Comunicato Stampa

 

LA CHIMICA IN ITALIA

RISCHI AMBIENTALI E SANITARI, RICONVERSIONE E INNOVAZIONE

 

FERRARA, RAVENNA, BRINDISI, MANTOVA, PRIOLO, PORTO TORRES, MARGHERA:

LA RICERCA RIMANE A ZERO, L’OBSOLESCENZA IMPIANTISTICA LA CARATTERISTICA PIÙ DIFFUSA, GLI INTERVENTI DI RISANAMENTO AMBIENTALE SOLO AVVIATI

 

LEGAMBIENTE: "AVVIARE UNA POLITICA DI CRESCITA ECONOMICA INCENTRATA SULLA SICUREZZA DEI CITTADINI E SULLE RAGIONI DELL'AMBIENTE"

 

A Porto Marghera non ci sono più dubbi sulla responsabilità del cloruro di vinil monomero (CVM) nell’aumento dell’insorgenza di varie tipologie di tumori epatici che hanno colpito numerosi operai del petrolchimico. In particolare emerge il numero di morti tra gli autoclavisti del CVM (18, di cui 9 per tumore al fegato e 3 per cirrosi epatica), e non ci sono più dubbi neanche per i 45 morti per tumore al fegato tra i lavoratori del CVM a Ferrara fino al 1996, né per i 3 casi di tumore epatico riscontrati a Ravenna fino al 1997. A Brindisi l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha riscontrato, tra gli uomini residenti in quattro comuni dell'area per il periodo 1990 - 1994, un eccesso significativo di casi di mortalità (13,6% in più) per tutti i tipi di tumore, rispetto al valore atteso regionale. Tra questi, per il cancro al sistema linfoematopoietico, si è riscontrato un notevole trend di crescita della mortalità rispetto al dato regionale per gli anni 1981 - 1994, con un passaggio da -14% a +32%. Nell'area di Augusta-Priolo, oltre ad un significativo aumento di casi di malformazioni neonatali, vanno segnalati gli eccessi di mortalità tra uomini residenti, pari al 10% in più rispetto alla media regionale. Per il tumore polmonare poi, l'eccesso è pari addirittura al 20%. Per la popolazione residente entro 2 chilometri dall'inceneritore di rifiuti industriali del polo chimico di Mantova invece, la possibilità di contrarre il rarissimo sarcoma dei tessuti molli (STM), è risultata 25 superiore rispetto agli abitanti del resto della città. E anche qui, decine di lavoratori dello stirene, sono morti per leucemie e linfomi. A Porto Torres nessuno studio epidemiologico è stato avviato, ma il sospetto è che il risultato potrebbe essere non troppo diverso dai casi citati.

Dei rischi ambientali, dell'incidenza delle malattie correlate alle lavorazioni chimiche, ma anche delle possibilità di riconversione e innovazione degli impianti, si è parlato oggi a Roma, in un convegno, cui sono intervenuti, tra gli altri, il ministro dell'Ambiente Willer Bordon, il presidente nazionale di Legambiente Ermete Realacci, la responsabile dell'ufficio scientifico Lucia Venturi,  Roberto Bertollini del Centro Europeo Ambiente e Salute dell'OMS, Gregorio Mirone dell'Enichem, Sergio Treicler di Federchimica e Pietro Comba dell'ISS.

Nel panorama delle industrie a rischio di incidente rilevante, buona parte delle quali sono impianti chimici o petrolchimici, sono aumentati di oltre il 40% il numero di incidenti: 51 durante i primi dieci mesi del 2000 rispetto ai 35 del 1999. Per un totale di 123 incidenti negli ultimi tre anni, con 23 morti e 146 feriti. Il numero dei morti è raddoppiato nell’ultimo anno, passando dai 9 del 1999 ai 18 del 2000.

