Quanto esercizio fare per star bene


 

Giampiero Merati
Facoltà di Scienze Motorie, Università degli Studi di Milano

Tratto da Rr-Ricerca Roche

 

Nonostante la crescente disponibilità di dati sperimentali ed epidemiologici sull’esercizio fisico come fattore di prevenzione dello sviluppo e della progressione di molte patologie, la sedentarietà rimane ancora lo stile di vita prevalente nei paesi industrializzati. Nell’uomo, gli effetti positivi dell’esercizio fisico moderato e continuativo sui principali fattori di rischio cardiovascolare sono ampiamente documentati da studi come il Multiple Risk Factor Intervention Trial1, l’Harvard Alumni Study2, il Lipid Research Clinic Mortality Follow-up Study3  e da diversi studi prospettici di ampie dimensioni4. Tuttavia, nel soggetto sedentario, soprattutto se di età superiore a 40 anni, l’esercizio fisico occasionale di elevata intensità può costituire al contrario un fattore di rischio per l’infarto miocardico acuto5.

E’ dunque evidente che i protocolli di prescrizione di esercizio nella popolazione sedentaria debbano essere valutati con molta attenzione. Le raccomandazioni più recenti derivano dalla revisione 2001 delle linee guida del 1995 dell’American College of Cardiology/American Heart Association (ACC/AHA)6: la pratica dell'esercizio aerobico di moderata intensità, possibilmente tre volte alla settimana, è considerato uno strumento necessario e sufficiente a produrre i benefici attesi. E’ stato osservato, per esempio, che una spesa energetica media di 2.000 kcal/settimana comporta una riduzione del 24% della mortalità cardiovascolare2. Esistono, tuttavia, soglie di attività al di sotto del quale l’esercizio fisico non sortisce alcun effetto benefico, e altre al di sopra di cui i rischi cardiovascolari controbilanciano i benefici effettivi per l’organismo. Anche l’esercizio fisico dunque, come ogni altro farmaco, possiede una propria "finestra terapeutica", cioè un area di dosaggio al di sotto del quale i benefici terapeutici sono minimi o nulli e al di sopra della quale il "sovradosaggio" di esercizio può causare problemi all’organismo.

Volendo dunque giungere ad una prescrizione "posologica" dell’esercizio come fattore protettivo contro il rischio di patologie degenerative, si rende assolutamente necessaria una migliore comprensione dei meccanismi che sottendono i benefici dell’attività fisica sul sistema cardiovascolare. Tali effetti sono ancora poco compresi, sopratutto perché coinvolgono un complesso multifattoriale di reazioni molecolari, biochimiche e cellulari. Inoltre, le possibili variabili confondenti che si inseriscono negli studi effettuati sull’uomo (età, sesso, razza, habitus costituzionale, tabagismo, stress, condizioni culturali e lavorative, dieta, motivazione individuale) rendono ancora più difficoltosi i trial diretti a focalizzare i meccanismi protettivi indotti dall’attività fisica regolare. Per tale motivo, si ricorre sempre più spesso alla sperimentazione su modelli animali e in vitro, con i seguenti vantaggi: la possibilità di esaminare i meccanismi direttamente a livello cellulare, metabolico e molecolare, il carico genetico comune dei modelli utilizzati, l’assenza di variabili confondenti come le diversità di stile di vita, le caratteristiche antropometriche individuali e le abitudini voluttuarie.

 

Esercizio e citoprotezione: le ipotesi prevalenti

Esistono diverse ipotesi per spiegare la comparsa della resistenza cellulare a stimoli stressanti conseguente all'esercizio fisico.

