! Credevo andasse a fuoco la casa!"

"M-mi dispiace, Shi..."

"Uff... Almeno adesso posso tornare a letto, o hai intenzione di dare un altro show?"

"V-vai pure..." in realtà non balbetto tanto a causa delle sue proteste, quanto più per lo shock di quell’immagine. Akira, schiacciato da una lampada al neon enorme. Inizio a tremare, mentre la sveglia scatta e intona una vecchia canzone. Meno male che non devo rimettermi a dormire! Taccio, ancora scosso, e ascolto.

There’s no time for us

There’s no place for us

What is this thing that builds our dreams,

Yet slips away from us?

Fantastico, proprio ciò di cui avevo bisogno, per tirarmi su di morale! Dannazione. Quel sogno sembrava così vero che mi sento male. Ho quasi voglia di alzare la cornetta e chiamarlo, per assincerarmi che stia bene. No, probabilmente mi manderebbe a quel paese, a quest’ora del mattino. E a giusta ragione!

Who wants to live forever?

Who dares to love forever,

When love must die?

Non per dire, ma solo perchè la canta un omosessuale non significa che io debba farmela piacere, in questo momento! Spengo la radiosveglia. Sono le sei. Devo essere pazzo, del resto lo sto facendo da un mese. Mi alzo, mi infilo in una t-shirt e un paio di calzoncini, scendo, faccio scivolare le scarpe da corsa sui miei piedi, ed esco. Inizio a correre nell’aria ancora profumata dalla notte, mentre la luce si affaccia già chiara all’orizzonte, disperdendo gli ultimi raggi dell’oscurità che avvolgeva il cielo fino a poco tempo fa. Fresche ombre di sogni non ancora conclusi mi sfiorano, mentre passo davanti alle case in cui ancora i bimbi dormono. Fresca l’aria su di me. E quel pensiero fisso in testa. I sogni ci vogliono dire qualcosa. Che cosa? Forse che quando io finalmente avrò raggiunto il successo, quando saprò dire ciò che voglio, il mio desiderio, tacito, improbabile, anzi, quasi impossibile, ma presente, sempre lì, che non vuole mollare, morirà. Tu ti allontanerai da me, e io ti perderò, per sempre. Non ci riesco, a dirtelo. Eppure questa è tortura. Mi riesce terribilmente difficile mentirti, ci soffro al solo pensiero. È così dolce guardarti, in ogni attimo della tua vita che riesco a cogliere. È così doloroso il pensiero di non poterlo più fare. È così confusa la mia mente. Solo un pensiero fisso: non voglio che tutto questo finisca, non ancora. Non ancora.

Ieri mi hai insegnato come marcare, smarcarmi, dribblare e non farmi fregare dall’avversario. Credo di aver inquadrato piuttosto in fretta. Ogni volta che i nostri corpi si sfioravano, un fuoco mi divampava dentro. E sempre la stessa domanda: perchè? Perchè fai questo per me? Inizio a credere di avere un vero talento. Il maestro giusto, era questo ciò che mi mancava. Sei tu, e sembra anche che ti piaccia esserlo. Sei un ottimo capitano. Motivi la squadra e accompagni per mano chi secondo te può farcela.

Improvvisamente sono assalito dal pensiero che tu alla fine dell’anno te ne andrai. Questa cosa mi attanaglia il cuore. Ma c’è ancora tempo. Siccome dopo, con ogni probabilità, non ci vedremo più, almeno per un bel po’, aspetterò allora a dirtelo. Fino a quel momento non riuscirò a lasciarti andare. Voglio vivere intensamente tutti questi momenti che passeremo insieme, e non voglio scordare nulla. Anche se per te non significheranno niente. Non importa, va bene così.

Deve aver notato qualcosa. Mi ha trapassato con gli occhi, quando mi ha guardato. Ma chi diavolo è, poi, quel ragazzo? Capelli neri, anche lui. L’unico che si astiene da questa ferrea regola è quel mezzo matto, il numero dieci dello Shohoku. Che razza di tipo bizzarro! Ma non ha importanza.

Ciò che mi ha colpito sono gli occhi, di quel ragazzo. Belli e profondi. Se devo dirla tutta, sono anche molto simili ai miei, per quanto riguarda forma ed espressione. Almeno, questo è quello che mi ha detto Kitcho. Parla così poco, che quando dice qualcosa non riesco a non credergli.

