Uso di Tommaso da parte di Marco

di Stephen Davies
Visiting Professor of Biblical Studies
The University of South Africa: Summer 1996
Professor of Religious Studies
College Misericordia - Dallas, Pennsylvania, U.S.A.

traduzione a cura di Fabrizio Palestini

vesione originale al seguente URL

La relazione tra Tommaso 13 e Marco 8:27-33 solleva molti affascinanti problemi. Si può arguire che entrambe le storie siano di preminente importanza nei rispettivi vangeli; Tommaso 13 convalida la supremazia dell'autore di Tommaso e può essere considerato una magna carta per coloro che seguono Tommaso, Marco 8:27-33 da inizio alla sezione centrale di Marco ed è così il punto cruciale nella struttura del suo vangelo.

 

Tommaso 13:

Gesù disse ai suoi discepoli, "Fatemi un paragone, ditemi a chi rassomiglio." Simon Pietro gli disse, "Sei come un angelo giusto." Matteo gli disse, "Sei come un filosofo sapiente." Tommaso gli disse, "Maestro, la mia bocca è totalmente incapace di esprimere a cosa somigli." Gesù disse, "Non sono il tuo maestro. Hai bevuto, e ti sei inebriato alla fonte gorgogliante che ho misurato." E lo prese con sé, e gli disse tre cose. Quando Tommaso tornò dai suoi compagni questi gli chiesero, "Cosa ti ha detto Gesù?" Tommaso disse loro, "Se vi dicessi una sola delle cose che mi ha detto voi raccogliereste delle pietre e mi lapidereste, e dalle pietre uscirebbe del fuoco e vi divorerebbe."

 

Marco 8:27-33:

 

[27]Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che io sia?». [28]Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti». [29]Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». [30]E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. [31]E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. [32]Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. [33]Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

 

All'inizio queste storie sembrano legate in modo molto generico, ma ad un più attento esame appaiono le rimarchevoli similarità strutturali. Sono presenti i seguenti elementi strutturali simili:

 

1)Gesù chiede di se stesso ai suoi discepoli.

 

2)Sono fornite inizialmente risposte errate.

 

3)Viene data una risposta che sembra appropriata.

 

4)Viene introdotto un motivo di riserbo.

 

5)Gesù offre il Vero Insegnamento.

 

6)Uno o più discepoli sono rimproverati.

 

Sembra impossibile che le due sezioni possano essere così simili per pura coincidenza. O una di esse è la revisione dell'altra, oppure entrambe sono revisioni di una terza versione sconosciuta.

 

Potrebbe la versione di Tommaso essere una revisione della storia che troviamo in Marco? Non vedo ragioni per pensarla così. Matteo e Luca mostrano come la storia di Marco possa essere modificata in modo da lodare un discepolo invece di rimproverarlo; Tommaso non revisiona assolutamente in tal modo. Inoltre, non c'è alcuna evidenza che Tommaso abbia revisionato un qualunque altro detto in Marco.

 

Marco 8:27-33 contiene un campionario di temi redazionali specificamente marchiani. Dopo aver esaminato diversi punti di vista sul tema, Brown et al. (1973:64-69) concludono che solo 8:29 e 8:33, il riconoscimento di Pietro e il biasimo di Gesù "Lungi da me, Satana!", possono non essere redazione di Marco. Invero, ritengono che l'ultimo (8:33) potrebbe ben essere redazionale se "si ipotizzasse la creazione di tale detto da parte di un gruppo anti-pietrino". Marco stesso è anti-pietrino (vedi l'inadeguatezza di Pietro nella Trasfigurazione, il suo disobbediente addormentarsi a Getsemani, il rinnegare tre volte Gesù) e quindi anche 8:33 è probabilmente redazione di Marco.

 

Troviamo il racconto della predizione della passione che si ripete in altre due parti nella sezione centrale di Marco, come pure l'uso del motivo del segreto messianico, e l'affermazione che Gesù parla apertamente in contrapposizione al suo precedente parlare in parabole. Tutto ciò è indubitabilmente redazione marchiana. Inoltre, si può fortemente sospettare che il rimprovero di Pietro derivi dalla teoria di Marco dell'incompetenza e della colpevole inadeguatezza dei discepoli. In tal caso, la condanna di Pietro da parte di Gesù nel verso 33, cioè che egli pensa come pensano gli uomini e non come pensa Dio, presuppone il precedente passaggio dove ci viene detto come pensano gli uomini, versi 27-28. Se il verso 33, cioè la battuta finale, è redazionale, allora con grande probabilità i versi 27-28 sono anch'essi redazionali, perché servono per impostare e per dare significato proprio alla battuta finale.

 

I versi 30-31-32 sono tipici esempi di redazione marchiana, e probabilmente lo sono anche i versi 27-28-33. Infatti l'intero passaggio 8:27-33 deve probabilmente essere considerato come costruzione marchiana influenzata concepibilmente da una tradizione di confessione pietrina (cf. Giovanni 6:69). Ma la struttura di tale costruzione marchiana rimane la stessa di Tommaso 13.

 

A causa della rassomiglianza strutturale Tommaso 13 e Marco 8:27-33 sono probabilmente versioni dello stesso originale, non invenzioni completamente indipendenti. A causa dello schiacciante carattere redazionale di Marco 8:27-33 è certo che la sua versione è un'estesa revisione di un qualche originale. O l'originale fu Tommaso 13, oppure le due sono entrambe versioni di un terzo originale sconosciuto.

 

Il 13 è il più importante passaggio singolo nel Vangelo di Tommaso perché giustifica l'autorità del preteso autore del testo, da autorità ai detti segreti che il testo propone, offre un percorso per raggiungere l'eccellenza che Tommaso ha raggiunto, e nello specifico rigetta due precedenti e diffuse opinioni su Gesù. Parecchio per  pochi versi!

