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L'UOMO DI AMSTERDAM

 

 

 

 

Ecco qui, ...proviamo ad immaginare quello che poteva essere stata la sensazione di un fan dei Floyd che assistette ad un concerto di quello che è stato, forse, il primo concept della storia dei Floyd, "The Man and The Journey". Un immaginario fan che era presente al Concertgebouw di Amsterdam quel 17 settembre del 1969 (con una rapida puntata alla Royal Albert Hall), e che certamente non si aspettava affatto di cambiare la sua vita musicale, il modo di vedere la musica, e di essere trasportato, attraverso un tipo di musica così semplice, ma nello stesso tempo così diversa, attraverso un viaggio con la mente. Il tempo è passato e i ricordi si fanno più o meno deboli, ma nessuno dei presenti in quei giorni potrà mai dimenticare le sensazioni provate, ora sono sicuri che aver fatto parte, forse inconsapevolmente, della storia. A voi... "The Man & The Journey"...!

 

 

 

 

"THE MAN".

 

“Nicky dei Pink Floyd ci ha scritto una piccola nota: Il concerto dei Pink Floyd è diviso in due parti. Racconta la storia di un Uomo.... e del suo Viaggio. La prima parte consiste nelle 24 ore di vita quotidiana: svegliarsi la mattina, lavorare, riposare, fare l'amore, sognare e risvegliarsi di nuovo. La  seconda parte racconta le sue avventure che incontra nel suo viaggio, con una fine misteriosa della storia”

 

E' così che è iniziata. Con una presentazione semplice, ma efficace. Nessuno sapeva a cosa andava incontro. Doveva essere un semplice concerto rock, come tutti i concerti del 1969, invece no...

I Pink Floyd sono sempre riusciti a riciclare le loro idee, i suoni, le canzoni. Sono sempre riusciti a dare un senso compiuto alla loro musica, anche quando apparentemente sembra non ci sia. La loro sperimentazione non è mai stata senza senso, inutile o fine a se stessa. Aveva tutto uno scopo. Una destinazione. Non importa se si trattava di raggiungere il Sole, o Giove e Saturno o l'infinito dell'Anima. C'è sempre stata una destinazione. Una visione. Ma questo spettava al pubblico, all'ascoltatore. Ognuno seguiva un suo percorso, mistico o non. Ognuno faceva un viaggio. Ogni uomo. E questo i Pink Floyd lo sapevano. Sapevano l'effetto che scatenavano nel pubblico. Da qui l'idea di mettere insieme un concerto concettuale, un concerto che non fosse soltanto un'esibizione delle proprie capacità (non sono mai stati bravi in questo). Che avesse un inizio, uno sviluppo ed una fine. Ciò che adesso per convenzione, chiamiamo Concept Album. Due parole associate con molta facilità a tutta la scena del Progressive Rock, sviluppatosi dal 1969, lungo tutti gli anni settanta.

Nel 1969 i Floyd si ritrovarono con tante canzoni scritte. Alcune erano già uscite nei precedenti album, altre dovevano uscire. Decisero quindi di legarle insieme e darle un senso compiuto. Ovviamente lo dovevano fare a modo loro...

 

 

 

“...Attendevo con ansia l'inizio del concerto, quando d'improvviso venni circondato dal dolce cantare di uccelli di bosco... Uccelli di bosco? Non può essere. Siamo al Concertgebouw, il miglior auditorium di Amsterdam. Non può essere. Mi girai, ma non riuscii a vedere niente. Le luci erano spente ed il pubblico era in silenzio. Non riuscivo a capire. Il suono proveniva da tutte le parti. Che meravigliosa diavoleria.

Lentamente il suono di due chitarre acustiche pervase l'aria. La voce decisa e dal tono calmo di Roger si impose delicatamente sul silenzio. Mi trovavo a Grantchester Meadows, a Cambridge. La giornata era appena iniziata e prima di andare al lavoro ho sentito l'esigenza di soffermarmi qui, in riva al fiume. Ho sentito il bisogno del cantare degli uccelli, del fiume di verde che scivola sotto gli alberi mentre sorridendo si dirige verso il mare. Volevo stendermi e farmi cullare dai sussurri della mattina nebbiosa e dai suoni soffici dell'aria...”

I Pink Floyd dopo la partenza di Syd si ritrovarono soli e sperduti, senza una chiara meta. Si ritrovarono senza una guida, senza un folle genio che li illuminasse la strada... Sapevano da dove venivano ma non dove andavano. Consci di essere già in viaggio decisero di sfruttare tutto quello che Syd aveva lasciato. E non solo. Decisero di sfruttare tutto. Qualsiasi cosa potesse tornare utile ai fini della musica. Decisero di farlo proprio mentre erano in viaggio. Proprio perché non c’è un migliore modo che scoprire se stessi e la propria musica se non tramite l’esplorazione. Quattro elementi diversi, quattro teste pensanti, quattro sensibilità diverse musicali. Quattro in uno.

"The Man & The Journey" è un’opera complessa, seppur poco famosa. Un’opera rock composta di due parti principali: l’Uomo e il Viaggio. L’Uomo nella sua quotidianità, nelle azioni più semplici e spesso insignificanti, sdraiato che contempla la natura o seduto che lavora. L'Uomo che costruisce, produce, mentre si prende il thé nel pomeriggio, che fa l’amore, che vive, respira, dorme, sogna. E tramite i sogni parte altrove, ovunque il suo subconscio lo porti. Tra le lande desolate o nella giungla rosa, tra le nuvole o in luoghi indefiniti per le masse ma definiti per il singolo individuo.

