di Romano Rigamonti
L ’istantanea in scala di
grigio di una tazzina vuota su di una tovaglia spiegazzata ed uno sfondo
indecifrabile nella sua oscurità sono gli anfitrioni visibili della
poesia musicale, semplice e malinconica, dell’album Downworks dei
Minox, che nasconde il meglio di sè proprio nelle atmosfere soniche
che sa creare con le sue tredici tracce.
Sono brani carichi di emozioni
appena abbozzate, ma, per questo motivo, misteriose ed attraenti, come
lo sfondo oscuro della foto in scala di grigio che ci accoglie in copertina.
I Minox ci intrappolano
con le loro atmosfere dai colori sonori complessi che si esprimono con
il downbeat, l’elettronica, la sperimentazione, ma specialmente con la
semplice poesia della musica, a tratti malinconica e struggente.
Mirco Magnani e Marco Monfardini,
i due Minox, coadiuvati dai Dubital e con la partecipazione di Gentle
People, Lydia Lunch, Nobukazu Takemura e Blaine L.
Reininger ci propongono un lavoro in grado di essere semplice, diretto
e contemporaneamente un forte stimolante per la mente.
Tanti potrebbero essere
i possibili riferimenti che questi brani fanno trovare nella memoria, tuttavia,
proprio per la loro ingente quantità, perdono di importanza, mettendo
in evidenza la bellezza dei brani nel loro insieme, come il delicato suono
del pianoforte dei brani In Figueras e Pseudo che dice molto
più con la sua semplice melodia di mille citazioni e l’inizio di
Fenotype, dalle movenze che riportano alla mente il migliore Aphex
Twin, serve solo a farci scivolare nella bellissima Tribute To The
End che lo segue.
Certamente esiste una musica
che con il suo fare arrembante conquista subito la platea, ma non è
certamente il caso di questo Downworks, che trova la forza per farsi
strada nell’animo di chi ascolta nelle emozioni appena sussurrate, magari
attraverso il semplice suono di un clarinetto, o di un pianoforte.
Una volta aperta la porta
alle delicate passioni sonore di questo album difficilmente potrete arginarne
la forza coinvolgente.
Imperdibile.