GLI STABILIMENTI DELLA EMI ITALIANA DI CARONNO PERTUSELLA.

 

 

 

l  Il ricordo degli stabilimento di Caronno Pertusella, attraverso il racconto di Francesco Cerato, tecnico del suono a Caronno.

 

""La cosa mi fa molto piacere, in quanto lavorai presso l’impianto di pressatura e di duplicazione della EMI in Italia sino al pensionamento, avvenuto nel 2003. In quel periodo l’impianto stava per essere ceduto ad un’altra società, la I.M.S., che ebbe parecchie problematiche e dopo alcuni anni travagliati i lavoratori più giovani perdettero tutti il loro posto di lavoro.

Personalmente entrai nella fabbrica di dischi della EMI nel lontano 1968, inizialmente come tecnico addetto alla riparazione delle presse più vecchie, di tipo idrodinamico. Con l’avanzare della tecnologia e l’inizio degli anni ’70 venne istituto un laboratorio interno per la lavorazione dei nastri magnetici di backup e per la creazione in loco delle lacche. Le presse più vecchie vennero dismesse e subentrarono macchine più moderne; inoltre, si iniziò a produrre anche nel nostro impianto le musicassette e gli stereo-8. Fu a quel punto che, grazie ad una passione personale per tutto ciò che era audio ed alta fedeltà, imparai il mestiere di tecnico del suono. Lavorai poi come esperto in quel campo sino alla cessione della ditta da parte della multinazionale (noi facevamo indirettamente capo a Londra) alla I.M.S., e, quindi, al mio pensionamento.

A Caronno Pertusella non vi era nessun “ufficio di tipo musicale” della EMI: gli uffici aziendali per l’Italia (Artisti e Repertorio) erano inizialmente a Roma ed in seguito vennero spostati a Milano. Lì, in provincia di Varese, c’erano soltanto uffici tecnici (a titolo d’esempio quelli che curavano le spedizioni, il magazzino, il personale). C’era poi la fabbrica, che vista ora, abbandonata e dall’esterno, non può dare l’idea di quanto fosse grande l’impianto in questione. Penso che dopo il Phonoster di Tribiano ed il Phonodisc di Hannover, il nostro dovesse essere il terzo più grande d’Europa. Durante gli anni ’70 ed ’80 dello scorso secolo sicuramente.

Molte etichette musicali e case discografiche non legate alla EMI si servivano del nostro impianto. È il caso, per esempio, della Platten Durcharbeitung Ultraphone di proprietà della cantante Mina. Tutti gli LP e le cassette di quella etichetta italo-svizzera, la PDU appunto, vennero lavorati e prodotti a Caronno Pertusella: era un catalogo piuttosto vasto il loro, come quello di altre etichette discografiche, che la EMI non si limitava a distribuire per i magazzini musicali italiani, attraverso i nostri depositi, ma anche a produrre.

Nei primi anni ’80 anche la Virgin inglese si affiliò al nostro impianto. Precedentemente, la nota casa discografica d’oltremanica si serviva per l’Italia della Dischi Ricordi. Quando venne stipulato un contratto in esclusiva per l’Italia, venne creato un ufficio apposito della Virgin Records a Milano, ma tutto ciò che si trovava nei negozio italiani di musica, riguardante nello specifico questo marchio, era stampato da noi.

Con la fine dell’era delle audiocassette, durante i primissimi anni ’90, l’impianto venne equipaggiato con macchine digitali per la riproduzione massiva di compact disc, ma, in quel caso, noi operavamo per ciò che riguardava i glass-master soltanto per gli artisti italiani. Per gli inglesi, ad esempio, le matrici di stampa erano in conto d’uso. Si può notare che in alcuni vecchi compact disc vi è un timbro a secco della SIAE stampigliato nel cartoncino posteriore (nei casi più recenti si notino le varie tipologie di bolli SIAE). Il timbro a secco (o i bolli) e la scritta nel supporto “Made in Italy” sta a indicare che quei dischi digitali vennero prodotti sempre a Caronno Pertusella.

