ATTI DI PAOLO

 

ATTI DI PAOLO

 

 

1. ATTI DI PAOLO E TECLA *  

[1] Paolo a Iconio. Allorché Paolo, fuggito da Antiochia, saliva a Iconio, aveva come compagni di viaggio Demas ed Ermogene, il calderaio, i quali pieni di ipocrisia adulavano Paolo facendo mostra di volergli bene.

Paolo, non vedendo altro che la bontà di Cristo non nutriva verso di loro alcun sospetto, anzi dimostrava molto affetto, spiegava e rendeva ad essi gradite tutte le parole del Signore, sull'insegnamento e sull'interpretazione del vangelo, sulla nascita e sulla risurrezione del prediletto, narrando parola per parola tutte le grandezze di Cristo, come gli erano state rivelate.

[2] Un uomo, di nome Onesiforo, avendo udito che Paolo si avvicinava a Iconio, uscì per andargli incontro con i suoi figli Simia e Zerro e con la moglie Lettra per offrirgli ospitalità. Era stato Tito, infatti, a descrivergli l'aspetto di Paolo, non conoscendolo egli fisicamente, ma solo spiritualmente.

[3] Egli percorreva la via regia che conduce a Listra, si fermava ad attenderlo e osservava attentamente i passanti in base alla descrizione di Tito. Scorse Paolo che stava venendo: era un uomo di bassa statura, la testa calva, le gambe arcuate, il corpo vigoroso, le sopracciglia congiunte, il naso alquanto sporgente, pieno di amabilità; a volte infatti aveva le sembianze di un uomo, a volte l'aspetto di un angelo.

[4] Quando vide Onesiforo, Paolo sorrise. Onesiforo gli disse: "Salve, ministro di Dio benedetto!". Ed egli a lui: "La grazia sia con te e con la tua famiglia!". Ma Demas ed Ermogene, ingelositi, divennero ancora più ipocriti, tanto che Demas esclamò: "Noi non siamo forse del Benedetto, che tu non ci hai salutati allo stesso modo?". Onesiforo rispose: "Non vedo in voi alcun frutto di giustizia. Se tuttavia anche voi siete dei loro, venite a casa mia e ristoratevi".

[5] Quando Paolo entrò nella casa di Onesiforo, ci fu una gioia grande: le ginocchia si piegarono, fu spezzato il pane e fu annunciata la parola di Dio sulla continenza e sulla risurrezione. Paolo diceva:

"Beati i puri di cuore, poiché essi vedranno Dio.

Beati quelli che custodiscono casta la carne, poiché essi diverranno tempio di Dio.

Beati i continenti, perché Dio si intratterrà con essi.

Beati quelli che hanno rinunziato a questo mondo, poiché essi saranno graditi a Dio.

Beati coloro che hanno la moglie come se non l'avessero, poiché essi erediteranno Dio.

Beati quelli che hanno il timore di Dio, poiché essi saranno angeli di Dio.

[6] Beati quelli che temono le parole di Dio, poiché essi saranno consolati.

Beati quelli che accolgono la sapienza di Gesù Cristo, poiché essi saranno chiamati figli dell'Altissimo.

Beati quelli che hanno custodito il battesimo, poiché essi troveranno riposo presso il Padre e il Figlio.

Beati quelli che hanno la conoscenza di Gesù Cristo, perché essi saranno nella luce.

Beati quelli che si sono liberati dell'aspetto esteriore del mondo per amore di Dio, poiché essi giudicheranno gli angeli e saranno benedetti alla destra del Padre.

Beati i misericordiosi, poiché essi troveranno misericordia e non vedranno l'amaro giorno del giudizio.

Beati i corpi delle vergini, poiché essi saranno graditi a Dio e non perderanno la ricompensa della loro castità: la parola del Padre sarà infatti per essi opera di salvezza nel giorno del suo Figlio ed avranno riposo nei secoli dei secoli".

[7] Tecla, Paolo e Tamiri. Mentre Paolo parlava così in mezzo all'adunanza nella casa di Onesiforo, seduta alla finestra della casa vicina, la vergine Tecla, la cui madre si chiamava Teoclia, fidanzata ad un uomo di nome Tamiri, ascoltava giorno e notte il discorrere di Paolo sulla castità: non si allontanava mai dalla finestra, ma, sostenuta dalla fede, vi restava con gioia inesprimibile. Vedendo inoltre che molte donne e vergini entravano da Paolo, bramava di poter essere anch'essa degna di stare al cospetto di Paolo e ascoltare la parola di Cristo: non aveva mai visto infatti le sembianze di Paolo, ma aveva udito soltanto la sua parola.

[8] Siccome lei non si allontanava mai dalla finestra, sua madre mandò a cercare Tamiri. Questi giunse pieno di gioia, come se dovesse già prenderla in sposa.

Tamiri disse dunque a Teoclia: "Dov'è la mia Tecla?". Teoclia gli rispose: "Ho da dirti qualcosa di nuovo, Tamiri. Sono infatti tre giorni e tre notti che Tecla non si alza dalla finestra, né per mangiare, né per bere, ma come attratta dalla gioia è tutta presa da uno straniero che ammaestra con parole menzognere e seduttrici, ed io sono stupita che una vergine così modesta si lasci turbare in modo così penoso.

[9] Quest'uomo, Tamiri, sconvolge tutta la città di Iconio, e anche la tua Tecla. Poiché a tutte le donne e ai giovani che vanno da lui, egli insegna: "E' necessario temere l'unico Dio e vivere in castità". Anche mia figlia, incatenata come un ragno alla finestra dalle sue parole è sotto l'influsso di un desiderio nuovo e di una passione spaventosa; la fanciulla attratta dalle sue parole, non si lascia distogliere. Avvicinati dunque a lei e rivolgile la parola: lei infatti ti è promessa!".

[10] Pieno di amore per lei ma anche timoroso per la sua estasi, Tamiri si avvicinò e le disse: "Tecla, mia promessa sposa, perché resti seduta così? Quale passione ti trattiene in questa estasi? Volgiti al tuo Tamiri e vergognati!". Anche sua madre ripeteva la stessa cosa: "Figlia, perché te ne stai seduta così con gli occhi bassi, non rispondi nulla e sei fuori di te?". Essi piangevano amaramente: Tamiri per la donna perduta, Teoclia per la perdita della figlia, le serve per la perdita della padrona. In quella casa grande era dunque la confusione e l'amarezza. Durante tutto ciò, Tecla non si voltò, ma seguitava ad essere attratta dalla parola di Paolo.

[11] Tamiri, nel mentre, era uscito per la strada e osservava quanti entravano e uscivano da Paolo. Vide due uomini che lottavano acerbamente tra di loro e disse a essi: "Uomini, ditemi chi siete e chi è quel seduttore, là dentro, presso di voi, ingannatore di giovani e di vergini affinché non si sposino, ma restino come sono. Prometto di darvi molto denaro purché mi parliate di lui. Io, infatti, sono il primo della città".

[12] Demas ed Ermogene gli risposero: "Chi sia costui, non lo sappiamo. E' certo che allontana i giovani dalle donne e le vergini dagli uomini, dicendo: "Se non vi conserverete puri e lungi dal contaminare la vostra carne, se non la manterrete casta, non vi sarà per voi alcuna risurrezione".

[13] Tamiri disse loro: "Venite, uomini, a casa mia e ristoratevi con me!". Andarono così a un ricchissimo banchetto con molto vino, una quantità di dovizie e una splendida tavola. Pieno di passione per Tecla, che egli amava e voleva sposare, li fece bere, e mentre mangiavano Tamiri domandò loro: "Ditemi, uomini, qual è la sua dottrina, affinché anch'io la conosca. Non piccola è infatti la mia angoscia per Tecla a causa del suo amore per questo straniero, ond'io rischio di essere privato del matrimonio".

[14] Demas ed Ermogene risposero: "Conducilo davanti al governatore Castelio, sotto l'accusa che egli seduce la gente con il nuovo insegnamento dei cristiani e tu avrai Tecla in moglie. Noi ti insegniamo la risurrezione, che egli preannuncia: essa si è già avverata nei nostri figli e noi risorgiamo mediante la conoscenza del vero Dio".

[15] Dopo aver udito ciò, Tamiri fu pieno di gelosia e di collera. E fattosi giorno, andò in casa di Onesiforo con arconti, funzionari e una numerosa folla di popolani armata di bastoni e disse a Paolo: "Hai rovinato la città di Iconio e la mia promessa sposa, tanto che ella non mi vuole più: orsù, andiamo dal governatore Castelio!". Tutta la folla gridava: "Fa' fuori il mago! Ha rovinato infatti tutte le nostre donne!". E tutta la gente era d'accordo con lui.

[16] Paolo davanti al proconsole. Tamiri, giunto davanti al tribunale prese a gridare a gran voce: "Proconsole, non sappiamo donde viene costui, che induce le vergini a non sposarsi. Esponga ora davanti a te il motivo per cui insegna queste cose". Demas ed Ermogene dissero a Tamiri: "Dì che è cristiano e così lo rovinerai". Ma il governatore seguì il proprio consiglio, e chiamato a sé Paolo, gli domandò: "Chi sei tu? Che cosa insegni? Non è infatti leggera l'accusa che adducono contro di te".

[17] Paolo alzò la voce e rispose: "Poiché oggi debbo rendere ragione di ciò che insegno, ascolta, governatore! Il Dio vivo, il Dio della vendetta, il Dio geloso, il Dio che non ha bisogno di nulla e desidera la salvezza degli uomini, mi ha mandato affinché io li strappi dalla perdizione e dalla contaminazione, dal piacere e dalla morte, affinché più non pecchino. Per questo Dio ha mandato il suo proprio Figlio, che è appunto colui che io predico, ad insegnare agli uomini la speranza in lui, che fu il solo ad avere pietà del mondo traviato, affinché gli uomini non siano più sotto la condanna, abbiano invece la fede e il timore di Dio, conoscano la santità e amino la verità. Se dunque insegno ciò che mi è stato rivelato da Dio, in che cosa sono ingiusto, proconsole?". Il governatore, udito ciò, ordinò che Paolo fosse incatenato e condotto in prigione, per poterlo ascoltare fino a fondo a tempo opportuno.

[18] Tecla in prigione da Paolo. Nella notte Tecla si tolse i braccialetti, li diede al custode, il quale le aprì la porta di ingresso alla prigione; offrì al carceriere uno specchio d'argento ed entrò da Paolo: sedutasi ai suoi piedi ascoltava le grandezze di Dio. Paolo non temeva nulla e si comportava con la franchezza di Dio. Baciando le sue catene, la fede di lei aumentava.

