La regione Porte 
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La regione Porte, in cui è stato ritrovato il rilievo con scena di sacrificio, è la località della valletta di S.Secondo di Salussola (BI) che ha restituito i più significativi reperti di età romana.
La ricchezza archeologica del sito era nota sin dal Seicento: il giurista e storico Carlo Amedeo Bellini nel 1658, riferendosi alla regione Porte, scriveva che “poco lungi dal Borgo (= di Salussola)...si vedevano delle urne grandi et anche di pietra viva dove seppellivano gli antichi i loro defunti et sopra una di quelle fra le altre si leggeva ancor la seguente inscritione: "Aurelia’ Campana’ coniugi incomparabilis pudicitia T.A.P.1
Questa testimonianza è molto interessante perchè permette di descrivere l’aspetto che nel Seicento doveva avere l’area da cui proviene il rilievo: il sarcofago di Aurelia Campana, attualmente conservato al Museo Leone di Vercelli, fu ritrovato infatti nella stessa proprietà della Ca’ Bianca menzionata nella Descrizione del 1810 in cui fu rinvenuto il rilievo2. L’arca di granito, che prima di passare al Museo Lapidario venne utilizzata fino al 1879 presso la casa rustica come abbeveratoio, fu pubblicata dal Bruzza3, che corresse la lettura dell’iscrizione introducendo il cognomen grecanico Eutichianus, assai diffuso in Occidente. Recentemente l’iscrizione è stata edita da S.Roda nel suo corpus di iscrizioni latine vercellesi, da cui riportiamo la trascrizione:
Aureliæ Campanæ
Con<i>ug(i) incompara-
bili, Aurelius
Eutichianus4.
.
  In un fondo posseduto da Lorenzo Bertodo5, farmacista di Dorzano, fu invece scoperta nel 1819 l’iscrizione del Ponderario, a cui abbiamo accennato in precedenza6. Si tratta di un’iscrizione in marmo bianco con splendide lettere capitali databile al I-II secolo d.CL’epigrafe (alta m 0,55 e lunga m 1,67)  non ci è pervenuta nella sua completezza; si è conservata infatti soltanto la parte sinistra, perfettamente leggibile nonostante risulti spezzata in sedici frammenti combacianti. Eccone  il testo, nella trascrizione di S. Roda7:
T. Sextius T.f Vol(tinia tribu) Secun[dus - - -]
Eporediæ et omnibus hono[ribus - - - ]
ponderarium cum omni[bus - - -].
Il Gazzera8 e il Bruzza9  nel secolo scorso basandosi su confronti epigrafici proposero delle integrazioni, tese a recuperare l’ipotetico testo della parte mancante. Per poter ospitare queste integrazioni, che presuppongono uno specchio di scrittura doppio di quello conservato, la lastra doveva essere lunga almeno 3,16 metri. Ci troveremmo quindi di fronte ad un manufatto pertinente ad una struttura monumentale e forse riferibile allo stesso edificio del ponderario, di cui avremo occasione di parlare in seguito. Tralasciando le discussioni sull’ipotetica ricostruzione della struttura10, è comunque certo che l’epigrafe attesta la donazione di un ponderario con tutti gli arredi da parte di un illustre personaggio appartenente alla tribù Voltinia, che aveva ricoperto le massime cariche a Eporedia, ovvero era stato duumviro. Poiché nessun municipio dell’Italia Settentrionale era iscritto a questa tribù, se ne deduce che Titus Sextius dovesse essere straniero, forse originario di una delle città della Gallia Narbonense a cui era assegnata la tribù Voltinia (Nimes, Avignone, Tolosa, ...).

