Riflettere sulla sconfitta, ripartire dai contenuti

(pubblicato dal Manifesto del 14 agosto col titolo "E se rifondassimo il modello emiliano?")

 

 


La riflessione sulla recente sconfitta elettorale delle sinistre, vista da Bologna e dall'Emilia Romagna, assume una sua specificità. Non abbiamo nessuna propensione separatista o campanilista e non intendiamo parlare solo di questa regione, anche perché le ragioni che hanno portato alla vittoria del centro-destra sono più generali e riguardano l'intero paese. Ma certo dopo il passaggio al centro-destra dell'amministrazione comunale di Bologna (per la verità già preceduta da Parma e Piacenza l'anno scorso) ci appare inquietante immaginare la possibilità che nelle elezioni regionali della prossima primavera la stessa sorte possa toccare anche all'ente regione.


Si è molto parlato di crisi del modello emiliano-romagnolo, e i segni non mancano, tuttavia alcuni tratti distintivi (almeno come eredità del passato) che fanno la differenza con altre aree del paese, esistono ancora nei servizi, nella gestione pubblica, nella società civile e nelle articolate forme di partecipazione di questa regione e tutto questo rischierebbe di essere completamente cancellato, anche dal punto di vista simbolico, da questa prospettiva.
Ma se non si comprendono fino in fondo le ragioni della sconfitta delle sinistre e non si mettono in atto adeguate contromisure, questa prospettiva può concretamente verificarsi.


Per questo come militanti di sinistra dell'Emilia-Romagna, variamente impegnati più sul piano sociale che su quello politico, sentiamo di dover dare un contributo non semplicemente per formulare generici appelli alle varie forze della sinistra, ma piuttosto per contribuire a rilanciare una riflessione e un confronto sui contenuti di una possibile linea programmatica di sinistra.


Insistiamo sui contenuti perché sono questi che dovrebbero essere il fine della politica, che dovrebbero fare la differenza tra un progetto politico e un altro (a maggior ragione nell'epoca che si vorrebbe del bipolarismo dovrebbe essere chiara la differenza tra un progetto tendenzialmente di destra e uno tendenzialmente di sinistra) e infine sono proprio i contenuti che dovrebbero essere compresi e sostenuti, oppure respinti e combattuti, dai soggetti che si vuole rappresentare, e in ogni caso produrre coinvolgimento e partecipazione, piuttosto che estraneità e disinteresse, ossia quello che sta accadendo, testimoniato non soltanto dal largo astensionismo.


Anche rispetto all'interessante dibattito nazionale che si è aperto su sollecitazione della "lettera di Pintor agli amici", molti interventi insistono ancora troppo sugli aspetti procedurali e di forma piuttosto che aggredire la sostanza. Sostanza che, volutamente in modo schematico e forzato, possiamo raffigurare così: a sinistra prevale o l'appiattimento sull'esistente, quando non la rincorsa a taluni contenuti sostenuti dallo schieramento di centro destra; oppure su un altro versante (politico e sociale) ci si accontenta di predicare alcuni principi, magari fondamentali, ma che non mordono nella realtà.
In sostanza il "pensiero unico", la riduzione di tutto ad una mera dimensione economica, sta diventando egemone, le sinistre nelle varie articolazioni e collocazioni non esprimono progetti alternativi che siano effettivamente in campo e, al di là che questo sia una causa o un effetto, si perdono le elezioni.


Come se ne potrebbe uscire? A noi sembra che il problema non sia neppure se si debba scegliere di lavorare per un "programma minimo" (Asor Rosa) oppure per un "programma massimo" (Pietro Barcellona), la contraddizione è più apparente che reale. Escluso che si possa attendere la stesura di una compiuta teoria generale (quale, poi? E chi dovrebbe stenderla?) prima di cominciare ad agire, è evidente che anche chi nella "sinistra di opposizione" si pone il problema di disegnare un orizzonte radicalmente alternativo da qualche parte dovrà pur cominciare a muovere i primi passi. Contemporaneamente, sul versante della "sinistra di governo" se non ci si vuole accontentare di gestire l'esistente nello stesso modo che farebbe il centro-destra, magari cercando candidati sovrapponibili (un altro Guazzaloca? Un altro Montezemolo?) il problema è una caratterizzazione su un programma che vada in una direzione diversa e attorno al quale riorganizzare l'adesione e il consenso.


Se si assume questa consapevolezza, pur tra i tanti problemi, per tutta la sinistra le questioni su cui avviare una riflessione comune potrebbero essere: la direzione di marcia di questo programma, che per una parte ("meno radicale") può essere il massimo possibile in questa fase e per un'altra ("più radicale") solo dei primi passi in una direzione comunque condivisa, e soprattutto l'efficacia, la coerenza nella realizzazione di quel percorso, di quel programma, da verificare anche in corso d'opera .