[19] I suoi parenti e Tamiri non trovando Tecla e, pensando che si fosse perduta, la cercavano per le strade, quando uno schiavo, compagno del custode rivelò che era uscita durante la notte. Interrogarono allora il custode il quale manifestò loro che era andata a trovare il prigioniero in carcere. Essi seguirono questa indicazione e la trovarono incatenata, per così dire, dall'amore.

Usciti di là assembrarono la folla e rivelarono l'accaduto al governatore.

[20] Questi ordinò di condurre Paolo davanti al tribunale. Frattanto Tecla si raggomitolava nel luogo ove Paolo, seduto nella prigione, l'ammaestrava. Il governatore ordinò che fosse condotta anche lei davanti al tribunale: ed ella partì felice, piena di gioia. Mentre Paolo era condotto per la seconda volta, la folla gridava ancora più forte: "E' un mago! Toglilo di mezzo!". Tuttavia il governatore ascoltava con piacere Paolo che parlava delle opere sante. In seguito, dopo aver radunato il suo consiglio, fece chiamare Tecla e le disse: "Perché non ti sposi con Tamiri, secondo la legge dei cittadini di Iconio?". Ma lei teneva gli occhi fissi su Paolo. Siccome non rispondeva, sua madre Teoclia esclamò: "Brucia questa iniqua! Brucia questa nemica del matrimonio in mezzo al teatro, affinché tutte le donne, ammaestrate da costui, ne abbiano spavento".

[21] Tecla condannata al rogo. Il governatore pur soffrendone violentemente, fece flagellare Paolo, lo scacciò dalla città e condannò Tecla a essere bruciata. Poi il governatore si alzò subito e andò al teatro; anche tutta la folla era andata a contemplare lo spettacolo. Ma, come un agnello nel deserto alza lo sguardo verso il pastore, così Tecla cercava Paolo; e rimirando tra la folla, vide il Signore seduto, nelle sembianze di Paolo, e disse: "Quasi che io fossi incapace di resistere, Paolo è venuto a osservarmi!". E mentre lei era tutta protesa verso di lui, egli salì in cielo.

[22] Nel mentre, i giovani e le vergini portavano legna e paglia per bruciare Tecla; ma quando lei fu introdotta nuda, il governatore scoppiò in lacrime, stupito dalla sua forza. Gli aguzzini sistemarono la legna e le ordinarono di salire sul rogo. Lei si mise in forma di croce, salì ed essi vi appiccarono il fuoco. Ma, nonostante divampasse una grande fiamma, il fuoco non la toccò: Dio infatti, commosso, causò un fragore sotterraneo, mentre, dall'alto, una nube carica di pioggia e di grandine oscurò il teatro e vi rovesciò tutto il suo contenuto. Molti si trovarono in gran pericolo e perirono, mentre il fuoco si spense e Tecla fu salva.

[23] Tecla ancora da Paolo. Paolo, e con lui Onesiforo, sua moglie e i figli digiunavano in un sepolcro aperto lungo la strada che va da Iconio a Dafne. Dopo essere rimasti alcuni giorni digiuni, i ragazzi dissero a Paolo: "Abbiamo fame". Ma non avevano nulla per comprare il pane; Onesiforo infatti, con tutta la sua famiglia, aveva abbandonato le cose del mondo per seguire Paolo. Paolo allora si tolse il mantello e disse: "Su, figlio, va', compra parecchi pani e portali". Mentre il ragazzo comperava, vide Tecla, la sua vicina; si stupì e le disse: "Tecla, dove vai?". Lei rispose: "Salvata dal fuoco, cerco Paolo". E il ragazzo a lei: "Vieni, ti conduco da lui. Egli infatti è angosciato per te, prega e digiuna ormai da sei giorni".

[24] Giunta al sepolcro, mentre Paolo pregava inginocchiato: "Padre di Cristo, che il fuoco non tocchi Tecla! Assistila, perché è tua", in piedi, dietro di lui, gridò: "Padre, che hai fatto il cielo e la terra, Padre di Gesù Cristo, tuo Figlio diletto, ti benedico di avermi salvata dal fuoco affinché potessi vedere Paolo".

Paolo si alzò e appena la vide, esclamò: "Dio che conosci i cuori, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, ti benedico, perché ti affrettasti ad ascoltare ed esaudire la mia domanda".

[25] Dentro il sepolcro molto era l'amore: Paolo, Onesiforo e tutti erano pieni di gioia. Avevano cinque pani, legumi, acqua e sale, e si rallegravano delle opere sante di Cristo.

E Tecla disse a Paolo: "Mi faccio tagliare i capelli e ti accompagnerò ovunque tu vada". Ma egli rispose: "I tempi sono cattivi e tu sei graziosa. Ti potrebbe arrivare un'altra prova, peggiore della prima alla quale tu non potresti resistere, mostrandoti codarda". E Tecla a lui: "Dammi soltanto il sigillo in Cristo e non mi toccherà prova alcuna". Paolo le rispose "Abbi pazienza, Tecla, riceverai l'acqua".

[26] Tecla condannata alle fiere. Paolo inviò Onesiforo e tutta la sua famiglia a Iconio e, presa con sé Tecla, andò in Antiochia.

Appena giunti in Antiochia, alla vista di Tecla, un siro, di nome Alessandro, uno dei primi della città, se ne invaghì e cercava di conquistarsi Paolo con denaro e doni. Ma Paolo gli disse: "Non conosco la donna di cui parli, non è mia"

Ma essendo molto potente, egli la abbracciò sulla strada; ma essa, non sopportando questa cosa, cercava Paolo e gridava amaramente: "Non fare violenza a una straniera, non fare violenza a una serva di Dio! Sono una delle prime di Iconio e sono stata scacciata dalla città, perché non ho voluto sposare Tamiri".

Afferrò poi il mantello di Alessandro lo lacerò e gli tolse la corona dal capo, rendendolo ridicolo.

[27] Ma egli, sia perché era innamorato, sia perché aveva subito l'onta di quanto era accaduto, la trasse dal governatore. Lei confessò ogni cosa ed egli la condannò alle fiere.

Le donne della città divennero furiose e gridavano davanti al tribunale: "Sentenza malvagia! Sentenza empia!". Tecla domandò al governatore di restare inviolata fino alla lotta contro le fiere.

Una donna ricca, di nome Trifena, la cui figlia era morta, la prese in custodia e l'ebbe come conforto.

[28] Quando furono fatte sfilare le bestie, Tecla fu legata a una feroce leonessa; la regina Trifena l'accompagnava. La leonessa però leccò i piedi di Tecla che era seduta su di essa, mentre tutta la folla era fuori di sé. Il motivo della condanna era su di un'iscrizione: "Rea di sacrilegio".

Donne e bambini presero a gridare nuovamente: "Quali empietà, o Dio, si commettono in questa città".

Dopo questa sfilata, Trifena la prese nuovamente con sé, poiché sua figlia Falconilla, che era morta, le aveva detto in sogno: "Al mio posto, madre, prenderai Tecla, straniera abbandonata, affinché preghi per me ed io possa passare nel luogo dei giusti".

[29] Dopo la sfilata, Trifena l'accolse dunque, sia perché era addolorata che il giorno appresso dovesse combattere con le fiere, sia perché l'amava molto come la figlia Falconilla, e le disse: "Tecla, mia seconda figlia, vieni, prega per mia figlia affinché viva nell'eternità. Questo infatti è quanto ho visto in sogno".

Tecla non indugiò ed elevò la voce dicendo: "Dio dei cieli, Figlio dell'Altissimo, concedile quanto desidera, che cioè sua figlia Falconilla viva nell'eternità". All'udire queste parole, Trifena era desolata al pensiero che tanta bellezza stava per essere gettata alle fiere.

[30] Al sorgere del giorno, Alessandro venne a prelevarla Ä era lui infatti che offriva i giochi al circo Ä dicendo: "Il governatore è seduto e il popolo tumultua contro di noi, dammi la condannata alle fiere, affinché la conduca via". Ma Trifena si mise a gridare tanto da farlo fuggire; diceva: "Il lutto per la mia Falconilla si abbatte per la seconda volta sulla mia casa! Non c'è alcuno che mi aiuti! Non un figlio, essendo lei morta, non un parente, essendo io vedova. Il Dio di mia figlia Tecla, soccorra Tecla!".

[31] Il governatore però mandò soldati a prendere Tecla. Trifena tuttavia non l'abbandonò. La prese per mano e la condusse, dicendo: "Ho condotto alla tomba mia figlia Falconilla, e conduco te, Tecla, a combattere contro le fiere"

Tecla allora pianse amaramente e, sospirando verso il Signore, disse: "Signore, Dio nel quale io credo e nel quale mi sono rifugiata, che mi hai strappato al fuoco, ricompensa Trifena per la pietà che mi ha usato e per avermi conservata pura".

[32] Si udì un tumulto, le fiere ruggivano, il popolo e le donne sedute insieme gridavano, l'uno: "Fate entrare la sacrilega!", le altre invece: "Perisca la città a causa di questa iniquità! Uccidi tutte noi proconsole! E' uno spettacolo atroce, una sentenza malvagia!".

[33] Tecla, tolta dalle mani di Trifena, fu spogliata e, rivestita di una corta sottana, fu gettata nello stadio, lanciando contro di lei leoni e orsi. Allora una feroce leonessa andò a gettarsi ai suoi piedi, mentre la folla delle donne lanciava alte grida. Un'orsa si lanciò contro di lei, ma la leonessa si precipitò contro l'orsa e la sbranò.

Un leone, ammaestrato nella lotta contro l'uomo e appartenente ad Alessandro, si lanciò contro di lei, ma si precipitò anche la leonessa, lottò contro di lui e morirono insieme. Il dolore delle donne divenne ancora più grande, poiché era morta la leonessa che la proteggeva.

[34] Introdussero allora molte fiere, ma lei stava sempre in piedi con le mani stese in preghiera. Ma quand'ebbe finito la preghiera, si voltò, vide una grande fossa piena d'acqua e disse: "Ora è tempo ch'io mi lavi"; e vi si gettò dentro con le parole: "Nel nome di Gesù Cristo io mi battezzo nell'ultimo giorno". A questa vista le donne e tutta la moltitudine esclamarono: "Non ti gettare nell'acqua!". Tanto che anche il governatore versava lacrime al pensiero che tanta bellezza fosse divorata dalle foche.