Il bello dei Pink Floyd è proprio questo, l’universalità dei concetti espressi tramite suoni, musica o silenzi. Un universalità che permette di pensare, che si espande internamente. Il miglior modo per assimilare la musica dei Pink Floyd è viverla. Lasciarsi andare. Non è facile, ma una volta aperto la porta della casetta, stanza, castello o baracca della propria anima risulta tutto più semplice. Più spontaneo e meno lineare. Nello stesso tempo definito come la luce del sole e indefinito come il vuoto tra i pianeti...

Nel 1969 si poteva fare tutto. L’Arte era ovunque, nei pensieri, nelle parole, nella musica, nei colori. Nel 1969 un gruppo musicale poteva permettersi di sbizzarrirsi nel migliore o peggiore dei modi. La tecnologia avanzava e la ricerca sonora iniziata da Stockhausen, Varese, Ligeti era ora all’apice ed in mano ai giovani. Giovani che avevano finalmente la libertà di poter mandare un nastro alla rovescia, registrarci sopra e rimandarlo normalmente. Giovani che potevano sfruttare tutto pur di riuscire nella musica, pur di esprimersi, suonare, creare, dipingere musica. Gli anni sessanta erano pieni di giovani del genere, con tanta voglia di fare e vivere cose nuove. I Pink Floyd facevano parte di questa generazione. Facevano parte dei giovani che suonavano tutta la notte all’UFO Club, riscoprendosi ogni volta in modo diverso, ricercando una via, ma non come dispersi, ma come esploratori. Come ricercatori sonori, musicali, ricercatori di stati d’animo, di vita, morte e tutto quello che c’è in mezzo. L’immensità della non conoscenza e la voglia di conoscere.

Non si sa chi e come ebbe questa malsana idea di costruire questo concerto concettuale. Sarà nato sotto gli influssi di Sgt. Pepper. “Loro lo possono fare, perché noi no?”. Chi lo sa. Si sa solo che si presentarono alla Royal Festival Hall con il possente titolo "The Massed Gadgets of Auximenes - More Furious Madness from Pink Floyd". E che sul palco successe di tutto, da mostri marini e gorilla che invadevano il palco e la platea, a cannoni sparati verso il pubblico (ovviamente niente esplosivo) e bombe fumogene rosa. Sviluppando così anche il loro originale strumento di diffusione sonora quadrifonica, chiamato Azimuth Coordinator, con il quale, selezionando lo strumento, la registrazione o la voce in particolare, si poteva farla diffondere circolarmente e manualmente su tutta la sala. Un primitivo Dolby Sorround, ma molto efficace. Tant’è che spesso e volentieri il pubblico non riusciva a distinguere da che lato i suoni arrivavano. Un modo così anche per far entrare l’ascoltatore dentro la musica, dentro i suoni...

 

 

 

“La voce profonda e decisa di Roger ruppe delicatamente l'intreccio tra le chitarre e il cantare degli uccelli. Mi riportò a terra. Mi riportò sulla mia poltrona. Cantava di quello che avevo visto io. Cantava di acqua, vento e terra. Di natura, di mattina, di prato coperto di rugiada. Di serenità. Ecco che al ritornello subentrò anche David, che con la sua soave voce dava un tocco ancor più delicato alla canzone. Tutti in silenzio. Il pubblico ascoltava. Tutto era così delicato e pulito.  Anche i tappeti sonori di Richard, stesi così delicatamente che non potevano che abbellire ed arricchire l'atmosfera ancor di più...”

Il concerto parte lentamente, con "Daybreak". Un modo furbo di richiamare l'attenzione del pubblico. Non con la potenza degli amplificatori, ma con la delicatezza delle voci e delle chitarre acustiche. Un brano delicato, acustico. Roger alla voce e chitarra classica, David accompagna con l'acustica e canta nel ritornello e Richard col suo Farfisa sigilla tutta l'atmosfera idilliaca della canzone. Il brano che successivamente andrà a finire sul LP "Ummagumma" è scritto da Roger, a Grantchester Meadows, a Cambridge, da qui l’omonimo titolo . Un punto di ritrovo per i giovani Floyd, dove trascorrevano le mattinate, i pomeriggi, le giornate. Una canzone serena, molto folk, una semplice struttura, due chitarre, due voci ed il Farfisa Compact Duo, l’organo principale di Richard Wright in quegli anni. Una canzone semplice ma ben arricchita da tanti piccoli dettagli che la rendono particolare, come il cantare degli uccelli (tutto in quadrifonia ...ovviamente) o l’assolo quasi orientaleggiante di Rick. Un’atmosfera sonora molto rurale.

 

 

 

    

 

 

“Fischio. Un treno? Ma che succede qui? Che stanno facendo? Sono pazzi! Stanno costruendo un tavolo. Con tanto di martelli, seghe e chiodi. Sembra di stare dentro quelle catene di montaggio. Sembra di essere un ingranaggio, sembra... La poltrona si rompe e sotto di me un nastro trasportatore mi trasporta via su vari livelli. Sento tutti i rumori che mi circondano. Giganteschi ingranaggi girano intorno a me, martelli pneumatici, pistoni meccanici, compressori, vapore... Tutto questo mi circonda, ma non sento dolore. Sento che mi sto trasformando. Sto solo diventando bianco e di ceramica... Sto diventando una tazzina... Una tazzina? E dentro di me una gigantesca teiera versa del tè... ”