 

Nella sezione di apertura del detto 13 vengono rifiutati due punti di vista. Primo, Gesù non deve essere ritenuto un giusto messaggero. Il termine "aggelos" è stato a volte tradotto "angelo" ma non esiste alcuna precedente nozione di Gesù come un angelo e nessuna reale giustificazione per tale traduzione. Invece, aggelos dovrebbe mantenere il suo significato di "messaggero", probabilmente intendendo implicitamente "messaggero del Signore", cioè un profeta. La Septuaginta parla di Haggai il profeta come aggelos del Signore, (Haggai 1:12-13). Il libro di Malachia inizia (nella Septuaginta) con una identificazione del profeta come aggelos; La citazione di Marco da Malachia 3:1 fa un uso simile del termine in relazione a Giovanni il Battista, "Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero (aggelos)...". Ed infatti molti studiosi (p.es. Sanders 1985, Fredriksen 1988) ritengono che Gesù venisse considerato un messaggero profetico durante la sua vita.

 

Matteo è detto credere che Gesù fosse un saggio filosofo ("philosophos" nel testo inglese). La traduzione filosofo ("philosopher" nel testo inglese) non è sbagliata, ma non dobbiamo trascurare il significato letterale del termine: "amante della saggezza". Alcuni studi recenti hanno raggiunto la conclusione che il Vangelo di Tommaso, almeno in un primitivo stadio del suo sviluppo, presentasse Gesù come un saggio, un maestro di saggezza, un filosofo (Crossan 1991, Downing 1988). Burton Mack (1990) scrive che bisognava essere ben indirizzati per riuscire a vedere il Vangelo di Tommaso fin dal principio in chiave sapienziale, interpretando i detti di Gesù come se questi fosse un saggio in consapevole contrasto in vari punti con altri discepoli che seguivano l'opzione apocalittica. "I detti sapienzali divennero criptici nel loro processo di approfondimento ed interpretazione, mentre l'invito di Gesù ed essere diversi fu infine interiorizzato come conoscenza di se stessi". 

 

I punti di vista di "Simon Pietro" e di "Matteo", che Gesù sia un aggelos, messaggero profetico del Signore, e che Gesù sia un filosofo, amante della saggezza, sono le due concezioni di Gesù che, al presente stadio della ricerca, più comunemente si ritiene corrispondano alla concezione di Gesù che avevano i suoi primi seguaci. Tommaso 13 evidenzia certamente una svolta verso il criptico.

 

La storia di Tommaso sembra lasciarci con un mistero: quali erano i tre detti segreti? Sicuramente un testo che ha la pretesa, al suo inizio, di contenere i detti segreti di Gesù, rivelerà le uniche cose che al suo interno sono esplicitamente dichiarate segrete. Evidentemente i detti sarebbero dovuti apparire ai rimanenti discepoli in qualche modo blasfemi, ma questo è tutto ciò che possiamo desumere dal contesto. Pur tuttavia, il detto 108 ci fornisce un deliberato indizio: colui che beve da Gesù è colui al quale le cose segrete saranno rivelate.

 

Che sia Tommaso tale persona è evidente al detto 13. Perché sia lui sarà discusso sotto in dettaglio.

 

Il tema presente nel 108, cioè che "le cose che sono celate saranno rivelate", si ritrova anche in Tommaso 5b e 6:

 

5. Gesù disse: "Conosci ciò che ti sta davanti, e ti si manifesterà ciò che ti è nascosto. Giacché non vi è nulla di nascosto che non sarà manifestato".

 

6. L'interrogarono i suoi discepoli e gli dissero: "Vuoi tu che digiuniamo? Come pregheremo e daremo elemosina? E che norma seguiremo riguardo al vitto?"

Gesù disse: "Non mentite e non fate ciò che odiate, giacché tutto è manifesto al cospetto del cielo. Non vi è infatti nulla di nascosto che non venga manifestato, nulla di celato che non venga rivelato."

 

A parte Giacomo e Tommaso, i discepoli di Gesù vengono ritratti nel Vangelo di Tommaso come una collettività che invariabilmente pone questioni escatologiche o cristologiche avendo bisogno di rettifiche da Gesù. Qui la risposta di Gesù è banale ed evasiva. Ma in Tommaso 13, si scopre che Tommaso è colui al quale le cose celate devono essere rivelate, e Gesù gli dice tre cose. Immediatamente dopo Tommaso 14 sembra fornire le risposte blasfeme alle precedenti domande del detto 6 che erano state racchiuse dal motivo del nascosto/rivelato.

 

Tommaso 14:

 

14. Gesù disse loro: "Se digiunerete vi attribuirete un peccato; se pregherete vi condanneranno; se darete l'elemosina farete del male ai vostri spiriti. Se andrete in qualche paese e viaggerete nelle regioni, se vi accoglieranno, mangiate ciò che vi porranno davanti e guarite quanti tra loro sono infermi. Giacché ciò che entra dalla bocca non vi contaminerà, ma è ciò che esce dalla vostra bocca che vi contaminerà."

 

Presumibilmente il redattore finale di Tommaso ritiene che queste tre sentenze siano i tre detti segreti svelati a Tommaso (sebbene io sospetti che una versione anteriore del testo contenesse solo i tre responsi che sconfessano digiuno, preghiera ed elemosina).

 

Per comprendere la relazione tra le storie di Tommaso e Marco dobbiamo per prima cosa sondare lo status di Tommaso nel detto 13. Così com'è questo appare completamente enigmatico, ma una chiave per comprenderlo appare in Tommaso 108:

 

108. Gesù disse: "Colui che beve dalla mia bocca, diventerà come me; io stesso diverrò come lui e gli saranno rivelate le cose nascoste."

 

Similmente, in Tommaso 13 leggiamo che: 

 

13. ...Gesù disse: "Io non sono il tuo maestro, giacché hai bevuto e ti sei inebriato alla fonte gorgogliante che io ho misurato". E lo prese in disparte e gli disse tre parole.

 

Così, abbeverarsi da Gesù o dalla fonte di Gesù, porta in entrambi i casi alla rivelazione delle cose celate. Evidentemente Tommaso 13 dichiara che, per il fatto che Tommaso è "come Gesù", uno di coloro di cui Gesù può dire "Io stesso sono divenuto come lui", Tommaso non dovrebbe più a lungo considerare Gesù come proprio maestro.

