Da Dorzano al Museo Leone 
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Il rilievo fu ritrovato nella parte meridionale  della  valletta di S. Secondo di Salussola, all’interno del territorio comunale di Dorzano (BI), in una data difficilmente precisabile. Un sicuro termine ante quem per il ritrovamento può essere comunque fissato nel 1810, anno in cui il parroco del paese redasse, a scopo informativo, una Descrizione della Comune di Dorzano da inviare alla Prefettura di Vercelli 1

Nel documento, oggi purtroppo scomparso, il parroco di Dorzano accenna alla scoperta del rilievo, indicando anche il luogo diritrovamento: una “possessione” appartenente al cav. Avogadro Casanova di Vercelli, situata in “regione Porte”. Una ricerca presso l’Archivio di Stato di Vercelli ha permesso di controllare questa informazione e di individuare con precisione il proprietario del fondo in cui il rilievo fu scoperto: si tratta del cav.Giuseppe Maria Avogadro di Casanova (1730-1814), uno dei più facoltosi e stimati cittadini vercellesi  del tempo, che, come attestano le ultime disposizioni testamentarie, possedeva sessantun giornate di “vigna, pratto e bosco” nel territorio di Dorzano 2
Il terreno in cui fu rinvenuto il manufatto rientrava (insieme ad altri fondi situati nel comune di Salussola) fra le “possessioni” pertinenti alla villa rustica denominata Ca’ Bianca, ancor oggi esistente a monte dell’abitato di S. Secondo, di cui l’Avogadro di Casanova era proprietario. 
Un primo termine post quem  per il ritrovamento del rilievo può essere dunque individuato nell’anno in cui il cavaliere vercellese entrò in possesso della Ca’ Bianca. Tale acquisizione avvenne per via ereditaria 3, alla morte del padre di Giuseppe Maria, Carlo Gian Battista Avogadro di Casanova, avvenuta  nel 1739 presso la villa di campagna  in seguito ad un incidente di caccia 4
La  lettura del catasto rustico del territorio di Dorzano e dei libri di rapporto redatti nel Settecento5  ha permesso di  restringere ulteriormente l’arco cronologico del ritrovamento. 
Nessuna delle colonne del Catasto rustico o campagnolo redatto nel 1743 risulta intestata all’Avogadro di Casanova: il cavaliere vercellese è infatti iscritto per la prima volta a catasto nel 1771, quando viene istituita nel I Libro dei trasporti e delle mutazioni una colonna a suo nome, in seguito all’acquisto di “106 tavole di prato e campo” in regione S. Secondo (mapp.1732) 6. La colonna non registra modifiche né nel primo né nel secondo registro dei trasporti, che è aggiornato al 1807:   sino a tale data il nobile non effettuò dunque ulteriori acquisti di fondi nel territorio di Dorzano. La “possessione” in regione Porte, e buona parte delle 61 giornate denunciate nel testamento, entrarono quindi a far parte del patrimonio della Ca’ Bianca con ogni probabilità dopo il 1807. Sfortunatamente nella documentazione catastale depositata presso l’Archivio di Biella manca proprio il III libro dei trasporti, che doveva coprire l’arco cronologico compreso tra il 1807 e il 1864, anno in cui fu iniziato il IV libro di aggiornamento: ciò impedisce di verificare su base documentaria l’acquisto della proprietà in regione Porte.
Dalla combinazione delle fonti archivistiche esaminate si può comunque dedurre che con ogni probabilità il rilievo fu portato alla luce, presumibilmente durante lavori agricoli,  in un anno compreso tra il 1807 e il 1810 7.