Sono teso come la corda di un pianoforte, quando vedo le sue mani – le mani di quel ragazzo dai capelli corvini quanto i miei – afferrare la palla. Ha qualcosa che m’incute agitazione, per non dire paura, che sarebbe troppo. Sembra terribilmente sicuro del fatto suo. Sembra uno che ha fatto uno scontro frontale con la vita e nè è uscito vincitore, dopo non so che estenuante lotta. Si mette esattamente in quella posizione. Ma che fa, tira da lì? Davvero, tira sul serio! Ciuffo, tre punti.

Akira ripete il suo canonico gesto, afferrando un lembo della maglia e piegando la testa per asciugarsi il sudore intorno alla bocca. L’ha già fatto un sacco di volte, sembra un automatismo. Cerco di non guardarlo, perchè ogni volta che oso farlo vedo il mio incubo pararmisi davanti agli occhi, e rischio di iniziare a sudare anche se sono più fermo di una piuma cascata a terra quando non tira un filo di vento. Sposto di nuovo l’attenzione su quel giocatore. Numero quattordici, Shohoku. Oltretutto ha un’aria terribilmente sexy! Poi seguo la palla, che ha afferrato l’undici ed ora rimbalza molto rapidamente sul parquet. Akira gli si para davanti. Inizia una sorta di schermaglia. Sembrano due leoni che si contendono una preda, oppure una femmina – la palla. Dunque è questo il tizio che tanto voleva affrontare? Devo ammettere che sembrano piuttosto simili, nel modo di giocare. Ma il possessore della mia ansiosa attenzione sembra avere qualcosa in più. Il sorriso, forse. Quel Rukawa mi dà l’impressione del pinguino polare. Mi domando perchè il rosso si ostini a chiamarlo "Kitsune". Boh! Però, se non altro, è bello. Va bene, mai come Akira, ma bello. Parecchio bello, a dire il vero. Solo che è fin troppo gelido, per me. Mi mette freddo al solo passarmi vicino! Pelle d’avorio, occhi azzurri... Naa, non fa per me!

Intanto la partita continua a scorrere davanti al mio sguardo, che a volte si perde in pensieri fuori argomento. Del mio incubo non c’è traccia, per fortuna. Infatti non sono neppure in campo, come pensavo. A un certo punto mi schizza davanti un tipo in maglia rossa con un cinque disegnato sopra. Dev’essere la nuova matricola. Corre come un ghepardo. Solo il rossino sembra poter stare in pari con lui. E forse saprei farlo anch’io. Non lo so, e penso che non lo scoprirò tanto presto. Chissà se ho ragione?

Mancano i soliti cinque minuti, ed il punteggio oscilla con un costante distacco di due punti fra le squadre. Non fanno che superarsi l’un l’altra. Magari Akira segna due canestri di fila, su assist di Hiroaki, poi Rukawa e il rosso recuperano facendone altri quattro. Non c’è respiro. Finchè non succede. La palla rimbalza in una zona deserta del campo, i più vicini sono quel Sakuragi e Fukuda, che si marcano stretti, ma non sembrano andare d’accordo per nulla. È strano vedere Kitcho così agressivo, di solito è calmo come un gatto che dorme. Però Hiroaki – che non riesce a tenere la bocca chiusa per mezzo secondo – mi ha fatto notare che l’anno scorso non era proprio così. Anzi, non faceva che litigare con Taoka e gran parte della squadra. Chissà cosa l’ha fatto cambiare? Adesso sembra un mare quando è calmo, quando le navi scivolano sul suo silenzio come farebbero su una distesa d’olio. Adesso, nel senso "in tempi recenti", poichè nell’immediato presente sembra agitatissimo. Si scaglia sulla palla, esattamente come Sakuragi. Non capisco bene cosa succeda, sono solo certo che se il terreno fosse terroso adesso si alzerebbe un gran nuvolone di polvere. Li vedo solo lì, il rosso disteso sul mio amico e la palla che rotola fuori dalla linea di demarcazione del campo. Il primo si alza piuttosto in fretta, il secondo non si muove per qualche secondo. Mi è sufficiente per allarmarmi e per farmi irrompere sul terreno di gioco. Raggiungo il mio compagno prima che gli altri, lo prendo per le spalle, lo volto, lo guardo dritto negli occhi. Sembra tramortito.

"Kitcho... Tutto bene? Kitcho?"

"Mmmh..." meno male: è solo un po’ scosso. Però ha una brutta escoriazione sul ginocchio. Sarebbe meglio che andasse in infermeria.

