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Sito telematico dedicato all'informazione, al confronto, al dibattito sui problemi connessi con il CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI – a cura del D.S. Paolo Quintavalla  in servizio presso la Direzione Didattica 3° Circolo di Parma - In Rete dal maggio 2000 –

 

 

 

 

NEWS 

 

 

Discussione del disegno di legge 3387, Relatore per la minoranza On. Titti De Simone

Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale

Camera dei Deputati -
20/02/03

Titti De Simone, Relatore di minoranza

Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, dai primi passi, tutto il percorso relativo agli interventi nel settore scolastico compiuti da questo Governo ha visto agire i suoi rappresentanti e questo esecutivo in un totale sprezzo del ruolo del Parlamento, senza alcun coinvolgimento del mondo della scuola, sul quale ricadrà il delicato compito di dare attuazione a questa riforma.

La scelta di uno strumento come quello della delega per intervenire e modificare le norme generali sull'istruzione si inserisce perfettamente in questo contesto. Sarebbe stato auspicabile inserire un intervento legislativo in materia di istruzione in un ampio ed aperto dibattito che coinvolgesse realmente i diretti protagonisti interessati, cioè il mondo della scuola.

Di fatto questa delega ha sottratto alla potestà parlamentare una materia di estrema importanza per un paese democratico, in quanto risulta essere estremamente ampia ed indeterminata nella definizione dei confini degli interventi che verranno successivamente previsti con i decreti attuativi.

È alla forma, ma la forma è essa stessa sostanza, che si rivolge la nostra prima forte e netta critica. Una delega estremamente ampia dal punto di vista della materia, ma anche dal punto di vista dell'intervallo di tempo previsto per la sua attuazione; in effetti, il Governo non soltanto prende 24 mesi, due anni, per adottare i decreti legislativi relativi, ma prevede anche un ulteriore termine di 18 mesi in cui si riserva la possibilità di modificare i decreti legislativi eventualmente già emanati sulla base della stessa delega legislativa, andando, in questa previsione, anche oltre la fine dell'attuale legislatura. In realtà, con il ricorso alla delega, il Governo manifesta soltanto la volontà di agire nella totale discrezionalità, sottraendosi all'espressione di un voto di merito e lasciando al Parlamento soltanto il compito di esprimere un semplice parere di congruità, peraltro non vincolante, sui decreti legislativi.

Il disegno di legge delega si inserisce in un contesto di attacchi ai diritti, al sistema dell'istruzione, come al lavoro, come alla previdenza e, come si evince già dal titolo, rivendica per lo Stato soltanto lo spazio dei livelli minimi, cancellando in tal modo risorse ed energie già in movimento.

La genericità della terminologia non deve trarre in inganno: essa trova compiuta definizione alla luce dei numerosi provvedimenti e della elaborazione che ha portato a questa iniziativa di legge. Ciò a cui si tende non ha nulla a che vedere con individuazione dei nuclei fondanti delle conoscenze, questi sì essenziali. Tutto spinge per l'appunto in direzione di una forte riduzione dei contenuti, del tempo e della qualità dell'istruzione, che dev'essere garantita a tutte e a tutti, come dice la nostra Costituzione.

Ci sembra evidente quale sia il modello sociale di organizzazione del sistema scolastico che sottende la proposta avanzata da voi: nulla a che fare con l'idea del sapere come formazione critica, dell'educazione e dell'istruzione come un diritto di cittadinanza e ad oggi, con la legge sulla devoluzione, si potrebbe dire che non ha nulla a che fare anche con l'idea di unicità del sistema scolastico su tutto il territorio nazionale.

Non una scuola che sia il luogo della relazione fra soggetti attraverso la quale si esplica e si sviluppa il processo formativo ed educativo del singolo; al contrario, una scuola ridotta al minimo, una scuola piegata alla cura dei particolarismi, della quale viene esaltato l'aspetto confessionale e di parte.

Il disegno di legge del Governo, - è ormai chiaro -, tende a sganciare l'amministrazione pubblica centrale da qualsiasi responsabilità che non sia meramente di indirizzo; tende a spingere il sistema verso la privatizzazione, a considerare la scuola come una merce che può essere acquistata dalle famiglie, sulla base delle disponibilità economiche, e a considerare l'istruzione, non come un diritto, ma come un bene di consumo.

Una scuola che non è più un diritto della persona, ma diventa un servizio a domanda individuale che viene organizzato sul modello aziendale: gerarchizzazione e competizione tra gli insegnanti, mercificazione del sapere. Una scuola completamente subalterna al mondo del lavoro, come si può vedere espressamente dalla previsione della possibile alternanza scuola-lavoro già a 15 anni che, di fatto, abbassa il limite legale da 15 a 16 anni previsto per il lavoro minorile.

