Tullio
De Mauro: «Nel 2005 l'Italia rischia di non avere
docenti alle superiori»
Tempo
- 18 gennaio 2003
Ma
il buco creato da tanto tempo di disamore allarma
di LUIGI DELL'AGLIO
A
fare il miracolo non sarà stato «A beautiful
mind», il film con Russell Crowe sulla
travagliata vita del geniale matematico John
Forbes Nash junior? È sorprendente infatti che le
iscrizioni a matematica, in caduta libera dagli
Anni Ottanta, improvvisamente, con l'anno
accademico 2002-2003, non calino più. Ma
l'inesorabile flessione si è, almeno per ora,
arrestata in tutte le facoltà scientifiche, e
allora l'effetto-Nash non basta più a spiegare,
da solo, la novità.
«Forse, dietro questa imprevista tenuta, c'è una
presa di coscienza», dice il professor Carlo
Cosmelli, che insegna fisica alla Sapienza di
Roma. «I giovani cominciano a rendersi conto che
le imprese preferiscono assumere il laureato in
fisica o in matematica invece di chi ha
frequentato uno dei numerosi corsi alla moda, che
all'università totalizzano da anni il maggior
numero di iscrizioni. Viene cioè percepita
l'importanza della scienza di base. Il laureato in
fisica o in matematica è molto più flessibile,
più adatto ad affrontare le situazioni nuove».
Oggi la laurea in matematica o in fisica riesce a
dare una solida base intellettuale. Chi invece
s'imbarca in corsi di laurea molto particolari
rischia di ritrovarsi, dopo pochi anni, con
conoscenze tecniche ormai obsolete.
«Gli ingegneri italiani si erano sempre distinti
per la loro migliore formazione scientifica di
base», fa notare Giandomenico Boffi, ordinario di
algebra all'università di Chieti-Pescara. E
aggiunge: «Il laureato in matematica o in fisica
possiede una forte capacità di razionalizzazione
e di deduzione, ma è anche un creativo».
E perché matematici e fisici si sono ridotti a un
numero così esiguo negli atenei? Carlo Bernardini,
docente di fisica alla Sapienza e direttore di «Sapere»,
chiama in causa quei corsi di laurea «alternativi»,
come sociologia e psicologia, che - a suo dire -
attirano non solo chi ha la vocazione per queste
discipline ma decine di migliaia di ragazzi «che
così sperano di diventare direttori di giornale o
di fare le carriere più travolgenti». C'entra il
dualismo fra cultura umanistica e cultura
scientifica, che ha penalizzato la seconda,
trattata come una cultura di serie B. «Quel
dualismo è antico - dice Bernardini - Si esasperò
nella prima metà del ?, quando Federico Enriquez,
alla testa di un nucleo di matematici, fondò la
rivista "Scientia" (chiamando a
collaborare, tra gli altri, Albert Einstein) e
cercò di mettere sotto tutela la filosofia.
Benedetto Croce e Giovanni Gentile si sentirono
scippati». E lo scontro tra le due culture divampò.
La scarsa considerazione riservata alla scienza è
cocente negli Anni Sessanta, quando un biologo
della statura di Giuseppe Montalenti si vede
sbattere le porte in faccia da un importante
quotidiano al quale aveva offerto i propri
articoli.
Ma il conflitto tra le due culture è fenomeno
soprattutto italiano. Invece la crisi di audience
delle discipline scientifiche è di portata
mondiale. Perfino negli Usa, matematica e fisica
soffrono di carenza di vocazioni. (Ma oltreoceano
la lacuna è colmata: i «cervelli» vengono
reclutati in India e in Cina).
Colpa del modo in cui matematica e fisica sono
insegnate a scuola? Dipende dai docenti se i
ragazzi non si innamorano di queste discipline? «Il
materiale didattico è incredibilmente pedante,
anzi proprio insopportabile. Occorrerebbe una
rivoluzione totale del metodo di insegnamento»,
taglia corto Bernardini.
«La matematica è vista come una lingua morta,
sulla quale tutto è stato già detto», conviene
Giandomenico Boffi. Oppure la freddezza per le
scienze deriva direttamente dalla regola di vita
cui si ispira la società di oggi? «Matematica e
fisica richiedono un impegno eccezionale. Lo
studente deve sacrificarsi incondizionatamente
alla disciplina che si è scelta», spiega
Bernardini. E invece che cosa vogliono i giovani
oggi? «Fanno la fila per diventare famosi, per
avere tutto subito con il minimo sforzo, non certo
per iscriversi a matematica, uno studio che esige
anni e anni di lavoro oscuro e ingrato»
interviene Boffi. La mentalità dominante è così
pervasiva che neanche i giovani che seguono
programmi come quelli di Piero e Alberto Angela
hanno la forza di resistere alle sirene che
promettono successo e denaro.
E comunque «Quark», le rubriche serie e le
pagine di scienza sui giornali non bastano a
impedire il fenomeno della scienza-spettacolo.
«È un errore pensare che il nostro tempo sia
scientifico per antonomasia. La scienza è ridotta
a incantesimo, a magia. Oppure è deformata al
rango di istruzioni per l'uso», sostiene
Bernardini. Allora come uscire da questo vicolo
cieco? Chiamando a raccolta quanto di vivo e di
autentico è rimasto nelle due culture, umanistica
e scientifica. È ciò che hanno fatto Carlo
Bernardini e il linguista Tullio De Mauro,
scrivendo a quattro mani un libro che vuol essere
un ponte lanciato sull'abisso: «Contare e
raccontare», edito da Laterza. «Cunto», dicono
gli autori, vuol dire entrambe le cose, e anche i
Greci usavano una stessa parola: logos.
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