La canzone finisce con il fischio che avvisa i lavoratori nelle fabbriche a iniziare a lavorare, a mettersi nella loro postazione e curare la loro parte della catena di montaggio. Nella fabbrica interstellare dei Pink Floyd succede di tutto. Non è difficile immaginare cosa, se si usa la fantasia. Non è difficile immaginare che con i chiodi ed il martello stanno costruendo un tavolo o una nave spaziale. Si. Proprio così. Spingersi oltre e riproporre una scena di vita quotidiana lì dove nessuno se lo aspetta. Sul palco. Nel bel mezzo di un concerto. L' unicità dei Pink Floyd consiste, tra le altre cose, nel saper cercare e usare elementi anche non proprio convenzionalmente musicali per raggiungere lo scopo. Non sono stati i primi e neanche gli ultimi. Dopo aver lasciato il paesaggio rurale di Cambridge, l’aria aperta, la natura, i campi, il nostro Uomo va a rinchiudersi in fabbrica, tra pomelli, leve ed ingranaggi. Va a costruire, a produrre. Diventa un numero, diventa uno con la macchina. Viene ossessionato dallo scopo di produrre. Produrre in continuazione. Con un ritmo frenetico. Non è più una rivoluzione industriale ma una chiara evoluzione. O involuzione. Dipende dai punti di vista. Tempi moderni.

Non c’è un modo migliore che esprimerlo con i fatti, con il lavoro. Si tratta del brano "Work". Un inedito, creato e concepito solo per "The Man And The Journey". Roger e David costruiscono un tavolo, con martelli, chiodi e seghe. Nick suona ossessivamente la batteria, mentre Richard riproduce suoni metallici con il Vibrafono. Tutto questo fino a che un ultimo fischio, scandisce e decide la fine del lavoro. Il tipico fischio delle fabbriche di un tempo. Riprodotto tramite il Mellotron. Un grandioso strumento che conteneva oltre ai nastri registrati dei vari strumenti (inclusi strumenti a fiato o a corda) anche una piccola libreria musicale (tanto caro a Tony Banks dei Genesis qualche anno dopo). Il fischio parte da lì. Da un piccolo nastro magnetico che risponde al richiamo elettrico di un tasto premuto...

Ed ecco che tutti si radunano al centro del palco, in silenzio e stanchi dal lavoro. Si siedono per terra e un roadie arriva e serve loro del thè. Si fermano del tutto e si riposano. Sono inglesi dopotutto. Non possono farne a meno. Ma fa parte dello spettacolo. Non è mero intrattenimento come concepito ai giorni d’oggi. E’ un’opera. Un’espressione concettuale. Un’interpretazione. Quando si va al teatro non ci si chiede il perché l’attore faccia questo o quello, lo si assume come parte del dramma o commedia. Così funziona anche coi Pink Floyd, con The Man And The Journey. E’ un interpretazione, una messa in scena. Geniale. Il lavoro è fatto, il thè è stato preso. Ora non rimane che trascorrere il pomeriggio in silenzio, accanto al fuoco, non pensando a niente. Aspettando il lento scorrimento del tempo. E' pomeriggio.
 

 

 

 

“Ecco che David prende la chitarra, la sua Stratocaster (era ora!) e inizia a suonare. Roger lo insegue. Inizia a cantare. Canta di riposo...”

Un blues. Un blues del pomeriggio. I Pink Floyd ed il Blues hanno un collegamento molto profondo, a partire dal nome per finire alla musica. Hanno sempre suonato il blues. A volte per divertimento a volte per concedere i bis nei loro live. Hanno iniziato a suonare con questa musica. Erano le prime canzoni che facevano nei loro primi live, nelle loro prime registrazioni. E hanno mantenuto questo collegamento per molto tempo ancora. Syd Barrett amava ascoltare i dischi blues di oltre oceano. David Gilmour adorava Jimi Hendrix. Roger Waters impara a suonare la chitarra (per poi passare al basso) proprio suonando brani blues. Nick Mason si divertiva, scatenava e rilassava suonando questa musica. E Richard Wright? Beh, Richard Wright aveva uno stampo più Jazz. Ma l'influenza blues in lui è stata sempre presente.

"Afternoon" è un brano scritto i primi del 1969. Farà parte del repertorio dei loro tour successivi fino al 1971. Sotto diverse forme, mutato, cambiato, accelerato o diminuito, cantato o semplicemente strumentale. Viene pubblicato ufficialmente su Relics sotto il nome "Biding My Time". La cosa curiosa di questo brano è che qui, Richard Wright suona il trombone. Lui aveva una passione per gli strumenti a fiato e qui non esita ad usarlo, accanto al vibrafono. "Afternoon" è un brano che dimostra chiaramente la matrice blues dei Pink Floyd. Quasi uno standard blues. Qui Gilmour dimostra quanto deve e quanto sia ispirato da Hendrix, anche se chiaramente con uno stile tutto suo, che nel corso degli anni migliorerà e renderà sempre più unico ed inimitabile.. Il brano incomincia a salire dopo gli assoli di Rick. David si lancia in un assolo blues fino al midollo, mentre gli altri membri lo sostengono. Questo è il suo momento. Dopo circa venti minuti di suoni tranquilli finalmente parte una “vera” canzone. Anche questo sono i Pink Floyd. Anomalie sonore...

 

 

 

 

“L'assolo di David è finito... Nick sostiene la fine con un tintinnio di piatti... Qualcuno inizia ad applaudire... Shhh! Ed ecco che parte con la batteria. Nel mentre David poggia la chitarra e si avvicina ai timpani..."

"Doing it" è una chiara trasposizione musicale del fare sesso. Espressa principalmente con le percussioni. Una delle rarissime volte dove Nick Mason si scatena in assoli. E per gli addetti al mestiere, anche una delle pochissime volte dove Nick usa la doppia grancassa. E mentre lui guida, David lo segue con i timpani sinfonici, in un intreccio percussivo quasi tribale. Non sono un gruppo di virtuosi. Durante i loro concerti non ci sono momenti dove ogni strumentista esegue un qualche assolo. I Pink Floyd sono un gruppo. Quattro entità unite insieme. E' la somma delle parti che conta. E' la musica. Il risultato finale. La pasta sonora che esce fuori da tutti i lati della sala. E' lì che sono nascosti tutti i segreti. E' lì che si trovano le risposte e le domande retoriche.