Essa dunque si gettò in acqua nel nome di Gesù Cristo e le foche, alla vista dello splendore di un lampo, galleggiarono morte alla superficie. Attorno a lei si stese una nube di fuoco, tanto che né le fiere potevano toccarla, né poteva essere mirata la sua nudità.

[35] Quando furono lanciate fiere ancora più feroci, le donne ripresero a urlare: alcune gettarono foglie, altre nardo, altre cassia ed altre balsamo, sicché si formò una grande varietà di profumi, e le fiere lanciate, quasi attanagliate dal sonno, non la toccarono.

Alessandro disse allora al governatore: "Ho dei tori terribilmente feroci; attacchiamo a essi la condannata alle fiere". Malvolentieri il governatore acconsentì, dicendo: "Fa' ciò che tu vuoi". Fu allora legata per i piedi tra i tori e, per renderli più furiosi e perché l'ammazzassero, furono posti ferri roventi sugli organi genitali. Essi balzarono in avanti, ma la fiamma che ardeva tutt'intorno bruciò le funi e lei rimase come se non fosse stata legata.

[36] In piedi, all'ingresso dell'arena, a quella vista, Trifena svenne tanto che le ancelle che l'accompagnavano dissero: "La regina Trifena è morta". Il governatore allora intimò la fine e tutta la città rimase nell'angoscia. Alessandro cadde ai piedi del governatore e disse: "Abbi pietà di me e della città! Libera la condannata alle fiere, affinché non perisca anche la città. Se Cesare, infatti, avrà notizia di queste cose, subito manderà in rovina noi e la città, essendo morta all'ingresso dell'arena la regina Trifena, sua parente".

[37] Il governatore allora chiamò di mezzo alle fiere Tecla e le disse: "Chi sei tu? E che cosa hai attorno a te, che neppure una fiera ti ha toccato?". Lei rispose: "Sono un'ancella del Dio vivo. Quanto è attorno a me è l'aver io creduto nel Figlio, oggetto della compiacenza divina: per mezzo suo neppure una delle fiere mi ha toccata. Lui solo infatti è la via della salvezza e la base della vita immortale. Egli è il rifugio di coloro che sono sbattuti dalla tempesta, il ristoro dei tribolati, il riparo dei disperati. In una parola: chi in lui non crede, non vivrà, ma morrà per l'eternità".

[38] Udito ciò, il governatore ordinò che fossero portati dei vestiti e le disse: "Indossa questi abiti". Lei rispose: "Colui che mi ha vestito quando ero nuda in mezzo alle fiere, costui mi rivestirà con la salvezza nel giorno del giudizio". Prese gli abiti e li indossò.

Il governatore emise allora subito un decreto in questi termini: "Tecla, pia ancella di Dio, io vi lascio libera".

Le donne allora gridarono tutte a gran voce e quasi con un'unica bocca diedero lode a Dio dicendo: "Vi è un solo Dio, quello che salvò Tecla". Questo grido scosse tutta intera la città.

[39] Informata della lieta notizia, Trifena le andò incontro con una folla, abbracciò Tecla e disse: "Ora credo che i morti risorgono! Ora credo che mia figlia vive! Entra da me e ti faccio erede di tutte le mie sostanze".

Tecla entrò dunque da lei, si ristorò in casa sua per otto giorni insegnandole la parola di Dio. Lei credette e così la maggioranza delle sue ancelle e grande fu la gioia di quella casa.

[40] Tecla a Mira da Paolo. Ma Tecla desiderava ardentemente Paolo. Lo cercava inviando persone ovunque, e le fu riferito che era a Mira. Prese allora con sé dei giovani e delle giovani, si cinse i fianchi, cucì la tunica trasformandola in un mantello secondo la foggia degli uomini, e andò a Mira ove trovò Paolo che predicava la parola di Dio e gli si avvicinò.

Quando Paolo vide lei e la folla che l'accompagnava si stupì pensando che la minacciasse qualche altra prova. Ma lei comprese e gli disse: "Ho ricevuto il lavacro, Paolo! Colui infatti che ti diede energia per il vangelo, a me diede l'energia per il lavacro".

[41] Presala per mano, Paolo la condusse in casa di Ermia: udì da lei ogni cosa e ne fu molto stupito. I presenti ne furono corroborati e pregarono per Trifena. Poi Tecla si alzò e disse a Paolo: "Vado a Iconio". Paolo le rispose: "Va' e insegna la parola di Dio".

Trifena inviò poi molte vesti e dell'oro, di modo che ne pohé lasciare anche a Paolo per il servizio dei poveri.

[42] Tecla dalla madre. Essa dunque andò a Iconio ed entrata in casa di Onesiforo, si gettò a terra, là ove Paolo soleva sedere insegnando le parole di Dio, e pianse dicendo: "Mio Dio, e Dio di questa casa ove brillò per me la luce, Gesù Cristo, Figlio di Dio, mio aiuto nella prigione, aiuto davanti ai governatori, aiuto nel fuoco, aiuto tra le fiere! Tu sei Dio, a te la gloria per l'eternità. Amen".

[43] Trovò che Tamiri era morto, ma sua madre viveva ancora: la fece chiamare e le disse: "Teoclia, madre mia, puoi tu credere che il Signore vive nei cieli? Se tu desideri ricchezze, il Signore te le darà per mezzo mio, se desideri la tua figlia, eccomi presso di te". Resa questa testimonianza, partì per Seleucia e, dopo aver illuminato molti per mezzo della parola di Dio, si addormentò in un dolce sonno.

 

 

 

FINALI DIVERSI

 

Dai Codici ABC  

[43 bis] (come sopra fino a: presso di te). Resa questa testimonianza, partì per Seleucia e dimorò in una caverna per 72 anni seguendo una dieta vegetariana, bevendo acqua, e illuminando molti con la parola di Dio.

[44] Alcuni della città, di religione greca e di professione medica, mandarono da lei dei giovani corrotti per corromperla; dicevano, infatti, che era una vergine al servizio di Artemide e per questa ragione aveva il potere di guarire. Ma per opera della provvidenza divina entrò viva in una roccia e s'inoltrò sotterra giungendo fino a Roma per contemplare Paolo; ma lo trovò morto.

Rimase qui non molto tempo e poi si addormentò in un dolce sonno, e fu sepolta due o tre stadi circa dalla tomba del suo maestro Paolo.

Fu gettata alle fiamme quando aveva 17 anni, alle fiere quando aveva 18 anni; a quanto si dice, condusse vita ascetica nella caverna per 72 anni, sicché tutti gli anni della sua vita furono 90.

Dopo avere compiuto molte guarigioni ora riposa nel luogo dei santi, essendosi addormentata in Cristo Gesù, Signore nostro, il 24 di settembre. A lui sia gloria e potenza per i secoli dei secoli. Amen.

 

 

Dal Cod. G  

Lei rese questa e altre testimonianze ed esortava sua madre, ma questa non volle credere a quanto le diceva la martire Tecla. Visto che non riusciva a nulla, Tecla segnò tutto il suo corpo con il segno della croce, uscì dalla porta e si recò a Dafne.

Entrata nella tomba ove era stato trovato Paolo con Onesiforo, vi si prostrò e scoppiò in lacrime davanti a Dio. Poi uscì e si recò a Seleucia condotta da una nube luminosa. Entrata in Seleucia, se ne allontanò, se ne scostò per lo spazio di uno stadio, temendone gli abitanti essendo adoratori degli idoli.

La sua guida si fermò sul monte Calamone e Rodeone: quivi trovò una grotta, vi si ritirò e rimase molti anni. Da parte del diavolo subì molte e dolorose prove, sopportate nobilmente con il soccorso di Cristo.

Alcune donne nobili, avendo sentito parlare della vergine Tecla, andarono da lei e impararono le parole di Dio; molte di esse abbandonarono il mondo e praticarono con lei la virtù. Ovunque si sparse la sua fama, e per mezzo suo si operarono ovunque miracoli. Venutane a conoscenza tutta la città e i dintorni, portavano i loro malati sulla montagna, e prima ancora che si avvicinassero alla porta venivano guariti, qualunque fosse la loro malattia, e gli spiriti impuri uscivano gridando: tutti riacquistavano la salute del corpo, glorificando Dio che aveva dato una tale grazia alla vergine Tecla.

E in tal modo i medici di Seleucia erano considerati buoni a nulla: persero i loro clienti e nessuno prestava più attenzione a loro. Pieni d'invidia e gelosia, escogitarono inganni contro la serva di Dio, e il diavolo suggerì loro un piano perverso.

Un giorno tennero consiglio e discussero insieme, affermando: "Questa vergine è consacrata alla grande dea Artemide; qualsiasi cosa le chieda lei l'ascolta perché è vergine ed è amata da tutti gli dèi. Prendiamo uomini disonesti, ubriachiamoli con molto vino, diamo loro molto oro, dicendo: "Se potete corromperla e contaminarla, vi daremo ancora molto denaro". I medici pensavano: se riusciranno a corromperla, non l'ascolteranno più, per i malati, né gli dèi, né Artemide.

Eseguirono dunque il loro progetto. Uomini disonesti andarono sul monte e, postisi all'ingresso della caverna, simili a leoni, bussarono alla porta. La santa martire Tecla aprì fiduciosa nel Dio nel quale credeva, pur essendo già a conoscenza del loro criminale progetto; disse loro: "Che volete, figli?". Risposero: "E' qui quella che si chiama Tecla?". Lei rispose: "Perché la volete?". Essi risposero: "Vogliamo coricarci con lei". La beata Tecla rispose: "Io sono una povera vecchia, serva del mio Signore Gesù Cristo. Anche se volete farmi del male, non ci riuscirete". Risposero: "Non è possibile che non riusciamo a fare di te ciò che vogliamo". Così dicendo s'impadronirono di lei con la forza e cercarono di violentarla. Ma lei disse loro con dolcezza: "Aspettate, figli, e vedrete la gloria del Signore". Afferrata da essi, lei guardò verso il cielo e disse: "Dio terribile, incomparabile e glorioso di fronte ai tuoi nemici, tu che mi hai scampato dal fuoco, non mi hai abbandonato a Tamiri, non mi hai abbandonato ad Alessandro, mi hai strappato dalle belve, mi hai salvato dalla fossa, tu che ovunque mi hai soccorso ed hai glorificato in me il tuo nome, strappami anche adesso da questi uomini empi! Non permettere che violentino la mia verginità, conservata fino a oggi per il tuo nome perché ti amo, ti desidero, mi prostro davanti a te, Padre, Figlio e Spirito santo, per sempre, Amen".