 

Lo status di Tommaso è il punto chiave per il confronto. La comprensione del detto 13 tramite il 108 indica che Gesù e Tommaso hanno non solo cambiato status di interrelazione (non più maestro-discepolo), ma anche, forse, che Tommaso ha cambiato identità. Inteso alla luce del 108, Tommaso è divenuto come Gesù, ha ottenuto qualunque identificazione categorica Gesù è detto occupare (maestro, o persino Cristo), Tommaso è Gesù. [...]

Forse per questo Tommaso deve confessare che "la mia bocca è assolutamente incapace di dire a chi sei simile".

 

A prima vista appare quasi inconcepibile che i Cristiani avrebbero potuto credere che in certe circostanze si sarebbe potuti diventare come Gesù, essere nella stessa categoria, qualunque fosse, in cui era Gesù, e persino meno concepibile che persone potessero proclamare di ESSERE Gesù, dichiarare "non io ma Gesù". Ma sappiamo che alcune persone lo fecero e sappiamo che Marco non era del tutto soddisfatto di loro. Invece, Paolo può essere stato una tal persona, perché ci dice che "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me!" (Gal 2:20) e che Cristo parla attraverso di lui (2 Cor 13:3).

 

Nel capitolo 13 di Marco, la piccola apocalisse, leggiamo passaggi plasmati a guisa di predizioni che vengono generalmente riferiti dagli studiosi al tempo ed alle condizioni della stessa comunità di Marco. Ci sono due esempi concernenti il presente argomento. Primo, in Marco 13:5

 

[5]Gesù cominciò a dire loro: "Guardate che nessuno vi inganni! Molti verranno nel mio nome, dicendo: 'Sono io'; e ne inganneranno molti."

 

Secondo, in Marco 13:21-22 leggiamo che

 

[21]"Se qualcuno vi dice:'Il Cristo eccolo qui, eccolo là, non lo credete;         [22]perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti".

 

Marco era evidentemente turbato che alcuni proclamassero l'identità di Gesù, dicendo "Io sono lui" e che ci fossero persone che dichiaravano di essere Cristo o di essere profeta (Presumo che tali persone fossero attive all'interno del movimento cristiano, per tal motivo Marco è turbato ed interessato. E' difficile credere che si sarebbe preoccupato di attivisti messianici ebrei del periodo della guerra giudaico-romana per paura che questi sviassero gli eletti cristiani non palestinesi a cui Marco si rivolgeva!).

 

Se, quindi, c'erano persone che proclamavano di essere Gesù o di essere riconosciuti nella categoria di Gesù (per esempio di essere il Cristo), allora Tommaso 13, interpretato attraverso Tommaso 108, dà a Tommaso il diritto di fare tale proclama. [...]

 

La metafora comune ai detti 13 e 108 è il bere ed è attraverso il "bere" che avviene la trasformazione. Questa metafora è comune nella primitiva usanza cristiana e qui, come altrove, si riferisce al ricevimento dello Spirito. Nel vangelo di Giovanni (7:37-41) udiamo che:

 

[37]Gesù, levatosi, gridò dicendo: "Se qualcuno ha sete venga a me e beva. [38]Chi crede in me, come disse la Scrittura, fiumi dal seno suo scorreranno d'acqua viva". [39]E disse questo dello Spirito che avrebbero ricevuto quelli che avessero creduto in lui: infatti non era stato mandato lo Spirito, perché ancora Gesù non era stato glorificato.

 

Bere da Gesù è qui una metafora per il ricevimento dello Spirito da Gesù. Similmente, nella prima lettera ai Corinzi 12:13, Paolo, dopo aver discusso dello Spirito in alcuni aspetti, scrive che

 

"Infatti, noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, sia Giudei, sia Greci, sia schiavi, sia liberi, e tutti siamo dissetati da un solo Spirito".

 

La metafora dello Spirito come liquido che si riversa può trovarsi in Atti 2:15-33, seguendo Gioele 2:28-29, in Romani 5:5, ed in Tito 3:6 dove lo Spirito effonde per mezzo di Cristo. La storia della Pentecoste include riferimenti al fatto che coloro che avevano ricevuto lo Spirito sembravano inebriati, ed in Efesini 5:18 udiamo: "E non inebriatevi di vino nel quale è sfrenatezza, ma siate ripieni dello Spirito". C'era incontestabilmente una connessione metaforica nella più antica cristianità tra il ricevere lo Spirito ed il bere, con il corollario che l'esperienza dello Spirito potrebbe essere paragonata all'inebriarsi. Tommaso 13 e 108 ben si inseriscono in tale sistema metaforico.

 

Di conseguenza credo si possano intendere i detti 108 e 13 rispettivamente come: Gesù disse: "Colui che riceverà lo Spirito da me, diventerà come me; io stesso diverrò come lui e gli saranno rivelate le cose nascoste". E che Gesù disse: "Io non sono il tuo maestro, giacché tu hai ricevuto lo Spirito da me". E lo prese in disparte e gli disse tre parole.

 

Tommaso 108 riecheggia l'idea, presente in molte culture, che colui che riceve lo spirito di una persona soprannaturale può essere identificato con tale persona. Ciò è chiamato "possessione spiritica" in antropologia. Da questa prospettiva non dovrebbe affatto sorprendere trovare cristiani che credevano nel poter essere identificati con Gesù una volta ricevuto lo Spirito da Gesù stesso. L'identità di ognuno dipende dallo spirito che è attivo nel suo corpo, e se questo è lo Spirito di Gesù, allora quella persona ha l'identità di Gesù.

 

Perciò Gesù dice nel 108: "Io sarò lui" e così, come riferisce Marco, persone vennero proclamando il nome di Gesù dicendo "Io sono lui".