L’identificazione topografica precisa del sito di ritrovamento non è facile, in quanto sia le indicazioni desumibili dalla Descrizione del 1810 sia quelle fornite da padre L. Bruzza 8, che per primo pubblicò il rilievo, risultano difficilmente utilizzabili. I dati forniti dal parroco di Dorzano, redattore della Descrizione, non possono infatti essere confrontati con la documentazione archivistica, vista la lacuna nei registri catastali. Il Bruzza invece è piuttosto vago e si limita a collocare il ritrovamento “in un piccolo campo detto Le Porte...sulla sinistra della vecchia strada che da Salussola monta a Dorzano, e più vicino a questo paese che al primo”. Lo studioso, ritenendo forse che il toponimo “Porte” individuasse un singolo podere e  non un’area più estesa,  identifica il luogo di ritrovamento del rilievo con quello in cui nel 1819 fu scoperta l’epigrafe di T(itus) Sextius (CIL V, 6771), attualmente conservata presso il Museo di Antichità di Torino. In realtà entrambi i manufatti furono scoperti in località Porte di S. Secondo di Salussola, ma sicuramente in due appezzamenti diversi 9
Anche riguardo alla semplice individuazione  e alla localizzazione della regione Porte, gli studi locali non ricostruiscono un quadro topografico omogeneo. Secondo Luigi Schiaparelli, che nel suo studio del 1896 sulle origini del Comune di Biella 10 inserì una dettagliata descrizione della zona, la regione Porte corrisponde ad una vasta area posta a sinistra della strada che conduce a Dorzano, confinante a nord con regione Mercato di S. Secondo. Mario e Paolo Scarzella, che negli anni Settanta del nostro secolo effettuarono una serie di indagini di superficie nel territorio di S. Secondo, la identificano invece con un’area di ridottissime dimensioni, situata “dietro la vecchia centrale elettrica di Dorzano su una collinetta...” e disseminata di “resti di embrici, tegole, piastrelle di terracotta..., resti di piatti, pentole, anfore” 11

L’analisi del Catasto figurato del territorio di Dorzano, redatto nel 1743, ha permesso di determinare con maggior precisione la localizzazione e l’estensione della regione Porte, rettificando l’ambiguo quadro topografico delineato dallo Schiaparelli e dagli Scarzella. Come si evince dalla lettura del foglio catastale n.3, si tratta di un area di piccola estensione, suddivisa in poco più di dieci parcelle, posta presso il confine comunale tra Dorzano e Salussola; confina a nord e a est con regione San Secondo, ad ovest con regione Massarione o San Secondo e a sud con regione Roncale.

Va comunque sottolineato che il toponimo “Porte”, nell’uso comune attestato dai compilatori delle caselle dei registri, era in realtà utilizzato per individuare un’area che non corrispondeva perfettamente a quella determinata dal Catasto figurato, ma comprendeva anche zone confinanti a est e a sud 12

Sulla base delle scarse notizie delle fonti e della lacunosa documentazione non è dunque possibile individuare con precisione l’ubicazione del podere in cui fu ritrovato il rilievo. A questo proposito si è rivelata scarsamente utile anche la ricostruzione delle complesse vicende patrimoniali della tenuta della Ca’ Bianca, di cui può essere ripercorsa la storia ottocentesca attraverso i documenti conservati nel fondo Famiglia Avogadro di Casanova  presso l’Archivio di Stato di Vercelli 13. La mancanza di una documentazione catastale completa impedisce di proporre considerazioni più dettagliate: occorre perciò limitarsi a collocare il ritrovamento nell’area individuata, comprendendo anche alcune parcelle confinanti, nelle regioni Roncale e San Secondo.
E’ però possibile avanzare con molta cautela un’ipotesi, del tutto congetturale, fondata sull’analogia con altri ritrovamenti di manufatti simili. Immediatamente a nord della regione Porte di Dorzano (ad una decina di metri dal confine settentrionale) è stata recentemente portata alla luce una struttura architettonica, identificata dagli scavatori con un edificio di culto paleocristiano, databile nella sua fase originaria al IV secolo e modificato in numerose fasi successive 14. Come ha giustamente sottolineato C. Maccabruni, alcuni dei rilievi con scena di sacrificio provenienti da zone limitrofe sono stati ritrovati presso edifici di culto di fondazione medievale (o precedente), dove erano presumibilmente reimpiegati a vista nella muratura (ara di Manilius Iustus da Lomello, ara di Narcissus da Pallanza) 15. E’ possibile che la lastra di Dorzano abbia subito la stessa sorte, che sia stata cioè reimpiegata nell’edificio sopra descritto (a vista o anche come materiale da costruzione) e, in seguito alla sua distruzione o al suo smantellamento, sia giunta a noi in deposizione secondaria 16. Se quest’ipotesi, difficilmente verificabile, è veritiera, è assai probabile che il luogo di ritrovamento del rilievo sia prossimo alla struttura venuta alla luce, forse nei parcellari 1708 e 1709, o immediatamente più a nord, già in regione San Secondo.

