Newsletter Giugno 2007

SU COSA SI FONDA L'AUTOREVOLEZZA DI UN EDUCATORE?

In questi ultimi mesi siamo venuti a conoscenza, attraverso i mass-media, di atti e di comportamenti dentro le scuole italiane che ci hanno lasciato sgomenti e anche angosciati, poiché ci sono sembrati non tanto casi isolati quanto i sintomi di una sorta di situazione patologica scolastica e, più in generale, educativa. Alcuni di questi fatti sono persino al vaglio delle Procure competenti. Oltre al bullismo nei confronti di compagni di scuola, abbiamo visto anche studenti privi di qualsiasi rispetto nei confronti dei loro professori.
Si dice, tra le tante cose, che è assolutamente necessario imporre l'osservanza di un minimo di regole e ciò è sicuramente vero, ma ci pare insufficiente se non addirittura contraddittorio con una certa pedagogia che di fatto va per la maggiore.
Dobbiamo veramente noi adulti domandarci in cosa consista l'educazione e quali siano i fondamenti dell'autorevolezza dell'educatore.
Un discorso di S.Em. Mons. Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, pronunciato il 25 marzo scorso ad un incontro con in genitori dei ragazzi cresimandi, ci è sembrato suggerire spunti molto interessanti di riflessione, di giudizio e di lavoro. Ne riportiamo alcuni brani.

"[...] Qual è la prima, forse la più grave delle difficoltà che proviamo oggi noi educatori? La perdita di autorevolezza. E poiché non si può educare se non si istituisce col ragazzo un rapporto autorevole, e non solo amichevole né autoritario, ne è derivata una situazione in cui non raramente per molti adulti educare è diventato impossibile.

L'esperienza fondamentale, la colonna portante di ogni rapporto educativo è l'autorevolezza dell'educatore. Essa consiste nel fatto che l'educatore - voi genitori, noi pastori - ha una propria interpretazione della realtà e della vita nei confronti della quale egli può testimoniare, ed assicurare in base alla propria esperienza, che "i conti tornano".

L'autorevolezza quindi si basa e si sostiene su due pilastri:

a) possesso da parte dell'educatore di un'interpretazione della realtà e della vita, che ritiene vera;
b) testimonianza circa il fatto che vivendo secondo quell'interpretazione, i conti alla fine tornano.

[…] Che cosa significa "i conti tornano"? Vivendo secondo quell'interpretazione, testimonio che esiste e che possiamo raggiungere ciò che il cuore dell'uomo desidera più ardentemente: la vera beatitudine.

Stando così le cose, la perdita di autorevolezza nell'educatore può avvenire per due ragioni: a) l'educatore non ha, o non ha più, nessuna interpretazione della realtà e della vita della cui verità sia intimamente convinto; b) non ha la possibilità di testimoniare la verità in base alla sua personale esperienza.


Qual è la situazione in cui noi ci troviamo oggi dal punto di vista dell'autorevolezza? È venuto a mancare il suo primo pilastro nella coscienza dell'educatore. Egli, non raramente, non ha più una coerente e convinta interpretazione della realtà; oppure quella che possiede la ritiene dello stesso valore veritativo della sua contraria. In altre parole: se il dogma del relativismo insidia la coscienza dell'educatore, questi perde nei confronti del ragazzo ogni autorevolezza.

a) Nessuno ignora che la sfida del relativismo ha condotto anche noi educatori in quella condizione ben descritta dall'apostolo Paolo: "sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell'errore" [Ef 4,14].

In queste situazioni l'appoggio sulla tradizione è la prima scialuppa di salvezza dal naufragio educativo. Mi spiego. Ciascuno di noi è generato dentro l'utero di una donna e dentro l'utero di una cultura, di una civiltà. E dell'uno e dell'altro ogni persona umana ha bisogno assoluto se vuole entrare nella vita e nella realtà.

[…] b) Il secondo pilastro dell'autorevolezza è la testimonianza della vita, nel senso che ho già spiegato sopra.

Il rapporto educativo sfocia alla fine in un grande atto di fiducia del ragazzo nell'educatore. Una fiducia concessa sulla base di una testimonianza: "ti assicuro che se vivi così, alla fine i conti tornano in termini di felicità, di qualità della vita".

Se il primo pilastro dell'autorevolezza dell'educatore è insidiato dalla sfida del relativismo, il secondo è insidiato dalla sfida del cinismo. Il cinismo è ritenere che non abbia senso parlare di vita buona/vita cattiva, di vita beata/vita infelice. Ciascuno cerchi di realizzare ciò che gli piace: questo è tutto. […] Che è come dire: "in fondo, il mio destino - il tuo destino è consegnato al niente".

Che fare? Come muoversi? Non c'è che una via di uscita: offrire ai ragazzi la possibilità di sperimentare … che "i conti tornano". Di confrontarsi cioè con una forma di vita nella quale i desideri più profondi del loro cuore trovano corrispondenza".

 

 

 

 

 

 

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