. .

Cerca  

CLICCA PER INIZIARE

 

HOME PAGE

NEWS

EDITORIALI

DOCUMENTI

NUGAE

TARSU

POSTA

VALUTAZIONE D.S.

D.S. IN EUROPA

ARCHIVIO

FINALITA' SITO

COMMENTI EVENTI

LINKS

 

 

SCRIVICI

 

Aggiornamento n. 134 dell'8.7.2002

 

Sito costituito da 944 documenti

 

24 nuovi (NEWS)

 

 

ottimizzato per I.E 6.0 e Netscape 6 a tutte le risoluzioni

 

.

Sito telematico dedicato all'informazione, al confronto, al dibattito sui problemi connessi con il primo CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI – a cura del D.S. Paolo Quintavalla  in servizio presso la Direzione Didattica 3° Circolo di Parma - In Rete dal maggio 2000 –

 

 

 

 

 

Il mestiere dell'insegnante

 

Web Scuola -  4 marzo 2003

04/03/03 - Una riflessione su relazione ed educazione attraverso il film “Essere e avere” e la nostra intervista al pedagogista Amilcare Acerbi

Insegnare ed educare: due elementi che avanzano, o che  dovrebbero avanzare, di pari passo e per i quali la scuola rappresenta un contesto privilegiato. Ma qual è il valore della relazione nel processo educativo? Lo abbiamo chiesto ad Amilcare Acerbi, pedagogista, che ha più volte inserito la visione di film nei suoi incontri con gli insegnanti. L'ultima occasione per questo tipo di operazione gli è stata fornita da Essere e avere, un film del noto documentarista Nicholas Philibert, che descrive la vita di una classe unica in una scuola nella regione dell'Auvergne (Francia).

Com'è noto, la classe unica nelle scuole elementari di alcune zone isolate prevede che un solo maestro insegni contemporaneamente a bambini che frequentano dalla prima all'ultima classe del ciclo. Il film-documentario, quindi, racconta e mette in scena le giornate di un gruppo di bambini e del loro maestro, mettendo in luce le emozioni e le ribellioni dei piccoli, la loro curiosità e i loro stupori di fronte ai primi incontri col sapere.

Professor Acerbi, per quale ragione inserisce questo film nei suoi percorsi con gli insegnanti ?

Avevo già provato ad utilizzare i film per affrontare delle problematiche educative. L’ho fatto qualche anno fa, quando dirigevo il servizio comunale a Torino, con gli educatori e il personale ausiliario dei nidi e delle scuole d’infanzia, per ragionare su temi o fare esperienze non necessariamente attinenti al lavoro quotidiano ed indurre riflessioni personali sul proprio lavoro. Ho anche affrontato il tema del proprio ruolo nelle situazioni difficili usando il film Ricomincia da oggi di Tavernier, trovando riscontri significativi.

Essere e avere mi è sembrato molto interessante rispetto da un lato alla crisi di ruolo e di identità degli insegnanti, e dall’altro alla discussione sul maestro prevalente, che tocca soprattutto le scuole elementari. Credo comunque che sia un film molto valido anche per gli insegnanti delle scuole d’infanzia e per gli insegnanti delle scuole medie, anzi, forse ancora di più per loro.

Il film sollecita anche il dibattito sulla chiusura delle scuole periferiche, rimaste senza allievi sia nei centri urbani che nei paesi, che purtroppo oggi in Italia si sta affievolendo ma che varrebbe la pena di riprendere: ormai sono molti coloro che, per avere un luogo più tranquillo dove vivere, dalle città si rispostano in campagna. Di fatto, le chiusure delle scuole sono già state attuate ed in genere sono state determinate da criteri economico-finanziari, non di identità o di creazione di una comunità.

Quali sono i temi principali descritti nel film-documentario di Philibert?

Questo film punta molto non tanto su un modello scolastico quanto su un modello di relazione, su come ci si relaziona con i bambini, come li si può ascoltare, come li si può indurre a comportamenti rispettosi nei confronti della comunità nella quale vivono. Credo che oggi uno dei problemi della discussione intorno alla scuola dell’obbligo sia proprio quello di aver accantonato il confronto e la ricerca sui contenuti: al massimo ci si ferma sulla questione delle "3 I", ma non si ragiona intorno al tema della relazione e di come rapportarsi con un bambino. Da questo punto di vista, il film è magistrale.

A chi è stato presentato il film?