Dal cielo s'udì una voce: "Tecla, mia serva verace, non temere perché io sono con te. Guarda! Vedi il luogo aperto davanti a te. Là troverai una casa perpetua, là sarai soccorsa". La beata Tecla, tutta intenta, vide la pietra aprirsi come per una persona e fece come le era stato detto. Sfuggendo abilmente a quegli uomini disonesti, entrò nella roccia, che subito si chiuse non lasciando apparire neppure una fessura.

Alla vista di questo strano prodigio, restarono fuori di sé e non ebbero la forza di impadronirsi della serva di Dio. Riuscirono soltanto ad afferrare il suo velo, strappandone un pezzo. E ciò per concessione di Dio per corroborare la fede dei visitatori di questo luogo venerabile e per la benedizione delle generazioni future, di coloro che con cuore puro credono nel Signore nostro Gesù Cristo.

Dunque, Tecla di Iconio, protomartire, apostola e vergine di Dio, patì all'età di 18 anni; dopo la peregrinazione, il viaggio e l'esercizio della virtù sul monte, visse ancora 72 anni; quando il Signore la riprese, aveva 90 anni: questa fu la sua fine.

La sua santa memoria si fa il 24 settembre, a gloria del Padre, del Figlio e dello Spirito santo ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.

 

 

 

2. PAPIRO COPTO DI HEIDELBERG  

[1] Paolo a Mira (pp. 28Ä35). Quando Paolo insegnava a Mira la parola di Dio, c'era un uomo, di nome Ermocrate, che aveva la idropisia. Fattosi avanti alla presenza di tutti, disse a Paolo: "Nulla è impossibile a Dio, ma specialmente a quello che tu annunzi, giacché appena giunse, questo Dio, di cui tu sei ministro, guarì un gran numero di malati.

[2] Vedi, io, mia moglie e i miei figli ci gettiamo ai tuoi piedi... affinché creda anch'io al Dio vivo come hai creduto tu".

Paolo gli rispose: "Io esaudisco la tua domanda, ma senza alcuna ricompensa! Nel nome di Gesù Cristo, in presenza di tutta questa gente, tu sarai guarito...". Mentre abbassava la mano... scese molta acqua... e cadde come un morto. Tanto che alcuni dissero: "Per lui è meglio morire piuttosto che continuare a soffrire". Paolo però rasserenò la folla: prese la mano di Ermocrate, lo rialzò e l'interrogò dicendo: "Che cosa desideri, Ermocrate?". Ed egli rispose: "Desidero mangiare!". Paolo allora prese un pane e glielo diede da mangiare. E subito, guarito, ricevette la grazia del sigillo nel Signore, sia lui che sua moglie.

Ma suo figlio Ermippo, furioso contro Paolo, insieme a quelli della sua età studiava il tempo propizio per scagliarsi contro Paolo e rovinarlo. Egli infatti desiderava che suo padre non guarisse, bensì che morisse per diventare padrone dei suoi beni. [3] Suo fratello minore Dione, invece, ascoltava Paolo con piacere...

Dai frammenti si deduce che Ermippo e amici deliberano la maniera di uccidere Paolo, ma improvvisamente muore il figlio preferito di Ermocrate, Dione; il padre lo piange amaramente, va a trovare Paolo, e si siede ai suoi piedi dimentico della morte del figlio.

...Saputo che Dione era morto, sua madre Ninfa, stracciò le proprie vesti, andò da Paolo e si pose davanti a suo marito Ermocrate e a Paolo. Alla sua vista, questi si spaventò e le domandò: "Perché in questo stato, Ninfa?". Lei rispose: "Dione è morto!". Solo al vederla tutta la folla piangeva. Paolo, alla vista della folla rattristata, mandò dei giovani dicendo loro: "Andate e portatelo qui da me". Essi andarono; ma Ermippo afferrò per strada il corpo di Dione e gridò...

Manca un foglio.

[4]...Un angelo del Signore, durante la notte, gli disse: "Paolo, il tuo corpo oggi sosterrà una grande lotta, ma Dio, Padre del suo Figlio Gesù Cristo, sosterrà te". Al suo risveglio, Paolo andò dai suoi fratelli, restò con essi. Diceva loro: "Qual è il significato di questa visione?".

Mentre era immerso nei suoi pensieri, vide Ermippo che si avvicinava con in mano una spada sguainata, accompagnato da molti giovani con bastoni. Paolo disse loro: "Io non sono né ladro, né assassino. Il Dio dell'universo, padre di Gesù Cristo, fermerà la vostra mano, rimetterà la spada nel suo fodero e muterà in debolezza il vostro vigore. Solo e straniero, piccolo e umile, sono infatti un servo di Dio tra i gentili: tu, mio Dio, china su di me il tuo volto, volgi lo sguardo sulla loro decisione, e non permettere ch'io sia da essi annientato".

[5] Allorché Ermippo volse la sua spada contro Paolo, subito perdette la vista e si mise a gridare ad alta voce: "Cari compagni, non dimenticatevi di Ermippo! Ho peccato, Paolo, perseguitando il sangue di un giusto. Dotti e ignoranti, sappiate che il mondo è nulla, l'oro è nulla e nulla è il denaro! Io, che una volta mi saziavo di ogni bene, oggi non sono che un mendicante e dico a voi tutti: "Ascoltate tutti, miei cari compagni, e voi, abitanti di Mira. Ho disprezzato un uomo che ha guarito mio padre, ho disprezzato un uomo che ha risuscitato mio fratello... Pregate per me, perché colui che ha salvato mio padre e risuscitato mio fratello, può salvare anche me"".

Paolo era là dritto che piangeva davanti a Dio, perché era stato esaudito così presto e davanti a tutti gli uomini, e perché l'orgoglioso era umiliato. Poi, voltatosi, se ne andò... I giovani allora condussero Ermippo nel luogo dove abitava Paolo e lo lasciarono alla porta di casa...

E' probabile che manchi tutto un foglio. I due fogli seguenti (pp. 33Ä34) sono frammentari.

[6] C'era là una grande folla ed entrava molta gente... Ermippo supplicava tutti quelli che entravano di avere pietà di lui e di pregare Paolo affinché lo guarisse... Quelli che entrarono videro Ermocrate e Ninfa che, felici per la risurrezione di Dione, portavano in ringraziamento del frumento e del denaro per le vedove; videro anche Ermippo, loro figlio... e come afferrava i piedi di tutti, così afferrò pure i piedi dei suoi genitori supplicandoli, come se fossero degli estranei, di fargli restituire la salute. I suoi genitori furono costernati e si lamentavano con tutti quelli che arrivavano, tanto che alcuni dicevano: "Perché piangono? Il loro figlio è risuscitato!...".

"...Affinché vostro figlio Ermippo veda e desista dal dolore colui che è stato nemico di Cristo e del suo servo". Allora quelli che erano con Paolo pregavano Dio, ed Ermippo riebbe la vista; rivoltosi a sua madre Ninfa, le disse: "Paolo è venuto, ha steso su di me piangente la sua mano e subito vidi chiaramente tutte le cose". Sua madre lo prese per mano e lo condusse dove erano le vedove e Paolo. Ma Paolo piangeva amaramente, mentre Ermippo ringraziava dicendo loro: "Chiunque crede...".

E' probabile che manchi un foglio; la prima parte del testo seguente è particolarmente incerta.

...Concordia e pace... Confermati i fratelli di Mira, Paolo partì per Sidone.

[7] Paolo a Sidone (pp. 35Ä39). Quando egli partì da Mira, si diresse verso Sidone.

Quando Paolo partì da Mira e si diresse verso Sidone i fratelli di Pisidia e Panfilia, desiderosi della sua parola e del suo santo aspetto in Cristo, furono assaliti da una grande tristezza, tanto che alcuni da Perge seguirono Paolo, e cioè Trasimaco e Cleone, con le loro mogli Alina e Crisa, moglie di Cleone. Lungo il cammino provvedevano al sostentamento di Paolo. E mentre mangiavano sotto un albero ed egli era in procinto di dire l'amen, vennero... fratelli... idolo... mensa dei demoni... egli perciò morì, sarà invece manifesto ognuno che crede in Gesù Cristo che ci ha salvato da ogni contaminazione, da ogni impurità e da ogni pensiero perverso.

Essi si avvicinarono alla mensa... un grande idolo. E un vecchio... lì presente disse loro: "Voi uomini, considerate ciò che accadde ai sacerdoti che si avvicinarono ai nostri dèi; quando infatti il nostro concittadino Carino ascoltò e... contro gli dèi; morì là con suo padre. Per lo stesso motivo morì anche Csanto e Crisa; e anche (Ermocrate) morì colpito da idropisia con sua moglie Ninfa...".

Mancano circa due fogli, e quanto segue più che una traduzione, che data la frammentarietà del testo è impossibile, è una ricostruzione assai dubbia.

[8] "...Come uomini stranieri. Perché osate voi compiere cose che non vi si addicono? Non avete udito ciò che è accaduto, ciò che Dio ha compiuto contro Sodoma e Gomorra perché sottraevano... come stranieri e come donne? Dio non fece... ma li gettò nell'infero. Noi non siamo uomini di quel genere che voi pensate, ma siamo predicatori del Dio vivo e del suo prediletto. Affinché tuttavia voi non vi meravigliate, dovete comprendere... i miracoli testimoniano...".

Ma essi non l'ascoltavano: li presero e li gettarono nel tempio di Apollo per custodirli fino al giorno seguente, quando avrebbero radunato tutta la città... Diedero loro cibi abbondanti e costosi; ma Paolo, digiuno ormai da tre giorni, testimoniò tutta la notte e, afflitto, si percuoteva il viso, dicendo: "Guarda, Dio, le loro minacce, non permettere che cadiamo e che i nostri nemici ci abbattano! Salvaci e fa discendere presto su di noi la tua giustizia".

[9] Quando Paolo si gettò a terra con i fratelli Trasimaco e Cleone, il tempio crollò... e tutti coloro che erano nel tempio, i magistrati... e gli altri... crollò... spaccato in due. Quando essi giunsero e videro quanto era accaduto furono stupefatti che... e che... e alzarono le voci dicendo: "Queste sono veramente opere da uomini aventi un Dio potente!". E si allontanarono ad annunziare nella città: "E' crollato Apollo, il dio dei Sidoni e metà del suo tempio!". Gli abitanti della città corsero tutti al tempio e videro Paolo e quelli che erano con lui piangenti per la prova subita e per essere divenuti uno spettacolo per tutti. Intanto la moltitudine gridava: "Portateli nel teatro!". I magistrati andarono a prenderli mentre essi piangevano amaramente con un cuore solo...

