MA.R.I.C.A. MALATTIE REUMATICHE INFIAMMATORIE CRONICHE e AUTOIMMUNI ASSOCIAZIONE
BRESCIANA ARTRITE REUMATOIDE
A.B.A.R.
VOLUME 4 – 1998/1999 DOMANDE
E SPEDALI
CIVILI DI BRESCIA CHE
COSA E’ L’AR? E' una malattia infiammatoria cronica, caratterizzata da
dolore,
tumefazione, calore, rigidità mattutina e impotenza funzionale di molte
articolazioni. Sono frequentemente colpite le piccole articolazioni delle mani
e, generalmente, non è coinvolta la colonna vertebrale, se non in fase
avanzata, quando potrebbe essere interessata l’articolazione della
cerniera cervicale. E una malattia frequente (1% della popolazione) che
colpisce
le donne in misura quattro volte superiore agli uomini. La causa dell’AR non è nota, ma si pensa che siano
numerosi
fattori (genetici e ambientali) coinvolti. POTRO’
SPERARE UN GIORNO DI GUARIRE? Come osservabile per molte altre malattie, l’AR presenta
modalità di insorgenza e di decorso molto diversificate. Alcuni malati hanno
un esiguo numero di articolazioni infiammate, altri molte. Alcuni mostrano
scarsa tendenza a sviluppare erosioni articolari, altri, invece, vanno
incontro ad alterazioni anatomiche precoci. Alcuni rispondono ai farmaci con
una duratura remissione, altri presentano resistenza alla terapia o vanno
incontro ad effetti indesiderati che ne condizionano la sospensione. Nella
pratica clinica abbiamo imparato che prevedere l’evoluzione futura
dell’AR è assai difficile. La non conoscenza della causa della malattia,
comporta l’ammissione che ogni terapia è sintomatica e non elimina la causa
scatenante. Fortunatamente, nella gran parte dei casi, l’intervento
terapeutico
precoce induce un significativo miglioramento dei sintomi e dei segni di
malattia. Non infrequentemente è possibile mantenere una condizione di
accettabile benessere con l’impiego di minime dosi di farmaci. PER
QUANTO TEMPO DOVRO’ ASSUMERE Il presupposto alla possibilità di interrompere la
terapia farmacologica per l’artrite reumatoide è quello di aver raggiunto
una condizione di prolungata «remissione clinica», cioè una situazione in
cui non sono più riconoscibili segni di attività della malattia
(infiammazione e rigidità articolare etc.). Tale situazione, pur non molto
frequente, è senz’altro possibile. Quando è stata ottenuta una condizione
di questo tipo possono essere gradualmente ridotti e infine eventualmente
sospesi i farmaci anti-infiammatori (cortisonici e FANS). Prudenza ancora
maggiore è necessaria successivamente nell’ abbandonare la terapia «di
fondo» (Methotrexate, Salazopirina etc.), in quanto è dimostrato che una sua
completa sospensione porta ad un’aumentata frequenza di riaccensioni della
malattia. Solo quando la «remissione clinica» si è stabilizzata per molto
tempo e la terapia è stata lentamente ridotta con cautela si può giungere
ad una sua completa sospensione. QUALI
ALTRI ORGANI SONO COLPITI DALL’AR, L’infiammazione di piccoli vasi sanguigni
(vasculite) può
verificarsi in alcuni soggetti portatori di forme aggressive di AR,
solitamente con elevate concentrazioni ematiche di Fattore Reumatoide. La vasculite sta alla base del possibile coinvolgimento
della cute, con formazione di noduli reumatoidi e di altri organi e apparati.