 

 

 

“Tichettii... Un orologio gigantesco mi suona da dietro. Un uomo mi respira di lato. E davanti centinaia di cinguettii metallici... Se chiudo gli occhi non li vedo. Se chiudo gli occhi non vedo David che percuote le corde della chitarra con il tone bar della lap steel e che muove le manopole del Binson Echorec. Non vedo Roger al gong, che crea onde su onde e Nick che lo segue con i piatti. Se chiudo gli occhi non vedo Rick, che suona il suo Farfisa... Meglio non vedere. Così mi allontano meglio dalla realtà...”

Il nostro Uomo, dopo aver fatto l'amore, si addormenta, si lascia andare. Chiude gli occhi e il suo tempo si ferma. Il mondo intorno a lui sparisce. Sta dormendo. "Sleep" è una delle tantissime improvvisazioni che i Floyd, in un modo o nell'altro hanno usato e riusato. Un pezzo strumentale, senza alcun ritmo. Una traccia senza tempo. Una traccia lasciata scorrere tra le mura della sala. Fatta girare ai quattro angoli e riportata di nuovo sul palco. Tra i membri del gruppo. Per poi essere rilanciata di nuovo in mezzo al pubblico. Delicatamente...

I Floyd hanno sempre ricercato sonorità. Con la loro musica, i loro suoni, hanno sempre cercato di andare altrove. Di andare oltre. E visto che andare fisicamente oltre la Luna e i pianeti era impossibile, allora hanno scelto la via più apparentemente semplice, ma più tortuosa e per niente facile... L'Anima. Questa è la destinazione che loro avevano sempre nei loro navigatori... L'Anima. Il luogo più nascosto, più indefinito e più stupefacente che ci sia. Come si fa a raggiungere il sospiro di Dio? Non ci sono parole, ne lettere da scrivere. Ma solo suoni. Perché il sospiro è un suono. Ed il suono è universale. Vibrano le corde dell'Anima. Il Suono è di tutti. Appartiene a tutti. E' il primo linguaggio che impariamo. Grazie ai Suoni, impariamo ad orientarci nello spazio. Impariamo le distanze, il pericolo, le sensazioni. E' perché riusciamo a sentire che riusciamo anche a parlare. Sappiamo che esistiamo perché ci esprimiamo. Con i suoni. Ed i suoni rientrano in noi. Alterati, cambiati, trasformati, ma sono sempre suoni. Il silenzio ci fa paura. I suoni alterati in un certo modo. I suoni con l'eco sono alienanti per noi, i suoni cupi e profondi ci spaventano. Il dolce frusciare delle foglie degli alberi ci rilassa... I Floyd questo lo sapevano... Ed è per questo che andavano sempre alla ricerca di sonorità dell'altro mondo. Sono le sonorità che ognuno di noi ha dentro. Sono i suoni che la nostra Anima produce. In silenzio. Mentre dormiamo.

E mentre le nostre membra si riposano, il nostro Sistema Nervoso Centrale, lavora, continua a produrre. I neuroni continuano a scambiarsi impulsi elettrici. I canali dei neurotrasmettitori si aprono. Le nostre porte della percezione si aprono. Mentre qualcosa veglia sul nostro non risveglio... L'elettricità vaga sul nostro corpo. Vaga tra i lobi, tra il talamo e l'ipotalamo... Sogniamo. Andiamo oltre. Facciamo gli incubi. "Nightmare"... Incubo. Incubi. I corvi ti stanno osservando dall'alto, le prospettive sono cambiate. Le farfalle cadono ai tuoi piedi... Questa è "Cymbaline", pubblicata successivamente su "More", l'LP colonna sonora dell'omonimo film di Barbet Schroeder. "Cymbaline" è stato un cavallo di battaglia nei concerti dei successivi anni. Suonata in modo diverso, cambiata, migliorata (o peggiorata a seconda dei gusti). Ma il mood è sempre lo stesso. La ricerca. Quella dolce melancolia e tristezza tipica inglese... Quella triste consapevolezza... C'è una cosa importante che caratterizza i Pink Floyd del periodo pre successo. Ovvero la presenza fondamentale sonora di Richard Wright. Lo si sente chiaramente mentre viaggia con il suo Farfisa. Richard, rispetto a David era arrivato molto prima al Suono dei Floyd. Si può quasi dire che in quegli anni era lui il leader sonoro. I suoi motivi orientali, delicati e a volte ossessivi. I suoi passaggi. Gli accordi quasi Jazz. Richard è stato fondamentale tra il 1968 ed il 1972. Senza i suoi tappeti sonori tutte le canzoni che conosciamo, non sarebbero state le stesse. Ma questo vale per tutti i membri del gruppo. La somma delle parti. Durante le esecuzioni future di "Cymbaline", i Pink Floyd facevano partire un nastro con degli effetti sonori, dove c'è un uomo che cammina, si aggira per le stanze, respira forte, apre porte... Fino a che all'ultima porta, succede qualcosa. Esplosione. Lascio a voi capire cosa poteva essere successo a questo uomo...

 

 

 

“Una sveglia. Vedo le lancette che girano, ma non sullo stesso asse. Il suono rimbalza ovunque, sto per impazzire... Applausi? No... Stavo per volare via. Forse è meglio così... Rimango qui a vedere/sentire come va a finire...”