Nel frattempo era continuata e si era intensificata la lavorazione per conto della Virgin Italiana, che nel frattempo era divenuta una Società per Azioni controllata direttamente dagli uffici milanesi della EMI. Avendo lavorato in laboratorio sin dall’inizio degli anni ’70, avevo, con alcuni colleghi, creato anche un bellissimo archivio aziendale. Il nostro archivio era un fiore all’occhiello; con il pensionamento ho potuto portare con me soltanto il materiale che sarebbe dovuto andare già anni prima al macero, a causa della perdita dei diritti di stampa. Comunque, niente che riguardi i Pink Floyd purtroppo. Le dico soltanto che durante gli anni della successiva gestione IMS quell’archivio è sparito nottetempo. All’interno si potevano trovare dischi e musicassette invenduti e ancora celofanati, test pressing, il tutto molto datato; addirittura alcuni impianti stampa, sebbene a Caronno Pertusella non si lavorava le confezioni. Gli operai soffrirono qualche anno, dopo il 2003, a causa di stipendi non pagati, cassa integrazione, eccetera. Forse potrebbe essere stato questo il motivo per cui l’archivio aziendale scomparve ben prima della chiusura definitiva della IMS.""  

(intervista: settembre 2021).

Francesco Cerato
 

 

 

 

l  Il ricordo delle lavorazioni negli stabilimento di Caronno Pertusella, attraverso il racconto di Francesco Frangipane, tecnico della sezione galvanica a Caronno.

 

""Uno strano e particolare ricordo che riguarda il periodo passato nella lavorazione dei vinili è il seguente: per la creazione della copia madre bisognava prima creare una copia metallica in negativo; per face ciò, si effettuavano con attenzione vari passaggi ed i bagni galvanici. Ogni qual volta lavoravo in galvanica, per alcuni giorni non riuscivo poi ad ingerire nulla di solido e l’unica bevanda che riuscivo a bere era la spremuta di pompelmo. Prima del 1968 lavoravo in un piccolo impianto di stampa di Ernesto Gurtler, ma poi venne chiuso, loro si servirono di impianti francesi per la stampa dei vinili. A quel punto, dopo un colloquio di lavoro a Lugano, in Svizzera, ricevetti con sorpresa una lettera, non dalla Svizzera ma dalla EMI Italiana. Nel 1968 iniziai, dunque, a lavorare a Caronno Pertusella, nel loro impianto di pressatura e duplicazione. Importante menzionare al fatto che sino a pochi anni prima quella fabbrica non era della EMI, ma di un’altra casa discografica, “La Voce del Padrone”. Rispetto alla precedente esperienza lavorativa, in EMI era tutto differente. Si trattava di una grande fabbrica di proprietà di un colosso mondiale nel campo dei supporti fonografici; tutto era molto più professionale e ogni dipendente aveva un proprio compito specifico. Bisogna tener presente però che prima del 1970 in quell’impianto non si raggiungevano i numeri che poi si sarebbero ottenuti a partire dai primi anni ‘70, quando l’impianto e l’intera fabbrica venne ingrandito e soprattutto aggiornato.

Veniamo ora ai Pink Floyd, uno dei gruppi musicali inglesi che sicuramente vendettero milioni di album e singoli anche in Italia. Essendo una rock band che ha venduto moltissimo, presumo sia questo il motivo per cui ci sono delle difficoltà a datare le uscite nazionali. Inizio però con una premessa: a Caronno Pertusella, come per altre importanti formazioni musicali inglesi, le stampe dei Pink Floyd sono iniziate sicuramente dopo il 1970 (forse fine 1969). Se tu dovessi trovare in qualche giornale degli anni ’60 un annuncio riguardante un’ipotetica uscita discografica italiana dei Pink Floyd, nello specifico non si dovrebbe fare riferimento alla fabbrica della EMI per la stampa del vinile. Soprattutto per quanto riguarda il marchio COLUMBIA, si fa riferimento ad una “COMMISSIONE”, come all’epoca si usava: succedeva di sovente che gli artisti stranieri venissero stampati conto terzi, soprattutto quando si trattava di produzioni monofoniche, la EMI commissionava quindi, prima del 1970, stampe in monofonia o stereofoniche molto economiche ad una fabbrica di proprietà della Società Fabbri, quella dell’editoria per intenderci; questa possedeva un proprio impianto di stampa e duplicazione in località Mediglia, dove oggi c’è la zona industriale di Zoate nel comune un tempo di Tribiano ed oggi appartenente alla Città Metropolitana di Milano. In quell’impianto venivano prodotti anche i primissimi dischi in vinile 33 giri / 10 pollici destinati alle edicole; una bella novità per l’epoca, alla portata di quasi tutte le tasche.