Quello che vogliamo intendere con questa descrizione è che secondo noi si potrebbe verificare la possibilità di costruire - in particolari condizioni e per un tempo definito - un programma comune delle sinistre (nelle sue diverse articolazioni) e che con le necessarie alleanze non sia semplicemente uno stato di necessità per far fronte al centro-destra, ma abbia un'anima nella quale si riconoscono nell'immediato tutte le forze coinvolte (le quali possono legittimamente anche coltivare altre e più compiute ipotesi per il futuro) e sia in grado di mobilitare coscienze e soggetti sociali.
Più esplicitamente, la tesi che vogliamo avanzare è che, oltre ad essere auspicabile, è possibile tentare di applicare questa ipotesi alle prossime elezioni regionali in Emilia Romagna, in queste particolari condizioni e per il periodo delimitato della legislatura (volutamente non prendiamo in considerazione il contesto nazionale che ha ben altre variabili e complicazioni).


Evidentemente non spetta a noi formulare i piani di concretizzazione di una simile ipotesi, questa è materia delle forze politiche interessate, ma perché sia possibile anche solamente avviare una verifica di fattibilità, il confronto non dovrebbe partire dalle questioni delle forme e dei contenitori (che oggi purtroppo sembrano essere le uniche questioni che emozionano il dibattito politico), ma ancora una volta dai contenuti, dal profilo generale di una tale ipotesi.
La chiave del ragionamento da cui partire potrebbe essere una riflessione sul modello emiliano-romagnolo, non per riproporlo così com'è, o com'era in epoche migliori, la questione è come ridisegnarlo e rilanciarlo nella concreta situazione odierna, a partire però da una caratteristica che lo ha segnato storicamente: indicare uno sviluppo che faccia perno sul lavoro, sul welfare, sulla qualità sociale invece che unicamente sulle ragioni dell'economia e dell'impresa.
Questo significa sfidare i liberisti con un progetto altro, significa sfidare le imprese nelle loro diverse forme private, cooperative, municipalizzate, piccole, medie, ecc.(che nel bene e nel male sono state e sono l'ossatura del sistema economico e sociale di questa regione) sul terreno dell'innovazione e della qualità dello sviluppo. Ristabilendo la verità oggettiva di chi è innovatore e chi conservatore rispetto ai diritti, alle tutele, alla organizzazione del lavoro, delle città e della società civile.


Ridisegnare il modello emiliano-romagnolo significa scommettere sulla possibilità non solo di ridistribuire socialmente le attuali risorse, ma anche di produrne di più in un sistema che produca valore aggiunto non attraverso la solita ricetta dell'intensificazione dello sfruttamento delle risorse materiali, ambientali, umane, ma piuttosto con un uso razionale e appropriato di tutte queste risorse, con una grande attenzione all'innovazione: tecnologica, ambientale, sociale. In altri termini si tratta di progettare uno sviluppo che facendo perno sulla qualità (dei prodotti, dei cicli, ma anche dei servizi e complessivamente del territorio e delle relazioni sociali) e non sulla mera quantità, valorizzi i lavori (nelle loro diverse forme), ridisegni e allarghi diritti e tutele, metta in campo risorse della società civile (ad esempio il terzo settore).
La parte migliore dell'imprenditoria può accettare questa sfida trovando anche interessanti margini di profitto, non è questa la preoccupazione, ma piuttosto le finalità complessive di un tale modello, finalità, anche sociali, che devono essere garantite da un forte governo pubblico. Superando, anche per questa via, un atteggiamento esclusivamente ideologico rispetto alle privatizzazioni, praticato soprattutto dai neofiti del liberismo, secondo i quali qualsiasi intervento pubblica per sua natura non potrebbe funzionare.


L'innovazione di cui parliamo chiama in causa non solo il sistema delle imprese e gli interessi forti, ma anche gli altri interessi, le forze del lavoro, nelle loro diverse articolazioni, le loro rappresentanze sindacali, e per altri versi anche gli utenti e i consumatori e le loro organizzazioni. Per tutti non si tratta semplicemente di esprimere lo specifico interesse o fare il tifo per qualcuno che può tutelare meglio, ma di essere parte attiva di un processo di trasformazione sociale.
In particolare per il movimento sindacale uno scenario di questo tipo sarebbe una occasione eccezionale per sviluppare un grande protagonismo, liberandosi da residui di collateralismo, da una svilita pratica della concertazione finalizzata unicamente alla compresenza ai vari tavoli, da tentazioni istituzionalizzanti, per affermare ed estendere invece la propria rappresentanza sociale su precisi contenuti a partire dalla tutela e valorizzazione del lavoro.

Su queste materie noi riteniamo interessante approfondire la riflessione con tutti coloro che possono essere interessati, già a partire dalle prossime settimane.
Alcuni di noi già si stavano impegnando nella costituzione anche in regione del forum contro il liberismo potrebbe essere questa la sede per avviare questa riflessione, oppure altre possono essere utilizzate a tal fine, purché tutte abbiano la stessa caratteristica, di essere aperte a tutti i contributi, di lavorare per abbattere steccati e pregiudizi, di misurarsi con l'esigenza di una innovazione vera della pratica e dell'essere di tutte le forze di sinistra, ripartendo dai contenuti.

Bologna, 3 agosto 1999

Mauro Alboresi
Vittorio Bardi
Stefano Borgatti
Ivan Cicconi
Oscar Marchisio

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