Ho sperimentato la proiezione del film in contesti e con platee differenti. Ad esempio, a Gavirate, in provincia di Varese, in collaborazione con la comunità montana Valcuvia, il film è stato presentato durante una mattinata ai bambini delle elementari, nel pomeriggio ai ragazzi delle medie e durante la sera ai genitori e agli insegnati.

Qual è stata la reazione degli insegnanti alla proiezione del film?

In generale, gli insegnanti sono colpiti dall’emozione che il film suscita: ho verificato le stesse reazioni anche a Cremona, a Firenze, a Milano .... Direi che gli insegnanti, a parte qualcuno che pensa che il film sia ideologico e legato al ruolo unico del maestro prevalente, escono colpiti e commossi dalla capacità di relazione. Mi sembra di percepire che avere dei bambini con cui dialogare sia il sogno a cui aspirano. In generale gli insegnanti hanno un atteggiamento "contro" i comportamenti più difficili dei bambini e "contro" i genitori che, secondo loro, non fanno a sufficienza per costruire una capacità di relazione in famiglia; ecco, dal film emerge che in quella scuola esiste uno stile, che a scuola è possibile predisporre un metodo, e che è proprio questo che manca: un’iniziativa collettiva degli insegnanti per aiutare i bambini ad acquisire autonomia ed autocontrollo nei comportamenti in comunità.

In che modo il film si inserisce nel dibattito la questione del "maestro prevalente"?

Il film nasce in un contesto avulso dalle nostre attuali discussioni, ma uno dei suoi temi forti riguarda la centralità della didattica: ne viene fuori una figura di insegnante autorevole, riconosciuta dalle famiglie e dai bambini, che corrisponde poi al desiderio del 99% degli insegnanti.

E qual è stata la reazione dei genitori?

Alle proiezioni i genitori non sono stati tantissimi, ma quelli che sono intervenuti hanno riscontrato il modello di scuola, di rispetto e di attenzione verso i propri figli che vorrebbero. E' vero che i genitori spesso non educano in maniera sufficiente i bambini per come se lo aspettano gli insegnanti; ciò detto, è anche vero che i genitori sono molto cambiati, e che non c’è più la percezione di avere a che fare con genitori che affidino alla cieca i figli alla scuola. In passato  esisteva  una concordanza di modelli, scolastico e familiare, autoritari: nel momento in cui il modello è evoluto verso una forma democratica, impostata sulle relazioni e non sulla forza, è chiaro che è diventato più difficile trovare i metodi giusti per crescere i figli; nel momento in cui maschio e femmina sono molto più sullo stesso piano di potere all’interno della famiglia, sia da un punto di vista legale che del riconoscimento – entrambi hanno un reddito, lavorano tutti e due, doverosamente legati l’uno all’altro ma anche liberi di slegarsi – è chiaro che tutte le relazioni all’interno di una famiglia sono su un piano più democratico, e quindi lo sono anche le relazioni con i figli.

Oggi, picchiare un figlio o un bambino è un reato, o comunque molto più riprovevole che nel passato: la società respinge questo tipo d’azione. Se il contratto che nasce quotidianamente col figlio non è valido o non c’è dialogo, non c’è comprensione, il figlio cerca la scappatoia per poter essere libero, perché tutto parte dall’idea di libertà che si ha: se si è per la libertà incondizionata di fare tutto ciò di cui si ha voglia, oppure se la propria libertà è mediata dalla relazione con gli altri e ci si autocontrolla. In assenza di controllo, ovviamente un bambino cerca di fare ciò che vuole: lo abbiamo fatto tutti, e talvolta lo fanno anche i genitori. Il problema è che se i genitori danno questi esempi e non stanno attenti, i figli finiscono con l’acquisire quel tipo di comportamento.

Credo che la riflessione su come si costruisce il nuovo contratto con i propri figli, o il nuovo contratto con i propri alunni, sia ancora molto limitata: quando si è in difficoltà spesso si rimpiange il modello autoritario, che ovviamente non è più recuperabile perché le normative e le leggi non lo permettono. Anziché contrapporsi, però, bisognerebbe mettere sul piatto la questione e gli insegnanti più attenti potrebbero mettere a disposizione i loro metodi, i loro strumenti per educare i propri alunni alla democrazia e alla relazione: in realtà, credo che ci voglia una concordanza tra scuola e famiglia, anche perchè oggi i genitori sono molto più attenti al percorso culturale ed educativo dei propri figli, non solo al loro brutale “allevamento”.

Non crede che vedendo un film ambientato in una dimensione di campagna un po’ particolare, siano possibili due tipi di reazione: ritenerlo un modello nostalgico oppure un modello inapplicabile?

