² Gli Stati italiani indipendenti: Venezia e
ducato di Savoia
Ben altra cosa fu
l'indipendenza della repubblica di Venezia, rimasta neutrale (ma in una
neutralità attiva e negoziata) nelle guerre d'Italia dopo il 1530 e, dal 1540,
in tregua coi Turchi. La sua posizione in Oriente, ancora forte benché scossa,
rese la sua alleanza indispensabile a tutti gli Stati interessati a contenere i
progressi dei Turchi stessi verso l'Occidente, alla Spagna anzitutto, sebbene
potenzialmente nemica in quanto insediata in Lombardia. Perciò Venezia, quando
perdette Cipro sotto l'urto della rinnovata offensiva ottomana (1570-1571),
ebbe addirittura il soccorso di una crociata e, a fianco della sua flotta, di
navi spagnole, genovesi, sabaude, toscane, pontificie e dell'ordine di Malta:
quell'armata internazionale che, al comando di Giovanni d'Austria, fratello di
Filippo II, batté i Turchi nelle acque di Lepanto (7 ottobre 1571). Dopo
Lepanto, però, l'alleanza si dissolse e Venezia dovette abbandonare la guerra e
la speranza di ricuperare Cipro; ma, per quasi tre quarti di secolo, non subì
altri attacchi da parte dei musulmani. Nella prima metà del Seicento, i
rapporti della Repubblica col papato e con la Spagna si fecero invece tesi: con
Paolo V, la Repubblica ebbe una controversia di giurisdizione (1606-1607),
lungamente maturata, che le attirò l'interdetto, e suscitò in tutta l'Italia, e
anche fuori, vivacissime polemiche sul problema dei rapporti tra Stato e
Chiesa, intesi a Venezia nel senso più favorevole alla sovranità statale (tesi
sostenuta dal consultore della Repubblica, fra Paolo Sarpi). La controversia fu
composta con un compromesso, mediato da principi cattolici; ma il problema
rimase aperto, per assumere poi, nel Settecento, proporzioni europee. Vennero
quindi intermittenti conflitti con gli Absburgo d'Austria e di Spagna: la
guerra contro i corsari (gli Uscocchi), che l'arciduca Ferdinando di Stiria, il
futuro imperatore, proteggeva (1614-1618); la congiura attribuita
all'ambasciatore spagnolo a Venezia, Alfonso de la Cueva, marchese di Bedmar,
all'ombra del quale stavano il governatore di Milano e il viceré di Napoli,
scoperta e sventata (1618); la guerra della Valtellina, in alleanza con Carlo
Emanuele I di Savoia e con la Francia, contro l'Impero e la Spagna (1624-1626).
Ma quando i Turchi ripresero l'offensiva contro l'isola di Creta, il più
importante possesso conservato da Venezia nel Mediterraneo (1645), la causa
della Repubblica divenne ancora una volta una causa internazionale e per
ventiquattro anni i Veneziani poterono resistere ricevendo soccorsi dalla
Spagna, dall'Impero, dalla Francia e dal rispettivi satelliti. Tutto fu vano, e
i Veneziani perdettero l'isola, salvo qualche lembo (1669). Un segno della
vitalità della Repubblica fu la controffensiva di fine secolo, promossa dallo
sfortunato difensore di Candia Francesco Morosini in concomitanza con quella
imperiale nei Balcani, grazie alla quale, con una serie di spedizioni tra il
1685 e il 1699, vennero in possesso di Venezia la Morea, alcune posizioni dell'Attica,
del golfo di Corinto e del basso Adriatico. Ma il nuovo impero non ebbe domani:
crollò dopo meno di un ventennio, quando già l'Austria si era insediata a
Milano e a Mantova, circondando il dominio territoriale della Repubblica, per
la quale incominciò da allora un processo irreversibile di decadenza politica,
accompagnato tuttavia da uno stupendo autunno della sua civiltà artistica e
scientifica, accentrata, quest'ultima, nello studio di Padova.