Stiamo logicamente parlando della seconda metà degli anni ’60. Nel 1970 circa quell’impianto di Zoate divenne di proprietà della Melodicon e poi della succursale italiana della Phonogram olandese, un’importante multinazionale che aveva partecipazioni in borsa anche con la tedesca Siemens. Fu a quel punto che il Gruppo EMI/Parlophone/Capitol volle potenziare l’impianto italiano in provincia di Varese, proprio a Caronno Pertusella.

Era inoltre quello il periodo in cui iniziò una sorta di “guerra” tra le aziende musicali. Ogni grossa casa discografica creò delle sub-etichette (chiamate semplicemente “label”), che dovevano fare però capo, per quanto riguardava i cosiddetti “DIRITTI CORRELATI”, al proprietario fisico della casa madre (o agli azionisti, se ti trattava di Società quotate in borsa). Con l’avvento di quelle che all’epoca gli inglesi chiamavano “label” e con la politica dei già citati “diritti correlati”, un po’ tutte le multinazionali del disco crearono dei propri siti di produzione o potenziarono quelli esistenti; questo accadde in quasi tutti i paesi del blocco occidentale, nelle zone del mondo ove vigeva cioè il libero mercato.

All’inizio questi impianti potevano lavorare produzioni di altre etichette non legate però ad una “major”; un paio di esempi per la EMI Italiana erano l’inglese Virgin Records (non prima del 1983) e ben prima l’italo-svizzera PDU. Contemporaneamente, non potevano produrre materiale di altre case discografiche definite appunto “major”, perché i “diritti correlati” non venivano mai scambiati tra le società più grosse. Questa politica cominciò a cambiare soltanto con l’avvento delle retrospettive dedicate al pop (le compilation economiche seriali), questo perché le “major” iniziarono a scambiarsi i “diritti correlati” per alcuni brani musicali. Mai succedeva, però, la cessione di un intero album o di un intero singolo musicale.

E qui possiamo finalmente esaminare il discorso dell’anno trascritto nella superficie morta del vinile (“run-off”). Puoi anche notare nei centrini dell’etichetta una “P” cerchiata ed un anno in numero (per esempio, “(P) 1975”). Se noti, ancora la scritta nella matrice policloroetenica potresti trovare lo stesso anno (ad esempio, “01-02-1975”). Le due scritte stanno a significare le seguenti cose: i diritti dell’editore della musica contenuta nel supporto fonografico originale sono stati incamerati in Italia da un sub-editore e concessi per la diffusione italiana a partire dall’inizio del 1975; nello stesso periodo un tecnico del suono in laboratorio ha realizzato la lacca (“lacquer”). Nel caso della EMI Italiana non è tuttavia sempre vero che quella data coincida con la distribuzione per il territorio italiano. In alcuni casi potrebbero coincidere, ma in altri casi no.

Breve parentesi: la “P” contraddistingue l’anno di pubblicazione per il territorio italiano; in inglese “PUBLISHED”, che deriva da “PUBLISHER”, che in italiano significa “EDITORE”; per pubblicazione si intende l’incameramento di certi e specifici diritti musicali ad opera di un editore nazionale, non necessariamente dovrebbe essere considerato l’anno di distribuzione del supporto fonografico. Questo perché i diritti di riproduzione meccanica sono una cosa, la musica scritta, depositata e trasmessa un’altra. Ma cosa accadeva nella realtà prima di stampare un vinile? Quando la EMI Italiana riceveva quindi i diritti di pubblicazione dal sub-editore regolarmente iscritto prima del 1970 al SEDRIM/BIEM ed in seguito alla SIAE, procedeva con la richiesta di un master ad uso interno su banda magnetica. Si trattava di creare cioè due nastri di backup ricavati da una bobina madre, che doveva essere poi spedita ad un altro impianto di stampa, sempre di proprietà della EMI, ma in un’altra nazione. Quando nel corso degli anni la bobina madre finiva il suo giro, avrebbe dovuto tornare al punto di partenza. Qualche volta ciò non accadeva, a causa di smarrimenti, incendi, danneggiamento accidentale o altre cause.