L'uomo si sveglia. E' una tipica mattina, come tutte le altre. Si alza dal letto e i suoi piedi toccano la sabbia. Un gabbiano gli passa molto vicino la testa, lo sfiora. C'è qualcosa che non và. Infatti si ritrova altrove. Il suo viaggio è appena iniziato. E anche il nostro.

 

 

 

"THE JOURNEY".

 

"The Journey" è la seconda parte dello spettacolo. E' la parte del viaggio, dell'avventura. Il nostro uomo ha lasciato la reale realtà per il reale sogno. Anche se in realtà quando ci si sveglia da un sogno bello o brutto che sia, fatichiamo un po' per capire quale sia la verità.

Tutto ha un inizio. Come anche una fine. Questo inizio, "The Beginning", è una squisita e delicata canzone di Roger. Resa ancor più dolce dalla soave voce di David. Regala dei momenti sereni, dopo tanto turbamento. Anche se ti tiene sempre sulle nuvole. Con i piedi ben saldi su di esse. Diventerà "Green Is The Colour" e verrà pubblicata, come anche "Cymbaline" sull'album "More". Anche questa canzone subirà le sorti di tante altre di questo concept live. Ovvero, avrà una parte fissa nelle scalette live dei Pink Floyd. Il cantato di Gilmour, la batteria di Mason, il piano di Richard (altre volte il Farfisa) e la semplice ma efficace linea di basso di Roger danno a questo brano un tocco di delicatezza che piano piano cresce, senza mai perdere però il tocco soffice. Una canzone in tonalità maggiore, positiva, “allegra”, sempre a modo dei Floyd però. Nonostante questo, la canzone finisce in Re minore. Come per preannunciare un incontro poco piacevole. Come per dare una svolta inquietante e cupa. Con i Floyd non si può mai stare sereni. Nascondono sempre qualcosa. Non si rivelano mai in tutto e per tutto. Forse perché hanno dei segreti o forse perché il loro Io è oscuro e nascosto.

 

 

 

 

“Cado lentamente dalle nuvole e mentre mi avvicino piano piano alla terra, incomincio a vedere le prime sagome, i primi rilievi per niente rasserenanti. La tensione aumenta, mentre si scende. Ho messo i piedi per terra e cammino lentamente, guardo a destra e sinistra. Voglio capire dove mi trovo. Un'eterea voce mi fa alzare la testa e vedere che le nuvole sono state sostituite dalla nebbia. Intorno non si riesce a vedere niente. E' buio. Ma non temo il buio fuori, ma la mia oscurità interiore... Vedo qualcosa che si muove, ma non lo distinguo bene. Intorno a me gira un canto, ma non capisco da dove provenga ed ormai è troppo tardi per orientarsi, per tornare indietro. Le ombre incominciano a diventare più nitide. E le loro dimensioni aumentano sempre di più, man mano che si avvicinano. Non sono per niente tranquillo... Solo ombre che si muovono. Le mie pupille si dilatano per cercare la luce. Che non c'è... Fauci aperte di fronte a me.  Urlo...”

Re minore. Tutta la serenità costruita con "The Beginning" si perde, in un solo accordo. E tutto cambia. Tutto diventa oscuro. Potente, forte, e tenebroso. Il nostro uomo si ritrova circondato, in un qualche luogo sconosciuto, dalle creature delle profondità. E non si sa come ne esce, ne vincitore ne perdente. Ne esce però sconvolto... Abbattuto, stanco, ferito... E' il momento di "Beset By The Creatures Of The Deep". E' il momento della traccia emblema della psichedelia Floydiana. E' la canzone che più ha subito cambiamenti durante i 4 anni della metamorfosi esplorativa sonora dei Floyd. Si tratta di "Careful With That Axe, Eugene" (il suo titolo definitivo) Questa traccia ha svelato nel corso degli anni tanta di quella forza interiore del gruppo. Mille sfaccettature di ciò che definiamo musica, suoni, espressione, trasformazione, evoluzione. Mille colori, sentimenti, sensazioni, emozioni. Questo poema musicale è quanto di più riuscito nella storia musicale del gruppo. Questa espressione musicale, questo quadro vivente, ti avvolge, delicatamente, seguendo l'ostinato ritmo del cuore di questa bestia. Come una coperta di seta. Cupa e nera. Cori eterei ti attraversano, delicatamente, mentre dall'altra parte arrivano suoni ancestrali, suoni arcaici di un epoca indefinita... Razionalmente sono degli impulsi elettrici, comandati, accesi e spenti da dei tasti. Irrazionalmente sono le corde più intime dell'anima. Lì dove nessuno mai ci si avventura facilmente. Non di sua spontanea volontà...

Ma i cori eterni, i suoni dell'anima ti trascinano via, sempre delicatamente, ma ti portano via. Mentre ostinatamente si avvicina qualcosa... Mentre ci si avvicina a qualcosa... Non ho la conoscenza di sapere cosa sia. Se lo sapessi non sarei qui ora, a scrivere, razionalmente. Ma so che "Careful With That Axe, Eugene" fa paura. Una paura profonda, di tale intensità che fa venire i brividi. Che fa tremare e piangere. Che ti fa dire basta. Non sto bene, devo prendere aria. Devo allontanarmi da questi suoni. Eppure rimani lì fisso. Immobile. Come se volessi andare fino in fondo. Tremi. Respiri velocemente. Il cuore va all'unisono con la musica. Fino a che inizia a battere più forte. Sempre di più. Piano, ma forte. Piano ma forte. Poi forte. Forte. Forte. FORTE. ...Il torace esplode.