E, mentre si allontana con Ikoichi, vedo l’uomo dei miei sogni impossibili parlottare con Taoka. Che cosa avrà da dirgli? Lo realizzo meno di due minuti dopo, quando, con il numero dieci scritto sulla schiena, mi ritrovo nel bel mezzo del campo. Che cosa, io dovrei marcare quella sottospecie di belva rossa?! Ma stiamo scherzando?! No, purtroppo Akira mi ha rivolto uno dei suoi sorrisi seri. Accidenti, spero solo di non fare la fine di Kitcho! Del resto mancano solo quattro minuti e mezzo: uno dovrebbe essere un vero fenomeno per riuscire a fare altri danni in così poco tempo!

Bene, eccomi al mio debutto. Non so come, sono riuscito a superare il rosso con uno scatto rapido, ed ora pascolo indeciso vicino all’area di difesa dello Shohoku. Akira è fulmineo. C’era da aspettarselo, che faceva di nuovo così! Mentre salta verso il canestro fa volare la palla dietro di sè, anzichè lanciarla in avanti. Mi arriva esattamente fra le mani. Non ho molto tempo per ragionare, e infatti reagisco di un’istinto che ignoravo di avere. Mi riscuoto come da un sogno solo quando la mano del mio capitano atterra amorevolmente sulle mie natiche, per poi fuggire via subito dopo.

"E vai, sei grande!"

Ho davvero fatto canestro? Allora la palla che entrava non era un miraggio? Scruto il tabellone. Abbiamo fatto un salto di tre punti. Incredibile, è sembrato tanto facile! Ma allora è vero, che sono un tiratore da tre? Incrocio per un attimo lo sguardo di quel Mitsui. Mi sorride con aria di sfida, come a dire "benvenuto fra noi". E improvvisamente ricordo le parole di Akira alla lavanderia: "...il vice si chiama Hisashi Mitsui, un ottimo tiratore da tre. Purtroppo ha avuto problemi al ginocchio, in passato. Ora si è ripreso, anche se ha bocciato l’anno...". Ecco che il mistero si chiarisce. Evidentemente quel tiro gli ha fatto individuare in me un suo rivale. E va bene, accetto la sfida!

Mi sembra che i restanti minuti scivolino via rapidissimi, mentre Mitsui inizia ad esibirsi nella sua specialità preferita. Ho detto che accettavo la sfida, e infatti m’infervoro, facendogli eco con i miei canestri. Dal momento che non siamo soli in campo, la partita è accompagnata anche dagli altri giocatori, finchè sono improvvisamente colto dal fischio finale. Mi giro verso il segnapunti, accanto a cui alcuni numeri scritti in nero mi svelano il risultato definitivo. Ottantanove contro ottantanove. In fondo una parità mi sembra più che onesta: abbiamo giocato molto bene. Che soddisfazione, però, poter dire "abbiamo"! Mi sento un po’ gasato, anche se la mia espressione glaciale, su un viso colante sudore, si accosta molto bene in quanto a similitudini a quella di Rukawa. Almeno io non sono così sbiadito, se non altro. Ci squadiramo un attimo a vicenda, prima di stringerci le mani. Ecco, io questi gesti di rito e convenzione non li sopporto proprio! Ma dico, devo comportarmi cortesemente anche con uno che considero un deficiente solo per dimostrare lealtà sportiva? Non basta che non gli dica "per me sei un deficiente"? Non che possa riscontrare un esempio di ciò nel caso specifico che sto vivendo, ma... ecco un altro lato della mia società che non sopporto! La falsa e gelida cortesia.

È lo sguardo di Mitsui a riscuotermi dai miei pensieri. Mi fissa allo stesso modo in cui lo faceva quando ci siamo incrociati per la prima volta, meno di due ore fa. Che cosa vorrebbe dire? Non capisco molto bene, ma non ci faccio molto caso, poichè la mano di Akira atterra con dolcezza sulla mia spalla e la sua voce ridente risuona nelle mie orecchie.

"L’avevo detto, che eri un campione!" proclama, mentre io mi giro verso di lui. Colgo il suo sguardo rivolto a Mitsui, anzichè a me. Strano, davvero. Sembrano parlarsi con gli occhi. Che abbiano qualche problema? Il vicecapitano dello Shohoku finisce col piantargli in faccia un sorriso che non riesco proprio ad interpretare, gira i tacchi e se ne va. Lui lo fissa un momento, poi lo ignora e torna ad accarezzare il mio viso con gli occhi. Il suo volto acquista nuovamente un’espressione serena, mentre mi incita a seguirlo negli spogliatoi. Ed ha prorprio ragione: una doccia è quello che mi ci vuole!