Una prima ipotesi attribuisce questo beneficio al "precondizionamento", ovvero all’instaurarsi di una resistenza transitoria nei confronti di un insulto grave. La resistenza viene indotta mediante pre-esposizione a uno o più insulti di entità e di durata moderata. Anche l’esercizio fisico è considerato un evento precondizionante, in quanto in grado di aumentare la resistenza delle cellule miocardiche al danno ischemico7. I meccanismi molecolari attraverso cui l’esercizio fisico promuove la protezione cellulare non sono ancora del tutto definiti. Un possibile innesco potrebbe essere rappresentato dall'incremento della produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS) nella cellula. I ROS causerebbero un’attivazione di vie di segnalazione metabolica, con il risultato finale di indurre un’aumentata espressione e attività sia dei complessi respiratori mitocondriali che di agenti antiossidanti e di altre proteine ed enzimi 8,9. L’espressione di questi geni bersaglio e il coinvolgimento funzionale dei loro prodotti proteici consentirebbe alle cellule, ai tessuti e agli organi di rispondere meglio a successivi insulti stressanti, quali per esempio gli esercizi di elevata intensità, e diversi eventi patologici come la stessa ischemia miocardica7.

Un altro possibile meccanismo di risposta allo stress potrebbe essere costituito dal danno meccanico. È noto che le forze meccaniche che agiscono sulle molecole di membrana associate a diversi recettori sono in grado di attivare vie di segnalazione intracellulare10.

Infine, un’ulteriore modalità di avviamento della protezione da esercizio fisico potrebbe derivare dall’aumento della temperatura corporea, che induce la sintesi delle cosidette "proteine da stress ipertermico" (heat shock proteins, HSP)11. La produzione di HSP è un meccanismo di difesa ancestrale e, come tale, è conservato in tutti i tipi cellulari. Questo potrebbe spiegare il motivo per cui la risposta all’esercizio fisico coinvolge in realtà diversi apparati e tessuti dell’organismo.

Un’ipotesi molto accreditata prende infine in considerazione gli effetti delle modificazioni morfo-funzionali conseguenti all’esercizio fisico, tra cui in particolare l’aumento della vascolarizzazione a livello di microcircolo indotta dalla produzione di fattori dell'angiogenesi.

L’angiogenesi è un fenomeno che si verifica durante lo sviluppo embrionale, la guarigione delle ferite, le funzioni riproduttive e la crescita tumorale. Uno tra i fattori di crescita angiogenetici più importanti è il vascular endothelial growth factor-b, (VEGF), il quale aumenta la permeabilità vascolare e favorisce la proliferazione di cellule endoteliali e la nascita di nuovi vasi. La produzione di VEGF provoca quindi un conseguente aumento del flusso ematico locale, specialmente nel tessuto muscolare scheletrico e cardiaco. E' stato dimostrato, nel ratto come nell’uomo, che l’esercizio fisico aumenta l’espressione di geni promotori dell’angiogenesi12,13.

 

Un nuovo studio sperimentale

Sulla base delle ipotesi esposte, è stato recentemente avviato in Italia uno studio multicentrico che coinvolge diverse unità operative, appartenenti alla Facoltà di Scienze Motorie (centro coordinatore del progetto, Dir. Resp. A. Veicsteinas) e alla Facoltà di Medicina (Dir. Resp. M. Samaja) dell’Università di Milano, alla Facoltà di Medicina dell’Universtà di Padova (Dir. Resp. L. Gorza), di Bologna (Dir. Resp. M. Marini) e di Catania (Dir. Resp. V. Calabrese). Si tratta di un progetto di ricerca pluriennale, attualmente in fase pilota. I gruppi partecipanti presentano competenze diverse, che spaziano nell’ambito della fisiologia, della biochimica, e della biologia molecolare.

Per distinguere gli effetti dovuti all'esercizio fisico regolare e moderato da quelli derivati dagli stili di vita associati, verrà utilizzato un modello sperimentale animale (il ratto), sottoposto a training di intensità e durata comparabile a quanto si riscontra nella popolazione adulta che pratica esercizio fisico con regolarità. Gli obiettivi primari dello studio sono i seguenti:

1) testare l'ipotesi che l'esercizio fisico moderato, aerobico e regolare, rappresenti un fattore di protezione per l'organismo indipendentemente dagli stili di vita;

2) studiare i meccanismi molecolari a livello di espressione genica delle proteine dello stress e dei fattori dell'angiogenesi, che mediano la risposta all'esercizio e modificano l'attività antiossidante e la morfologia del muscolo;

3) verificare la possibilità di valutare mediante dosaggi di marker ematici i fenomeni studiati, rendendo così possibile il futuro trasferimento delle informazioni ottenute nel modello animale all'uomo;

4) determinare la persistenza dei fenomeni osservati dopo un periodo di interruzione dell'allenamento.