Sono a volte colpiti: l’interstizio polmonare, le sclere oculari, i nervi
periferici, le sierose (pleura e pericardio) e il cuore. L’infiammazione
cronica è considerata, alla stregua dell’ipertensione arteriosa e dell’ipercolesterolemia,
un fattore di rischio per arteriosclerosi e, conseguentemente, per accidenti
cardio-cerebro-vascolari. La vasculite è generalmente curata con gli stessi
farmaci che vengono impiegati per il controllo dell’infiammazione
articolare. PERCHÉ
DEVO SOTTOPORMI A TANTI ESAMI Per aiutare a confermare la diagnosi di
AR, è utile solo
la ricerca del Fattore Reumatoide. Soprattutto in fase di diagnosi di AR, è
necessario considerare ed escludere altre malattie che potrebbero, somigliando
alla AR, indurre ad un errore diagnostico. Per questo motivo gli esami
iniziali, finalizzati alla diagnosi, potrebbero essere numerosi e
comprensivi, generalmente, della ricerca degli autoanticorpi e di eventuali
stati infettivi (virus dell’epatite). Esami quali la VES (velocità di entro-sedimentazione) e la PCR (proteina C reattiva) sono utili, confrontandoli con precedenti misurazioni, per verificare se la infiammazione è ridotta o incrementata. Molti esami, invece, devono essere eseguiti per individuare precocemente eventuali segni di tossicità determinati dai farmaci in uso. Tra questi: l’esame emocromocitometrico, l’esame urine, le transaminasi, la creatinina. L’ARTRITE REUMATOIDE DR. PP. BORELLI E DR. L. IANNI' I
Divisione di Ortopedia e Traumatologia “Patologia
della mano, chirurgia del polso e della patologia CHE COS’E’ L’articolazione
é il punto d’incontro tra due ossa. · le articolazioni immobili (ad esempio quelle esistenti tra le ossa del cranio). · le articolazioni mobili, formate da due o più estremità ossee che si spostano l’una rispetto all’altra per produrre il movimento (ad esempio il ginocchio). ·
la cartilagine articolare, molto più liscia dell’osso,
che riveste le due superfici ossee articolari; · il
liquido sinoviale, prodotto dalla mebrana sinoviale, che lubrifica e nutre le
superfici della cartilagine. L’articolazione
mobile è avvolta e protetta da un manicotto di tessuto fibroso: la capsula
articolare, rivestita al suo interno dalla membrana
sinoviale. Attorno
alla capsula sono inoltre presenti: ·
i legamenti che rinforzano la capsula impedendo
movimenti
impropri dell’articolazione; ·
i tendini, che in alcune parti del corpo (ad esempio il
polso) sono anch’essi rivestiti dalla membrana
sinoviale, che uniscono il muscolo all'osso e permettono il movimento
dell’articolazione; ·
i
muscoli che generano il movimento. L’integrità di tutte queste strutture è necessaria per la stabilità e il movimento di una articolazione.
CHE
COS’E’ L’ARTRITE REUMATOIDE L’artrite reumatoide è una malattia sistemica, che
colpisce cioè tutto l’organismo. La membrana sinoviale, sottile
struttura che abbiamo visto riveste l’interno delle articolazioni e ricopre
i tendini in determinate sedi corporee, risulta essere il principale organo
bersaglio della malattia, sebbene possano essere colpiti molti altri tessuti
in differenti organi. L’infiammazione della membrana sinoviale
(sinovite) causa inizialmente dolore e difficoltà di movimento. Se la
malattia non è opportunamente curata in questa fase e se la sua evoluzione
è troppo rapida, il processo infiammatorio si estende a tutta l’articolazione
distruggendola e provocando rigidità, instabilità, dolore e deformità. Le
articolazioni più frequentemente colpite dall’artrite reumatoide sono: ·
nell’arto superiore il polso e le articolazioni delle
mani, in particolare le metacarpofalangee e le interfalangee prossimali.