 Il rilievo, venuto alla luce in un possedimento del “sig. Avogadro di Casanova”, con ogni probabilità fu trasportato nella tenuta di famiglia della Ca’ Bianca presso l’abitato di S. Secondo17 . Non vi rimase però per molto tempo: il redattore della Descrizione della Comune di Dorzano attesta infatti che nel 1810 il manufatto era già conservato a Vercelli, “incastrato in una muraglia del palazzo di detto Cav[aliere]”, l’ancora oggi esistente palazzo  Avogadro di Casanova situato lungo Via Vallotti 18. L’interesse antiquario del pezzo ne aveva evidentemente determinato il trasferimento presso il palazzo urbano della famiglia vercellese, la cui edificazione, al momento della sistemazione del rilievo nella “muraglia”, era terminata da poco 19
Quando, nel 1846, padre Luigi Bruzza esaminò il rilievo, la sua collocazione era già “pubblica” nel senso più ampio del termine: la tavola fuori testo riproducente il pezzo che lo studioso allega al suo Discorso sopra Vibio Crispo 20 reca infatti la didascalia Bassorilievo esistente nel Palazzo Civico di Vercelli 21. La sistemazione di reperti archeologici nei locali del Palazzo Comunale era stata iniziata dallo stesso Bruzza a partire dal 1842, quando aveva ottenuto dall’allora sindaco Gifflenga il permesso di collocare le epigrafi di proprietà municipale sparse per la città nell’atrio, lungo lo scalone e nel giardino del Palazzo 22. E’ però probabile che il manufatto fosse conservato  nel Municipio di Vercelli già prima della sistemazione del Bruzza, insieme a materiali di provenienza eterogenea, donati all’Amministrazione civica oppure provenienti da confisca, come i marmi Ranza 23. In ogni caso si deve supporre che nei primi decenni dell’Ottocento sia avvenuto un passaggio di proprietà del pezzo dalla famiglia Avogadro di Casanova al Comune di Vercelli, forse suggerito dalla stessa vicinanza topografica tra il palazzo famigliare e l’edificio municipale, edificati l’uno di fronte all’altro, ai lati dell’attuale Via Vallotti. Per quanto riguarda la collocazione precisa, fino al 1878 il rilievo si trovava infisso lungo una parete dello scalone principale del Palazzo Municipale, insieme ad altre “lapidi e ornati, anche posteriori al Mille” 24. Nel 1878 il rilievo fu nuovamente trasferito e confluì, insieme a parte delle  epigrafi pubblicate dal Bruzza nelle Iscrizioni antiche Vercellesi 25, a sarcofagi e ad altri materiali, nella raccolta del Museo Lapidario, allestito per volontà del Municipio nel chiostro della Basilica di S. Andrea, a partire dal 1875. L’allestimento del Lapidario, nato per ispirazione del padre barnabita e a lui dedicato, fu condotto in due fasi: nella prima, che si concluse nel 1881, furono collocati i reperti romani (fra cui il nostro rilievo) e cristiani, e si ricostruì l’ambone dell’antica basilica di S. Maria Maggiore; nella seconda, tra il 1900 e il 1901, sotto la guida di Camillo Leone si operò un riordino definitivo, con la sistemazione dei marmi medievali e moderni 26. La presenza del manufatto nel museo è testimoniata dai due brevi cataloghi del Museo Lapidario Bruzza redatti nel 1904 e nel 1924 27, da cui risulta che il rilievo era collocato nella parete di ponente del chiostro. 
Il Lapidario sopravvisse fino al 1934, quando, nell’ambito del riordino del sistema museale vercellese progettato da Vittorio Viale 28, i materiali furono trasferiti nel nuovo spazio espositivo del museo “Camillo Leone” presso Casa Alciati, insieme agli oggetti conservati nella “vetrina civica” 29, alle collezioni archeologiche di Camillo Leone e ad alcuni reperti egizi prima conservati al Museo Borgogna. L’allestimento attuale del Museo, che fu aperto al pubblico nel 1910, risale al 1939. In quell’anno, in occasione della  mostra “Vercelli e la sua provincia dalla romanità al fascismo”, inaugurata da Mussolini il 19 maggio, si costruì la nuova manica che unì Casa Alciati e Palazzo Langosco. Nella manica si ricavò un percorso storico-didattico, in cui il rilievo di Dorzano trovò una precisa collocazione: fu inserito, insieme ai materiali epigrafici  rinvenuti in area vercellese, nella parete di un  vano prospiciente la terza sala, meglio nota come “sala romana” 30.
 