Nelle idee di istruzione e di sapere del Governo l'impresa diventa luogo formativo, il che la dice lunga sul concetto di sapere, di apprendimento, di cultura e di scuola che si vuole affermare. I soggetti sapranno fin dall'inizio quale posto è stato riservato per loro sulla base del censo, del luogo di nascita, dell'estrazione sociale e del livello culturale della famiglia di appartenenza. L'introduzione di una precoce canalizzazione tra formazione e istruzione, oggetto di una scelta da operare già a 12 anni -12 e 5 mesi per chi opera l'anticipo -, significa indirizzare verso un'opzione di apprendimento debole le fasce più a rischio dell'utenza scolastica, cioè quegli studenti che appaiono meno motivati, meno sicuri, meno preparati. Nei fatti, opererà una sorta di selezione naturale, che funzionerà più a monte rispetto all'esito finale dell'insuccesso e dell'abbandono. Ci saranno studenti di serie A e di serie B, il cui curriculum sarà già contrattato in anticipo, determinando in tal modo un impoverimento dell'apparato culturale di base e della strumentazione critica, componenti essenziali della coscienza civile che la scuola dovrebbe considerare oggetto essenziale della trasmissione del sapere. La scissione sociale dei destini formativi è base di un disegno classista che voi state portando avanti, che favorisce pochi e mette nell'angolo i più, che favorisce le famiglie ricche e istruite.

L'obbligo scolastico come principio giuridico viene abolito e si trasforma in un diritto-dovere di cui si può fruire. Riteniamo estremamente grave e pericoloso che il Governo introduca nel sistema una modifica costituzionale con una legge ordinaria. L'obbligo scolastico previsto dal secondo comma dell'articolo 34 della Costituzione diventa diritto-dovere del cittadino: una formulazione debole che snatura il principio originario per farlo assurgere nel campo dei servizi alla persona.

Inoltre, l'abrogazione della legge n. 9 nel 1999 - che aveva innalzato l'obbligo scolastico a dieci anni, pur prevedendone una prima applicazione a 9 - riconduce l'obbligo scolastico agli 8 anni precedenti, riportando il paese indietro di anni. L'Italia è il primo paese occidentale che prevede una riduzione dell'obbligo scolastico.

Non è dato sapere quali siano le motivazioni sul piano pedagogico che abbiano fatto propendere per la soluzione dell'anticipo. Sembra solo di trovarsi di fronte ad un puro espediente tecnico, escogitato con l'unico scopo di rendere praticabile il traguardo dei 18 anni di età come soglia di uscita dal percorso scolastico. Da varie parti questo obiettivo è stato giustificato con la necessità di adeguare il nostro paese alla maggior parte degli altri paesi industrializzati, nei quali la formazione secondaria - e, di conseguenza, quella universitaria - si conclude in età più precoce. Si dimentica che l'assetto dei sistemi scolastici nei vari paesi è frutto di processi molto lunghi, determinati da peculiari contesti culturali, economici, produttivi e sociali, senza contare che la durata formale del percorso scolastico degli studenti italiani spesso non ha riscontro nella durata reale, a fronte di gravi fenomeni di dispersione scolastica, cioè di evasione dell'obbligo, di abbandoni, di selezione. Bisognerebbe quindi, più che lanciarsi in spericolate acrobazie ingegneristiche, interrogarsi su come contrastare efficacemente questi fenomeni che - è bene ricordarlo - colpiscono sempre le classi sociali più deboli.

Nel quadro della proposta di sistema scolastico delineato dal progetto governativo è evidente che l'anticipo non contempla alcuna considerazione dei tempi e dei bisogni dei bambini e delle bambine. Si vuole proporre una visione familistica, che finisce con l'assegnare alla scuola il compito di assecondare e proseguire l'azione educativa delle famiglie. Una visione miope, poco attenta alla realtà, che non coglie l'importanza, anche sul piano educativo, dell'affidamento da parte dei genitori delle bambine e dei bambini ad un luogo eminentemente pubblico, in cui la pluralità di modelli educativi familiari viene portata a sintesi in un progetto educativo fondato su valori condivisi.

Quello che si persegue, invece, è l'addestramento dei più piccoli, la preparazione della futura massa di lavoratori flessibili, la totale subordinazione del mondo della scuola alla produzione e all'economia, senza contare il fatto di fondamentale rilevanza che le iscrizioni anticipate comporteranno situazioni tali per cui, in una stessa classe, si potranno trovare bambini con differenze di età anche di 20 mesi, che sono davvero tanti a quell'età e che comprometterebbero la possibilità di svolgere un lavoro serio.