 

Marco disapprova profondamente tale comportamento, come vediamo nel 13:5. Inoltre lungo il suo vangelo ha condannato i discepoli di Gesù che reclamavano privilegi speciali e supremazia personale. In Tommaso 13 c'è accordo sul fatto che Tommaso abbia potuto proclamare di essere "come è Cristo, ed essere lui" ed una ferma attestazione circa la sua supremazia sugli altri discepoli. Avesse Marco conosciuto questo detto, nella sua forma attuale, nella sua attuale collocazione (dove garantisce la supremazia dello scriba ed autore del vangelo), potremmo comprendere come e perché Marco lo abbia revisionato in 8:27-33.

 

Innanzitutto, Marco elabora risposte alla domanda "a chi gli uomini dicono che io sia simile?" con lo scopo di parodiare l'idea di identificazione mediante ricevimento dello Spirito da una persona. La gente è detta ritenere che Gesù sia Giovanni Battista o Elia (o qualche altro profeta). Pietro è rimproverato al verso 33 per pensarla in tal modo.

 

Perché qualcuno avrebbe dovuto pensare che Gesù era da identificare con Giovanni, che era morto solo alcuni mesi prima? Secondo Marco, essi pensavano così per le potenze che operavano in lui (6:14). Per il fatto che Gesù aveva ricevuto a sua richiesta lo Spirito da Giovanni (in modo simile ad Eliseo da Elia), in virtù del principio secondo il quale uno può essere identificato con colui di cui ha ricevuto lo spirito, Gesù può essere identificato con Giovanni. Infatti, se si asserisce che chi ha ricevuto lo spirito da Gesù può essere identificato con Gesù, dovrebbe seguire che poiché Gesù ha ricevuto lo spirito da Giovanni, può essere identificato con Giovanni. Oppure, ancora, se Giovanni può essere equiparato ad Elia (come sembra essere il caso in Marco 9:13; cf. Mt 17:13) Gesù può dunque essere identificato con Elia.

 

Marco 8:27-28 è una parodia della linea di pensiero tommasina, un argomento di reductio ad absurdum. Marco evidentemente sostiene che, poiché è assurdo pensare che Gesù sia o Giovanni o Elia, sebbene abbia ricevuto lo Spirito nel suo battesimo da Giovanni in modo simile ad Eliseo da Elia, parimenti è assurdo pensare che un qualsiasi cristiano possa dichiarare di essere Gesù sulla base del ricevimento dello Spirito da Gesù. Così è come pensano gli uomini e come pensa Pietro ma, secondo Marco, non è il pensare di Dio. Apparentemente ciò che Dio pensa è che ogni imitatio Christi, ogni proclama di essere come Gesù, deve essere basata sul percorso divinamente ordito del Figlio dell'Uomo, di essere consegnato, soffrire, morire e resuscitare. Ritornerò in una sezione successiva sul motivo dell'imitatio Christi.

 

Sembra che l'individuo di nome Tommaso fosse per Marco di nessuna importanza; Tommaso è menzionato una volta in una lista dei dodici, ma è tutto. Marco ha cercato di sminuire ogni dichiarazione di supremazia fatta dai discepoli di Gesù, e particolarmente da Pietro, Giacomo e Giovanni. Non avendo particolare interesse per Tommaso, sembra che Marco lo abbia eliminato dalla storia e sostituito con Pietro, forse aggiungendo un riferimento ad una tradizione di confessione pietrina pre-esistente (cf. Giov.6:69). Marco modifica radicalmente la storia in parodia, sia di Tommaso 13 che della tradizione di confessione pietrina. Insomma Marco 8:27-33 è una apparente confessione che potrebbe condurre verso una supremazia pietrina (cf. la redazione che Matteo e Luca hanno fatto di ciò) ma che invece vediamo condurre ad una condanna di Pietro come Satana da parte di Gesù. Questa è parodia. Norman Petersen(1994) ha sostenuto che in altri importanti modi il vangelo di Marco è scritto come una parodia di preesistenti tradizioni testuali.

 

Nel vangelo di Marco non abbiamo una storia atta a glorificare un discepolo a spese degli altri (come in Tommaso) ma l'opposto, una storia dove un discepolo è subordinato agli altri, infatti leggiamo che Gesù 'giratosi e vedendo i suoi discepoli, rimproverò Pietro dicendo: "Allontanati da me Satana, perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini". Alla luce di Marco 3:22-29, dov'è peccato imperdonabile chiamare Satana qualcuno che abbia ricevuto lo Spirito, quando Gesù chiama Pietro Satana inequivocabilmente nega la possibilità che Pietro abbia lo Spirito di Dio.

 

Riguardo l'implicita dichiarazione di Tommaso nel detto 13 che ci sono parole segrete di Gesù che sono disponibili solo a speciali individui trasformati, rimando il lettore alle dettagliate argomentazioni fatte da Theodore Weeden (1971). Seguendo Eduard Schweizer (1965), egli sostiene che Marco 4:11-12, così come la parabola del seminatore e la sua interpretazione, appartenessero alla tradizione usata dagli oppositori di Marco. Marco 4:11 può essere parallelo a Tommaso 62a:

 

62. Gesù disse: "Io comunico i miei misteri a coloro che sono degni dei suoi misteri".

 

Helmut Koestler (1990:53) è intervenuto su tale questione asserendo che Marco 4:11-12 non sia parte della redazione marchiana ma appartenga alla più vecchia collezione di parabole che Marco ha incorporato e notando la similarità di VdT 62 con quel passaggio. In Marco troviamo "A voi è dato il segreto del Regno di Dio", Marco può avere adattato Tommaso 62a per ammettere che Gesù abbia rivelato i suoi misteri ai discepoli, ma per negare che lo abbia fatto in quanto i discepoli stessi ne siano degni; per Marco i discepoli non sono mai "degni". Weeden crede che "le posizioni usualmente attribuite a Marco ed al materiale che ha accolto rispettivamente siano in realtà proprio opposte. Marco ha ricevuto materiale tendente ad un insegnamento nascosto, esclusivo, esoterico. Marco va nella direzione dell'apertura, una rivelazione su base non esclusiva" (Weeden 1971:144). Egli trova nel vangelo di Marco evidenze che qualcuno nella sua comunità sia stato persuaso dall'appeal di un vangelo segreto e che Marco abbia montato una polemica contro di esso (Weeden 1971:148). Marco, sostiene, lo fece dimostrando l'assurdità del principio ermeneutico intriso nel loro vangelo segreto, cioè Marco mostra come non sia vero che solo certi discepoli iniziati comprendano il messaggio di Gesù ma che sia vero l'opposto, sono i profani coloro che correttamente percepiscono e comprendono Gesù (Weeden 1971:148).