A Porto Marghera è in corso un processo, avviato nel 1997, nei confronti dei vertici delle varie aziende che si sono avvicendate nella proprietà degli impianti del petrolchimico, e già Montedison ed Enichem hanno stanziato 60 miliardi per risarcire lavoratori e famigliari degli addetti costituitisi parte civile; a Brindisi con accusa di strage colposa e disastro ambientale sono giunti 68 avvisi di garanzia ad altrettanti dirigenti locali del petrolchimico; a Mantova sono indagati i vertici EniChem, a Ferrara e Ravenna è stato inoltrato un esposto perché si indaghi.

"Dopo anni di segnalazioni e denunce inascoltate  - ha dichiarato Realacci - la magistratura sta finalmente intervenendo, ma bisogna allargare le indagini a tutti i siti a rischio, per evidenziare responsabilità ed evitare ulteriori morti per cause di servizio o tra la popolazione residente. Tutto questo, senza rinviare oltre la chiusura dei cicli di lavorazione per cui è stata dimostrata la pericolosità sanitaria e l'incompatibilità ambientale. Il risanamento ambientale, la bonifica dei siti contaminati e di quelli dismessi deve diventare l'impegno prioritario delle industrie volte al futuro, perché non è pensabile una politica di crescita economica che non consideri le ragioni ambientali e la sicurezza dei cittadini ".

L’industria chimica in Italia ruota intorno a tre componenti fondamentali costituite da grandi gruppi a capitale italiano, imprese mediograndi a capitale straniero con attività produttiva in Italia, piccole e medie imprese. Complessivamente operano sul nostro territorio circa 4.000 imprese; il 95% delle quali sono piccole-medie, che pesano per il 50% della struttura occupazionale e per il 50% del fatturato. Da oltre un decennio si assiste ad un forte ridimensionamento della politica dei grandi gruppi nazionali che hanno dismesso gran parte delle loro produzioni ed hanno lasciato il posto ad imprese a capitale estero - che rappresentano circa il 22% della chimica prodotta in Italia - molto scarse in termini di produttività e di ricerca, tanto che possiamo dire che l’Italia è oggi il paese europeo con la minor presenza produttiva nei settori strategici della chimica.

Le politiche attuate dai gruppi italiani, per far fronte a debiti ed inefficienze e per raggiungere l’obiettivo del conto economico in positivo, scelgono la strada dei tagli. All'Enichem, gli occupati passano da 50.000 a 16.000. La ridefinizione del core business viene operata attraverso cessioni e dismissioni in un quadro emergenziale anziché di riassetto industriale. Massicci interventi sul personale - per abbattere i costi fissi - e sull’indice di produzione per addetto, causano un grave abbassamento dei livelli di sicurezza. Le spese di ricerca rimangono un modestissimo 2% del fatturato, mentre le attività di ricerca in realtà vengono sostituite da interventi di assistenza tecnica, assistenza al prodotto e, in minima parte, assistenza al processo. Nel Business Plan 1997-2000, Enichem dimostra di voler fondamentalmente mantenere l’obiettivo di risanamento raggiunto e di mantenere le posizioni acquisite nella chimica di base e nelle plastiche, trascurando, di fatto, la strada dell’innovazione tecnologica e concentrandosi nella chimica primaria.

La ricerca rimane a zero, l’obsolescenza impiantistica la caratteristica più diffusa, gli interventi di risanamento ambientale, per cui vengono previsti 400 miliardi, solo in parte avviati. Tutto il settore appare particolarmente a rischio per gli incidenti rilevanti, anche per le scarse condizioni di sicurezza in cui lavorano gli addetti, per il minore livello di conoscenza dei processi e la sempre più scarsa formazione, dato che la manutenzione è ormai totalmente in mano a ditte esterne che spesso si aggiudicano l’appalto al massimo ribasso.

Oltre alle problematiche legate al rischio industriale e sanitario nelle aziende tuttora funzionanti, grave e tuttora irrisolto appare quindi il problema relativo agli impianti dismessi e a quelli in via dismissione inseriti in progetti di bonifica. Gli interventi di trattamento infatti, si stanno rivelando critici per le grandi quantità di materiali da trattare, la complessità delle contaminazioni, la mancanza di tecnologie e di siti idonei.

 

L'Ufficio Stampa (06.86268376/99)