Per fortuna anche Kitcho sta benissimo, e si complimenta con me per il mio debutto. Adirittura l’allenatore ha seguito questa epidemia della lusinga, incredibile! Mi sento fin troppo elogiato, e la cosa m’imbarazza.

Doccia, spogliatoio ospiti dello Shohoku. Non so perchè, ma mentre lascio che l’acqua lavi via ogni mio preoccupazione, penso nuovamente al modo in cui si sono fissati Mitsui ed Akira. Faccio correre i miei occhi rapidamente verso di lui. Ha un’espressione molto rilassata, mentre si gode il getto che lo percuote dolcemente sulle spalle. Sorride. Imponendomi di non far scivolare oltre il fuoco delle mie pupille, torno a cercare le punte dei miei piedi. Poi non resisto, e gli lancio di nuovo un’occhiata. Accipicchia, proprio adesso doveva girarsi! Beh, in fondo neppure il suo fondoschiena è un brutto spettacolo. Scorro rapidamente gli occhi lungo la sua spina dorsale. Ah, come lo trovo sexy! Smetto di osservarlo, prima che mi prenda l’irrefrenabile impulso di mettergli le mani adosso. Spero solo che nessuno abbia notato nulla. Mi guardo intorno, ed effettivamente sembra così. Per fortuna.

Quando esco, rivestito e pulito, sto leggendo. Eccomi di nuovo a dipingere l’effige dell’intellettuale che cammina, almeno, questo direbbe Shiro. Mi sento così soddisfatto per quella che è stata la giornata di oggi, che il mio animo è avvolto da un’atmosfera totalmente serena, proprio "da lettura". Credo che sto sorridendo come un beota, finalmente dimentico di quel neo che è stato il gioco di sguardi fra il mio primo rivale ed il mio amato, mentre i miei occhi rincorrono i segni d’inchiostro nero stampati sulle pagine che stanno fra le miei mani. Leggo e cammino. Seguo la strada con la coda dell’occhio, mi è più che sufficiente. Credo che se non esistesse la scrittura la mia vita sarebbe piattissima. Va bene, non sarà un testo molto impegnativo, ma se non altro è avvincente – almeno per me. E poi io fagocito opere letterarie di qualsiasi tipo! Mi piace, questa scrittrice. Sono così calato nell’atmosfera che mi vengono i brividi. "Gli alberi morti che lasciavano marcire le loro radici in quel luogo, il terreno grigio e inanimato, l’imminente oscurità serale rispecchiata nel crepuscolo, l’aria ferma, immobile, quasi troppo pesante per essere respirata, quasi trasudante la morte che circondava, creavano un’atmosfera a dir poco lugubre. Persino i cavalli traspiravano spavento. Il ragazzo scosse la testa e tornò a cercare il proprio "eroe" con gli occhi." Alla faccia del macabro! Regno di Hel? Già, dimenticavo che questa si è fissata sulla mitologia vichinga! Certo che io l’ho trovata molto affascinante, quando ho letto una raccolta di leggende provenienti da quelle latitudini. Comunque credo che se fossi etero potrei sposarla, una donna che scrive così! Peccato che io sia innamorato di...

"Ehi, Natsu! È mezz’ora che ti chiamo, vuoi togliere gli occhi da quel cazzo di libro, o te lo devo strappare io?!" alzo lo sguardo. Che figuraccia! Quando sono preso dalla lettura non sento più nulla! Davvero mi stava chiamando da tanto? Ma poi cosa potrà mai volere Mitsui da me? Non capisco...

***

Eh, vorreste saperlo, vero? Io credo di saperlo, a meno che non mi venga di cambiare idea. Ad essere sinceri avevo scritto la seconda metà del capitolo in maniera totalmente diversa, poi, siccome non mi convinceva, l’ho rifatta da capo. A dire il vero la prima era anche più pertinente con il titolo (scusate, non avevo voglia di cambiarlo...), ma non mi permetteva di concludere la partita. E, siccome io vorrei concentrarmi più sul lato sentimentale che su quello sportivo, non mi sembrava il caso di tirarla per le lunghe. Beh, spero vi vada bene anche così! Ci vediamo in proximis... Che cosa vorrà dire Sashi-kun al nostro Kojiro?

Credits: La canzone è (l’avrete capito) Who wants to live forever dei Queen.

Capitolo 06

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