Una
riforma a misura di studente
Web
Scuola - 1 aprile 2003
01/04/03 - Intervista all'On. Valentina Aprea,
sottosegretario di Stato all'Istruzione, sui
contenuti, le sfide e le finalità della riforma
della scuola.
Apriamo il nostro viaggio tra i protagonisti della
riforma della scuola con un'intervista telefonica
all'On. Valentina Aprea, sottosegretario di Stato
all'Istruzione, all'Università e alla Ricerca
scientifica, gentilmente rilasciata a Webscuola la
settimana scorsa.
Onorevole Aprea, ora che la delega è approvata
quali saranno le prossime tappe della riforma?
Quali saranno i primi decreti attuativi e con
quali tempi verranno emanati?
Aspettiamo la promulgazione della riforma per
riaprire le iscrizioni e garantire così la prima
applicazione nel prossimo anno scolastico nelle
classi prima e seconda della scuola primaria. Il
primo atto sarà dunque di natura amministrativa,
anche perché abbiamo già le coperture
finanziarie previste dall’articolo 7 delle Legge
Delega. Subito dopo presenteremo alle Commissioni
parlamentari i decreti attuativi per primo ciclo,
ovvero la scuola dell’infanzia, la scuola
primaria e la scuola secondaria di primo grado.
Stiamo anche valutando se predisporre
immediatamente altri decreti, come l’alternanza
scuola-lavoro, o avviare l’attuazione del
decreto della formazione degli insegnanti relativo
all’articolo 5.
Programmi, contenuti e sistema di valutazione
Naturalmente procede il lavoro di consultazione
sulle indicazioni nazionali delle scuole del primo
ciclo, quindi i programmi e i nuovi contenuti
della scuola dell’infanzia e della scuola
primaria e secondaria di primo grado. Procede
anche l’elaborazione dei contenuti dei nuovi
otto licei. C’è poi la preoccupazione di
predisporre con altrettanta urgenza un decreto per
il Servizio Nazionale di Valutazione, perché
vorremmo che l’INValSI avesse nuova legittimità
ad operare secondo la riforma.
Istruzione e formazione professionale e sistema
degli anticipi
Sicuramente avvieremo il confronto con la
Conferenza Stato-Regioni e con l’ANCI
(Associazione Nazionale del Comuni Italiani) per
tutti gli aspetti che riguardano la complessità e
il pluralismo legato al federalismo, quelli legati
alla creazione del sistema dell’istruzione e
della formazione professionale, alle garanzie che
occorrono per gli anticipi nella scuola
dell’infanzia. Riguardo a questi ultimi, ricordo
che il prossimo anno saranno limitati ai casi in
cui saranno soddisfatte alcune condizioni di
fattibilità.
La sperimentazione alle elementari è ormai
avviata e forse è già possibile tentare un primo
bilancio provvisorio. Quali sono le luci e le
ombre di questa esperienza?
Per ora conosciamo le luci, nel senso che i
monitoraggi nazionali e regionali stanno dando
degli esiti estremamente favorevoli a tutte le
introduzioni che, ricordiamo, hanno riguardato
l’insegnante tutor, la personalizzazione dei
piani di studio ovvero il portfolio delle
competenze, l’introduzione dell’inglese e
dell’informatica fin dal primo anno, ossia tutta
l’attività svolta in laboratorio secondo quanto
previsto dalle indicazioni nazionali.
Le ombre
Certamente le ombre, se così vogliamo dire,
riguarderanno l’estensione di tutti questi
istituti alla totalità delle scuole: chi si è
candidato alla sperimentazione era già orientato
verso questi principi e soprattutto disponeva già
delle strutture e delle modalità organizzative
necessarie, ma direi anche delle persone giuste al
posto giusto. Estendendo principi ed
organizzazione alla totalità delle classi prime
non c’è dubbio che dovremo prevedere, per
esempio, una formazione iniziale per tutti i
docenti che andranno ad affrontare da un parte la
figura tutoriale e dall’altra l’introduzione
del portfolio delle competenze. Non meno
problematico sarà anche dover estendere, fornendo
garanzie, l’insegnamento dell’inglese e
dell’informatica.
Le prospettive
Sappiamo che potremo andare incontro a delle
difficoltà, ma le stiamo studiando e prevedendo.
Lo scopo delle attuali operazioni congiunte
Ministero e Istituti nazionali della formazione
(INDIRE e IRRE), è garantire ai docenti la giusta
serenità per poter applicare la riforma già dal
prossimo settembre.
Tra le novità presenti nella delega vi è
l'istituzione dei licei economico, tecnologico e
musicale. Si sa già quali discipline
caratterizzeranno i piani di studio dei nuovi
licei?
Per il momento no: la commissione dei 260 esperti
chiamati dal Ministro Moratti, l’Amministrazione
e i vari Istituti che insieme a noi stanno
lavorando su questa ipotesi, fino ad ora hanno
prodotto solo il profilo in uscita unitario e il
profilo degli otto licei. Comincia ora il lavoro
di elaborazione degli obiettivi generali e
specifici, che saranno anche disciplinari.