Spesso sono colpiti anche la spalla e il gomito; ·
nell’arto inferiore le articolazioni dei piedi, la
caviglia, il ginocchio, talvolta anche l’anca. MECCANISMO DELLE LESIONI Tutte le deformità che
caratterizzano l’artrite reumatoide nel polso e nella mano sono in pratica
il risultato finale di una azione distruttiva della membrana sinoviale nei confronti dei tessuti con cui viene a
contatto. La membrana sinoviale reumatoide, che si presenta solitamente «ipertrofica»,
cioè aumentata di volume per il processo infiammatorio che la colpisce, andrà
quindi a distruggere la cartilagine articolare e l’osso subcondrale, andrà
ad infiltrare le strutture capsulo-legamentose e i tendini flessori ed
estensori. Il risultato finale è la distruzione della normale architettura
della mano e del polso, la perdita del delicato bilanciamento di forze
esistente tra tendini estensori che incrociano le numerose articolazioni che
compongono l’organo della prensione, cioè la mano. La deformità
della mano che riassume meglio questa cascata di eventi consiste nella
deformità a «colpo divento», con cui si definisce la deviazione digitale
in direzione ulnare, tipica delle fasi avanzate dell’artrite reumatoide. PROCEDURE CHIRURGICHE In pratica quasi tutte le
procedure chirurgiche applicabili al polso e alla mano reumatoide sono
comprese in uno dei seguenti gruppi: ·
sinoviectomia
articolare, ovvero la rimozione della membrana sinoviale che riveste
all’interno le articolazioni colpite; ·
tenosinoviectomia,
ovvero la rimozione della membrana sinoviale che
circonda i tendini colpiti; ·
riparazione
o plastica tendinea nel
caso di rottura tendinea; · artroplastica, ovvero la sostituzione dei capi articolari distrutti con protesi di silicone al fine di ripristinare o mantenere il movimento senza dolore; · artrodesi, ovvero la fusione in posizione funzionale dei capi articolari distrutti, con inevitabile perdita del movimento dell’articolazione, al fine di eliminare il dolore. QUANDO OPERARE? La
scelta del tipo di intervento e soprattutto il momento ideale per iniziare un
trattamento chirurgico, dipendono dall’esperienza del Chirurgo della Mano
e dell’Immunologo. Il trattamento chirurgico deve essere strettamente
individuale e impostato in base alle esigenze reali del malato e soprattutto
al tipo e grado di aggressività della malattia. Bisogna
infatti considerare che nel paziente reumatoide il processo patologico che
distrugge le articolazioni e i tendini si automantiene e può durare per molti
anni. Il coinvolgimento iniziale di una articolazione può estendersi, in
tempi più o meno brevi, anche alle articolazioni vicine e questo può
annullare spesso i risultati raggiunti da un intervento chirurgico. Il trattamento appropriato della mano reumatoide richiede, quindi, oltre a una conoscenza della fisiopatologia (meccanismo delle lesioni) della malattia da parte del Chirurgo della Mano anche una stretta collaborazione con l'Immunologo per interpretare il decorso clinico della malattia. DECORSO
CLINICO Nelle fasi precoci della malattia
è difficile prevedere il decorso
clinico, cioè se un paziente svilupperà una forma leggera di malattia oppure se sarà colpito da una forma
progressiva, senza interruzione fino alle deformità più gravi. Alcune
indicazioni sulla potenziale gravità della malattia reumatoide possono risultare