Manca un foglio.

...ma la moltitudine... seguì Paolo gridando: "Sia lode a Dio... che ci ha mandato Paolo... affinché noi non siamo... di morte". Ma Teude... e pregava prostrato davanti a Paolo e abbracciava i suoi piedi chiedendo il sigillo del Signore.

Ma egli ordinò loro di andare a Tiro... in salute (?) e posero Paolo su di una nave (?) e andarono con lui.

Quando egli partì da Sidone, si diresse verso Tiro.

[10] Paolo a Tiro, (a Efeso, a Filippi) e a Corinto (pp. 40Ä501.

Quando Paolo entrò in Tiro, gli andò incontro una moltitudine di Ebrei;...Questi... e udite le grandi gesta... Stupirono... Anfione... dicendo... in... Crisippo... demonio con lui... molti... Quando giunse Paolo... disse: "Egli... Dio e non ci sarà più in Anfione uno spirito (?) cattivo... per mezzo dello spirito cattivo... senza che alcuno avesse...". Lei gli disse: "Salvami dalla morte!". E mentre la moltitudine... sorse un altro spirito cattivo... Ed immediatamente i demoni fuggirono. A questa vista la moltitudine, colpita dalla potenza di Dio lo glorificò per aver egli dato un tale potere a Paolo.

C'era là uno di nome... rimus che aveva un figlio nato muto...

...L'uomo non è giustificato dalla legge, ma dalle opere di giustizia... Tu ti trovi di fronte a Gerusalemme, ma io confido nel Signore...

[11]...Ed egli fece sapere che chiunque avesse gettato giù Frontina, avrebbe gettato giù con lei anche lo stesso Paolo. Allorché Paolo seppe queste cose seguitò a lavorare per due giorni digiunando, con grande gioia, con i prigionieri. Essi ordinarono che nel terzo giorno gli uomini... conducessero Frontina: e tutta la città la seguì. Firmilla e Longino innalzavano lamenti, mentre i soldati... Ma i prigionieri portarono il feretro e, quando Paolo vide il grande cordoglio per la figlia e otto...

...Paolo vivo con la figlia e, allorché Paolo prese la figlia sulle sue braccia, sospirò verso il Signore Gesù Cristo a causa del dolore di Firmilla, si gettò in ginocchio nel fango... pregando per Frontina con lei in una sola preghiera. Poi Frontina si alzò e tutta la moltitudine fuggì spaventata. Paolo prese la figlia per mano e, attraverso la città, la condusse in casa di Longino. Tutta la moltitudine, allora, esclamò con una sola voce: "Vi è un solo Dio, che ha creato il cielo e la terra e ha reso la vita alla sorella per la preghiera di Paolo"...e lo ringraziò...

Quando egli partì da... si diresse a...

Quando Paolo giunse a... entrò in casa di... e grande fu la gioia dei fratelli e di tutti...

[12]...1 Corinzi erano in grande costernazione a proposito di Paolo, temendo che egli lasciasse il mondo prima del tempo. A Corinto, infatti, erano giunti certuni, Simone e Cleobio, i quali affermavano: "Non c'è alcuna risurrezione della carne, ma soltanto quella dello spirito. Il corpo dell'uomo non è opera di Dio.

Il mondo non è stato creato da Dio e Dio non conosce il mondo. Gesù Cristo non è stato realmente crocifisso, ma soltanto in apparenza; egli non è nato da Maria né dalla stirpe di David".

Costoro, in una parola, avevano impartito ai Corinzi molti insegnamenti ingannando se stessi e un grande numero di persone. Perciò, quando i Corinzi seppero che Paolo si trovava a Filippi, per mezzo di Tretto e di Eutichio gli inviarono una lettera in Macedonia. La lettera era di questo tenore.

Il papiro segue con la corrispondenza tra i cristiani di Corinto e Paolo che ho riportato nel vol. III (p. 83 e pp. 98 ss.), collezionate con altri mss.: vedi Introduzione..

[13] Altri frammenti del Papiro di Heidelberg.

..."La grazia del Signore camminerà con me affinché io porti a termine con perseveranza tutto il compito che mi affiderà". Ma essi erano desolati e digiunavano. Allora Cleobio preso dallo Spirito disse loro: "Fratelli, il Signore farà compiere a Paolo tutta la missione. Poi li farà salire a... Di là, dopo aver molto lavorato, insegnando e seminando la parola, tanto che sarà oggetto di invidia, egli lascerà questo mondo". Quando i fratelli e Paolo udirono ciò, innalzarono le loro voci esclamando...

...Lo Spirito venne su Mirte, il quale disse loro: "Fratelli, perché siete spaventati nel vedere questo segno? Paolo, infatti, servo del Signore salverà molti a Roma, tanto che saranno innumerevoli ed egli si farà notare più di tutti i fedeli. Perciò la gloria del Signore Gesù Cristo scenderà con potenza su di lui e grande sarà la grazia a Roma". Così lo Spirito parlò a Mirte. Ciascuno prese del pane e furono pieni di gioia secondo la consuetudine... al canto dei salmi di David e di inni: e Paolo gioiva...

Questo testo rappresenta, probabilmente, la finale del Papiro di Heidelberg, martirio compreso (cfr. C. SCHMIDT, op. cit., 79Ä80).

[14]...le opere... si meravigliarono grandemente e meditano in cuor loro. Egli domandò loro: "Perché vi meravigliate ch'io faccia risorgere i morti, camminare gli zoppi, ch'io purifichi i lebbrosi, rialzi i malati, guarisca i paralitici e gli indemoniati, od ancora ch'io abbia diviso pochi pani e saziato molti, ch'io abbia camminato sul mare e comandato ai venti? Se voi credete questo e ne siete convinti, allora voi siete grandi. Infatti, in verità vi dico: se dite a questo monte: "Levati e gettati in mare" senza nutrire alcun dubbio nella vostra anima, questo avverrà...". Uno di loro, che era convinto e il cui nome era Simone, disse: "Le opere che tu compi, signore, sono veramente grandi! Mai infatti noi abbiamo udito, né visto che uno abbia risuscitato dei morti all'infuori di te". Il Signore gli rispose: "Domanderete le opere ch'io stesso compirò... Ma le altre opere le compirò subito. Poiché queste le compio per una salvezza momentanea, nel tempo in cui essi si trovano in questi luoghi, affinché essi credano a colui che mi ha mandato". Simone gli disse: "Signore, ordinami di parlare". Egli gli disse: "Parla, Pietro!" Da quel giorno, infatti, egli li chiamò per nome. Egli disse: "Qual è dunque l'opera più grande di queste, della risurrezione dei morti e del nutrimento di una tale moltitudine?". Il Signore gli rispose: "C'è qualcosa più grande di questo? Beati coloro che hanno creduto con tutto il cuore". Ma Filippo alzò la sua voce con ira, dicendo: "Che cos'è questo che tu ci vuoi insegnare?". Egli allora replicò: "Tu...".

 

 

3. PAPIRO GRECO DI AMBURGO

E PAP. COPTO DI BODMER  

[1] Paolo a Efeso (dal Pap. copto Bodmer). Ciò detto, Paolo lasciò Smirne diretto a Efeso. Qui entrò in casa di Aquila e Priscilla, pieno di gioia per poter vedere i fratelli che egli, Paolo, aveva così cari. Anche questi ne furono lieti: s'alzarono e lo pregarono di essere ritenuti degni che Paolo mettesse piede in casa loro. Ne nacque così giubilo e gioia grande. Passarono la notte vegliando nella preghiera e indagando la volontà di Dio per infondere coraggio nel loro cuore: pregando tutti unanimi, allo stesso modo.

L'angelo del Signore entrò in casa di Aquila, si pose davanti a Paolo e parlò con lui, tanto che tutti ne furono stupiti. Quest'angelo si lasciò realmente vedere, ma i presenti non udivano le parole che diceva a Paolo. Allorché l'angelo terminò di articolare le sue parole, gli altri furono colpiti dalla paura, sconvolti e ammutoliti. Ma Paolo volse lo sguardo sui fratelli e disse loro:

"Uomini e fratelli! Come avete visto, mi è apparso l'angelo del Signore e mi ha detto: "Per la Pentecoste verrà su di te una grande prova..."".

[2] A motivo della Pentecoste, Paolo non poteva essere triste, trattandosi di una festa per coloro che credono in Cristo, siano essi catecumeni o fedeli: c'era dunque una grande gioia, segni di allegria e di amore, risuonavano salmi e lodi a Cristo per rincuorare gli ascoltatori.

Paolo disse:

"Uomini e fratelli! Udite quanto mi è accaduto a Damasco, nel periodo in cui io perseguitavo la fede in Dio. Dal Padre discese su di me lo Spirito e mi ha evangelizzato la buona novella (vangelo) annunziandomi il Figlio affinché io vivessi in lui: ed invero non c'è vita, all'infuori di quella che è in Cristo. Entrai in una grande chiesa, accanto al beato Giuda, fratello del Signore, che fin dall'inizio mi aveva instillato il sublime amore della fede. Accanto al beato profeta, condussi una vita di grazia, impegnandomi a scoprire Cristo, generato prima di tutti i tempi. Mentre egli mi evangelizzava, io mi rallegravo nel Signore, nutrito dalle sue parole. Quando ne ebbi la capacità, fui reputato degno di parlare. Per invito di Giuda, parlai ai fratelli e mi attirai l'amore di quelli che mi ascoltavano.

[3] Quando giunse la sera, io partii accompagnato con amore dalla vedova Lemma e da sua figlia Ammia. Nella notte percorremmo un buon tratto di strada per giungere a Gerico delle palme. All'alba, Lemma e Ammia erano ancora con me... amore, mi volevano così bene che non si allontanavano mai da me.

Il leone battezzato. Dalla pianura del deserto delle ossa venne fuori un grosso e terribile leone, ma noi eravamo così immersi nella preghiera che Lemma e Ammia per mezzo della preghiera... la belva... Allorché terminai la mia preghiera, la belva si era gettata ai miei piedi. Pieno di Spirito santo, io la guardai e le dissi: "Leone, che cosa vuoi?". Mi rispose: "Vorrei essere battezzato!".