Comunque sia, a quel punto era possibile iniziare la lavorazione e procedere poi con la stampa di quelli che venivano chiamati test pressing (prove di stampa). I test non erano assolutamente destinati al pubblico mercato e mediamente ne venivano realizzati pochi esemplari, rispetto alla tiratura finale s’intende. I dischi prova venivano ascoltati, quindi, utilizzando un impianto audio ad alta fedeltà ed un impianto audio molto scadente. Il processo, prima di giungere alla stampa massiva, era talmente meticoloso che non ci si fidava nemmeno del precedente step al microscopio. Il test relativo al disco prova consisteva nel recepire all’udito un buon risultato ed una buona risposta in frequenza, sia sull’impianto professionale, sia attraverso il riproduttore più economico (più in là negli anni venivano utilizzate, invece, delle apparecchiature elettroniche per l’analisi). Se qualche cosa non andava si doveva logicamente ricominciare tutto da capo e ristampare il test pressing. Al di là di queste faccende, non si sarebbe potuto procedere con la stampa massiva, l’imbustamento e la distribuzione. In attesa delle prove, la EMI commissionava intanto la copertina di cartone ad una tipografia esterna che lavorava per essa.

La stampa definitiva dei vinili e la commercializzazione per il mercato italiano iniziavano soltanto quando giungevano in Italia i “diritti correlati”. Non era mai il produttore musicale del disco o l’editore locale a spedire questo “speciale copyright”, ma il proprietario della casa discografica facente capo alle varie etichette: nel caso di specie, essendo la EMI una multinazionale, i “diritti correlati” venivano concessi dall’amministratore delegato (un inglese nel caso dei Pink Floyd; questo perché le produzioni erano uscite precedentemente in Inghilterra).
Essendo dunque la rock band britannica, il permesso definitivo (attraverso appunto i “diritti correlati”) poteva giungere soltanto da Londra, se si fosse trattato invece di un complesso della Repubblica Federale Tedesca il permesso definitivo sarebbe giunto da Colonia, dove aveva sede la società Electrola, se invece si fosse trattato di un cantante francese il permesso sarebbe giunto da Parigi, dove aveva sede la società Pathé Marconi, e via dicendo per ognuna delle produzioni straniere. All’inverso, se un impianto EMI straniero doveva stampare una produzione della EMI Italiana, la procedura era identica, ma all’inverso, i “diritti correlati” sarebbero dovuti giungere dall’Italia, non necessariamente in concomitanza con quelli dell’editore locale in sub-licenza. Spesso, tra la ricezione dei diritti di pubblicazione e la comunicazione scritta con i “diritti correlati” passava un po’ di tempo. Se si trattava di qualche mese l’album sarebbe uscito nello stesso anno; seguendo l’esempio di cui sopra nel 1975. Se si trattava, invece, di più di 12 mesi, l’album sarebbe uscito per il mercato italiano nel 1976, sebbene l’anno impresso nel centrino dell’etichetta o nella parte di lacca morta riportasse come data il 1975. Naturalmente, nel momento in cui tutto era in regola e la EMI Italiana comunicava ai giornalisti l’uscita di un disco, anche i test pressing non utilizzati per le prove d’ascolto potevano uscire dall’impianto. Quelle copie erano a quel punto destinate per lo più ai giornalisti e soprattutto agli iscritti all’Associazione Italiana dei Disc-Jokey Radiofonici, a cui venivano inviate tutte le uscite discografiche gratuitamente.

In alcuni casi, sempre nel centrino di etichetta, si potrebbero trovare le scritte “C.C., D.L., D.P., D.R.”; in quei casi specifici si dovrebbe postdatare di parecchio l’uscita rispetto ai primissimi rilasci nazionale. Nella fattispecie si trattava di riedizioni che conservavano i “diritti correlati”, ma che ravvisavano la non più esistenza in Italia di un editore con l’opera incamerata, oppure l’inverso: una riedizione che conservava il diritto derivante dall’editore ma non più i “diritti correlati”. Le ristampe rimanevano possibili poiché la data di cessazione del contratto per l’Italia non era ancora scaduta e si usava ripubblicare i dischi con i diritti riservati ai detentori originali, perlopiù stranieri.