dalla presenza di noduli sottocutanei, di precoci alterazioni ossee erosive e
da un alto titolo del fattore reumatoide. Il decorso clinico della malattia reumatoide si può riassumere in tre
modelli. Nel 35% dei pazienti la malattia è di tipo monociclico, cioè esordisce, si sviluppa e si esaurisce in circa 2
anni. Nel
50% dei pazienti è di tipo policiclico, cioè
esordisce, si sviluppa e diventa quiescente dopo circa 2 anni, per riaccendersi
in ripetuti episodi intervallati da periodi di relativo benessere. Nel
restante 35% dei pazienti la malattia è di tipo progressivo, senza interruzione e con interessamento massivo dei
tessuti extra-articolari. Per
impostare un appropriato trattamento
chirurgico (preventivo o ricostruttivo) l’ideale sarebbe conoscere
sempre quale dei tre tipi di malattia si sta trattando. Sfortunatamente però
spesso solo il tempo è in grado di definire con certezza il tipo di malattia
e, quando questo diventa evidente, può essere troppo tardi perché un
trattamento chirurgico possa essere preventivo
(sinoviectomia) nei confronti delle deformità che spesso caratterizzano
la malattia reumatoide nella mano. In tale evenienza il trattamento chirurgico
potrà essere solo ricostruttivo (ricostruzione
o plastica tendinea, artroplastica, artrodesi). · Se per esempio un paziente con una malattia reumatoide del tipo monociclico viene operato al termine del 2° anno, gli anni successivi dimostreranno i benefici duraturi del trattamento chirurgico. · Se per esempio un paziente con una malattia policiclica, il risultato ottenuto sarà invece solo temporaneo, cioè fino al successivo episodio di riaccensione della malattia. · Nel caso poi di una malattia del terzo tipo, caso in cui la diagnosi può essere fatta più precocemente che negli altri due tipi, il chirurgo dovrà valutare se il trattamento chirurgico sia realmente utile.
PROGRAMMA CHIRURGICO E essenziale che tra chirurgo e
paziente via sia una spiegazione completa di cosa si propone l’intervento
chirurgico. Come abbiamo visto, in alcuni casi i risultati a lungo termine del
trattamento chirurgico sono incerti e, per tale motivo, non è giustificato
esercitare alcuna pressione sul paziente. Quando possibile, è utile
incoraggiare potenziali candidati al trattamento chirurgico ad incontrare
altri pazienti già sottoposti al trattamento proposto. Nella fase
iniziale della malattia il trattamento chirurgico ha lo scopo di prevenire
l’azione di distruzione della membrana sinoviale quando la terapia medica si
dimostra incapace di controllare la sinovite. Nella fase tardiva
della malattia il trattamento chirurgico ha lo scopo di ripristinare la
finzione della mano quando i tendini e le articolazioni appaiono gravemente
danneggiati dalla malattia. Fase iniziale. In linea generale l’asportazione della membrana
sinoviale (sinoviectomia), sia articolare che tendinea, è indicata nei pazienti
con artrite reumatoide di grado lieve, quando
la malattia è controllata dai farmaci, e quando il quadro clinico di sinovite
persiste in sedi anatomiche ristrette. Al contrario, nei pazienti che
presentano una forma rapida e progressiva della
malattia, la sinoviectomia articolare risulta controindicata. In questi
pazienti è importante il controllo periodico per poter intraprendere
procedure chirurgiche ricostruttive prima che si instaurino gravi deformità.