Gli Stati sabaudi, favoriti dalla loro posizione al di là e
al di qua delle Alpi (con sbocco al mare), furono i meno toccati dalla
preponderanza spagnola, tanto che, scomparso Emanuele Filiberto (1559-1580),
devoto alla Spagna perché grazie a essa aveva ricuperato il Piemonte, suo
figlio Carlo Emanuele I (1580-1630) credette possibile avventurarsi nella
politica d'espansione. Tolse ai Francesi Saluzzo (1588-1601), aggredì (ma
sempre senza successo) Ginevra, si associò al “gran disegno” di Enrico IV di
Francia, che prevedeva la cacciata degli Spagnoli dall'Italia e l'assegnazione
al duca di Savoia del Milanese e del Monferrato (trattato di Bruzolo, 1610). Il
“gran disegno” cadde nel vuoto per la tragica fine di Enrico IV (1610) e
l'immediata riconciliazione tra la regina vedova, Maria de' Medici, e Filippo III
di Spagna; il duca rimase isolato ed esposto alle rappresaglie spagnole, che
tuttavia gli furono risparmiate. Due anni dopo, con la rivendicazione del
Monferrato a favore della nipote Maria e contro i Gonzaga, affrontò la Francia
e la Spagna unite; sopraffatto, prima di rinunciare all'impresa si appellò alla
nazione italiana, perché l'aiutasse a cacciare tutti gli stranieri, ma il suo
appello incontrò diffidenza e fu accolto solo da pochi, per lo più letterati;
il duca depose le armi solo dopo cinque anni (1612-1617). Cercò poi di rifarsi
partecipando, insieme con la Francia e Venezia, alla guerra della Valtellina
(1624-1626), una guerra politico-religiosa, scaturita dal fatto che gli
Absburgo di Spagna e quelli d'Austria, sotto il pretesto di impedire l'annessione
della Valtellina cattolica ai Grigioni protestanti, la occuparono, stabilendo
la continuità territoriale tra il ducato di Milano, spagnolo, e l'Austria; il
piano degli Absburgo fu fatto fallire, ed essi dovettero lasciare la valle.
Questo successo incoraggiò Carlo Emanuele I al tentativo di isolare gli
Spagnoli del Milanese anche dalla madrepatria strappando loro Genova: ma fallì,
come s'è veduto, sia sul campo di battaglia sia con la congiura del Vachero
(1628). L'ultima sua impresa fu un nuovo tentativo di entrare nel Monferrato
(1628) durante la guerra di Successione scoppiata allo spegnersi della dinastia
gonzaghesca di Mantova; combatté allora, alleato con Spagnoli e imperiali,
contro i Francesi, che sostenevano Carlo di Gonzaga-Nevers, e morì nel corso
della guerra. Questa finì rovinosamente per i Savoia: tra le desolazioni della
guerra e della peste, Vittorio Amedeo I (1630-1637) dovette rassegnarsi ai
trattati di Ratisbona e di Cherasco, che assegnarono Mantova e Monferrato al
Gonzaga-Nevers, Pinerolo alla Francia, e al duca di Savoia, in cambio, Alba e
qualche frammento del Monferrato (1631). Da quel momento la pressione della
Francia non cessò di crescere. Vittorio Amedeo I, nell'interesse della Francia,
si alleò, come s'è visto, coi duchi di Mantova e di Parma, nella lega di Rivoli
contro la Spagna, con la prospettiva di ottenere il Milanese (1635); ma morì
nel corso della guerra, lasciando erede il piccolo Francesco Giacinto
(1637-1638) e, scomparso anche questo, un altro bimbo, Carlo Emanuele II
(1638-1675) sotto la reggenza della madre Cristina di Borbone, chiamata “Madama
Reale”, totalmente sottomessa al cardinale di Richelieu. Per ambizione di
potere, si levarono allora contro di lei i cognati principe Tommaso e cardinale
Maurizio, sostenuti dalla Spagna, e scoppiò una lunga guerra civile che portò
gli Spagnoli a Torino (1638-1642). Dopo la guerra civile vi furono altri
episodi bellici: la grande persecuzione dei valdesi (1655-1663) e gli attentati
contro Genova del 1672. Morto il duca, diventò reggente la francese duchessa
vedova Giovanna di Nemours, per i nove anni di minore età di Vittorio Amedeo II
(1675-1730), che cominciò il suo governo personale avendo ai confini il Re Sole
al culmine della potenza e della tracotanza. Il duca gli obbedì, riprendendo la
persecuzione dei valdesi che Luigi XIV gli impose dopo la revoca dell'editto di
Nantes (1685-1687); ma poco dopo (1689) aderì alla lega d'Augusta mentre ridava
ospitalità e garanzie alla massa dei valdesi rientrati dalla Svizzera dove si
erano rifugiati. La ritorsione francese costò al Piemonte orribili
devastazioni, compiute dal generale Catinat, per cui il duca trattò una pace
separata con Luigi XIV (1696), poco prima della pace generale di Ryswick, che
lo reintegrò in tutti i territori perduti.