Un’altra questione riguardava il magazzino: a Caronno Pertusella venivano stampate migliaia e migliaia di copie di un singolo disco in vinile, il numero preciso veniva deciso da un apposito ufficio di tipo commerciale. Presumo che in quegli uffici esistessero dei registri dove annotavano la quantità di dischi stampati e forse riportanti anche le date ufficiali della discografia; sicuramente esistevano dei documenti che tenevano conto delle copie vendute ogni giorno, mese, anno. Anche di quelle invendute che, con la cessazione dei diritti per l’Italia, finivano poi in macinatura per il riutilizzo della materia prima. A questo scopo, c’era un macchinario che chiamavamo “mulino”: era una specie di macina, che serviva per la distruzione dei dischi; il polivinilcloruro veniva ridotto a piccoli pezzettini con i quali si creavano poi dei nuovi “biscotti” per le presse. Non saprei dirti comunque se quegli archivi sono stati conservati, penso però che visti gli anni trascorsi sia quasi impossibile trovare una sorta di banca dati dell’azienda.

Comunque sia, man a mano che un determinato disco andava ad esaurirsi, se il contratto era ancora valido per l’Italia, si poteva tranquillamente procedere con altre e nuove tirature di stampa, e poi negli anni con altre ancora, sino alla naturale scadenza dei permessi. In questo modo gli stampi si andavano però consumando e, pertanto, i vinili più recenti potevano via via suonare diversamente, rispetto alle prime edizioni. L’ascoltatore perdeva, quindi, negli anni, acquistando le stampe più recenti, una qual certa qualità dal punto di vista della resa.

Per quanto riguarda le musicassette invece, ti posso dire che a Caronno Pertusella si iniziò la loro lavorazione tra il 1972 e il 1973, terminata poi nei primissimi anni ’90 (azzarderei il 1993). Potresti tuttavia trovare in commercio delle cassette italiane distribuite ad esempio nella seconda metà degli anni ’90, ma non prodotte fisicamente in provincia di Varese, in quanto si era finito con l’appoggiarsi per l’Italia ad uno stabilimento olandese di proprietà della EMI, forse quello di Uden. Dopo il 1993 circa, ti posso dire che in Italia si procedeva solamente con il confezionamento e non con la duplicazione, questo perché l’impianto era stato quasi interamente convertito per la duplicazione di supporti digitali in compact disc. Per le cassette bisognava procedere con la creazione di un altro tipo di master ad uso interno, sempre su nastro, ma differente da quello usato per i vinili, questo per faccende tecniche un po’ complesse da spiegare. Si lavoravano così altri due nastri di back up ricavati sempre dalla bobina madre.

Un ulteriore discorso a parte andrebbe fatto anche per i vinili con codifica analogica SQ, ma non si dovrebbe trattare di produzioni EMI e, pertanto, dubito possano esistere degli LP dei Pink Floyd in quadrifonia di origina italiana. La memoria potrebbe ingannarmi in questo caso ma le produzioni Stereo-Quadro erano talmente poche che mi ricorderei dei Pink Floyd. Questa particolare tipologia di dischi e la tecnologia che ne era alla base era a parere personale veramente sorprendente; si dimostrò però un grande e immeritato buco nell’acqua. Ricordo che in laboratorio potevamo contare su delle cuffie quadrifoniche marchiate JVC dotate di due altoparlanti per ogni padiglione: due altoparlanti sul davanti e due verso il retro della testa; era una tipologia di ascolto molto stimolante e la tecnologia alla base permetteva inoltre una resa superiore al classico formato stereofonico. Ricordo un viaggio di lavoro in Austria, deve essere stato il 1976; si stava discutendo sul fatto che i giapponesi sembrava potessero incidere i vinili con una resa qualitativa ben superiore a quella europea. Qualcuno adombrò l’idea che stessero utilizzando e sperimentando le varie codifiche in quadrifonia (soprattutto il Quadro-8 e il Quadra-Surround) remissando per conto loro i master e procedendo poi con la relativa tecnica di taglio, incisione, duplicazione. Mi ero riproposto di acquistare alcuni dischi stereo giapponesi e di provare a confrontarli con alcune nostre produzioni dichiaratamente in quadrifonia, ma poi non se ne fece nulla, causa l’abbandono di questa tipologia di produzioni. Rimane il fatto che un disco quadrifonico, ascoltato anche con un semplice giradischi ed un amplificatore normale, suoni molto meglio rispetto al medesimo prodotto codificato nel canonico formato stereo.""

(intervista: settembre 2022).

Francesco Francys Frangipane

 

 


 

 

 

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