L’unica indicazione ad una sìnoviectomia precoce riguarda una eventuale
sinoviectomia tendinea allo scopo di prevenire le rotture tendinee. Fase tardiva. La mano reumatoide risulta solitamente costituita da un
insieme di differenti deformità ed è proprio la combinazione di queste
deformità che rende difficoltoso impostare il programma chirurgico. La
presenza di deformità non deve essere di per sé una indicazione al trattamento
chirurgico. poiché molti pazienti mantengono una buona funzione nonostante un
aspetto gravemente alterato della mano. Il paziente affetto da artrite
reumatoide, da tempo costretto a convivere con il grottesco aspetto della sua
mano, è spesso comprensibilmente tentato di consigliare al chirurgo un
approccio massivo per ritornare alla «normalità». All’esame clinico può
tuttavia mostrare una soddisfacente prensione e necessitare solo di leggere
correzioni chirurgiche per migliorare leggermente la funzione globale della
mano. La maggior parte dei pazienti reumatoidi sono anziani e le richieste
funzionali sono tali da non richiedere delicate ricostruzioni chirurgiche. Molti
pazienti si sono adattati alle deformità presenti nella mano e sviluppano
movimenti compensatori per eseguire uno spettro comunque ridotto di attività. In generale il programma chirurgico della mano reumatoide deve prefiggersi i seguenti scopi: risolvere il dolore, migliorare la funzione, prevenire la progressione di malattia, e, solo per ultimo, migliorare l'aspetto estetico. In pratica, il trattamento chirurgico della mano reumatoide deve essere individualizzato e basarsi: ·
sull’entità
dei sintomi presenti, · sulla capacità del paziente di adattarsi alle esigenze funzionali delle attività quotidiane di base, ·
sulla capacità del paziente di adattarsi alle esigenze
funzionali dell’attività lavorativa, · al rischio futuro di perdita progressiva di funzione in caso di trattamento chirurgico rimandato. Di
primaria importanza è la risoluzione del
dolore, anche perché incoraggia il paziente a sottoporsi ad ulteriori
procedimenti chirurgici quando necessari. Pazienti con lievi deformità e
minima limitazione funzionale possono trarre beneficio da un trattamento
conservativo che spesso consiste in una adeguata protezione della mano con
tutori in materiale termoplastico e nel modificare alcune gestualità
dell’attività lavorativa. QUANDO L’ARTRITE REUMATOIDE Non
bisogna dimenticare che la malattia reumatoide può coinvolgere tutto il corpo
umano e che la mano è solo una delle parti colpite e, anche se colpita in
modo severo, altri distretti articolari possono richiedere un trattamento
prioritario. Il
programma chirurgico potrebbe essere molto esteso e quindi dovrà
necessariamente essere suddiviso in tappe. La maggior
parte dei pazienti presenta spesso contemporaneamente problematiche alle mani
e ai piedi, anche se in fasi evolutive diverse. Se il programma chirurgico
prevede di intervenire sia sulle mani che sui piedi, gli interventi possono essere
eseguiti da due équipe separate nella stessa seduta operatoria. Bisogna
sempre considerare che la durata della seduta operatoria non deve superare le
due ore per i problemi relativi all’ischemia a cui l’arto deve essere
sottoposto. E quindi opportuno stendere, insieme al paziente, un programma
chirurgico logico e programmare per una successiva seduta operatoria ciò
che non può essere propriamente eseguito nel limite delle due ore.
IL
PIEDE DR G. PIANA I
Divisione di Ortopedia e Traumatologia “Chirurgia del Piede” Il meccanismo patogenetico fondamentale è
del tutto simile a quello degli altri distretti corporei: il panno granulomatoso
della membrana sinoviale cresce sopra la cartilagine, dentro le inserzioni dei
legamenti e attorno ai tendini, invadendo e distruggendo ogni tessuto.
Sopraggiungono infine l’erosione ossea, la lassità legamentosa e il
disequilibrio tendineo con disorganizzazione e collasso articolare. Nel piede tuttavia intervengono anche altri fattori del
tutto peculiari, che insieme determinano la progressione e l’aggravamento
delle deformità: ·
lo stress
della deambulazione che mette a dura prova anche i piedi normali. Ricordiamo
infatti che una persona media percorre nella sua vita ben 112.000 chilometri,
quasi tre volte il giro del mondo; ogni giorno i piedi assorbono circa 1000
tonnellate e spesso su pavimento duro. Aggiungiamo inoltre che troppo spesso i
piedi sono anche bistrattati e confinati in scarpe strette o poco adatte, per
motivi estetici o altro. Non c’è pertanto da meravigliarsi se 4 adulti su 5
soffrono di un problema ai piedi. Le lesioni articolari dell’artrite reumatoide
rendono il piede più vulnerabile a questi stress. ·
la
predisposizione morfologica, cioè la tendenza individuale a sviluppare
le più comuni deformità del piede, oppure le deformità già presenti
all’esordio della malattia (alluce valgo, dita a martello, sovraccarico
metatarsale, piede piatto, piede cavo ecc.). Perciò la graduale distruzione articolare specifica
dell’ar-trite reumatoide, congiuntamente agli stress della deambulazione,
della predisposizione morfologica e delle deformità preesistenti, si
concluderanno con lo stravolgimento anatomico e con diversi tipi di deformità,
che si aggravano col tempo. Il paziente reumatoide può talvolta sperimentare una remissione,
oppure la patologia può «estinguersi» e lasciare diversi gradi di deformità,
la cui severità dipende solitamente dalla lunghezza di tempo in cui
l’individuo ha avuto l’artrite reumatoide attiva.