 

Nella conclusione generale del suo libro, Weeden discute di ciò che egli vede come uso molto abile di Marco delle posizioni e del materiale dei suoi oppositori. Marco, egli afferma, ha preso il loro principio ermeneutico (4:11-12) e lo ha rovesciato per mostrare la cecità di coloro che dichiarano di essere "eletti e segretamente illuminati". Egli cita vari esempi per mostrare come Marco in diversi modi riprenda materiale usato dai suoi antagonisti e lo trasformi in argomenti contro di loro tramite parodia o ironia (Weeden 1971:165-168).

 

Il libro di Weeden non fa alcun riferimento al vangelo di Tommaso. Pur tuttavia se si descrivono a grandi linee le caratteristiche del testo che egli ipotizza usassero gli oppositori di Marco, sono le caratteristiche di Tommaso. Nell'incipit del testo il vangelo di Tommaso dichiara di essere una collezione di detti segreti. Proclama il fatto che Gesù abbia rivelato misteri ad un'elite degna (62a). In Tommaso 13 un discepolo elevato al livello di Gesù è il garante della legittimità degli insegnamenti segreti contenuti nell'intero vangelo. Tommaso mostra di non essere a conoscenza, e di non avere alcun interesse, di concetti come la messianicità segnata dalla sofferenza, e per Tommaso né la crocifissione né la resurrezione hanno significato; non sono mai menzionate. Dall'analisi di Weeden non si può concludere con certezza che Tommaso sia il testo segreto degli oppositori di Marco, ma che se tale documento esisteva, Tommaso sia della stessa pasta e contenga moltissimi dei detti che tale documento conteneva.

 

Sembra che Marco sottintenda Tommaso 13 per affermare il principio secondo cui un discepolo avrebbe il primato, e probabilmente anche il principio di Tommaso 108 secondo il quale alcuni cristiani che hanno "bevuto" lo Spirito possono essere identificati con Gesù o dichiarare di essere Cristo. Questi principi sono quelli a cui si oppone Marco. Tramite l'uso di motivi suoi caratteristici, Marco ha creato una parodia di Tommaso 13 sicché il primato implicito di un discepolo si tramuta rapidamente nella sua condanna, una condanna che discende dal suo supposto pensare "come gli uomini pensano", quale Marco suggerisce sia la tesi che avendo Gesù ricevuto lo Spirito da Giovanni (o Elia) per questo sia Giovanni (o Elia).

 

Se questa analisi sembra drastica, permettetemi di ripetere alcuni punti chiave. Primo, le similarità strutturali tra Tommaso 13 e Marco 8:27-33 dimostrano che entrambi sono versioni della stessa storia. Secondo, le caratteristiche redazionali di Marco 8:27-33 provano che la sua è una versione completamente riscritta di una qualche storia originale. Terzo, non vi è evidenza del fatto che Tommaso abbia usato Marco e molte ragioni per pensare il contrario (qualunque teoria secondo la quale Tommaso sarebbe stato così abile nell'analisi formo-critica da poter sistematicamente modificare i detti di Marco in modo da riportarli ad una forma più primitiva mancante delle caratteristiche redazionali marchiane è semplicemente insostenibile). Quarto, le tesi principali presentate in Tommaso 13 e 108, cioè che un discepolo abbia preminenza su tutti gli altri e che una persona possa essere equivalente o identificata con Gesù tramite il ricevimento del suo Spirito sono opinioni che noi sappiamo per certo essere state avversate fortemente da Marco (13:5, 21-22 specificamente, ed in generale nei capitoli dall' 8 al 10). Se Marco avesse revisionato Tommaso 13 potremmo ben comprendere ciò. Il suo inserimento di motivi tipici del suo principale interesse redazionale così da produrre una parodia sarebbe lo strumento usato ed, infatti, ciò sarebbe stato in linea con la strategia generale all'interno del suo vangelo. Sembra metodologicamente errato rigettare tali fattori e sostituir loro l'ipotesi che sia Marco sia Tommaso abbiano modificato qualche altra storia completamente sconosciutaci per ragioni delle quali non sappiamo nulla. Ma questa è l'alternativa alla tesi che Marco abbia revisionato Tommaso 13.

L'ipotesi che Marco abbia usato Tommaso è supportata dal fatto che un considerevole numero di detti presenti in Marco si trovano anche in Tommaso. Inoltre, sembra molto improbabile che la fortuita sequenza di Tommaso 65 e 66 avrebbe potuto essere costruita in Marco 12:1-12 senza riferimento a Tommaso ed è probabile che Marco abbia usato la storia chiave di Tommaso 13 nella sua costruzione di 8:27-33. Ora, se ci fosse influenza di Tommaso su Marco, allora dovremmo vedere altri esempi in Marco oltre quelli già citati, esempi meno ovvi. Uno di questi può essere trovato nell'uso fatto da Marco del detto 22 di Tommaso, un detto che permette ad alcuni cristiani di proclamare una speciale eccellenza. Se qualcuno potesse declamare correttamente di essere come un bambino, entrerebbe nel regno. Se qualcuno potesse declamare correttamente di aver fatto di due uno, ecc., entrerebbe nel regno. Se qualcuno potesse declamare correttamente di aver fatto un occhio al posto di un occhio, ecc., entrerebbe nel regno. Non proverò a spiegare cosa significhino queste curiose esclamazioni, tranne suggerire che probabilmente hanno attinenza con il ristabilimento della condizione di Immagine di Dio presente in Genesi 1:27 (Davies 1992). Invece, sono interessato ad esse solo in quanto affermazioni che sicuramente alcuni cristiani fecero le quali conferivano loro il diritto di proclamare una particolare eccellenza.

