Il Sergente Romano

 

 


 

 

Voglio dedicare una intera sezione del sito Briganti al SERGENTE ROMANO,perché la sua é una figura profondamente diversa,dalla maggior parte dei Briganti che animarono la resistenza anti piemontese nell'ormai ex Regno delle Due Sicilie.

Errico La Morte,o Il Francescano Terribile, furono i nomi di battaglia di Pasquale Domenico Romano di Giuseppe e di Anna Concetta Lorusso.Nato a Gioia del Colle (Ba) il 24 agosto 1833, sin da piccolo aiutò il padre nell'accudire le pecore.Questo gli permise di conoscere a fondo quei luoghi,che lo vedranno dominatore incontrastato qualche decennio più tardi.Nel 1851 si arruolò nell'esercito borbonico,dove intraprese un'ottima carriera militare,diventò infatti primo sergente alfiere della I^compagnia del V° reggimento in linea (grado,che in operazioni belliche,sarebbe di tenente).Durante il servizio nel real esercito borbonico,imparò a leggere e a scrivere e questa é un'altra caratteristica non comune tra i Briganti del periodo.Infatti ci troviamo di fronte ad una figura  molto diversa da quella del contadino analfabeta,a cui non fu concessa nessuna alternativa alla fame e alla miseria. Disciolto l'esercito borbonico, il nostro sergente rientrò a Gioia,dove non trovò certo un comitato d'accoglienza, anzi fu spesso deriso dalla fazione liberale vincente,che certamente,mai avrebbe permesso ad un plebeo di migliorare la propria condizione.Pastore era ed il pastore doveva tornare a fare,fu questo il tono che ebbe con lui il sindaco quando lo convocò.Non appena si formarono i primi comitati clandestini filoborbonici egli ne divenne il comandante in capo di quello di Gioia e dei comuni limitrofi, ma stanco di attendere e consapevole che,non c'era più molto tempo da perdere,decise di passare all'azione.Ebbe occasione così di mettere in atto quello che aveva appreso durante la sua carriera militare e lo seppe fare molto bene. Diventò il terrore dei liberali della zona,il 26 luglio 1861 attaccò Alberobello facendo prigioniera l'intera guarnigione e rifornendosi così di armi e munizioni.Il 28 fu la volta della sua Gioia,dove costrinse le truppe piemontesi del maggiore Calabrese a riparare nel Castello.Il 24 febbraio 1862 insieme al Crocco costrinse la guardia nazionale di Andria e Corato allo scontro,una volta sconfitta, bruciarono e saccheggiarono tutte le masserie dei garibaldini e dei liberali della zona. Nell'estate dello stesso anno,insieme alle bande del Laveneziana (detto "Figlio del Re"),del Valente (detto "Nenna Nenna"),del Mazzeo (detto "Pizzichicchio") misero a sacco diverse masserie nel brindisino e una in particolar modo:la masseria Cuoco di don Pasquale Perez di Brindisi.Voglio soffermarmi su questo episodio,perché qui avvenne una lite tra il Romano ed il Laveneziana,che ci potrà chiarire meglio,se fosse ancora necessario,lo spessore di Pasquale Domenico Romano. Così scrive Vincenzo Carella nel suo "Il brigantaggio politico nel brindisino dopo l'unità". (Ed. Grafischena-Fasano)