  Il ritrovamento dell’epigrafe non fu isolato: una lettera scritta nel 1831 dal  parroco di Dorzano don Ferrero e attualmente conservata presso l’Archivio di Stato di Torino11 attesta che insieme all’iscrizione si trovarono “diversi marmi di figura quadrata, sexangula e et ottangula” e “dei muri, limbes, conduttori di stagno, cadaveri, etc.”. Il riferimento ai marmi farebbe ipotizzare la presenza di un pavimento in opus sectile geometrico, riferibile dunque ad un edificio di notevole prestigio, presumibilmente lo stesso di cui vennero ritrovati i “muri” e a cui vanno connesse le fistulæ. La menzione dei ritrovamenti murari trova una precisa conferma nella già citata Descrizione del 1810, in cui si legge che “in un luogo detto delle Porte esistevano un edificio di considerevole estensione... e altre muraglie esistenti ad una certa altezza con pavimenti a guisa di corridoio”. Nel 1810 in località Porte era quindi conservato parzialmente in alzato un grande edificio ed erano visibili altri tratti murari probabilmente allineati e poco distanti l’uno dall’altro, come sembra di poter dedurre dalla menzione della forma a corridoio dei pavimenti.
Della probabile presenza di un edificio romano nell’area parla anche il Bruzza12  che pubblicando l’iscrizione del ponderario afferma che “nel 1843 quel campo (= la proprietà in cui fu ritrovata l’epigrafe) era ancora ripieno di frammenti di varie specie di marmi che avevano servito per pavimenti e ornati...quivi doveva sorgere un qualche nobile edifizio”. Alla fine del secolo scorso Ferdinando Rondolino13, appoggiandosi alla tradizione locale, identificò tale “nobile edifizio”, di cui era evidentemente ancora visibile qualche resto, con il ponderario a cui fa riferimento l’iscrizione di Titus Sextius.  L’ipotesi è stata ripresa recentemente da L. Manino14, ma in assenza di scavi e di dati archeologici probanti al di fuori dell’epigrafe,  è decisamente difficile accettare criticamente l’identificazione.
E’ certo invece che gli imponenti resti ancora visibili all’inizio dell’Ottocento nella parte meridionale della regione Porte andarono progressivamente distrutti durante i lavori agricoli; è lo stesso Rondolino a rammaricarsi che dopo il 1819, anno di ritrovamento dell’epigrafe, la zona sia stata sconvolta da “mani ignoranti” e in particolare dall’opera di “lavoratori trentini” che intenti al lavoro ne avrebbero asportati monete e preziosi avanzi”; durante tali operazioni “anche le fondamenta del ponderario, che si stendeva su tutto il rialzo, ...furono sconvolte”.
I marmi visti dal Bruzza nel 1843 sarebbero dunque i resti di questo primo e violento  sterro ma la progressiva spoliazione dell’area e la sistematica distruzione dovuta all’uso di aratro ed erpice dovette proseguire per tutto l’Ottocento e il Novecento.  Non a caso, quando negli anni Settanta Mario e Paolo Scarzella15  compirono una serie di ricerche di superficie nell’area non trovarono alcun resto significativo se non calcinacci e frammenti di piastrelle di terracotta.

  Dalla regione Porte proviene inoltre una ara anepigrafe in pietra locale, attualmente esposta nel Museo Civico di Biella, che fu ritrovata in un fondo di proprietà Scaraventi e conservata almeno fino al 1928 nella Casa Cornale presso Salussola Monte16. L’altare è pertinente alla tipologia più diffusa degli altari parallelepipedi, caratterizzata dalla presenza di un basamento composto da uno zoccolo liscio e una modanatura a gola e listelli e da un coronamento superiore che presenta lo stesso tipo di modanatura. L’esemplare, pervenutoci in condizioni di non completa integrità, è alto cm 72, largo cm 60 e ha uno spessore conservato di cm 32; presenta sulla superficie superiore una cavità con diametro di cm 24, che, se non è frutto di una manomissione successiva, potrebbe testimoniare una utilizzazione sacra del manufatto. Ha due lati decorati a bassorilievo: sulla fronte, in un riquadro ribassato incorniciato da un semplice listello, è scolpita, al di sopra di una fascia aggettante, una figura di cacciatore in corsa presso un albero; uno dei due lati corti, conservato solo in parte, mostra invece il cacciatore intento a sacrificare una lepre su un’ara17. Entrambe le scene sono realizzate in uno stile decisamente antinaturalistico, incline alla geometrizzazione delle forme.

  Molti materiali, scoperti durante il secolo scorso nell’area e attestati dalle fonti locali, risultano oggi scomparsi o non più reperibili; fra questi rivestono un  notevole interesse le due monete d’oro augustee ritrovate nel 1787 e vendute al Museo dell’Ospedale Maggiore di Vercelli18, che sono i più antichi reperti sicuramente databili ritrovati nella piana di San Secondo. Sembrano poi confermare l’utilizzazione funeraria della regione Porte in età romana i rinvenimenti di iscrizioni sepolcrali attestati dalla Descrizione del 1810, a cui vanno aggiunti i frammenti marmorei con iscrizione di Modesta e Liberata visti dal Bruzza nel 184319. A questo proposito si consideri anche il sarcofago pubblicato da Lebole nel 197920 con la didascalia “sarcofago di pietra bianca rinvenuto in regione Porte usato da abbeveratoio in una casa colonica”.