AVAMPIEDE
REUMATOIDE La costante forza di dorsiflessione applicata durante il passo alle dita dei piedi attraverso le articolazioni metatarsofalangee colpite dall’artrite reumatoide comporta la loro progressiva sublussazione fino alla lussazione franca. Questo può coinvolgere alcune o tutte le articolazioni metatarsofalangee. Nelle fasi finali la testa metatarsale ernia attraverso la capsula e la base della falange prossimale viene a trovarsi sulla faccia dorsale del collo metatarsale. In conseguenza di ciò il cuscinetto adiposo, che normalmente si trova sotto le teste metatarsali e intimamente connesso alle basi delle falangi, è trazionato distalmente. L’avampiede alla fine risulta
notevolmente allargato, le teste metatarsali protrudono plantarmente e le
teste delle falangi prossimali si estendono dorsalmente. Un piede così deformato
presenta enormi difficoltà a entrare in una scarpa normale, ma soprattutto si
trova esposto a forze compressive concentrate su piccole superfici. Il
risultato è che pressioni insopportabili vengono esercitate sulla cute del
piede a livello delle teste metatarsali e falangee. Dapprima i sintomi sono
rappresentati dal dolore, ma successivamente possono comparire le ulcerazioni,
con esposizione ossea e quindi con la possibilità di complicanze infettive,
come l’osteomielite e l’artrite settica. Ogni paziente può presentare aspetti patologici e
deformità estremamente variabili sia per tipologia che per gravità. Il quadro
più tipico e frequente è caratterizzato da: ·
valgismo
dell’alluce · varismo del 1° metatarsale · valgismo del 5° metatarsale · dita ad artiglio · lussazione delle metatarsofalangee ·
aumento di
larghezza dell’avampiede. In corrispondenza dei punti sottoposti a maggior pressione si formano callosità e borsiti e cioè: dorsalmente alle teste delle falangi prossimali e plantarmente alle teste metatarsali. Le callosità possono diventare molto dolorose, ulcerarsi e produrre infezioni L’aspetto più importante del trattamento incruento consiste nel calzare scarpe appropriate. Le scarpe, ben inteso, non correggono le deformità, piuttosto si adattano alle deformità riducendo i conflitti fra la scarpa e il piede, diminuendo così il dolore. Considerando le deformità sopra descritte, molto spesso le scarpe dovranno avere una punta più larga e profonda del normale. Attualmente in commercio sono disponibili calzature predisposte
e pertanto non è necessario che vengano appositamente costruite per ogni
singolo paziente. Molto spesso dovrà essere aggiunta un’ortesi plantare
per distribuire equamente le pressioni del peso corporeo sulla pianta del
piede e «scaricare» così le zone più esposte, come le teste metatarsali.
Ma spesso le misure incruente non bastano e in questo caso si può ricorrere al trattamento
cruento. Prima dell’intervento bisogna fare un piano di trattamento,
un timing chirurgico. Anche se l’avampiede è il distretto più interessato,
alcuni pazienti possono richiedere una correzione chirurgica in altre aree. In
un paziente con avampiede doloroso e deformità del retropiede può essere
meglio correggere prima il retropiede: infatti le deformità dell’avampiede
possono recidivare in pazienti con deformità in valgo o pronazione importante
del retropiede. A volte può essere necessario eseguire interventi chirurgici
minori per permettere alla cute di guarire ed eliminare fonti di infezione.