Lodai Dio che aveva concesso la parola alla belva e ai suoi servi la salvezza. Ora, in quel luogo c'era un grande fiume; io ci entrai... Poi, gridai: "Uomini e fratelli! Colui che abita nei luoghi eccelsi, colui che volge lo sguardo agli umili, colui che dà riposo agli esausti, colui che, accanto a Daniele, chiuse le fauci dei leoni, colui che mi ha mandato il Signore nostro Gesù Cristo, conceda che il nostro... sfugga alla belva e io porti a compimento il piano che mi ha affidato".

[4] Dopo avere pregato con queste parole, presi il leone per la criniera e lo immersi tre volte nel nome di Gesù Cristo. Quando risalì dall'acqua, scosse bene la sua criniera e mi disse: "La grazia sia con te!". Io gli risposi: "Pure con te!". Il leone corse poi per la campagna pieno di gioia; questo, in realtà, me lo manifestò il cuore: lo incontrò una leonessa, ma egli non le voltò il suo sguardo, e invece di seguirla se ne fuggì. Anche voi, Aquila e Priscilla, credete nel Dio vivo e predicate ciò che avete udito...".

Allorché Paolo terminò di narrare queste cose, una grande moltitudine abbracciò la fede tanto che il procuratore ne fu geloso e tutta la casa di Ammia si rivoltò contro Paolo per farlo morire.

In città si trovava invero una donna di nome Procla che compiva molte opere buone in favore degli Efesini; Paolo battezzò lei e tutti i suoi. C'era la chiamata della grazia, la molteplice lode tra... e Pentecoste. La corona di Cristo si moltiplicava, sicché, in città, c'era una grande corona e una considerevole stima. Si diceva: "Quest'uomo distrugge gli dèi con le parole: "Vedrete come verranno consumati tutti dal fuoco!"".

Quando Paolo uscì, la gente della città lo trattenne fuori del Pritaneo, lo condussero nel teatro e pregarono il governatore di venire. Allorché giunse, interrogò Paolo, dicendo: "Perché dici questo e insegni... essi hanno distrutto gli dèi dei Romani e del popolo. Ripeti ora quanto hai detto mentre esortavi la moltitudine!".

 

(Segue il Pap. Bodmer)  

Paolo rispose: "Governatore, fa' ciò che vuoi! Il Signore infatti ti ha dato il potere di distruggere il mio corpo, ma non di fare morire la mia anima. Ascolti, ora, chiunque vorrà accogliere in cuor suo le mie parole: Colui che per l'uomo ha creato il cielo e la terra, colui che ha creato il sole e la luna, le stelle e la potestà, il mondo con tutta la bellezza e tutti i beni che sono nel mondo, non ha respinto l'uomo, sua creatura; e allorché egli fu preso dal tormento e dall'errore, allorché fu pervertito dal desiderio dell'oro, dell'argento e delle pietre preziose, scaturirono allora la lussuria, l'adulterio, l'ubriachezza con i piaceri e i sogni notturni che inducono al male, a causa delle cose sopra menzionate, (gli uomini) attirarono su se stessi la morte.

A motivo dell'errore che si trova nel mondo, Dio vuole che essi vivano nella pietà affinché noi non moriamo nei peccati e siano (tutti) salvati da coloro che predicano schiettamente la parola affinché facciate penitenza e crediate che c'è un solo Gesù Cristo e che non ve ne sono altri. I vostri dèi vani sono di pietra e di legno, non possono mangiare, né vedere, né udire, né stare in piedi. Scegliete dunque con sana intelligenza affinché siate salvi e il Signore non si irriti, vi faccia bruciare in un fuoco inestinguibile e perisca di voi anche il ricordo".

(Fine del Pap. copto Bodmer).

 

 

 

(Inizio del Pap. greco di Amburgo)  

Paolo gli rispose: "Fa' ciò che vuoi! Tu, infatti, non hai alcun potere su di me, ad eccezione del mio corpo: la mia anima tu non potrai ucciderla. Ascolta piuttosto come puoi essere salvato, e prendendo tutte le mie parole nel cuore... Colui che ha formato il sole, la terra, gli astri, le dominazioni, le potenze e tutti i beni che sono nel mondo per... degli uomini... sono fuorviati e asserviti... dall'oro, dall'argento, dalle pietre preziose... dall'adulterio, e dall'ubriachezza. E poiché si dilettarono nelle vie che conducono all'inganno, a causa delle cose sopra menzionate, furono uccisi.

Or dunque, a motivo dell'errore che si trova nel mondo, il Signore vuole che noi viviamo in Dio per non morire nei peccati; egli salva per mezzo di uomini santi, i quali predicano che si faccia penitenza, e si creda che c'è un solo Dio, un solo Gesù Cristo, e nessun altro. I vostri dèi, infatti, di bronzo, di pietra e di legno, non possono prendere cibo, né udire, né vedere, né stare in piedi. Prendete perciò una buona decisione e sarete salvi! Dio così non si adirerà e non vi consumerà in un fuoco inestinguibile, facendo perire di voi anche il ricordo".

 

 

 

[1] Paolo condannato alle fiere *. Allorché il governatore, nel teatro con la folla, udì queste cose... rispose: "Uomini di Efeso, so che quest'uomo ha parlato bene, ma so pure che... non è questo per voi il tempo per imparare tali cose. Decidete dunque che cosa volete!". Alcuni dissero: "Sia bruciato nel...". Ma gli orefici dicevano: "Gettatelo alle fiere".

Siccome sorse un gran tumulto, Gerolamo decise di farlo flagellare e di gettarlo poi alle fiere. Essendo Pentecoste, i fratelli non piansero, né piegarono le ginocchia, bensì, in piedi, pregarono in letizia.

Sei giorni dopo Gerolamo diede una mostra delle fiere, e, osservandone la grandezza, tutti ne furono sbalorditi.

[2] Quando udì il rumore dei carri e il frastuono di coloro che tenevano le fiere, Paolo, legato... non si lasciò distogliere, ma seguitò a pregare. Allorché un leone si accostò alla porta laterale dello stadio ove era rinchiuso Paolo, mandò un ruggito così forte, che tutto il popolo gridò: "Il leone!". Il ruggito era così feroce e furibondo, che anche Paolo, dallo spavento, arrestò la preghiera.

Si trovava là Diofanto, liberto di Gerolamo, la cui moglie, discepola di Paolo, stava presso di lui giorno e notte, tanto che Diofanto ne era geloso e patrocinava la lotta con le fiere. Artemilla, moglie di Gerolamo, desiderosa di ascoltare Paolo in preghiera, disse a Eubula, moglie di Diofanto: "Andiamo ad ascoltare la preghiera di colui che combatterà con le fiere". Lei allora andò ad annunziarlo a Paolo. Pieno di gioia, Paolo rispose: "Conducila!".

Lei si avvolse in un abito molto scuro e andò da lui con Eubula. Quando Paolo la vide, esclamò gemendo: "Donna, padrona di questo mondo, proprietaria di molto oro, cittadina dal grande lusso, superba nel vestire, siediti a terra, dimentica le tue ricchezze, la tua bellezza, i tuoi ornamenti, giacché a nulla ciò ti servirà se non preghi Dio il quale considera come letame le cose che qui sono grandi e concede liberamente le meraviglie dell'aldilà. L'oro perisce, le ricchezze si consumano, i vestiti si logorano, la bellezza sfiorisce, le metropoli mutano e il mondo perisce nel fuoco a causa dell'empietà degli uomini.

Dio solo rimane e l'adozione da lui concessa; soltanto per mezzo suo ci si può salvare. Ora, Artemilla, abbi fiducia in Dio ed egli ti libererà, abbi fiducia in Cristo ed egli ti concederà il perdono dei peccati e ti cingerà con la corona della libertà, in modo che tu non serva più gli idoli e i profumi dei sacrifici, ma il Dio vivo e Padre di Cristo, la cui gloria è nei secoli dei secoli. Amen".

Udito ciò, Artemilla, con Eubula, pregò Paolo, che la battezzasse subito in Dio.

Il battesimo in mare. La teriomachia era stata fissata per il giorno successivo.

[3] Quando seppe da Diofanto che le donne sedevano notte e giorno presso Paolo, Gerolamo si irritò non poco con Artemilla e con la libertà Eubula.

Per anticipare lo spettacolo della teriomachia, dopo aver cenato, Gerolamo si ritirò più presto del solito.

Esse però dissero a Paolo: "Vuoi che facciamo venire un fabbro, affinché ti sciolga e tu ci possa battezzare nel mare?". Ma Paolo rispose: "Non voglio! Io infatti ho fede in Dio il quale ha liberato tutto il mondo dalle catene".

Era sabato e si avvicinava il giorno del Signore, nel quale Paolo doveva combattere con le fiere; Paolo allora alzò la voce e disse: "Mio Dio, Gesù Cristo, che mi hai liberato da tanti mali, concedi che sotto gli occhi di Artemilla e di Eubula, le quali sono tue, si spezzino le catene dalle mie mani". Mentre Paolo rendeva così testimonianza, entrò un giovane bello e affabile, il quale, sorridendo, sciolse le catene di Paolo e subito scomparve. A motivo della visione avuta e del segno prodigioso delle catene, si dileguò la sua angoscia per la lotta contro le fiere e balzò in piedi allegro come se fosse in paradiso. Prese Artemilla e uscì dal luogo stretto e oscuro nel quale erano custoditi i prigionieri. Quando, passati inosservati davanti alle guardie, furono al sicuro, Paolo pregò il suo Dio dicendo: "Si aprano le porte e risplenda la tua provvidenza..., affinché Artemilla venga iniziata con il sigillo del Signore". Nel nome del Signore, si spalancarono allora le porte chiuse... mentre era caduto sulle guardie un profondo sonno.

La matrona e il beato Paolo uscirono subito con Eubula, invisibili a causa dell'oscurità. E un giovane, corporalmente simile a Paolo, illuminando non con una lampada ma con la santità del suo corpo, li precedette fino a quando giunsero in vicinanza del mare; colui che splendeva si pose davanti a loro... Dopo avere pregato, Paolo pose la sua mano su Artemilla, benedì l'acqua nel nome di Gesù Cristo così che il mare si rigonfiò in modo straordinario e, presa da grande spavento, Artemilla fu per svenire.