  L’insieme dei materiali ritrovati orienta dunque a ritenere probabile la presenza nella zona di ritrovamento del rilievo di un’area funeraria romana, a cui vanno riferiti i sarcofagi, le iscrizioni (ad esclusione di quella di Titus Sextius) e probabilmente l’ara del Museo di Biella. L’ipotesi potrebbe essere suffragata dalla vicinanza dell’area all’attuale strada comunale Salussola-Dorzano, il cui tracciato ricalcherebbe una antico asse viario romano.
In questo contesto risulterebbe assai problematico inserire l’edificio di prestigio a cui abbiamo fatto riferimento in precedenza, a meno di ritenere o la sua utilizzazione precedente all’impianto della necropoli o la sua edificazione successiva. La struttura, in ogni caso, andrebbe localizzata nella parte meridionale della regione Porte, nella zona di confine tra questa e l’area indicata dai catasti con il toponimo "Roncale".
In mancanza di dati di scavo il discorso resta però puramente ipotetico.
 
 
 
 
 
 
 

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1. ASB, raccolta Torrione, m.3 fasc.9: Stato spirituale della città e diocesi di Vercelli. Per il profilo di Carlo Amedeo Belini (1628-1679), studioso vercellese e appassionato cultore di storia locale cf. BOCCALINI 1995, pp.108-117.

2.  LEBOLE 1953, p.19. 

3.  BRUZZA 1874, p.98, LI. 

4.  RODA 1985, n.99, pp.166-167. 

5.  BRUZZA 1874, p.55 e sgg. n.XXIX. Il fondo è indicato dal Bruzza come “campo Le Porte”. 
Si tratta probabilmente del mapp. 1599 del Catasto figurato o campagnolo di Dorzano (ASB, Dorzano m.16 fasc.3)  L’appezzamento appartiene alla regione catastale Roncale, ma nel Libro IV dei trasporti è identificato come “campo alle Porte”. 
La localizzazione in regione Porte si giustifica con il fatto che la parcella confina a nord con quest’ultima (Catasto rustico e Carta topografica di San Secondo). La perdita del Libro III, che documentava la situazione catastale del territorio di Dorzano tra il 1807 e il 1864 non consente di individuare i fondi posseduti in vita da Lorenzo Bertodo. E’ però possibile identificare quelli posseduti dal padre, Carlo Bertodo,  che Lorenzo ricevette in eredità (ASB, Dorzano, m.39:II libro dei trasporti), e dal figlio, Antonio, anch’egli speziale, a cui vennero lasciati (ASB, Dorzano, m.16  fasc.3): i fondi posseduti dai
Bertodo che fanno parte della regione Porte o confinano con essa sono indicati nei mapp.1708, 1592 ,1593 e 1599.  Il mapp.1708 è un “bosco”, che risulta solo nei catasti settecenteschi e non è registrato fra le proprietà di Antonio; i mapp.1592 e 1593 sono indicati come “vigna” e rientrano in regione Roncale. Il 1599 è l’unico registrato come “campo”. 
  6.Cf. cap.2 par2 nt.12. 

7.  RODA 1985, n.100 pp.168-169. 

8.  GAZZERA 1854, p.1. 

9.  BRUZZA 1874,  n.XXIX,  pp.55-56. 

10.  Luciano Manino (MANINO 1991-92, p.48) propone una ricostruzione ideale del ponderario come edicola in antis di ordine dorico o tuscanico-romano, con architrave occupato dall’epigrafe. 

11.  Cf. VIALE 1971, p.59. 

12.  Cf. infra nt.5. 

13.  RONDOLINO 1882, pp.28-29. 

14.  Cf. infra nt.10. 
La descrizione delle  strutture ancora visibili nell’Ottocento e il confronto con quelle venute alla luce durante i sondaggi del 1994 in un’area molto vicina potrebero però indirizzare ad un'interpreta- zione diversa: le murature potrebbero essere pertinenti alla stessa villa di cui sono stati scavati parzialmente solo sue vani o ad un’altra struttura simile. L’iscrizione onoraria sarebbe in questo caso giunta a noi in deposizione secondaria. 

15.  SCARZELLA 1975, p.80. 
 

16.  SCHIAPARELLI 1896, p.254. 

17.  BONARDI 1928, p.349; VIALE 1971, p.59. La raffigurazione è completamente estranea
all’iconografia del sacrificio cruento romano ritu, attestata invece nel rilievo del Museo
Leone: il personaggio non è capite velato, la vittima (una lepre) non è quella propria delle divinità maggiori ed è ritratta al di sopra dell’ara, sorretta dal braccio proteso del sacrificante, secondo uno schema figurativo inconsueto nella tradizione di questo tipo di scena. La presenza dell’albero, della lepre e del cacciatore potrebbe ricondurre ad un culto locale, al culto di Silvano o forse a quello di Diana, attestato in aree limitrofe da un’ara votiva biellese (cf. RODA 1985, n.157 pp.156-157, a cui si rimanda anche per la bibliografia sul culto della dea nella Cisalpina occidentale). 

18.  LEBOLE 1953, p.26. 

19.  Cf. infra nt.3. 

20.  LEBOLE 1979, p.24.