 

Marco può aver separato Tommaso 22 nelle sue tre parti componenti, una avente a che fare con i bambini, una con il fare di due uno (maschio e femmina in una cosa sola) ed una con il fare di un occhio un occhio. Allora, credo, Marco ha generalizzato questi detti in modo tale che essi non diano più primato a qualche particolare cristiano in virtù di un significato specificamente metaforico.

 

Potrebbe essere uno di questi casi il fatto che Marco abbia preso uno strano riferimento metaforico in Tommaso 22c, cioè "allorché farete occhi in luogo di un occhio, una mano in luogo di una mano, un piede in luogo di un piede, e un immagine in luogo di un immagine allora entrerete nel Regno", e lo abbia revisionato nel passaggio moralistico 9:43-48:

 

E se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. E se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si spegne!

 

Tommaso richiede in modo poco chiaro di non avere gli occhi, le mani, i piedi che si hanno, ma queste cose in qualche altra forma. Marco, invece, vorrebbe convincerci che alcuni dovrebbero rinunciare all'occhio, alla mano, al piede e tagliarli via del tutto. Tali persone non potrebbero sicuramente proclamare uno status di speciale eccellenza!

 

In Tommaso 22b udiamo:

 

22. ..."Allorché farete dei due uno, allorché farete l'interno come l'esterno e l'esterno come l'interno, e il sopra come il sotto, allorché del maschio e della femmina farete un unico essere sicché non vi sia più né maschio né femmina [allora entrerete nel Regno]".

 

Fare di due uno è il più comune tema redazionale tommasino. Ma la parte rimanente di questo detto  non è un'invenzione tommasina in quanto attestata in diverse altre fonti (per esempio Seconda lettera di San Clemente). In ogni caso, Marco può averla trasformata in un commento su matrimonio e divorzio in 10:2-9, raddoppiando il tema del due fatto uno ed usando alla fine un tradizionale detto antidivorzio:

 

E, fattisi avanti i farisei, per tentarlo, gli domandavano: "E' lecito ad un marito rimandare la propria moglie?". Ma egli rispose loro: "Che cosa vi ha ordinato Mosè?". Dissero: "Mosè ha permesso di scrivere il libello del ripudio e di rimandarla". Gesù disse loro: "Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questo precetto. Ma in principio della creazione li creò maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha unito".

 

Così Marco può aver modificato Tommaso 22b da commento all'idea di fare di due uno e di fare il maschio e la femmina una cosa sola, ad un riferimento a Genesi 2:24, 5:2 a supporto della proibizione del divorzio, applicabile a tutti gli uomini.

 

Infine, Marco può aver fatto uso di Tommaso 22a, ove udiamo:

 

22. Gesù vide alcuni neonati che poppavano. Disse ai suoi discepoli, "Questi neonati che poppano sono come coloro che entrano nel Regno." E loro gli dissero, "Dunque, come neonati, entreremo nel regno?"

Leggiamo in Marco 10:13-16 che:

 

Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso». E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva.

 

I due sono simili, ma in Tommaso gli adulti capaci di entrare nel regno sono paragonati a bambini, mentre in Marco letteralmente i bambini sono esempi di persone capaci di entrare nel Regno. La versione marchiana è un attacco redazionale al comportamento dei discepoli di Gesù mentre la versione di Tommaso è per i discepoli un'indicazione del comportamento da seguire. In Tommaso troviamo una similitudine, in Marco una dichiarazione presumibilmente concreta: il Regno di Dio appartiene ai bambini. In Marco "come un bambino" non è una similitudine ma un paradigma.

 

Tramite la costruzione di una narrazione Marco sostituisce effettivi bambini alla similitudine tra discepoli eletti e bambini di Tommaso. Marco fa praticamente lo stesso in un detto attestato sia in Q (Luca 10:16 e Matteo 10:40) e in Giovanni (13:20), detto che recita: "Chi accoglie uno che io mando accoglie me e chi accoglie me accoglie chi ma ha mandato". Tale dichiarazione afferma la supremazia di chiunque abbia il diritto di proclamarsi messaggero di Gesù. Ma in Marco 9:36-37 troviamo la dichiarazione modificata attraverso una narrazione in modo da affermare l'accoglimento non di un messaggero di Gesù ma di un qualsiasi bambino:

 

E, preso un bambino, lo mise in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: "Chi avrà ricevuto uno di codesti fanciulli nel mio nome riceve me e chi avrà ricevuto me non riceve me ma colui che mi ha mandato".

 

Qui Marco prende una rivendicazione specifica di particolari persone, rivendicazione che dona a tali persone uno status speciale, e tramite la costruzione di una narrazione rende il detto applicabile a chiunque riceva un qualsiasi bambino in nome di Gesù. Egli potrebbe aver fatto la stessa cosa modificando Tommaso 22a in 10:13-16.

 

Se Marco attinse da tradizioni separate da Tommaso allora ciò che abbiamo è un'interessante coincidenza. Ma forse Marco stava attingendo da Tommaso e lo stava facendo in modo da supportare la sua costante e ripetuta tesi secondo cui i cristiani non dovrebbero aspirare ad un particolare stato di eccellenza. Marco sembra essere stato veramente capace di revisionare radicalmente tali detti (p. es. Tommaso 13) alla luce della sua particolare agenda. Persino così, se i passaggi che richiamano Tommaso 22 fossero dispersi dappertutto nel vangelo di Marco non avrebbero probabilmente attratto la mia attenzione. Ma non sono dispersi. Essi sono localizzati in una parte particolare, il commentario che segue la seconda predizione della passione nella sequenza 9:33-35, e sono quasi contigui, 9:43-48, 10:1-12, 13-16, separati solo da due versi (9:49-50). Se la proposizione che Tommaso sia una fonte per Marco viene seriamente considerata, allora deve essere considerata anche la proposizione che questa sequenza di detti sia dovuta ad una revisione da parte di Marco di Tommaso 22. 