L’individuazione delle discipline ed il numero
di ore sarà l’ultima tappa di questo percorso.
Facciamo un esempio: il liceo economico
assomiglierà di più a uno scientifico o a un
classico, oppure a un ITC?
Certamente esiste una tradizione in tal senso
negli Istituti Tecnici Commerciali, ma è con
soddisfazione che posso dire che il Liceo
economico è un corso di studi assolutamente
nuovo, che crea delle nuove prospettive di
formazione iniziale e di formazione superiore ed
accademica. Sarà davvero una risorsa in più dei
licei italiani.
Quale sarà il destino degli Istituti tecnici?
Diversi docenti e dirigenti di queste scuole
temono che, con l'istituzione del doppio canale,
si perderà la specificità e il patrimonio di
esperienze di questo indirizzo di studi. Cosa
risponde a chi nutre tali timori?
Rispetto all’istruzione tecnica e professionale
stiamo prevedendo un allargamento delle possibilità
di formazione dei giovani, prospettando dei
percorsi più lunghi e altri più brevi. Questo
significa che chi vorrà iniziare un percorso
medio-lungo, cioè formato da cinque anni di
istruzione liceale e tre o cinque anni di
istruzione accademica o di formazione tecnica
superiore, avrà davanti a sé la possibilità di
scegliere il Liceo tecnologico e prendere la prima
qualifica professionale dopo otto anni, con la
formazione tecnica superiore o con la laurea.
Il caso Agraria
Facciamo un esempio con il percorso in Agraria:
attualmente esiste un Istituto tecnico agrario che
dopo cinque anni crea i Periti agrari. Oggi
l’Unione Europea afferma che per conseguire il
titolo di Perito occorre aver seguito un percorso
superiore e uno di formazione tecnica superiore
universitaria di tre anni: dunque, non è
possibile essere Periti dopo soli cinque anni.
Nel caso specifico, i Licei tecnologici potranno
avere una "curvatura" agraria: dopo tre
anni di formazione tecnica superiore i ragazzi
diventeranno periti, oppure dopo tre anni potranno
prendere la prima laurea in Agraria. Così pure,
se sono interessati a profili che richiedono
percorsi più brevi, potranno confluire
nell’istruzione e formazione professionale
regionale e conseguire una qualifica dopo tre
anni: ciò significa che a 17 anni potranno già
“spendere” il loro titolo, sapendo che in
qualsiasi momento potranno riprendere a studiare
per una qualifica superiore, frequentando il
quarto e il quinto anno, e la stessa formazione
tecnica superiore.
Allargare le opportunità
Stiamo semplicemente allargando lo spettro delle
opportunità, sapendo che non abbiamo bisogno di
dare a tutti la stessa formazione e gli stessi
percorsi, ma che ciascuno deve poter scegliere il
percorso e la dose di impegno più adeguati alle
proprie attitudini ed inclinazioni: in una fase
della vita si può scegliere di applicarsi in modo
più pratico per poi ritornare a studiare, oppure
fare il contrario.
Formazione continua
I ragazzi di oggi sono più fortunati di quelli di
ieri: l’epoca post-fordista in cui ci troviamo
non distingue più un momento della vita in cui si
studia ed un altro in cui si lavora. Al contrario,
è possibile alternare momenti di lavoro a momenti
di studio e viceversa. Per questo la riforma
prevede anche l’alternanza scuola-lavoro con una
possibilità di passaggi, di reversibilità delle
scelte e di orientamento che vale per tutto
l’arco della formazione.
Obiettivo studente
Insomma: stiamo semplicemente ampliando le
possibilità di formazione e di istruzione. I
docenti e i dirigenti possono stare tranquilli,
perché le norme transitorie cureranno questo
passaggio, tutelando i diritti di chi è già nel
sistema vigente. Noi, però, nell’elaborazione
della legge e nella sua applicazione, abbiamo
voluto e vogliamo tenere al centro lo studente e
le sue esigenze di formazione prima, e di
inserimento nel mondo del lavoro poi, e adeguare
le istituzioni e i luoghi formativi alle esigenze
di professionalità e di formazione a tutti i
livelli.
In quale modo la riforma intende promuovere la
partecipazione delle famiglie e degli alunni alla
vita della scuola?
La riforma punta molto sulla responsabilità
personale dei ragazzi: infatti, introduce il
concetto di personalizzazione dei piani di studio,
che vede un protagonismo assolutamente nuovo degli
studenti e delle famiglie, che potranno modificare
parti di percorso dell’istruzione e della
formazione in base alla libertà di scelta di cui
disporranno. Mi riferisco alla flessibilità
interna ai percorsi, alle quote opzionali
facoltative dei piani di studio, che proprio per
questo saranno personalizzati, all’orientamento
continuo, al sistema dei crediti, alla
reversibilità delle scelte e, soprattutto, alla
grande rivoluzione che, speriamo, sarà legata al
portfolio delle competenze.
La certificazione delle competenze
Non è più soltanto la certificazione della
frequenza di un percorso, ma la certificazione
personale del percorso, a garantire quello che un
ragazzo sa, sa fare o saprà essere. Attraverso il
portfolio delle competenze si dirà quello che è
legittimo attendersi da quel ragazzo, e solo da
lui, dopo la frequenza di un certo numero di anni
o di istruzione o di formazione professionale: sarà
la certificazione a seguire l’alunno, non
l’alunno la scuola.