La seta che prima ti avvolgeva scivola via. Viene trascinata dagli urli del mondo interiore. Via da tutte le cose che odi. Esplodi anche tu. In mille pezzi. Ti scopri fragile. Vulnerabile. Mortale. Piangi. Urli. Ma senti che devi andare fino in fondo. C'è vento. Ti trascina via. Mentre dentro di te succede il finimondo. I mille pezzi brillano, prendono fuoco, diventano di ghiaccio, poi acqua, scompaiono, prendono forma. Indefinita. Un universo dentro di noi. Assisti fragile e impotente alla tua decadenza, alla tua distruzione, al tuo invecchiare, al tuo morire piano piano... Al tuo rinascere. Di nuovo. Respiri e sospiri. Era solo un sogno. Era solo la realtà...

Vento. La seta vola via. Il viaggio dell'Uomo continua, attraversando sentieri, terre del nord, oscurità e ostilità... Attraverso strette vie... "The Narrow Way" ha mantenuto lo stesso titolo anche nella versione di Ummagumma. Una canzone scritta interamente da Gilmour, testi e musica. Una canzone molto sottovalutata ma molto importante. Importante perché, soprattutto nella versione dell'album, Gilmour rivela molto ingenuamente una determinata direzione sonora. Con "The Narrow Way" abbiamo davanti a noi un'embrionale suono. Delle piccole caratteristiche che poi sarebbero diventate un punto forte nelle canzoni del gruppo. Come per esempio l'utilizzo della lap steel. Strumento che userà abbondantemente nei successivi album. La canzone pur mantenendo la stessa progressione di accordi per tutta la durata del brano, si evolve fino ad esplodere in un assolo distorto di chitarra, per poi calmarsi e guidare il nostro Uomo dentro la giungla rosa...

"The Pink Jungle" è l'unica canzone presa in prestito completamente, dal LP The Piper At The Gates Of Dawn. La canzone più vecchia tra quelle riproposte in questo concept live. Si tratta della canzone "Pow R. Toc H.", ...un insolito strumentale dal gusto quasi jazz (nella versione originale) accompagnato da urli e versi disumani di Roger e David (in questi live del 1969). Niente a che vedere con la versione Barrettiana del LP.  Qui è diversa e più selvaggia. E' dissonante. E' distorta, acida...

 

 

 

 

“Tra le urla e i versi di Roger e Gilmour, che per un attimo mi spaventano, parte un nastro registrato di un uomo che sta cadendo e urla, fino a cadere in una piscina... Piscina? Suoni liquidi? Acque sulfuree?  Ma, sembra una caverna, un labirinto...”

"The Labyrinths of Auximenes" non è nient'altro che una sezione di "Interstellar Overdrive" delle versioni dei live dal 1969 al 1970. Un ostinato riff di basso fa da guida, come per descrivere il labirinto ripetitivo, la destra e la sinistra che si mischiano insieme. Cicliche percussioni accompagnano i passi del nostro uomo che cerca di trovare una via d'uscita, mentre sulla sinistra-destra e destra-sinistra si alternano i metallici cinguettii della chitarra e gli acuti ripetuti e vibranti del Farfisa... Tutto cresce, tutto è ostinato. Come un labirinto. Senza uscita... Se vi state chiedendo cosa voglia dire Auximenes, beh, fareste meglio a non chiedervelo affatto. Perché nessuno vi saprebbe dire una risposta, neanche i Floyd stessi. Non si sa cosa sia. Una parola inventata forse, o un significato andato perduto tra i meandri del labirinto sonoro e psichico dei membri del gruppo. C'è anche spazio per le sorprese: il guastatore Peter Dockley entra in scena con un bizzarro costume che abbina il corpo da mostro marino alla testa nascosta da una maschera antigas, "The Tar Monster", ed inaspettatamente urina acqua sul pubblico con un bislacco meccanismo. Non tutto funziona a dovere, Gilmour si becca una scossa dalla sua chitarra che lo lascia tramortito per buona parte dello show ("The Massed Gadgets Of Auximenes – More Furious Madness From Pink Floyd", 14 aprile 1969, Festival Hall, London).

 

 

 

“Un forte respiro. Passi... Sento dei passi che mi girano intorno. Un uomo sta camminando. Per me, nel buio. Tira fuori la scatola dei fiammiferi, lo accende... Incomincia a camminare... Apre una porta. A destra. No, ora a sinistra. Continua a camminare. Il respiro aumenta. I passi anche.
Si avverte l'agitazione dell'uomo. Tira fuori le chiavi. Chiude e apre una porta. Cigolio che gira intorno alla sala. L'uomo comincia a correre. E' agitato. Respira forte, come se fosse un animale che sta per essere ucciso. Ma da cosa scappa? Chi lo sta inseguendo? Chi sta inseguendo? Ultima porta. Si ferma. La apre.
Esplosione... Luce!”

Questa è la sezione che i Floyd successivamente hanno usato durante "Cymbaline" nei mesi successivi. Un nastro magnetico, fatto partire da Rick, con i suoi ReVox e fatto circolare intorno alla stanza, con l'Azimuth Coordinator. Un frammento di un qualcosa di surreale che dal vivo doveva essere di forte impatto, con i suoni che vagavano intorno la sala/l'auditorium/il teatro/il luogo dove tenevano di volta in volta i concerti. La sezione sonora finisce con una forte esplosione alla quale ci si collega inizialmente David, con la chitarra, poi piano piano entrano Richard alle tastiere, Roger al gong e Mason sostiene il tutto con la sua batteria. Questa è "Behold The Temple Of Light" una traccia musicale inedita, che non è stata mai pubblicata. Forse un improvvisazione, forse derivata da "The Narrow Way". Anche questa una traccia molto alla Floyd. Una traccia sospesa. Una traccia che non decolla mai. Proprio perché già in volo. E in volo si rimane.