 
 
 
 



 

Il rilievo di Dorzano nella sua attuale collocazione, incassato nella parete
di fondo della IV sala del M. Leone
 
 
 
 
 
 
 

 Rilievo di Dorzano. Dettagli: littore, flamen e tibicen
 
 
 
 
 
 
 
 

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1 Si tratta di una copia minuta in data 6 ottobre 1810 della Descrizione della Comune di Dorzano che serve di risposta alla lettera di Mr. Liegeard, segretario generale della Prefettura di Vercelli, in data I° aprile 1810, avente per iscopo un dizionario topografico-istorico del dipartimento della Sesia. Il documento fu scoperto nell’Archivio Parrocchiale di Dorzano da don Delmo Lebole, che ne pubblicò alcuni passi sul numero 2 anno 1951 della "Rivista Biellese" (LEBOLE 1951, p.26).

ASV, Famiglia Avogadro di Casanova, s.II, m.40, s.n.: Disposizione testamentare di Giuseppe Maria Avogadro di Casanova. Il nobile vercellese  risulta proprietario dei fondi di Dorzano almeno dal 1797: ASV, Famiglia Avogadro di Casanova, s.I, m.19, s.n. Consegne diverse. Per un profilo della poliedrica figura di Giuseppe Maria Avogadro di Casanova, aristocrate savant  e autore di trattati di agronomia e geometria cf. TESTA 1995, pp.5-44.

La famiglia Avogadro di Casanova ne era proprietaria da almeno tre generazioni. Come risulta dalla documentazione archivistica, il trisavolo di Giuseppe Maria, conte Carlo Giovan Battista Baldassarre, nel 1667 possedeva nel territorio di Salussola una “cassina...con luoghi et edifici et beni”, che passò in eredità al ramo cadetto della famiglia, rappresentato dal nonno del cavaliere, suo omonimo. Da questi la “cassina” e le proprietà passarono per via ereditaria a Carlo Giovan Battista e infine a Giuseppe Maria;  fu probabilmente quest’ultimo ad utilizzarla stabilmente come residenza, trasformandola in villa rustica (ASV, Famiglia Avogadro di Casanova, s.I, m.51, fascc.28, 54).

ASV, Famiglia Avogadro di Casanova, s.I, m.58, fasc.12.
 I catasti rustici e i libri di mutazioni e trasporti del territorio di Dorzano (dal XVII secolo al 1950) sono conservati presso l’Archivio di Stato di Biella (sede distaccata di Via Triverio) nel fondo Dorzano: ASB, Dorzano m.16, fascc.1, 2, 3; ASB, m.39 s.n.: I libro dei trasporti... (1765-1779), s.n.: II libro dei trasporti... (1779-1807 ca). Il Catasto figurato o campagnolo, redatto nel  1743, è fuori mazzo.

E’ assai difficile che il mapp.1732 coincida con il luogo di ritrovamento del rilievo: le 106 tavole di “prato e campo” sono infatti situate ad ovest della regione Porte, in un’area prossima a questa ma non confinante. Se è vero che il toponimo “Porte” indicava con ogni probabilità nell’Ottocento una zona di estensione maggiore di quella occupata dall’omonima regione catastale, è altrettanto vero che nei registri esaminati l’uso di localizzare in tale area parcelle estranee è attestato solo per gli appezzamenti confinanti. 

Cf. infra nt. 16.