  • Masseria Cuoco - Il nucleo brigantesco si portò in essa la sera del 9 (o 10?) settembre,"a circa un'ora di notte".Sita tra Brindisi e Mesagne,apparteneva a don Pasquale Perez di Brindisi.Come abbiamo già detto,era stata tenuta in fitto,a suo tempo,dalla famiglia Laveneziana ed,evidentemente,era rimasta qualche pendenza in sospeso.Si trovava sul luogo la massara Costantina Nardelli,alla quale il Laveneziana consegnò un biglietto di ricatto per il padrone,contenete la richiesta di 700 ducati,redatto nella solita forma scorretta e di difficile lettura. L'ultimo riferimento concerne alcune pecore che il Laveneziana aveva consegnato a tal Domenico Pastore e che non gli erano più state restituite,perché ritenute proprietà del Perez.Era questa,quindi,la pendenza che l'ex fittavolo voleva sistemare.Il Perez ignorò la richiesta fattagli e l'ira del Laveneziana si riversò,inesorabile,sulla sua masseria. Infatti,tornato egli dopo alcuni giorni (il 3 ottobre),con una comitiva di circa cinquanta uomini,armati e "tutti a cavallo",chiese alla massara Costantina se il padrone avesse"rimesso il denaro per lui".Alla risposta negativa andò su tutte le furie ed inveì:Se mi avesse mandato il denaro non gli avrei fatto niente; ma adesso,sangue di ...(una bestemmia),dobbiamo bruciare tutto!E così fu.Piazzate alcune sentinelle "in vari punti",quegli uomini compirono in men che non si dica un esterminio: uccisero buoi a fucilate;chiusero in un recinto con sterpi fatti portare dai "macchiaruli",alcune centinaia di pecore di proprietà di un certo Antonio Mauro di Mesagne che,a detta del Laveneziana,era "più Brigante"di loro,ammucchiarono dentro"diverse quantità di legne e di paglia"e dettero fuoco (gli animali riuscirono,però,a salvarsi perché il fattore Giovanni Gagliano aveva praticato,di nascosto,"un varco ad un recinto attiguo"); devastarono,incendiarono le stanze interne dell'edificio,i carri,il fieno; presero"un cavallo di manto morello con briglia e sella,due serrette, otto sacchi,del pane,circa dieci forme di cacio della merce,una pelle per sella".Un danno ingente! Andarono via,infine,dicendo così al Galiano: Fattore, se ti domandano il Giudice ed il Sotto Prefetto chi siamo,dì loro che siamo soldati: essi vogliono Vittorio Emanuele e noi vogliamo Francesco secondo; se ànno coraggio,venissero al piano della masseria S.Teresa,che là li aspettiamo! E aggiunsero:Avvertite il Sig.Perez che se non ci manda subito li 700 ducati chiestigli,lo andremo a bruciare nel suo palazzo in Brindisi!Poi il Laveneziana,rivolto a qualcuno della comitiva che,forse,aveva trovato da ridire su quanto operato (il Romano),esclamò: Sangue di... (altra bestemmia), se non facciamo tutto questo,non avremo niente dei ricatti! Ed era,in fondo,la sua,la conseguente logica della violenza! Dopo tale calamità,il Perez affittò a Gabriele Porcelli e ad Andrea Melpignano ,detto Catece,di Ostuni e,per restaurarla fece portare il materiale da tal Donato Ruggiero.Ma tornarono i Briganti,in circa ottanta (aumentavano di giorno in giorno!), e bruciarono e distrussero ancora,minacciando i presenti a "non accostarsi più su quel luogo,che doveva ridursi a demanio".Spietata la collera e inesorabile la vendetta!

Si desume quindi,dalle notizie forniteci dal Carella e dai verbali di polizia,che il Romano alla masseria Cuoco cercò di opporsi alla distruzione,perché a lui non interessò mai la vendetta personale,i suoi disegni furono quelli di attuare imprese importanti e dal forte significato politico. Cercò,infatti,di coinvolgere Crocco e la sua banda in un tentativo di risollevare tutte le masse meridionali contro il nuovo Re.Ma ahimè,il Generalissimo riservò al Sergente, lo stesso trattamento che riservò al Borges: a chi gli chiese spada,lui rispose coppe!Così,dopo altri importanti successi,come la presa di Carovigno,Cellino,Erchie, il Romano si spostò nel tarantino,arrivando presso la Masseria dei Monaci il I° dicembre 1862.Qui egli si sentiva al sicuro,tanto che,essendo la masseria dotata di una piccola cappella,ogni domenica vi faceva celebrare la S. Messa con l'immancabile "Oremus pro regie Francisco".Fu questa eccessiva sicurezza,il non aver mandato un'avanguardia in perlustrazione per accertarsi dell'eventuale presenza di truppa,che gli fece conoscere la prima disfatta.Infatti il brigante Giuseppe Greco di S. Vito dei Normanni così dichiarò al Giudice supplente del suo paese.

Ivi giunti,scesi da cavallo,cercava ognuno assestare il suo animale,ma al momento stesso che si spedivano le sentinelle,queste allo approssimarsi di un muro alquanto distante retrocedettero allo schioppo di poche fucilate,e riportarono la notizia che già stava a fronte la Truppa (16^ Compagnia del 10° Reggimento Fanteria e Guardia Nazionale), incontro a cui pei primi corsero i tre capitani Laveneziana,Pizzichicchio e Nenna Nenna; non così Errico La Morte che per essere andato in cerca di foraggi e viveri per le masserie limitrofe, ritornava quando il fuoco da ambe le parti ferveva tra i suddetti capitani con altri dei briganti di questi, e la Truppa; e poiché si prendeva da questa il sopravvanzo, il predetto La Morte senza punto impegnarsi gettò via il suo cappello covrendosi con berretto tolto ad un compagno.