 

 

 

 

“E' tutto così splendente, accecante, bianco. Il forte riverbero della luce mi fa quasi chiudere gli occhi. Ma riesco a vedere tutto. L'eterna luce. Il volo. Il mio corpo non più tale. Sotto di me le nuvole. Sopra di me l'infinito... E' la fine. Ci siamo. E' la fine dell'inizio...”

“The End Of The Beginning”, la fine dell'inizio. Un ciclo. Un loop. La storia si ripete. Il viaggio continua. Oltre. La vita si ripete. La foglia cade dall'albero, si decompone, viene assorbita dalla terra, si trasforma in essa e va ad alimentare l'albero dal quale era caduta. In primavera, ritorna. Rivive. Nuova, diversa, splendente. Piena di luce. Questo è il ciclo della vita. Questo è quanto di più potente possa esserci sulla Terra. Noi esseri viventi che la popoliamo possiamo soltanto seguire il percorso e farci trascinare dal meraviglioso ciclo della vita. Sappiamo molte cose. Abbiamo inventato i numeri, la scienza, per capire. Per concretizzare tutto. Ma nonostante questo ci sono delle cose che non riusciamo a spiegare. Cose che non riusciamo a capire eppure è tutto così semplice. Tutti i segreti del mondo sono davanti a noi, su quel piattino, in mezzo a quel campo fiorito. Sotto quell'albero. Scivola tra i ruscelli. Il vento ce li sussurra tutte le volte che soffia. Il mare va e viene e ogni volta li porta sulla riva...  Le voci celestiali ci accompagnano, al di là del tempio della luce. Oltre L'Albero della Vita. Oltre le nuvole, oltre l'infinito silenzio dello spazio. I pianeti girano incessantemente sotto ai nostri piedi. Ma noi seguiamo la Luce. E siamo al sicuro...

"A Saucerful Of Secrets" è la fine del Viaggio. E' l'inizio. Questa potente traccia è stata pubblicata sul LP omonimo. Nel 1968. Quando ancora non si sapeva nulla delle suite del Rock Progressivo. Quando nella musica si iniziava a sperimentare sulle canzoni lunghe e descrittive. Con un inizio, uno sviluppo ed una fine. Da qui a interi album concettuali, il passo è breve. "A Saucerful Of Secrets" è un sigillo. E’ una chiusura. E’ il ponte di passaggio tra la psichedelica ed il progressive. I Floyd da inventori, diventano ricercatori. Ricercatori di suoni perduti, ricercatori del caos, dell’entropia sonora. Questo brano, come anche altri da questo concerto concettuale, diventerà parte integrante degli spettacoli fino al 1972. Anche questa ha subito le sorti di tante altre canzoni, cambiando spesso forma, ma strutturalmente la stessa. Questo brano è un’ascensione, è un’elevarsi al di sopra di ogni cosa. Elevarsi al di sopra di se stessi. Uscire dal proprio corpo e rimanere sospesi a guardarsi, a guardare il mondo…

Un “ingenuo” Norman Smith, dopo aver registrato la traccia, per l’Ellepì commentò: “Finalmente adesso iniziamo a lavorare sul serio”, dimenticandosi che i Floyd così lavoravano sul serio. Questo era il loro lavoro. Ricercare i suoni che si ottengono percuotendo il gong o piatti, ottenere e manipolare nuovi suoni. Pizzicare le corde del piano, col pedale del sustain premuto, suonarle con le bacchette. Utilizzare il Vibrafono, l’Hammond M-102 o il Farfisa Compact Duo filtrato tramite il Binson Echorec 2, gloriosa macchina italiana capace di generare una varietà di suoni echeggianti tra l’infernale ed il celestiale… "A Saucerful Of Secrets", piano piano, diventa uno dei brani principali e fondamentali nella storia dei Pink Floyd. Si evolve nel corso dei giorno, mesi e anni di tour. Passa tra i cori iniziali eseguiti e registrati col Mellotron ad uno straziante cantato di David Gilmour, che rende ancor più drammatica l’intera esperienza sonora. Nick il suo ostinato e sincopato riff alla batteria, lo cambia in continuazione. Richard passa tra il violentare il piano con i pugni, con le mani, le braccia, al manipolare i suoi fedelissimi Binson Echorec e Farfisa. Roger usa tutta la sua forza per scuotere il grande gong/Sole. E David distorce tutta l’atmosfera con la sua chitarra, riempiendo tutti gli spazi delle frequenze. Un onda sonora di tale potenza, che non fa altro che scuoterti dalla testa ai piedi. Totalmente.

"A Saucerful Of Secrets" non è importante solo come brano fine a se stesso. Ma è importante anche per aver ispirato "Atom Heart Mother"… I Floyd, il 26 Giugno 1969, alla Royal Albert Hall, eseguono, per la prima volta in assoluto, una "Celestial Voices" (l’ultima sezione del brano) con l’aiuto della sezione dei fiati della Royal Philarmonic Orchestra, condotti niente popò di meno che da Norman Smith, e con l’aiuto del coro di Ealing Central Amateur Choir, raggiungendo così un picco musicale di indescrivibile bellezza. E da qui che decisero di collaborare con un orchestra per costruire l’epica "Atom Heart Mother"… Ma questa è un’altra storia. Richard Wright raggiunge il grande organo a canne ed inizia a suonare e piano piano anche la sezione dei fiati lo segue, fino a quando il coro non inizia a cantare… Ed è lì che la volta celeste si scioglie e diventa una sola ed unica cosa con la terra. Ed è lì che gli angeli, le stelle e tutto ciò che di bello esiste oltre le nostre vite ed oltre i nostri sogni ci copre. Ci avvolge, ci protegge, ci culla. Ci prende in braccio per una gita turistica intorno l’Universo. E si parte con tutto il gruppo che si unisce ed accende i motori. Potenza sovrumana. Sensazione incredibile. Un excursus straordinario dentro e fuori. Dieci minuti lunghi un infinità, lunghi un battito cardiaco, un battito d’ali, un sospiro. Un esplosione… Due grossi cannoni, reliquie della battaglia di Waterloo, riportano tutti quanti a terra. E una bomba fumogena rosa pervade l’aria, sigillando per sempre quest’attimo infinito…  Questa “Floydata” causa così l’esclusione dei Pink Floyd dal suonare di nuovo alla Royal Albert Hall, a vita. Per “danni” fisici alla struttura…