7  Lo spostamento del termine post quem ai primi anni dell’Ottocento trova una conferma implicita nella stessa Descrizione  del 1810: è infatti difficile che il parroco di Dorzano potesse ricordare nella sua relazione una scoperta avvenuta a distanza di molti anni, menzionando con precisione anche il luogo esatto del ritrovamento. Come risulta dalla documentazione archivistica (purtroppo lacunosa) del fondo Avogadro di Casanova, il cav. Giuseppe Maria fu impegnato, a partire dagli anni Settanta del XVIII secolo, nell’acquisto di alcune proprietà nell’area di S. Secondo. Il nobile si indirizzò forse prima su fondi situati nel territorio di Salussola, prossimi a quelli già posseduti, e poi su terreni relativamente più lontani, ma vicini a quello acquistato nel 1771 nei confini di Dorzano. Il rilievo sembrerebbe provenire proprio da uno di questi possedimenti, recentemente acquisiti e probabilmente messi a coltura secondo gli innovativi metodi di cui il cavaliere era strenuo propugnatore (cf. TESTA 1995, pp.5 e sgg.). Purtroppo le carte settecentesche relative alla Ca’ Bianca (inventariate nel catalogo antico dell’Archivio di Casa Avogadro di Casanova, tuttora conservato presso l’ASV) non sono confluite nel fondo Avogadro di Casanova dell’archivio vercellese. Le vicende patrimoniali delle proprietà della Ca’ Bianca nel Settecento e nel primo Ottocento possono dunque essere ricostruite solo attraverso i brevi regesti del catalogo antico relativi al  perduto vol.33 Carte relative alla Casa Bianca di Salussola. 

BRUZZA 1874, p.CXLVII e p.56. 

Come attesta lo stesso Bruzza (BRUZZA 1874, n.XXIX) la lapide di T.Sext(ius)  fu infatti ritrovata in una proprietà di Lorenzo Bertodo, farmacista di Dorzano.

10  SCHIAPARELLI 1896, pp.253-254.

11  SCARZELLA 1975, pp.78-80.

12   E’ ad esempio il caso del parc. 1599, di proprietà Bertodo, in cui fu probabimente ritrovata la già menzionata lapide del Ponderario: localizzato da Gazzera, Bruzza, Lebole e Viale in regione Porte, nel Catasto figurato  risulta invece appartenere alla regione Roncale. In effetti le regioni Roncale e Porte sono confinanti e l’appezzamento è posto immediatamente a ridosso delle parcelle di quest’ultima. 

13  Alla morte di Giuseppe Maria (1814) la Ca’ Bianca e il suo patrimonio fondiario furono integralmente ereditati dal primogenito Carlo, che li possedette fino al 1840. In tale anno in base al rogato Momo la proprietà fu acquistata dal fratello Flaviano (ASV, Famiglia Avogadro di Casanova, s.II, m.41,  s.n. Stato dell’eredità...)  e nel 1859, alla morte di quest’ultimo, la Ca’ Bianca passò in eredità a sua figlia Severina (ASV, Famiglia Avogadro di Casanova, s.II, m.41, s.n. Tasse per beni rurali...). Severina Avogadro di Casanova fu dunque dal 1859 proprietaria di tutti i fondi che erano stati di suo nonno Giuseppe Maria,  ma forse non di quello situato in regione Porte, in cui era stato scoperto il rilievo. Nel IV libro di mutazioni e trasporti, redatto nel 1864, la famiglia Avogadro di Casanova non risulta più iscritta a catasto. L’erede di Flaviano non è neanche registrata  come contessa Malabaila d’Antignano, titolo nobiliare da lei ottenuto dopo il matrimonio con il conte Alessandro Malabaila d’Antignano, di cui, al momento dell’acquisizione dell’eredità paterna, era già vedova. I beni di Dorzano erano dunque stati già venduti prima della redazione del quarto aggiornamento dei libri catastali. La mancanza del Libro III  impedisce di controllare i passaggi patrimoniali e, di conseguenza, ci priva degli ultimi  dati utili per individuare quali parcellari la famiglia Avogadro di Casanova avesse posseduto in regione Porte.
14  BRECCIAROLI 1993, 
p.305-307; BRECCIAROLI 1994, p.355; BRECCIAROLI 1995, p.328-329.

15   MACCABRUNI 1988, p.243. Sull’ara di Pallanza: BRUSIN 1944, pp.157-164; FERRUA 1973, pp.16-17; SENA CHIESA 1982, p.117; SPAGNOLO GARZOLI 1996, p.102; sull’ara di Lomello: MACCABRUNI 1988, p.241-248. 