Per raggiungere tali obiettivi, il progetto di ricerca si propone di valutare l’effetto di un periodo di allenamento aerobico sull’adeguamento metabolico e cardiocircolatorio all’esercizio, il ruolo dei radicali liberi, l’attività antiossidante, la comparsa di protezione nel cuore nei confronti dell’ischemia, il ruolo di diverse proteine dello stress, di alcuni fattori di trascrizione e crescita, e dell’angiogenesi, nonché le modificazioni morfologiche e strutturali a carico del muscolo allenato.

Tale approccio multidisciplinare contribuirà innanzitutto a chiarire i meccanismi molecolari che danno origine alla protezione cellulare indotta dall'esercizio fisico. Verrà valutata anche la reversibilità della protezione, la cui tempistica è importante per stimare la durata dell’efficacia degli eventi protettivi indotti dall’esercizio fisico nell'uomo.

L’identificazione delle molecole coinvolte potrebbe inoltre aprire nuove strade per lo sviluppo di strategie di prevenzione in grado di indurre citoprotezione anche in soggetti impossibilitati a svolgere in modo adeguato attività fisica (grandi obesi, neurolesi e portatori di patologie osteoarticolari). Infine, l’individuazione di marker ematici rappresentativi di danno o protezione cellulare indotti dall'esercizio fisico creerà le basi per lo sviluppo di kit di dosaggio o altre indagini molecolari utilizzabili sull’uomo.

 

Bibliografia

1. Leon AS et al. Leisure-time physical activity levels and risk of coronary heart disease and death. The Multiple Risk Factor Intervention Trial. JAMA 1987; 258 (17): 2388-2395

2. Paffenbarger RS et al. The association of changes in physical activity level and other lifestyle characteristics with mortality among men. N Engl J Med 1993; 328: 538-545

3. Ekelund LG et al. Physical fitness as a predictor of cardiovascular mortality in asymptomatic North American men. The Lipid Research Clinics Mortality Follow-up Study. N Engl J Med 1988; 319(21): 1379-1384

4. Blair SN et al. Physical fitness and all-cause mortality. A prospective study of healthy men and women. JAMA 1989; 262(17): 2395-2401

5. Mittleman MA et al. Triggering of acute myocardial infarction by heavy physical exertion. Protection against triggering by regular exertion. Determinants of Myocardial Infarction Onset Study Investigators. N Engl J Med 1993; 329(23): 1677-1683

6. Fletcher GF et al. Exercise standards for testing and training: a statement for healthcare professionals from the American Heart Association. Circulation 2001; 104(14): 1694-1740

7. Bolli R. The late phase of preconditioning. Circ Res 2000; 87: 972-983

8. Radak Z et al. Exercise preconditioning against hydrogen peroxide-induced oxidative damage in proteins of rat myocardium. Arch Biochem Biophys 2000; 376(2): 248-251

9. Smolka MB et al. HSP72 as a complementary protection against oxidative stress induced by exercise in the soleus muscle of rats. Am J Physiol 2000; 279(5): R1539-1545

10. Hancock JT et al. Role of reactive oxygen species in cell signalling pathways. Biochem Soc Trans 2001; 29(Pt 2): 345-350

11. Sammut IA et al. Heat stress contributes to the enhancement of cardiac mitochondrial complex activity. Am J Pathol 2001; 158(5): 1821-1831

12. Breen E et al. Angiogenic growth factor mRNA responses in muscle to a single bout of exercise. Journal of Applied Physiology 1996; 81: 355-361

13. Carmody RJ, Cotter TG. Signalling apoptosis: a radical approach. Redox Rep 2001; 6(2): 77-90

Settembre 2002