Altre novità riguardano la formazione e il
reclutamento dei docenti. Il mondo della scuola
sembra ancora scosso dalla vicenda delle
abilitazioni, con lotte combattute a colpi di
ricorsi. Creare un nuovo canale di reclutamento
non equivale ad aprire un nuovo fronte di
battaglia, con nuovi contenziosi tra coloro che
detengono abilitazioni conseguite secondo modalità
così diverse?
Innanzitutto, questa è la terza legge che
interviene sul reclutamento universitario dei
docenti: le prime tracce risalgono addirittura al
1974 quando, col Decreto delegato 517, si era già
affermato il principio che la formazione dovesse
essere universitaria anche per gli insegnanti di
scuola materna ed elementare e che dovesse
esistere una specializzazione all’insegnamento.
In realtà, questa legge ha trovato applicazione
soltanto dopo vent’anni quando, col Decreto 509
- Ministro Berlinguer, sono partite le prime
Scuole di specializzazione all’insegnamento ed i
primi corsi di Scienza della formazione primaria.
Sono quindi state create le SSIS e sono state
conferite le prime abilitazioni proprio attraverso
la formazione universitaria.
Cosa cambia con la riforma
La nuova legge interviene su questo filone e
ribadisce che la prima formazione dev’essere
universitaria: abbiamo solo adeguato la formazione
e la specializzazione all’insegnamento alla
nuova articolazione universitaria. Anziché
esserci la laurea più la specializzazione,
prevediamo la prima laurea più la laurea
specialistica (3+2) anche per gli insegnanti.
Armonizzarsi con l’Europa
Sappiamo che ci sarà una lunga fase transitoria
che vedrà i docenti privi di questa abilitazione
universitaria andarla ad acquisire, magari con
percorsi abbreviati. Ciò detto, sappiamo anche
che non avevamo scelta: la necessità di
armonizzare il nostro sistema educativo con i
sistemi educativi europei ci ha indotto a
percorrere con decisione questa strada, anzi, a
prevedere anche il tirocinio obbligatorio nelle
scuole prima della immissione in ruolo. Siamo
consapevoli delle difficoltà a cui andiamo
incontro ma, come già detto, la strada che
abbiamo imboccato non aveva alternative.
Il successo di una riforma passa anche
dal consenso che riscuote presso il personale
della scuola. I tagli di organico previsti e la
prospettiva che, con la formula del 4+1, si
riducano i posti nelle classi quinte dei
professionali, non favoriscono l'ostilità verso
la riforma? Non si rafforza così l'idea di una
riforma finanziata con il sacrificio del posto di
lavoro di molti insegnanti e Ata?
Innanzitutto io mi auguro che il consenso
passi nel Paese rispetto alle prospettive che
stiamo creando per i ragazzi, e non per chi è già
nel sistema che, ripeto, sarà coperto dalle norme
transitorie e non vedrà quindi calpestati i
diritti acquisiti.
Gli interventi previsti con leggi finanziarie,
invece, attengono all'ambito della macroeconomia:
attualmente siamo sovradimensionati, secondo tutte
le statistiche e parametri comparativi
internazionali. Si sta tentando un'opera di
ri-qualificazione e ottimizzazione della spesa,
sulla base del numero di studenti e sulla base
delle esigenze effettive delle scuole. Nel tempo,
infatti, sono stati creati meccanismi di
determinazione degli organici che hanno portato ad
avere una scarsa coerenza tra risorse umane
assegnate ed esigenze formative, creando così -
oltre ad inefficienza- pure inefficacia.
Il turnover
Detto questo, esiste un discorso che attiene
al turnover. Noi sappiamo che tra qualche anno
molti insegnanti, quasi il 50%, andranno in
pensione: prevediamo, quindi, un grande momento di
rinnovo del personale docente.
Quantità o qualità?
Sappiano anche che dobbiamo lavorare per
garantire una presenza di qualità e non soltanto
di quantità, perché l'equazione "più
docenti = più qualità" non funziona e non
ha funzionato in questi anni, se valutiamo il tipo
di conoscenza dei nostri studenti che, come ci
dicono le rilevazioni internazionali, è tra i
peggiori. I nostri ragazzi sono classificati tra
il 23° e il 26° posto su 32 Paesi economicamente
avanzati nella conoscenza di materie quali la
prima lingua, quindi l'italiano, la matematica e
le scienze. Questo può non significare nulla se
non si vuol dare importanza alle rilevazioni
statistiche internazionali, oppure costringe a
ripensare all'uso sin qui fatto delle risorse,
quasi totalmente impiegate in personale, docente e
non.
Per questo io vorrei veramente che il dibattito
pubblico cominciasse ad occuparsi della qualità
dell'insegnamento, e quindi degli insegnanti e
dell'efficacia educativa dell'insegnamento, e non
più o non soltanto di quanti insegnanti vengono
occupati e degli organici che saranno rivisti.
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