Non calcolando affatto i danni morali, di chi come me ha “sentito” e “visto” i concerti indirettamente. Non calcolando le sensazioni trasmesse, le lacrime, i sorrisi, la gioia nel riscoprire “nuove” registrazioni non ufficiali di concerti sconosciuti. Lo stupore, nel riscoprire filmati d’epoca, che piano piano escono dai sotterranei della EMI o dal garage dell’anonimo di turno, che all’epoca, aveva ripreso tutto con la sua Super 8, oppure aveva registrato il concerto con qualche rudimentale Tascam… Non calcolando l’eterno stupore nel riscoprire ogni volta piccoli dettagli nelle canzoni riascoltate, come se fossero vive, in continuo mutamento… Se non fosse per le leggi fisiche dei solchi tracciati sui Vinili o gli 0 e 1 sui CD, diremmo che è musica che cambia.

Musica che si evolve. Musica viva. Ma siamo stati intrappolati dalle nostre stesse leggi, sacrificando la poesia ed il romanticismo per le spiegazioni concrete, pratiche. Per la scienza. E razionalmente possiamo dire di essere vivi, perché respiriamo, perché riusciamo ad ascoltare le nostre voci (il Suono c’entra sempre), perché vediamo, amiamo, odiamo. Siamo vivi perché lo sappiamo. O perlomeno crediamo di saperlo. Ma ciò che ci rende ancora più vivi è l’interazione. E’ L’Altro. Gli Altri sono la prova vivente del nostro essere vivi (il gioco di parole è voluto). E la musica dei Floyd fa interagire. Col proprio io, con gli Altri…

Perché i Pink Floyd sono...

 

 

 

 

 

"THE MAN & THE JOURNEY". LE ESECUZIONI DAL VIVO.

14 aprile 1969 – Londra, Royal Festival Hall
Presentazione della suite The Man/The Journey (registrazione audio)

9 maggio 1969 – Southampton, University, Old Refectory
Della suite furono eseguite solo The beginning/Beset by creatures of the deep (registrazione audio)

12 maggio 1969 – Londra, BBC Paris Cinema
Registrazione dal vivo per il programma radiofonico “Top Gear” di BBC Radio One; furono eseguite Daybreak, Nightmare, The narrow way, The beginning; Beset by creatures of the deep

16 maggio 1969 – Leeds, Town Hall *

24 maggio 1969 – Sheffield, City Oval Hall *

30 maggio 1969 – Croydon, Fairfield Halls *

8 giugno 1969 – Cambridge, Rex Cinema *

10 giugno 1969 – Belfast, Ulster Hall *

14 giugno 1969 – Bristol, Colston Hall *

15 giugno 1969 – Portsmouth, Guildhall *

16 giugno 1969 – Brighton, The Dome *

20 giugno 1969 – Birmingham, Town Hall *

21 giugno 1969 – Royal Philarmonic, Liverpool *

22 giugno 1969 – Manchester, Free Trade Hall * (registrazione audio)

26 giugno 1969 – Londra, Royal Albert Hall “The final lunacy!” *
In The Journey la band fu accompagnata dalla sezione fiati della Royal Philarmonic, The end of the beginning fu eseguita con il coro (registrazione audio)

8 agosto 1969 – Streat, Plumpton Race Track “9th National Jazz & Blues Festival”
Fu eseguita solo la suite The Journey (registrazione audio)

17 settembre 1969 – Amsterdam, Concertgebouw
Concerto successivamente trasmesso dalla radio olandese.

23 gennaio 1970 - Parigi, Theatre des Champs-Elysées
Concerto trasmesso dalla radio francese. Della suite The Man furono eseguite solo Daybreak/Sleeping

24 gennaio 1970 - Parigi, Theatre des Champs-Elysées
Fu eseguita solo la suite The Man

2 febbraio 1970 – Lyon, Palais des Sports
Fu eseguita solo la suite The Man
 


(*) Le date del tour inglese incluse nel programma ufficiale.

Questa la scaletta: The Man: Daybreak, Work, Afternoon, Doing it!, Sleeping, Daybreak (reprise)
The Journey: The beginning, Beset by creatures of the deep, The narrow way, The pink jungle, The labyrinths of Auximenes, Behold the temple of light, The end of the beginning.
Una prima edizione del programma fu stampata appositamente per il concerto del 14 aprile alla Royal Festival Hall.






 

 

Copyrights & Credits.

Racconto a cura di Arber Njdoi (maggio-novembre 2012), la traduzione dello speaker del Concertgebouwn è di Bobby Hassall/Bert Van Kalker. Fotografie prese liberamente dal web (copyright dei rispetivi autori).

* Parte della presente ricerca è stata approfondita ed inserita nel libro dei Lunatics: "PINK FLOYD. STORIE E SEGRETI" (Giunti Editore, 2012), ISBN-EAN: 9788809773745, con l'autorizzazione dei rispettivi autori. Pertanto, ogni loro uso è strettamente vietato dalla legge.  www.thelunatics.it

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