Esempi sono il trattamento di un’unghia infetta o l’escissione di una
articolazione interfalangea prossimale per eliminare un callo ulcerato. Di solito non è saggio eseguire un’estesa chirurgia
sull’avampiede bilateralmente. Anche con una deformità avanzata, il
paziente può meglio deambulare dopo l’intervento con un piede non operato.
Perciò applicando minore stress sul piede operato si favorisce la guarigione
della ferita. Interventi contemporanei su avampiede e retropiede dallo
stesso lato dovrebbero essere evitati, perché potrebbero causare
un’eccessiva tumefazione con difficoltà alla guarigione delle ferite. Gli
interventi chirurgici
che si praticano all’avampiede sono numerosi e si possono raggruppare come
segue: ·
sinoviectomia ·
osteotomia e
correzione dell’alluce valgo · artrodesi della I metatarsofalangeabper alluce valgo · artroplastica per diota a martello · resezione-artroplastica delle teste metatarsali Per
non entrare nel merito di tutti, descriverò brevemente solo il trattamento
della deformità più frequente: alluce valgo e dita ad artiglio con lussazione
delle MTF. Nel caso di grave erosione dei capi articolari
dell’articolazione MTF dell’alluce, sarà necessario ricorrere
all’artrodesi, cioè alla «fusione» dell’articolazione (fig. 2 e 3). In
tal modo questa articolazione perderà definitivamente il movimento, a vantaggio
della stabilità e della definitiva correzione della deformità. Eseguiamo
questo intervento con la tecnica che prevede la preparazione dei capi
articolari a «tronco di cono». In tal modo basta l’osteosintesi con una
semplice vite per rendere stabile l’unione fra i due capi articolari e nel
decorso postoperatorio non viene applicato il gesso. Qualora invece i capi
articolari non siano ancora degenerati, procediamo al loro corretto allineamento con la tecnica
SCARF, che prevede l’osteotomia correttiva del
1° metatarsale con un particolare tipo di «taglio» che permette un incastro
tale che non è necessario nemmeno stavolta l’apparecchio gessato. Per quanto riguarda le articolazioni metatarsofalangee minon
procediamo alla resezione delle teste metatarsali (fig. 2) e alla correzione
delle dita deformate ad «artiglio». In tal modo le dita riprendono il loro
normale allineamento e inoltre scompaiono le zone di iperpressione sulle dita
e sulla pianta del piede, dove sono presenti le dolorose callosità. Nel decorso post-operatorio è prevista la deambulazione
con appoggio sul piede operato con una calzatura particolare, caratterizzata da
un grande tacco, che limita parzialmente il carico sull’avampiede. Dopo un
mese viene eseguito un controllo radiografico e il paziente inizia a
deambulare con calzature normali o lievemente adattate.
RETROPIEDE
REUMATOIDE La malattia reumatoide si presenta spesso nel retropiede sotto forma di infiammazione che colpisce i tendini (soprattutto il tendine del Tibiale Posteriore, dei Peronei e del Flessore Lungo delle dita) e altre strutture che stabilizzano il retropiede come il legamento deltoideo e le strutture periarticolari delle articolazioni periastragaliche. La tenosinovite comporta un graduale indebolimento e a volte anche la rottura del tendine, con grave disfunzione. La deformità più comune che ne consegue è il piede
piatto-valgo.
