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Sito telematico dedicato all'informazione, al confronto, al dibattito sui problemi connessi con il primo CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI – a cura del D.S. Paolo Quintavalla  in servizio presso la Direzione Didattica 3° Circolo di Parma - In Rete dal maggio 2000 –

 

 

 

 

NEWS

Malanni cronici e lo scaricabarile

Corriere della Sera - 7 novembre 2002

Quanto è accaduto in Molise non è solo terribile. E’ imbarazzante e preoccupante. Imbarazzante per lo scaricabarile cui stiamo assistendo: nel Paese dove comandano tutti, quando c’è da prendersi una responsabilità non comanda più nessuno. Preoccupante perché rivela una delle molte carenze italiane: oggi sono le scuole, domani chissà. Carenze che nascondiamo sotto le continue congratulazioni a noi stessi, un’attività in cui siamo diventati bravissimi. Il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine scrive: «Il mondo imita l’ Italian way of life »? Noi scodinzoliamo come cuccioli davanti alla scodella. Certo che il modo di vivere italiano è magnifico: nessuno veste, mangia e beve come noi. Ma se la scuola casca sulla testa dei nostri figli, un bel vestito diventa irrilevante. O no? Attenzione: questo non è disfattismo. E’ buonsenso. Le cose buone che facciamo e le cose belle tra cui viviamo non ce le tocca nessuno. Preoccupiamoci del resto, invece. Preoccupiamoci di un sistema Paese che invecchia rapidamente. Dico: ma li avete guardati i treni iracheni che viaggiano sulle nostre ferrovie, di fianco ai moderni Eurostar? Avete visto come sono conciate le stazioni? Avete seguito la farsa del passante di Mestre? Sapete che, mentre l’ Italian way of life è tanto di moda nel mondo, Alitalia chiude un collegamento dopo l’altro (San Francisco, Los Angeles, Pechino)?
Un tempo questi problemi non si volevano risolvere. Ora temo che alcuni non si possano risolvere, ed è perfino peggio. I soldi necessari - tanti - non ci sono. Se ne sono andati in pensioni, illusioni e sprechi: fatevi un giro a sud di Roma, e guardate le centinaia di edifici pubblici non finiti e abbandonati. Credete che ci siano anche in Francia o in Germania? No che non ci sono. E, se ci fossero, i responsabili sarebbero in galera.
L’impressione - deprimente, com’è deprimente scrivere queste cose - è che la cicala Italia abbia quasi finito le provviste: e sta venendo l’inverno. Non crolleremo, questo no: non siamo l’Argentina (anche se con l’Argentina condividiamo il gusto barocco della retorica: facciamo cose che non diciamo e diciamo cose che non facciamo). Rischiamo però un lento declino, addolcito dalla cose buone che mangiamo, dalle cose belle che vediamo, dalla gente piacevole tra cui viviamo.

Qualcuno si chiederà: ma come sono riusciti, i nostri concorrenti occidentali, a pagarsi il futuro (infrastrutture, scuole, ospedali, industrie)? Semplice: hanno accettato di soffrire e cambiare. Nei difficili anni Settanta, gli Stati Uniti hanno lanciato gli investimenti sulla tecnologia. Negli anni Ottanta la Gran Bretagna ha sacrificato un sistema industriale obsoleto e la Spagna s’è inventata città moderne, sfruttando l’euforia della ritrovata democrazia. Negli anni Novanta la Germania ha abbattuto un Muro e ha ricostruito casa.
Noi, no: noi abbiamo riposato, riflettuto, rimandato. Qualche volta, purtroppo, rubacchiato. A Barcellona da costruire noi opponevamo Milano da bere: ma ora in Spagna hanno una città moderna, e il nostro bicchiere è semivuoto. Nessun leader in Italia ha voluto assumersi il compito ingrato di arare il campo, in attesa di qualcuno che lo seminasse (l’ha fatto la Thatcher, poi è venuto Blair). Tutti i primi ministri italiani degli ultimi quindici anni hanno voluto fare le due cose insieme. E non è possibile. Chiedete a qualunque contadino.
Il guaio è che queste cose non si dicono e non si scrivono quasi più. Gli esami di coscienza stancano, e noi ci stiamo ancora riprendendo da quello che avevamo cominciato dieci anni fa (sissignori: Tangentopoli). Per cambiare, dovremmo avere il coraggio di trarre l’unica conclusione possibile, da una tragedia come quella del Molise: l’Italia va svecchiata, e in fretta. Ma non lo faremo. Anzi, non ammetteremo neppure il problema. Diceva Francesco Saverio Nitti, molti anni fa, parlando del futuro italiano: «La strada non è semplice. L’aria è offuscata da centocinquant’anni di bugie». Ora gli anni sono diventati molti di più. Ma l’aria è sempre quella.
www.corriere.it/severgnini

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