Riteniamo che si inserisca nel contesto generale di attacco al mondo del lavoro, ai lavoratori ed alle lavoratrici, anche la parte relativa al reclutamento degli insegnanti, per i quali si esplicita ormai il progetto della chiamata diretta.
La questione del reclutamento degli insegnanti e della loro relativa formazione appare troppo complessa per essere affrontata e risolta con lo strumento della legge delega, che prevede, tra l'altro, una modificazione del sistema e che, per di più, rimanda a successivi decreti delegati la definizione articolata del sistema stesso.

Non condividiamo la presenza nel testo della legge di elementi che prefigurano un'indebita interferenza in materie riservate alla contrattazione tra le parti, come avviene, invece, nell'articolo 5. Sappiamo, infatti, che dietro l'apparente neutralità di termini quali «valorizzazione professionale» si celano ipotesi di stratificazione degli insegnanti, con interventi sullo stato giuridico e sulla retribuzione: questioni, per l'appunto, non disponibili per il legislatore.

La legge finanziaria per il 2003 e gli interventi legislativi di questo Governo hanno dimostrato tutta l'intenzione di proseguire nella politica di disinvestimento e di dequalificazione della scuola pubblica, inaugurata da questa maggioranza fin dal suo insediamento e perseguita con determinazione degna di miglior causa. Lo stesso si può dire per quanto sta accadendo sul terreno del rinnovo contrattuale del comparto scuola, dove si sconta l'assoluta inadeguatezza degli stanziamenti economici rispetto alle richieste di equiparazione dei livelli retributivi degli insegnanti italiani a quelli europei avanzate da tutte le organizzazioni sindacali del settore.

Riteniamo, quindi, sbagliato introdurre nella delega elementi di questo tipo e, allo stesso tempo, ribadiamo che il Governo avrebbe tutti gli strumenti per intervenire sul piano economico, anche se dubitiamo fortemente che il suo vero interesse sia quello di «valorizzare la professionalità» dei docenti.

Il personale docente e non docente della scuola attende da tempo ben altre riforme: soprattutto, quella di un riconoscimento anche sul piano economico del loro ruolo sociale e culturale; riconoscimento che non può più essere procrastinato nel tempo e che preveda certezza delle norme e rispetto dei diritti acquisiti. Pensiamo, infatti, anche alla politica condotta rispetto ai precari storici della scuola. Non aiuta certo il continuo intervento teso a sconvolgere i criteri e le modalità di formazione e di reclutamento dei docenti, le quali determinano, invece, incertezza, insicurezza e preoccupazione.

Nel tempo, la scuola, come spazio educativo e formativo, si è modificata: dall'obiettivo minimalista di insegnare a leggere, a scrivere e a far di conto, è diventata territorio di pluralismo, luogo della conoscenza intesa come sviluppo delle capacità di accedere agli strumenti al fine di ampliare, di approfondire, di affinare le capacità, di costruire abilità e competenze, di accrescere i saperi.

La scuola italiana, con le sue energie, è riuscita a progredire sul piano qualitativo ed a rendere pratica quotidiana i valori ed i principi dettati dalla Carta costituzionale. Solo quando le riforme hanno valorizzato le spinte positive al cambiamento che venivano dalla società si sono avuti risultati positivi che hanno lasciato tracce persistenti. È accaduto negli anni sessanta con la riforma della scuola media unica, che ha accompagnato la crescita culturale e sociale del paese; nel 1974, con la legge degli organi collegiali, che ha avviato una straordinaria stagione di partecipazione democratica; pochi anni dopo, veniva stabilito il diritto dei disabili ad essere integrati nella scuola e non sono assistiti; nel 1990, infine, la riforma della scuola elementare. Tappe fondamentali, quelle appena elencate, di un processo di crescita che, con questo disegno di legge delega, come con tutti gli altri provvedimenti varati dal Governo, si vuole definitivamente arrestare per riportare la scuola italiana indietro di quarant'anni!

Noi pensiamo, invece, che questa scuola vada difesa ed ulteriormente migliorata, che essa debba diventare, ancora di più, la scuola dei saperi, la scuola che permetta a tutti ed a tutte di potere, anche autonomamente e singolarmente, continuare ad espandere, ad affinare e ad arricchire le proprie conoscenze, una scuola che si proponga l'innalzamento del livello generale di istruzione, il luogo in cui ci si riconosce uguali e differenti, plurali e singoli, liberi nella possibilità di toccare saperi diversi e di integrarli criticamente, per una società più ricca dal punto di vista culturale e più democratica.