 

Imitatio Christi In Marco E Tommaso

 

Cosa comporta essere come Cristo? Umiltà e status di servitore sono una ben conosciuta risposta marchiana. Un'altra è che. come ha osservato Norman Perrin (1982:255-257), nel vangelo di Marco Giovanni Battista prega e viene condotto all'esecuzione, quindi Gesù prega e viene condotto all'esecuzione, ed infine i cristiani pregano e sono perseguitati (Mc 13:9-13). Così, per Marco imitazione di Cristo non vuol dire eseguire miracoli e meraviglie ma condividere le sofferenze del Figlio dell'Uomo. Il suo capitolo 13 ampie evidenze del fatto che i cristiani della sua comunità condividessero tali pene.

 

In Tommaso, come discusso in precedenza, l'imitazione di Cristo è la capacità di identificarsi con Gesù attraverso il ricevimento dello Spirito da Gesù. La revisione fatta da Marco di Tommaso 13 nel brano 8:27-33 testimonia il suo totale rifiuto di tale idea. In Tommaso 13 e 108 la metafora che conduce alla capacità di imitare Cristo, di essere come lui è, è il bere, "Colui che beve dalla mia bocca diventerà come me ed io stesso diverrò come lui", e Tommaso ha acquisito preminenza tra i discepoli per il fatto di aver bevuto alla fonte che Gesù ha misurato.

 

Nel vangelo di Marco (10:39) la stessa metafora viene usata per lo stesso scopo, per indicare il corretto modo di imitazione di Cristo. Forse influenzato dal detto 12 di Tommaso in cui viene conferita preminenza a Giacomo, Marco mostra come Gesù, nonostante le richieste di preminenza tra i discepoli di Giacomo e Giovanni, debba rifiutarle (10:35-40). Tuttavia dice loro "Il calice che io bevo lo berrete e anche col battesimo col quale io sono battezzato sarete battezzati". Sappiamo cosa implica il battesimo di Gesù, ricevimento dello Spirito ed inizio del cammino di sofferenza del Figlio dell'Uomo, e sappiamo cosa implica il calice di Gesù, perché comprendiamo la metafora tramite la preghiera di Gesù in Marco 14:36: il calice è l'essere perseguitato, il soffrire ed il morire. Ma Marco è attento ad informarci che Giacomo, Giovanni e Pietro si erano addormentati in quel momento, a dispetto dell' ordine di Gesù di stare svegli. Così Marco istruisce i suoi lettori che Giacomo e Giovanni potrebbero non aver compreso le implicazioni del calice che avrebbero dovuto bere.

 

Sembra che nella più antica cristianità le metafore del "battesimo" e del "bere" fossero intercambiabili nel riferimento alla ricezione dello Spirito. Paolo scrive che "Noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, sia Giudei, sia Greci, sia schiavi, sia liberi, e tutti siamo dissetati da un solo Spirito" (1Cor 12:13). Giacomo e Giovanni devono essere battezzati e bere. Non hanno ragioni per pensare che ciò non sia semplicemente un riferimento al loro futuro ricevimento dello Spirito (cf. Mc 1:9-11). Ma noi, lettori di Marco, sappiamo più di loro, perché conosciamo ciò che Gesù disse a Getsemani. Loro no. Abbiamo qui un esempio della drammatica ironia di Marco.

 

Marco può aver allontanato il motivo del bere presente in Tommaso 13 da ogni idea tommasina di identificazione tramite ricezione dello Spirito verso  il suo caratteristico motivo dell'identificazione con Gesù tramite la sofferenza. Marco afferma che Giacomo e Giovanni (che possono rappresentare i cristiani in generale) condivideranno lo Spirito (saranno battezzati col battesimo di Gesù) e condivideranno le sue sofferenze (berranno lo stesso suo calice) ma nel vangelo di Marco, mentre il significato del primo è noto a tutti, compresi Giacomo e Giovanni, il significato del secondo è loro celato (ancorché conosciuto a chiunque legga Marco).

 

Marco inizia la sua sezione centrale con il brano 8:27-33 che apparentemente revisiona Tommaso 13 senza alcun uso del motivo del bere, e conclude tale sezione con 10:35-45 in cui la metafora del bere è cruciale, ma interpretata in modo completamente diverso da Tommaso 13. Laddove in Tommaso prima Giacomo e poi Tommaso ottengono riconosciuta una preminenza da Gesù, nella sezione centrale di Marco prima Pietro e poi Giacomo e Giovanni sono denigrati e la stessa idea di supremazia da parte di un qualunque discepolo è parodiata.

 

Conclusione

 

Siamo abituati a pensare ad un uso evangelistico di fonti di detti alla luce dell'uso di Matteo e Luca di Q. Ma non abbiamo Q, abbiamo solo una ricostruzione basata sul loro uso di essa. Ciò che era in Q che né Matteo né Luca hanno usato, non possiamo saperlo. Tendiamo a pensare che l'abbiano usata completamente, ma questa supposizione discende dal definire Q come ciò che essi hanno usato! Abbiamo Tommaso. Possiamo anche notare, suggerisco, che Marco ha fatto uso di parti del vangelo di Tommaso per la sua costruzione di narrazioni e discorsi nei suoi capitoli dall'1 all'8 e dall'11 al 12. Possiamo vedere qualcosa di completamente differente avvenuto nella sezione centrale di Marco, in quanto lì egli prende i punti salienti della sua fonte e costruisce una profonda revisione, od una confutazione parodistica di essi. Alla domanda 'perché egli non usò tanti detti tommasini quanti avrebbe potuto usarne?' si può solo dare una risposta tautologica: egli non usò quegli elementi che non riteneva utili ai suoi scopi. Burton Mack (1991) ha fatto un tentativo di sostenere che Marco abbia usato Q ed anche di spiegare perché abbia scelto di non usarla a fondo, ma è una posizione difficile da sostenere, in special modo perché l'idea stessa di Q è basata sulla tesi che sia mancante in Marco!