La pace fu rotta nel 1701, quando per la successione alla
corona di Carlo II, ultimo degli Absburgo di Spagna, si contrapposero da una
parte Luigi XIV e suo nipote Filippo V di Borbone (designato dallo stesso Carlo
II come erede), coi rispettivi satelliti, tra i quali, in Italia, Vittorio
Amedeo II e il duca di Mantova, dall'altra l'imperatore Leopoldo d'Absburgo,
gran parte dei principi dell'Impero e l'Inghilterra, pure coi rispettivi
satelliti, tra i quali il duca Rinaldo d'Este. Ma, appena fatta alleanza con
Luigi XIV, Vittorio Amedeo II passò dall'altra parte, calcolando che per questa
via gli fossero date più probabilità per un'eventuale successione agli Spagnoli
in Lombardia. L'Italia fu solo uno dei settori d'una guerra universale, destinata
a liquidare sia l'Impero spagnolo che l'imperialismo francese e a fare arbitra
dell'Europa l'Inghilterra. Le forze imperiali, al comando del principe Eugenio
di Savoia, tentarono per quattro anni invano di intaccare la Lombardia,
tenacemente difesa fuori dai suoi confini dalle forze borboniche spagnole e
francesi, mentre Vittorio Amedeo II veniva punito per la sua defezione con
l'invasione di tutti i suoi domini, Savoia, Nizza e Piemonte, e ridotto a
Torino, cinta infine anch'essa d'assedio. La salvezza gli venne dalle decisive
vittorie anglo-olandesi e austriache sui Francesi nella valle del Reno, che
consentirono al principe Eugenio di tornare in Italia e di recare al duca un
soccorso tale da rovesciare nettamente la situazione (battaglia di Torino, 7
settembre 1706). I Francesi sgomberarono, oltre al Piemonte, la Lombardia, di
cui prese possesso l'imperatore Carlo VI d'Absburgo, comprendendo tra i suoi
nuovi possessi anche il ducato di Mantova (1707). Contemporaneamente forze
imperiali, con l'appoggio di naviglio inglese, occupavano il Napoletano, lo
Stato dei Presidi e la Sardegna (1707-1708).
I trattati di Utrecht (11 aprile 1713) e di Rastatt (6 marzo 1714) modificarono la carta d'Europa, in base a un nuovo principio d'equilibrio dettato dall'Inghilterra, e posero l'Italia sotto l'egemonia austriaca: Carlo VI ebbe il Milanese, il Mantovano, lo Stato dei Presidi, i regni di Napoli e di Sardegna, il marchesato di Finale; Vittorio Amedeo II, per volontà dell'Inghilterra, la Sicilia col titolo di re, il basso Monferrato, Alessandria, la Lomellina e la Valsesia, già appartenenti al Milanese, e le valli di Casteldelfino, Fenestrelle e Oulx, cedutegli dalla Francia in cambio di Barcelonnette; il duca di Modena, la Mirandola; Vincenzo Gonzaga, del ramo di Guastalla, unì al suo minuscolo ducato i principati di Sabbioneta e di Bozzolo. Gli altri Stati italiani non subirono mutamenti territoriali, ma dovettero rivedere la loro politica in funzione della nuova egemonia, e dipendere da Vienna anziché da Madrid o da Parigi.