Questa in effetti è la reazione di qualcuno, ma è talmente forte la soddisfazione di vedere un insegnante che ascolta, ed è così forte la solidità del rapporto che si crea tra bambini ed insegnante che si apre uno spiraglio di emozione e di attenzione che fa riflettere sul tema di fondo della relazione.

L’emozione suscitata dal film è forte: certo, la soluzione non sta in una scelta personale ma piuttosto collettiva, condivisa con i colleghi. E’ un film che potrebbe dare speranza ai molti insegnanti che sulla strada dell’importanza della relazione ci sono e lavorano. Penso, ad esempio, ai due insegnanti che nelle scuole materne accudiscono i bambini in età prescolare e che già hanno questa capacità, perché condividono un modello di comportamento nei confronti dei bambini preparando le lezioni, le attività, calcolando in anticipo i tempi di durata dell’interesse e dell’attenzione dei piccoli, che dopo un po’ sfuggono.

Ecco: in Italia questo tipo di capacità è molto diffusa ed era già diffusa, ad esempio, nelle scuole a tempo pieno, dove c’erano e ci sono i due insegnanti. E’ più difficile con i nuovi moduli, perché sono tre le persone che devono mettersi d’accordo. Il modello del tre ha portato a discutere di architettura, e non di bambini, e questo è un peccato. Gli insegnanti delle medie non condividono le strategie di relazione con i ragazzi, ma a mio avviso dovrebbero farlo. In definitiva, ritengo che il film possa in qualche modo valorizzare ed incoraggiare i bravi insegnanti.

Ci parli della reazione dei bambini alla visione del film ...

In linea generale li ho trovati interessati. Addirittura, quando il film è finito, a Gavirate è partito l’applauso spontaneo; poi i bambini si sono fermati: avevano voglia di parlare. La proposta che ho fatto è stata quella di provare a trovare quattro o cinque aggettivi che potessero qualificare il film: per una ventina di minuti sono stati molto attenti, con le mani alzate, per definirlo o per dirmi che cosa si ricordavano del film, perché l’altra domanda che avevo posto loro era se il film avesse suscitato qualche ricordo. Alcuni hanno riportato dei ricordi scolastici, altri invece dei ricordi inerenti al film: tutti hanno comunque notato la solidarietà, la capacità di aiutarsi, l’attenzione del maestro nei confronti dei bambini che avevano litigato oppure nei confronti del bambino che rischiava di perdere il padre perché aveva un tumore alla gola. Più di uno mi ha parlato in termini diversi di questa solidarietà, di questa capacità di relazione: i bambini avevano colto il nocciolo della questione.

Ai bambini è sembrato naturale e positivo che fossero presenti bambini di età diverse: nel film è bellissima la sequenza in cui i bimbi scendono con lo slittino da una collinetta innevata, con grandi e piccoli che giocano tranquillamente insieme. A loro non è venuto il dubbio che avendo età diverse non si possa fare insieme una partita a calcio!

Ma la cosa che mi ha piacevolmente sorpreso è che nonostante il film sia sottotitolato i bambini l’hanno seguito per un’ora e quarantacinque minuti, senza distrarsi se non quando c’era un dialogo un po’ lungo e complesso: allora si è visto  qualche bambino agitarsi sulla poltroncina e non riuscire a stare attento, ma nessuno ha respinto il film. I bambini delle elementari si sono immedesimati; più difficile è stato per quelli delle medie, che hanno già un atteggiamento di superiorità, visto che il film non parla di loro.

Devo anche notare che ho trovato altrettanta attenzione e compartecipazione in quei genitori che sono venuti coi loro figli: è stata una storia condivisa, quindi direi che si è trattato di una bella esperienza

A suo modo di vedere, il film fornisce qualche spunto rispetto al dibattito di questi giorni riguardante la presenza maschile nella scuola? (ndr: un OdG inserito nel testo della Delega al Governo per la riforma della scuola, presentato nel corso del dibattito alla Camera, si propone di valorizzare la presenza maschile nelle scuole)

E’ vero che il protagonista del film è un maestro, ma il regista Nicolas Philibert dice di essersi fermato nella scuola dove ha girato il film non tanto perché, dopo una lunga ricerca, avesse trovato il maestro migliore quanto perché, sul piano tecnico, la collocazione

Come pedagogista e coordinatore di servizi mi sono soffermato a lungo sulla questione. In linea di massima, almeno nella relazione iniziale, con bambini e ragazzi è più facile essere maschi piuttosto che essere femmine. Ciò che sta intorno ai bambini è fatto molto di figure femminili e questa è una novità: un tempo i bambini stavano dentro famiglie allargate, dentro a contesti urbani o rurali dove vedevano sia il maschio che la femmina lavorare e con i quali potevano identificarsi, mentre oggi fanno un po’ più fatica. Nel momento in cui c’è un maschio in classe, si fa fronte ad una carenza.