La deformità in varo è molto rara. Il quadro clinico iniziale consiste spesso
in tumefazione dolorosa attorno e sotto alla caviglia. Il paziente ha
difficoltà nel localizzare esattamente il dolore. Nei casi conclamati, il
piede si presenta chiaramente deformato, soprattutto «sotto carico», cioè
quando il piede sostiene il peso del corpo: la volta plantare scompare, per la
perdita dell’arcata longitudinale. Il paziente non riesce più a sollevarsi
sulle punte dei piedi e la deambulazione è gravemente alterata. Il paziente
cammina strascicando i piedi, manca la fase di spinta sull’avampiede e il
passo è accorciato sia nella fase oscillante che nella fase di appoggio.
L’esame radiografico evidenzia le lesioni osteoarticolari e documenta le
deformità. Quando si presentano i primi sintomi infiammatori nel retropiede
è indicato il trattamento farmacologico. Se questa terapia si dimostra
insufficiente, si prenderanno progressivamente in considerazione altre misure
terapeutiche, che vanno dalla terapia infiltrativa alle ortesi, alla
sinoviectomia, antrodesi selettiva e infine alla Triplice Artrodesi. L’artrodesi consiste nella «fusione»
dell’articolazione interessata dal processo distruttivo e deformante. Si
tratta di un intervento che toglie definitivamente il movimento all’articolazione
interessata. Perciò, se l’articolazione colpita dalla malattia è solamente
l’articolazione astragaloscafoidea, l’intervento si limiterà a questa
articolazione. Tuttavia molto spesso le articolazioni interessate sono
contemporaneamente la astragaloscafoidea, la calcaneo-cuboidea e la
sottoastragalica. Sono tre articolazioni dal punto di vista anatomico, ma dal
punto di vista funzionale possono essere considerate come una sola articolazione.
In questo caso eseguiremo la ar porta un graduale indebolimento e a volte anche
la rottura del tendine, con grave disfunzione. La deformità più comune che ne consegue è il piede
piatto-valgo.
La deformità in varo è molto rara. Il quadro clinico iniziale consiste spesso
in tumefazione dolorosa attorno e sotto alla caviglia. Il paziente ha
difficoltà nel localizzare esattamente il dolore. Nei casi conclamati, il
piede si presenta chiaramente deformato, soprattutto «sotto carico», cioè
quando il piede sostiene il peso del corpo: la volta plantare scompare, per la
perdita dell’arcata longitudinale. Il paziente non riesce più a sollevarsi
sulle punte dei piedi e la deambulazione è gravemente alterata. Il paziente
cammina strascicando i piedi, manca la fase di spinta sull’avampiede e il
passo è accorciato sia nella fase oscillante che nella fase di appoggio.
L’esame radiografico evidenzia le lesioni osteoarticolari e documenta le
deformità. Quando si presentano i primi sintomi infiammatori nel retropiede
è indicato il trattamento farmacologico. Se questa terapia si dimostra
insufficiente, si prenderanno progressivamente in considerazione altre misure
terapeutiche, che vanno dalla terapia infiltrativa alle ortesi, alla
sinoviectomia, antrodesi selettiva e infine alla Triplice Artrodesi. L’artnodesi consiste nella «fusione»
dell’articolazione interessata dal processo distruttivo e deformante. Si
tratta di un intervento che toglie definitivamente il movimento all’articolazione
interessata. Perciò, se l’articolazione colpita dalla malattia è solamente
l’articolazione astragaloscafoidea, l’intervento si limiterà a questa
articolazione. Tuttavia molto spesso le articolazioni interessate sono
contemporaneamente la astragaloscafoidea, la calcaneo-cuboidea e la
sottoastragalica. Sono tre articolazioni dal punto di vista anatomico, ma dal
punto di vista funzionale possono essere considerate come una sola articolazione.
In questo caso eseguiremo la antrodesi delle tre articolazioni (Triplice
Antrodesi). Il decorso post-operatonio prevede l’immobilizzazione con uno
stivaletto gessato per 2-3 mesi. Questo è un intervento impegnativo e non
senza complicazioni, tuttavia risulta spesso eccellente nel ridurre le
sofferenze e nel migliorare la qualità di vita dei pazienti. |