In questo senso, riteniamo sia necessario che la scuola resti il luogo dell'incontro e della considerazione, su basi paritarie, con il riconoscimento delle diversità e delle differenze tra singoli, dei soggetti fra loro altri. Se le differenze diventano motivo di discriminazioni e si affermano e si esplicano già dalla programmazione scolastica, come voi prevedete, è certo che non inviteremo i giovani e le giovani a considerarsi, essi stessi, soggetti portatori di diritti inalienabili.

La declinazione delle finalità che si intendono perseguire attraverso un intervento legislativo organico e complessivo sul sistema scolastico non può che partire, a nostro giudizio, dalla riaffermazione della funzione istituzionale che la Costituzione assegna alla scuola. Pensiamo che sia sbagliato ipotizzare un sistema che si preoccupa unicamente di offrire pari opportunità ai giovani e che non si ponga programmaticamente l'obiettivo di rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e culturale che impediscono, soprattutto a chi proviene dagli strati sociali più deprivati, di raggiungere i più alti livelli di istruzione.

Ci sembra importante sottolineare la necessità della valorizzazione delle persone e del rispetto delle differenze e delle identità di ciascuno. È un richiamo forte ai principi costituzionali, quello che noi lanciamo al Parlamento, di cui la scuola pubblica italiana degli ultimi quarant'anni è diventato luogo di pratica concreta e principale punto di garanzia.

Pensiamo che il presupposto indispensabile anche per l'inserimento nel mondo del lavoro sia il raggiungimento di adeguati, alti, livelli culturali; con le proposte emendative presentate lo abbiamo voluto sottolineare. L'idea che noi sosteniamo è quella dell'estensione dell'obbligo scolastico fino al diciottesimo anno di età e della conclusione del ciclo secondario, come già oggi avviene, ordinariamente il diciannovesimo anno di età, ben sapendo, ovviamente, che perché questo obiettivo sia realizzabile si rendono necessari adeguati interventi di sostegno all'effettivo esercizio del diritto all'istruzione, anche sul piano economico e delle riforme sociali. Vogliamo affermare il carattere unitario del ciclo secondario, contro l'ipotesi di separazione dei percorsi scolastici in due distinti e separati percorsi: quello dell'istruzione e quello della formazione. Per questo proponiamo di raggruppare sotto una denominazione unica tutti gli istituti, evitando, anche nelle formulazioni linguistiche, l'odiosa discriminazione tra tipologie di istituti ai quali corrispondono, inevitabilmente, destini sociali differenziati.

Prevediamo la definizione di un sistema nazionale di educazione e di istruzione per affermare una concezione del sistema scolastico nazionale diversa e contrapposta rispetto al vostro disegno di legge. (...)

Pensiamo che la scuola debba avere un carattere fortemente unitario. Gli aspetti principali della nostra proposta sono chiari; li presenteremo domani nel corso del dibattito parlamentare attraverso i nostri emendamenti. Il carattere nazionale del sistema scolastico; l'inserimento a pieno titolo del segmento educativo costituito dalla scuola dell'infanzia nel sistema nazionale (un punto per noi assolutamente irrinunciabile). L'eliminazione di ogni ambiguità nel rapporto tra istituzione e formazione. Pensiamo che non possa esserci vera preparazione al lavoro senza una adeguata formazione sia culturale sia tecnico professionale. L'inserimento degli asili nido nel sistema di istruzione nazionale, l'introduzione della seconda lingua già dalle elementari, oltre quella madre, l'introduzione della seconda lingua comunitaria nelle medie. Questo è il nostro progetto alternativo alla vostra brutta riforma, che scrive un modello di società attraverso un modello di scuola. È evidente che il disegno di legge delega - e concludo - in materia di istruzione esprime chiaramente il progetto di questa maggioranza per quanto concerne il ruolo di uno dei settori più strategici per lo sviluppo sociale, economico e culturale e civile del nostro paese: la scuola, la scuola pubblica.

Di fronte a questa politica di impoverimento, Rifondazione comunista ribadisce il valore di una scuola finalizzata al massimo sviluppo della persona, all'affermazione del valore universale del concetto di diritto allo studio, affinché sia garantito a tutti e a tutte l'accesso al sapere nei suoi punti più alti e per tutto l'arco della vita. Su questo terreno noi crediamo che voi possiate essere battuti, nella società, nel mondo della scuola. E crediamo che potrete essere battuti attraverso un percorso di riforma democratica dal basso che vogliamo contribuire a costruire nel paese con la partecipazione diretta di studenti ed insegnanti. È una sfida che lanciamo a questo vostro brutto progetto di società, a questo vostro orrendo progetto di scuola. È un impegno che ci assumiamo per il paese

 

 

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