Diversa è la questione del perché i maschi non si fermino nelle scuole. Intanto, in molti mestieri tipicamente maschili cominciano ad esserci figure femminili che portano la loro carica e modificano la situazione. Una donna lavora e si relaziona in maniera diversa rispetto a un uomo, con una logica differente, usa una scala di valori diversa nell’affrontare le questioni: di fatto, quindi, dove c’è più di una donna che lavora le situazioni si modificano.

Io credo che nella scuola tutti sarebbero più soddisfatti se il guadagno fosse migliore, e comunque la questione economica di dover portare un reddito forte in famiglia, che l’uomo tenta comunque di avere, pesa ancora. Senz’altro, inizialmente il problema degli scarsi guadagni è stato determinante. Poi per gradi l’insegnamento è diventata una professione quasi solo femminile, anche perché per come era strutturata la scuola il presunto tempo corto permetteva di gestire i figli o comunque la casa.

Ora le cose stanno cambiando anche in campo maschile: il maschio acquisisce dei ruoli nell’ambito della gestione familiare, e le situazioni si modificano. La soddisfazione di una donna nel lavoro proviene dalla relazione e dalla capacità di relazione con chi lavora, mentre probabilmente il maschio cerca in quello che fa delle gratificazioni forti : il problema è che non c’è né sfida né gratificazione nell’insegnamento, perché la struttura scolastica non lo prevede. Inoltre, di fatto c’è tutta una casistica che porta in generale ad un sorriso dispregiativo sulla categoria degli insegnanti. Credo che si paghi un po’ un assalto all’arma bianca che c’è stato qualche anno fa contro la scuola. Coloro che volevano migliorarla secondo me l’hanno denigrata troppo e nei suoi confronti si è creato un comune pensare molto negativo.

La libertà di insegnamento spesso o è una scusa, o riduce all’isolamento, perché non porta a confrontarsi con gli altri: l’insegnante trova più soddisfazione nella relazione che riesce a costruire all’interno del gruppo dei bambini, e lì il cerchio si chiude.

dell’edificio gli avrebbe facilitato le riprese.

Il film suscita riflessioni anche nei confronti delle realtà scolastiche nei piccoli paesi ...

Rispetto al discorso delle scuole di campagna, di cui sentiamo sempre parlare sotto finanziaria e, in termini più educativi, sulle cronache locali, io proporrei di fare quattro conti, perché il gioco di scaricare sul bilancio del vicino è stato fatto con molta “agilità”: alcuni comuni non devono più pagare i maestri, si possono prendere i bambini e portarli da un’altra parte, ma questo vuol dire fare lavori di ristrutturazione nella scuola che li accoglierà, che sono a carico di altri comuni, avere il pulmino che porta i bambini, avere un autista per il pulmino; nella scuola dove andranno i bambini occorrerà, magari, avviare una mensa che prima non serviva ... Di fatto, il Ministero dell’Istruzione non hai più uno stipendio da erogare ma ha spostato i costi su un altro soggetto; sommando le due spese forse non ci si allontana molto dal punto di partenza.

La conseguenza è che si lascia “allo stato brado” quel villaggio o quel comune, nel quale non ci sono più punti di riferimento e dove, quando i bambini tornano a casa, non c’è più nessuno che li segua. In Italia, però, abbiamo tanti di questi villaggi e paesi, e anche zone in cui ci sono molti pendolari: spesso le famiglie preferiscono spostarsi per lavoro ma abitare in un contesto diverso da quello cittadino.

E c’è anche un altro elemento: probabilmente la società vorrebbe che nei confronti dei bambini ci fosse anche un po’ più di impegno. Non capisco perché lesinare il centesimo sul processo educativo e non farlo invece su altri interventi: il sostegno allo sport domenicale è grandioso, e non parlo solo del rifacimento degli stadi in occasione del Campionato del Mondo, ma anche del costo del servizio di polizia, del servizio d’ordine che comunque viene gestito in tutta Italia tutte le domeniche e che non ricade sulla società calcistica che incassa gli introiti della partita. Di fatto è un’esigenza della società (calcistica) che però la Società ha preso in carico, e per la quale paga.

CHIUDI