Qui iniziò il declino dell'astro Romano,infatti la banda,o meglio ciò che ne rimaneva,in quanto nello scontro della masseria dei Monaci perirono il Laveneziana e parecchi altri Briganti,per dissapori e contrasti insanabili,si divise(pare che il Pizzichicchio accusò il Romano di averli abbandonati di fronte alla truppa,anche se probabilmente a nulla sarebbe servito un intervento del Sergente). Così Cosimo Mazzeo "Pizzichicchio" prese la via della Basilicata dove fu catturato e fucilato nel 1864, Antonio Lo Caso "Il Capraro" si diresse verso Ginosa, fu catturato nel gennaio 1863 e fucilato in Castellaneta. Giuseppe Valente "Nenna Nenna" tornò nel brindisino e fu catturato la sera del 22 dicembre 1862 a Lecce,fu condannato ai lavori forzati a vita.Il Romano finì la sua carriera di Brigante proprio in quei luoghi che lo videro nascere: i boschi di Vallata presso Gioia del Colle.Non gli fu concesso neanche l'onore delle armi!Fu macellato e trasportato in Gioia sul dorso di un mulo, quasi fosse una bestia da portare al mercato! Rimase, nella gente, il ricordo  di un uomo leale che si batteva per i poveri e i più deboli,un uomo che fu riconoscente fino alla fine,a quel Re che gli dette la possibilità di emergere di diventare il Primo Sergente Alfiere della I^ Compagnia del V° Reggimento in linea, lui un umile pastorello della Murgia barese. 


Monumento eretto alla memoria del Sergente e della sua Compagnia, nel luogo ove cadde.



 

Vi riporto,ora,il testo di alcuni biglietti ritrovati nelle sue tasche dopo l'uccisione.Si tratta di due preghiere,di cui una dedicata alla Santa Vergine,e il famoso Giuramento a cui sottoponeva chiunque entrasse a far parte della banda.

 

 

 

non temo perigli,

non curo ritorte,

proteggi mia sorte,

o Dio di bontà!

Un cenno di Lui

fa il ciel sereno,

il cuor nel seno

più duol non ha.

La santa sua legge

se l'uomo rispetta,

nel ciel gli spetta

eterno piacer.

Se Dio é sì buono,

fedele e potente,

non temo più niente,

ho lieto il pensier.

 

 

 

Piena d'amor di grazie,

Ti salvi Dio Maria,

Teco il Signor tra vergini

Sia benedetto e sia.

Ed il profetato frutto

Nel seno tuo concetto

Ognor sia benedetto

Per nome del Signor.

O santa e pura Vergine

Madre di Dio, Madre per noi,

Prega e sorreggi i miseri

Afflitti figli tuoi.

Prega, prega, prega!

E più nell'ora strema

Della morente vita

Con tua celeste aita

Conforta il peccator.

 

 

Il Giuramento

 

Promettiamo e giuriamo di sempre difendere con effusione del sangue Iddio, il sommo pontefice Pio IX, Francesco II, re del regno delle Due Sicilie, ed il comandante della nostra colonna degnamente affidatagli e dipendere da qualunque suo ordine, sempre pel bene dei soprannominati articoli; così Iddio ci aiuterà e ci assisterà sempre a combattere contro i ribelli della Santa Chiesa. Promettiamo e giuriamo ancora di difendere gli stendardi del nostro re Francesco II a tutto sangue, e con questo di farli scrupolosamente rispettare ed osservare da tutti quei comuni i quali sono subordinati dal partito liberale. Promettiamo e giuriamo inoltre di non mai appartenere a qualsivoglia setta contro il voto unanimamente da noi giurato, anche con la pena della morte che da noi affermativamente si è stabilita. Promettiamo e giuriamo che durante il tempo della nostra dimora sotto il comando del prelodato nostro comandante distruggere il partito dei nostri contrari i quali hanno abbracciato le bandiere tricolorate sempre abbattendole con quel zelo ed attaccamento che l’umanità dell’intera nostra colonna ha sopra espresso, come abbiamo dimostrato e dimostreremo tuttavia sempre con le armi alla mano, e star pronto sempre a qualunque difesa per il legittimo nostro re Francesco II. Promettiamo e giuriamo di non appartenere giammai per essere ammesso ad altre nostre colonne del nostro partito medesimo, sempre senza il permesso dell’anzidetto nostro comandante per effettuarsi un tal passaggio. Il presente atto di giuramento si è da noi stabilito volontariamente a conoscenza dell’intera nostra colonna tutta e per non vedersi più abbattuta la nostra Chiesa cattolica romana, della difesa del sommo pontefice e del legittimo nostro Re. Così abbracciare tosto qualunque morte per quanto sopra si è stabilito col presente atto di giuramento.”

 


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