16  Non si può neanche escludere che il rilievo abbia subito anticamente altri reimpieghi, precedenti al suo eventuale utilizzo nell’edificio di culto. Dato che numerosi indizi inducono a ritenere che il manufatto non sia stato portato a compimento, forse per una rottura del materiale, e che non sia stato quindi mai inserito nel monumento al quale era destinato, è possibile che la lastra sia stata recuperata immediatamente come elemento da costruzione. E’ interessante a questo proposito notare che nell’area di ritrovamento sono emerse tracce di murature di età romana.

17  Alla Ca’ Bianca furono conservati altri reperti archeologici ritrovati nei possedimenti degli Avogadro: è il caso del sarcofago di Aurelia Campana (CIL V, 6766), proveniente anch’esso dalla regione Porte, utilizzato fino al 1874 come abbeveratoio.

18  Il trasferimento dalle proprietà rurali alle dimore di città delle grandi famiglie nobiliari è un fenomeno assai comune, che riguarda una parte cospicua della documentazione scultorea romana oggi conservata presso i musei dell’Italia Settentrionale (cf. SENA CHIESA 1997, p.277, con bibliografia).

19  Il Palazzo Avogadro di Casanova fu edificato a partire dagli anni Ottanta del Settecento presso via della Visitazione (attuale Via Vallotti) laddove sorgevano le case Ranzo. La costruzione fu voluta dal cav. Giuseppe Maria Avogadro di Casanova che incaricò del progetto l’architetto Valeriano Dellala di Beinasco. I lavori terminarono nel 1804, come attesta una piccola lapide murata nella facciata dell’edificio (cf. TESTA 1995,  nt.1 p.33). 

20  BRUZZA  1846, tav. fuori testo.

21  L’Amministrazione Civica si era insediata nel 1817 presso l’ex Convento dei Domenicani (acquistato dal governo francese nel 1813); dal 1838 al 1845 su progetto dell’ing. Antonio Malinverni venne eseguita una serie di ristrutturazioni edilizie che  trasformarono completamente il complesso religioso (cf. FACCIO 1979, pp.573-579). 
22  SOMMO 1994, p.20.

23  SOMMO 1994, p.44. Per il problema della collezione civica di Vercelli antecedente al 1842 si veda SOMMO 1987, p.408  e sgg.

24 Le informazioni sulla collocazione del rilievo si leggono in una lettera scritta da Francesco Marocchino al Bruzza in data 11 novembre 1878 (pubblicata integralmente in SOMMO 1994, p.151). Con questa missiva il Marocchino, archivista del Comune di Vercelli, informava lo studioso che tutti i materiali archeologici esposti lungo lo scalone del palazzo Comunale erano stati sistemati nel nuovo museo lapidario.

25  BRUZZA, Iscrizioni antiche vercellesi, Roma 1874. 

26Per una trattazione completa delle vicende museali del Lapidario Bruzza si veda SOMMO 1994, pp.43-65. 

27   FACCIO 1903, n.11 p.8; FACCIO 1924, n.11 p.9. 

28   Vittorio Viale (1891-1977) fu direttore dei musei Leone e Borgogna dal 1931 al 1952. Durante la sua direzione fu realizzato l’ideale raggruppamento delle collezioni vercellesi in un unico sistema museale: il Museo Borgogna fu ingrandito e trasformato in una importante pinacoteca, mentre il Museo Leone fu destinato principalmente all’esposizione dei reperti archeologici rinvenuti in area vercellese (cf. SOMMO 1982, pp.136-139).

29   Si tratta di una collezione archeologica composta da più di trecento pezzi, allestita presso l’Archivio Storico del Comune negli ultimi decenni dell’Ottocento. Alla formazione della collezione, che nel 1913 fu affidata in custodia al Museo Leone, avevano collaborato, tra gli altri, il Bruzza e il Marocchino (cf. SOMMO 1982).

30 Il vano in cui è conservato il rilievo (sala IV) può essere considerato una semplice “espansione” della sala romana, nucleo fondamentale dell’allestimento museale. Per una lettura architettonica della sala romana nell’ambito degli indirizzi ufficiali dell’arte fascista cf. CONTI 1998, pp.99-120.