Allora Paolo alzò la voce e disse: "O tu che splendi e illumini, vieni in aiuto, affinché i pagani non dicano che il prigioniero Paolo è fuggito, dopo aver ucciso Artemilla". [4] Mentre il giovane sorrideva nuovamente, la matrona, rientrata in sé, tornò a casa allo spuntar del giorno. Entrato in carcere, mentre le guardie erano ancora addormentate, spezzò il pane, accostò anche dell'acqua, la abbeverò con la parola e la mandò da suo marito Gerolamo. Egli, invece, rimase in preghiera

Paolo tra le fiere. Di buon mattino tra i cittadini ci fu il grido: "Allo spettacolo! Su, a vedere combattere con le fiere colui che possiede Dio!". Lo stesso Gerolamo vi si recò, sia per il sospetto che nutriva verso sua moglie, sia perché egli (Paolo) non era fuggito; ordinò a Diofanto e agli altri servi di condurre Paolo nello stadio. Questi si lasciò condurre fuori senza dire una parola, anzi, con la testa bassa e sospirando perché era portato in trionfo dalla città. Portato via, fu subito gettato nello stadio, mentre tutti erano stizziti per il dignitoso contegno di Paolo.

Artemilla ed Eubula caddero ammalate molto gravemente a causa della perdita di Paolo; Gerolamo era triste, e non poco, a causa della moglie, infastidito dalle voci che correvano in città, e così non aveva con sé la moglie.

Quando si sedette, il sorvegliante alle fiere ordinò di lasciare libero davanti a lui (Paolo) un leone molto feroce, catturato poco prima: tutta la folla aizzava il leone con alte grida affinché uccidesse Paolo... Ma il leone saltò fuori dalla gabbia... e pregava. Inoltre... dal cespuglio spinoso... e tutti furono presi da grande stupore giacché era straordinariamente grande e selvaggio. Ma Paolo seguitava la sua preghiera... e rendeva la sua testimonianza. Guardandosi attorno, (il leone) si mostrò completamente e poi corse a gettarsi vicino alle gambe di Paolo come un mite agnello e come un suo schiavo. Quando terminò la preghiera, risvegliandosi come da un sogno, disse a Paolo con voce umana: "La grazia sia con te!". Paolo non si spaventò, e gli rispose: "La grazia sia con te, leone!" e pose la mano su di lui.

Tutto il popolo gridava: "Via il mago, via lo stregone!". Ma il leone fissava Paolo e Paolo il leone.

[5] Paolo si accorse che questo era il leone che era venuto e si era fatto battezzare. Spinto dalla fede, Paolo domandò: "Leone, sei tu quello che io ho battezzato?". Il leone rispose: "Sì". Paolo gli domandò nuovamente: "Come sei stato preso a caccia?". Il leone rispose con una voce: "Come te, Paolo!".

Allora Gerolamo mandò dentro molte fiere, affinché uccidessero Paolo, e arcieri contro il leone, affinché anch'esso fosse ucciso. Ma, quantunque il cielo fosse sereno, si scatenò una grandine fitta, violenta e spaventosa tanto che parecchi morirono e altri fuggirono. Paolo e il leone non ne ebbero alcun danno, mentre le altre fiere perirono a causa della grandine; questa era così violenta, che strappò via un orecchio di Gerolamo che aveva colpito. La folla fuggì gridando: "Salvaci, Dio! Salvaci, Dio dell'uomo che ha lottato con le fiere!".

Paolo a Filippi. Preso congedo dal leone, che più non parlava, Paolo abbandonò lo stadio, discese al porto ed entrò nella nave diretta verso la Macedonia; molti infatti erano quelli che si erano messi in viaggio, pensando che la città stesse per perire; anch'egli dunque salì come uno dei fuggitivi. Il leone se ne andò per i monti, secondo la sua natura.

Artemilla ed Eubula piangevano non poco, digiunavano ed erano in ansia per quanto sarebbe capitato a Paolo. Ma quando fu notte un giovane di bell'aspetto apparve nella stanza da letto dove esse si consolavano l'una l'altra mentre a Gerolamo suppurava l'orecchio. A causa della sua tristezza, egli si avvicinò a Eubula... e ad Artemilla, dicendo loro: "Non preoccupatevi per Paolo... perché nel nome di Gesù Cristo e con l'aiuto dell'Onnipotente, Paolo, suo servo è partito verso la Macedonia, per compiere anche là le disposizioni del Signore, ma voi...". Esse allora furono prese da grande stupore. Ma Gerolamo, al quale nella notte si era attenuato il dolore, disse: "Dio che hai aiutato l'uomo che combathé con le fiere, salvami per mezzo del giovane che, in visione, entrò nella stanza da letto a porte chiuse". Ma egli vedendole spaventate e in grande... quelli che sedevano vicino... i medici... gridò: "Per la volontà di Gesù Cristo, guarisca l'orecchio!". Ed egli guarì come il giovane gli aveva ordinato dicendo: "Curati con il miele!".

[6] Da Filippi a Corinto. Quando Paolo da Filippi giunse a Corinto a casa di Epifanio, ci fu gioia: tutti i nostri si rallegravano e piangevano al racconto di ciò che Paolo aveva passato a Filippi nelle case di lavoro e di ciò che gli era capitato in ogni altro luogo; alla fine le sue lacrime fluirono... Tutti pregarono ininterrottamente per Paolo ed egli si ritenne fortunato che essi presentassero ogni giorno al Signore le sue istanze con tanta unanimità. La sua gioia crebbe illimitatamente, e la benevolenza dei fratelli rafforzò lo spirito di Paolo. Per quaranta giorni insegnò la parola delle sofferenze, cioè quello che gli era capitato nei vari luoghi, nonché le grandi opere e i prodigi che gli erano stati concessi. In ogni racconto glorificava Dio onnipotente e Gesù Cristo, che aveva dimostrato in ogni luogo la sua benevolenza verso Paolo.

Terminati i giorni e giunto il tempo del viaggio di Paolo a Roma, la tristezza si diffuse tra i fratelli pensando a quando l'avrebbero potuto nuovamente vedere. E Paolo, pieno di Spirito santo, disse: "Uomini fratelli, siate diligenti nel digiuno e nell'amore. Vedete, io mi incammino verso una fornace ardente... e non potrei vincere se il Signore non mi desse la forza. Anche David infatti accompagnava Saul... quantunque irato, risparmiò Nabal, persuaso dalla moglie di Nabal, poiché Gesù Cristo era con lui... La grazia del Signore mi seguirà affinché io porti a termine con perseveranza il compito che mi è affidato". Ma essi erano desolati e digiunavano. Allora Cleobio, preso dallo Spirito, disse: "Fratelli, ora è necessario che Paolo porti a compimento tutta la missione e poi che egli salga in... della morte... dopo aver molto lavorato insegnando e seminando la parola, sarà invidiato e uscirà da questo mondo".

Allorché i fratelli e Paolo udirono ciò, innalzarono la loro voce, esclamando: "Dio del Signore nostro, Padre di Cristo, aiuta Paolo, tuo servo, affinché resti ancora con noi a motivo della nostra debolezza". Siccome Paolo era trafitto dal dolore, cessò il digiuno insieme a loro.

[7] Dopo che Paolo offrì il sacrificio... in parti... che cosa significava questo segno che avevano visto... che cosa lei avrebbe detto... ma a lui... non volle.

Ma lo Spirito venne su Mirte, il quale disse: "Fratelli perché siete spaventati nel vedere questo segno? Paolo, infatti, servo del Signore, salverà molti a Roma e, con la parola, nutrirà tanti che non si potranno neppure contare ed egli si manifesterà più di tutti i fedeli. Perciò discenderà con magnificenza su di lui la gloria del Signore Gesù Cristo, sicché a Roma ci sarà una grande grazia".

Dopo che in Mirte lo Spirito si calmò, ognuno prese del pane e si rallegrarono secondo l'uso del digiuno al canto dei salmi di David e di inni: anche Paolo gioiva.

Il giorno appresso, dopo che avevano trascorso tutta la notte secondo la volontà di Dio, Paolo disse: "Uomini fratelli, il giorno di Parasceve partirò alla volta di Roma, così non sarò di ostacolo a ciò che mi è stato imposto e comandato: a questo, infatti, io sono stato destinato".

Essi furono profondamente rattristati all'udire queste cose e tutti i fratelli facevano a gara, per quanto era loro possibile, affinché Paolo non si rattristasse, se non per il fatto che si allontanava dai fratelli.

In viaggio verso Roma. Salì poi sulla nave, fra le preghiere di tutti Il capitano della nave, Artemone, era stato battezzato da Pietro e salutò Paolo pieno di gioia, per quanto gli era affidato... (gli parve che) salisse il Signore. Quando la nave partì, Artemone si associò a Paolo per glorificare, con la grazia di Dio, il Signore Gesù Cristo, che aveva preordinato il suo disegno su Paolo.

Quando furono in alto mare e regnava la calma, a causa dei digiuni e delle veglie con i fratelli Paolo si addormentò. Il Signore andò allora da lui, camminando sul mare, scosse Paolo e gli disse: "Alzati e guarda". Destatosi, esclamò: "Sei tu il mio Signore Gesù Cristo, re del cielo? Perché dunque sei così triste e abbattuto, Signore? Se sei afflitto, dimmelo, Signore, non è poca infatti la sofferenza che provo nel vederti così".

Il Signore rispose: "Paolo, sto per essere nuovamente crocifisso!". Paolo riprese: "Non accada, Signore, ch'io veda ciò". Ma il Signore rispose a Paolo: "Paolo, coraggio, va' a Roma ed esorta i fratelli, affinché perseverino nella vocazione verso il Padre". Poi il Signore gli si manifestò camminando sul mare: li precedeva e mostrava il cammino.

Paolo a Roma. Al termine del viaggio... Paolo discese con molta tristezza; vide al porto un uomo che stava aspettando Artemone, il capitano, e allorché quello lo vide, lo salutò...

[8]..e gli disse: "Claudio, ecco Paolo, l'amato del Signore, giunto con me"...Claudio abbracciò subito Paolo, lo baciò e senz'altro prelevò egli stesso con Artemone il suo bagaglio dalla nave e lo portò a casa sua. Pieno di molta gioia, la comunicò anche ai fratelli, sicché la casa di Claudio fu piena di letizia e di ringraziamento. Essi, infatti, videro che Paolo aveva deposto l'atteggiamento di tristezza e insegnava la parola della verità.

Diceva: "Uomini fratelli, soldati di Cristo, ascoltate! Quante volte Dio ha salvato Israele dalla mano degli empi! Fino a quando essi osservarono i comandamenti del Signore, egli non li abbandonò. Li salvò dalla mano dell'empio faraone e del re Og ancora più empio, di Adar e dei popoli stranieri. Fino a quando osservarono i comandamenti del Signore, egli diede loro del frutto dei lombi, e dopo avere promesso loro la terra dei Cananei, sottomise ad essi i popoli stranieri.