 

Per Tommaso, abbiamo soltanto pochi frammenti greci da manoscritti copiati forse 70 anni dopo il vangelo di Marco, ed un testo copto copiato forse 250 anni dopo lo scritto di Marco. E' certo che il Vangelo di Tommaso come lo conosciamo, una versione principalmente dipendente dalla traduzione copta, differisce dalla versione che Marco può aver usato nell'ordinamento dei detti, probabilmente nel numero dei detti, probabilmente anche perché varie redazioni si sono succedute nell'arco di tempo che separa Nag Hammadi da Marco. Idealmente, il presente saggio dovrebbe contenere un commento critico su ciascun parallelo tra Marco e Tommaso. Ma, ovviamente, limiti di spazio rendono ciò impossibile. Per tali commenti si può ricorrere a Stephen Patterson (1993); John Horman (1979) in un saggio lungo quasi una volta e mezzo questo, ha sostenuto la priorità di un detto, la versione tommasina della parabola del Seminatore. Egli conclude che "non sembrano esserci relazioni dirette tra la versione di Tommaso e quella di Luca" e che "non vi è chiara evidenza che Tommaso abbia tratto la sua versione della parabola da Marco o Matteo". Invero, "la versione di Marco, così com'è, è stata tendenziosamente alterata, e precisamente nel punto in cui diverge radicalmente da Tommaso". Assumendo, erroneamente io credo, che "non sia probabile che Marco abbia usato Tommaso", si può solo concludere che "Tommaso e Marco abbiano usato una fonte comune" (Horman 1979:342-343).

 

La variabilità della tradizione testuale tommasina non invalida l'uso di Tommaso come testo essenzialmente del primo secolo, ma ci richiede di procedere con cautela nel ritenere che un qualsiasi particolare detto in Tommaso come lo possediamo fosse anche presente in tale forma in un testo disponibile a Marco. Ci saranno casi in cui le versioni marchiane di quelli che potrebbero essere detti tommasini appaiono nel secondo vangelo in una forma meno redatta che nella versione tommasina a noi disponibile; per esempio, Marco 3:28-29 è coerente, ma il corrispondente detto in Tommaso, il detto 44, è incoerente. D'altra parte bisogna guardarsi dall'idea che un detto tommasino che ci suona strano (p.es. 104) debba di conseguenza essere un successivo sviluppo di un detto sinottico (p.es. il kerygmatico Marco 2:10-20) con il quale abbiamo grande familiarità. Similmente si potrebbe rigettare quasi istintivamente come redazione posteriore Tommaso 48, "Se in questa casa due fanno pace l'uno con l'altro, diranno ad un monte: 'Allontanati!'. E si allontanerà", tuttavia quella versione potrebbe essere originale. Sembra essersi sviluppata nelle stesse circostanze sociali viste in QLuca 10:5-6; un cristiano itinerante giunge in una casa, dà il saluto di pace, ed è o benvenuto o allontanato. Nel passaggio di Luca udiamo cosa succede quando il saluto di pace del viaggiatore è rifiutato; in Tommaso udiamo cosa avviene quando il saluto è accettato. La versione di Marco (11:23), come quella di Q, mostra l'influenza di una metafora pure conosciuta a Paolo (1Cor 13:2) sebbene non ci sia ragione per ritenere che Paolo consideri la metafora un detto di Gesù.  

 

Si può tentare a volte di costruire testi a tavolino, documenti sconosciuti alla scienza che servano allo scopo di risolvere difficili problemi. Si potrebbe costruire con l'immaginazione un Proto-Tommaso che sia stato usato da Marco, che superi felicemente tutte le difficoltà e le complessità del vangelo di Tommaso attuale. Ma sarebbe solo un esercizio di fantasia. Potremmo immaginare uno o più proto-Tommasi che contengano quasi nient'altro che detti sinottici corrispondenti non redatti, o vari complessi di detti pre-marchiani, o forse fonti di parabole, che servano per spiegare questo o quel segmento del vangelo di Marco. Sfortunatamente, mentre i testi progettati hanno la virtù di risolvere qualunque problema siano designati per risolvere, facendolo senza alcuna possibilità di confutazione, soffrono però di una fatale pecca: non esistono.

 

Abbiamo ciò che abbiamo e non abbiamo ciò che non abbiamo. E ciò che abbiamo è una collezione di detti attribuiti a Gesù detta Vangelo di Tommaso, e ragioni per pensare che Marco l'abbia usata, ed adattata, e cercato di confutarne elementi. Considerazioni sul puro e semplice numero di detti tommasini usati da Marco, e l'evidente adattamento marchiano di elementi specificamente tommasini come la giustapposizione dei detti 65 e 66 e la storia cruciale per il vangelo di Tommaso che dà valore alla supremazia di Tommaso stesso dovrebbero conferire  credito all'idea. La tesi alternativa, che entrambi abbiano attinto detti da una sconosciuta indefinita fonte che chiamiamo tradizione orale, non è un'inerente ipotesi superiore ma un appello all'inconoscibile.

 

Come la conoscenza delle loro fonti conduce  ad una più chiara comprensione di Matteo e Luca attraverso la conoscenza della loro redazione di tali fonti, così la conoscenza di Marco può essere accresciuta considerevolmente se si riconosce di avere in mano una tarda versione di uno dei testi che egli usò, testo che noi chiamiamo vangelo di Tommaso. Potremmo notare come Marco usò la sua fonte a volte nello stesso modo di Matteo e Luca, cioè sequenziando detti presenti in diverse parti della sua fonte in modo da trarne coerenti discorsi attinenti con il contesto narrativo che aveva creato per loro. E potremmo vedere anche come Marco abbia usato la sua fonte in maniera differente da quanto hanno fatto Matteo o Luca, in quanto nella sua sezione centrale potrebbe aver preso i punti chiave delle storie e dei detti della sua fonte e averli radicalmente modificati. Spero che in futuro si possa prestare attenzione a queste possibilità.