Oltre a quanto aveva concesso loro nel deserto e nei luoghi aridi, mandò anche i profeti per annunziare nostro Signore Gesù Cristo: l'un dopo l'altro ricevettero una parte dello Spirito di Cristo; ebbero infatti molto da soffrire e furono uccisi dal popolo. Allorché dunque essi si allontanarono dal Dio vivo, per seguire i loro desideri, persero l'eredità eterna.

E ora, fratelli, è prossima una grande prova: dopo che l'avremo sopportata, avremo accesso al Signore e come rifugio e scudo della (sua) benevolenza riceveremo Gesù Cristo, il quale si è dato per noi, se accogliete la parola così com'è!

Alla fine dei tempi Dio ha inviato per noi lo Spirito di potenza nella carne, cioè in Maria, la galilea, secondo la parola profetica: fu portato da lei come frutto del suo corpo, fino a quando lo diede alla luce generando Gesù Cristo, nostro salvatore, in Betlemme di Giudea; crebbe a Nazaret, ma andò anche a Gerusalemme e in tutta la Giudea insegnando: "Il regno dei cieli è vicino! Abbandonate perciò le tenebre, accogliete la luce, voi che sedete nelle tenebre della morte. Una luce è sorta per voi!".

Egli compì opere grandi e meravigliose, tanto che dalle tribù si scelse dodici uomini che tenne con sé nell'amore e nella fede, mentre risuscitava i. morti, guariva i malati, purificava i lebbrosi, guariva i ciechi, guariva gli storpi, rialzava i paralitici e liberava gli indemoniati. Insomma attraversò tutto il paese, dispensando... del fiume; una donna... avendo una perdita di sangue... e non... nostro Signore Gesù Cristo...".

 

 

 

MARTIRIO DI SAN PAOLO APOSTOLO *  

[1] Luca, giunto dalla Galizia e Tito dalla Dalmazia, attendevano Paolo a Roma. Allorché li vide, Paolo si rallegrò e affittò un granaio, fuori Roma, per insegnare insieme ai fratelli la parola di verità; divenne molto celebre e tante anime furono attratte al Signore. La sua fama si diffuse anche in Roma e una grande folla si unì a lui nella fede (anche) dalla casa di Cesare. Grande era la gioia.

Patroclo, coppiere di Cesare, andò una sera al granaio, ma a causa della folla non pohé entrare; si sedette perciò su di un'alta finestra, donde l'ascoltava mentre insegnava la parola di Dio. Ma essendo il diavolo maligno, geloso dell'amore dei fratelli, Patroclo cadde dalla finestra e morì.

Ne fu data subito notizia a Nerone; ma Paolo, avvertito dallo Spirito, disse: "Uomini fratelli, il Maligno ha colto l'occasione per mettervi alla prova. Uscite e troverete un giovane caduto che sta per spirare. Rialzatelo e conducetelo qui". Essi uscirono e lo portarono. A questa vista la folla fu spaventata. Ma Paolo disse loro: "Ora, fratelli, sia manifesta la vostra fede! Appressatevi tutti per elevare un lamento al Signore nostro Gesù Cristo, affinché costui viva e noi perduriamo nella tranquillità".

Dopo che tutti avevano innalzato i loro gemiti, il giovane riprese il respiro. Lo posero allora sul dorso di un animale e lo rimandarono indietro vivo con gli altri che erano della casa di Cesare.

[2] Saputo della morte di Patroclo, Nerone ne fu grandemente rattristato. Ritornato dal bagno, ordinò che un altro fosse posto a servire il vino. Ma i suoi giovani gli annunziarono la notizia, dicendo: "Cesare, Patroclo è vivo e sta presso la tavola". Egli esitò ad entrare; ed entrato, gli domandò: "Patroclo, sei vivo?". Gli rispose: "Sono vivo, Cesare!". Ed egli: "Chi ti ha fatto vivere?". Trasportato dall'ardore della fede, il giovane disse: "Cristo Gesù, il re dei secoli".

Ma Cesare, sconvolto, domandò: "Regnerà dunque costui nei secoli e annienterà tutti i regni?". Patroclo rispose: "Sì, annienterà tutti i regni e sarà solo per tutti i secoli a lui non sfuggirà alcun regno". Lo colpì allora sul viso dicendo: "Anche tu, Patroclo, combatti per quel re?". Gli rispose: "Sì, Cesare mio signore! Egli, infatti, mi ha risuscitato, dopo che ero morto". Allora Barsaba Giusto, dai piedi larghi, Orione il cappadoce e Festo, il Galata, primi tra i servi di Nerone dissero: "Anche noi siamo al servizio del re dei secoli!".

Nonostante il suo amore per loro, Nerone li fece incatenare e torturare terribilmente. Ordinò poi di ricercare i soldati del grande re e bandì un editto con l'ordine che tutti coloro che fossero stati scoperti come cristiani e soldati di Cristo, fossero giustiziati.

[3] Tra tanti altri anche Paolo fu condotto incatenato: a lui guardavano tutti gli altri compagni di catene, sicché Cesare pensò che egli fosse il capo dell'esercito. Si rivolse dunque a lui dicendo:

"Uomo del gran re, ma mio prigioniero, per qual motivo sei tu entrato segretamente nell'impero dei Romani ed hai arruolato soldati dal mio dominio?". Pieno di Spirito santo, alla presenza di tutti, Paolo rispose: "Cesare, arruoliamo soldati non solo dal tuo dominio ma da tutta l'ecumene. Poiché ci è stato ordinato di non escludere alcuno di quanti desiderano combattere per il nostro re. Se gradisci, mettiti anche tu a combattere per lui: non è la ricchezza, né ciò che risplende in questa vita che ti può salvare, ma se a lui ti sottometti e lo supplichi, sarai salvo. Egli infatti darà guerra al mondo in un solo giorno, con il fuoco".

A queste parole, Cesare ordinò di bruciare tutti i prigionieri e di decapitare Paolo secondo la legge dei Romani.

Ma Paolo non tacque la parola, bensì la comunicò al prefetto Longino e al centurione Cesto.

A Roma intanto, sotto l'azione del Maligno, Nerone fece uccidere molti cristiani senza alcun processo, tanto che i Romani si posero davanti al palazzo gridando: "Basta Cesare! Questi uomini sono nostri! Tu distruggi la forza dei Romani!". Colpito da queste parole, fece cessare l'ordine di prendere i cristiani, fino a quando egli stesso non avesse esaminato a fondo la loro causa.

[4] In virtù di questo editto, Paolo gli fu condotto dinanzi ed egli rimase fermo nella decisione di decapitarlo. Paolo allora disse: "Cesare, non è per breve tempo ch'io vivo per il mio re! Quando mi avrai decapitato, ecco quello che farò: risorgerò e ti apparirò affinché tu sappia che non sono morto, ma che vivo nel Signore Gesù Cristo, il quale verrà per giudicare l'ecumene".

Longino e Cesto dissero a Paolo: "Donde viene questo re al quale credete senza voler cambiare mentalità fino alla morte?".

Paolo partecipò loro la parola, dicendo: "Uomini, che siete nell'ignoranza e nell'errore, cambiate mentalità e salvatevi dal fuoco che sovrasta tutta l'ecumene. Noi, infatti, contrariamente a quanto supponete, non combattiamo per un re che viene dalla terra, ma dal cielo, per il Dio vivo che viene qual giudice in questo mondo, per giudicare le iniquità quaggiù commesse. Beato l'uomo che gli avrà creduto! Egli vivrà in eterno, allorché verrà a bruciare l'ecumene per purificarla".

Essi allora lo supplicarono, dicendo: "Ti preghiamo di aiutarci e noi ti libereremo". Ma egli rispose: "Non sono un disertore di Cristo, ma soldato fedele del Dio vivo. Se sapessi di morire, Longino e Cesto, io lo farei, ma, siccome vivo per Dio e mi voglio bene, vado verso il Signore, per potere ritornare insieme a lui nella gloria del Padre suo".

Essi gli domandarono: "Dopo che tu sarai decapitato, come vivremo noi?".

[5] Mentre essi stavano ancora parlando Nerone mandò Partenio e Fereta, per vedere se Paolo era già stato decapitato; e constatarono che era ancora vivo. Egli li chiamò e disse: "Credete nel Dio vivo, il quale risusciterà dai morti me e tutti coloro che credono in lui". Ma essi risposero: "Ora, ritorniamo da Nerone! Quando tu sarai morto e risorto, crederemo al tuo Dio".

Intanto Longino e Cesto lo supplicavano per la loro salvezza; egli disse loro: "Al sorgere del giorno, affrettatevi ad andare al mio sepolcro e troverete due uomini in preghiera, Tito e Luca. Essi vi daranno il sigillo nel Signore".

In piedi, rivolto verso Oriente, Paolo pregò a lungo. Dopo aver protratta la preghiera intrattenendosi in ebraico con i padri, tese il collo senza proferire parola. Quando il carnefice gli spiccò la testa, sugli abiti del soldato sprizzò del latte. Il soldato e tutti i presenti, a questa vista, rimasero stupiti e glorificarono Dio che aveva concesso a Paolo tanta gloria; e al ritorno annunziarono a Cesare quanto era accaduto. Anch'egli ne rimase stupito e imbarazzato.

[6] Verso l'ora nona, allorché si trovavano con Cesare molti filosofi e il centurione, Paolo giunse davanti a tutti e disse: "Cesare, ecco Paolo, soldato di Dio, non sono morto ma vivo! Fra non molti giorni su di te verranno molte sciagure, avendo versato sangue di giusti". Egli, sconvolto, ordinò di liberare i prigionieri, anche Patroclo e i compagni di Barsaba.

[7] Come aveva disposto Paolo, al sorgere del giorno, Longino e il centurione Cesto andarono con timore verso il sepolcro di Paolo. Avvicinatisi, videro due uomini in preghiera e Paolo in mezzo a loro. Dallo spavento uscirono fuori di sé, mentre Tito e Luca, presi da umano timore, si diedero alla fuga. Essi però li inseguirono, dicendo: "Non vi inseguiamo per uccidervi, come supponete, ma affinché ci diate la vita, come ha prescritto Paolo che or ora pregava in mezzo a voi".

Udite queste cose, ne furono lieti e diedero loro il sigillo del Signore, glorificando Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.